N. 796 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 aprile - 28 dicembre 1994
N. 796 Ordinanza emessa il 14 aprile 1994 (pervenuta alla Corte costituzionale il 28 dicembre 1994) dal tribunale amministrativo regionale per il Veneto sul ricorso proposto da D'Andrea Gaetano contro il Ministero della difesa ed altra Militari - Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica - Cessazione dal servizio permanente effettivo con collocamento in congedo illimitato per motivi disciplinari - Mancata previsione della obbligatoria assistenza in giudizio davanti alla commissione di disciplina come previsto per le sanzioni di Corpo - Ingiustificato deteriore trattamento delle sanzioni di stato rispetto alle sanzioni di Corpo con incidenza sul diritto di difesa in giudizio. Militari - Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica - Cessazione dal servizio permanente effettivo con collocamento in congedo illimitato e rimozione dal grado per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari - Mancata preventiva determinazione dei comportamenti che determinano detta sanzione espulsiva - Lamentata genericita' della norma incriminatrice ed automaticita' della sanzione - Violazione del principio di legalita', del diritto di difesa in giudizio, dei principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. (Legge 31 luglio 1954, n. 599, artt. 73, primo comma, 74, primo comma, 60, punto 6, e 63, punto d)). (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, e 97).(GU n.4 del 25-1-1995 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3910/1993 proposto da D'Andrea Gaetano, rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Romeo con elezione di domicilio presso lo studio dello stesso in Venezia Castello 3809, contro il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia; la direzione generale del personale dell'Aeronautica militare, in persona del direttore pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento del decreto ministeriale del 4 agosto 1993, con il quale e' stata disposta la perdita del grado e la contestuale cessazione dal servizio permanente con collocamento in congedo del ricorrente; Visto il ricorso, notificato il 13 novembre 1993 e depositato presso la segreteria il 24 novembre 1993, con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato, depositato il 24 marzo 1994 con i relativi allegati; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla pubblica udienza del 14 aprile 1994 (relatore il consigliere De Zotti) l'avv. Romeo per il ricorrente e l'avvocato dello Stato Botta per il Ministero intimato; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Il ricorrente ha iniziato la sua carriera militare in data 6 ottobre 1975 e al momento del collocamento in congedo rivestiva il grado di sergente maggiore in servizio presso la 1a brigata aerea di Padova. Le note di qualifica lo classificano "nella media" e per qualche anno "superiore alla media". Espone che nell'anno 1988, per contrasti insorti con il suo diretto superiore e per le inique vessazioni subite iniziava ad accusare problemi di salute e di essersi percio' assentato dal servizio senza giustificazione nei mesi di giugno e di luglio 1992. In seguito alle assenze veniva perseguito per il reato di diserzione e condannato dal tribunale militare di Padova alla pena patteggiata di mesi 3 e dieci giorni con i benefici della condizionale e la non menzione. Esaurito il giudizio penale veniva iniziata l'inchiesta formale che si concludeva con il deferimento del ricorrente dinanzi alla commissione di disciplina. Quest'ultima, per i fatti stessi oggetto del processo penale giudicava il D'Andrea "non meritevole di conservare il grado"; tale giudizio veniva fatto proprio dal direttore generale che adottava il conseguente provvedimento di rimozione dal grado e collocamento in congedo. Ritenendo tale provvedimento illegittimo il ricorrente lo impugna, e ne chiede l'annullamento per i seguenti motivi: 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 64 della legge 31 luglio 1954, n. 599, per contrasto con l'art. 3 e 24, comma 2, della Costituzione. Sostiene che l'art. 64 citato, nella parte in cui non prevede l'assistenza obbligatoria di un difensore e' irragionevole e confligge con la garanzia costituzionale del diritto di difesa; che la violazione del principio e' resa piu' evidente dal fatto che l'art. 15 della legge n. 382/1978 prevede l'assistenza del difensore per poter infliggere persino la sanzione piu' lieve della consegna di rigore. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 64 della legge 31 luglio 1954, n. 599, per contrasto con l'art. 3, 25, comma 2, e 97, comma 1, della Costituzione. Sostiene che la norma impugnata viola i principi costituzionali sotto piu' profili per la genericita' della fattispecie che consente all'amministrazione di infliggere il provvedimento piu' grave e penalizzante senza alcuna garanzia di adeguatezza della sanzione e di ragionevolezza della scelta. 3. - Eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione di legge. Sostiene che l'amministrazione non ha motivato sulle ragioni per le quali ha inflitto la piu' grave sanzione di status anziche' quella di corpus (consegna di rigore) prevista dal Regolamento di disciplina. 4. - Eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento dei fatti. Sostiene che l'amministrazione non ha tenuto conto del contesto di esasperazione e di provocazione in cui si e' realizzato il comportamento disciplinarmente rilevante; che inoltre la misura della pena e' stata patteggiata ed il fatto qualificato, in sede penale, di modesta gravita'. In data 24 marzo 1994 si e' costituito in giudizio il Ministero intimato il quale ha dedotto l'infondatezza del ricorso, anche sotto il profilo dell'irrilevanza delle questioni di costituzionalita' sollevate, e ne ha chiesto il rigetto con vittoria di spese. Alla pubblica udienza del 14 aprile 1994, previa audizione dei difensori delle parti, il ricorso e' stato introitato per la decisione. D I R I T T O Il ricorso prospetta, unitamente a motivi di merito due eccezioni preliminari di incostituzionalita' che a giudizio della sezione non appaiono manifestamente infondate. Si tratta di eccezioni rilevanti ai fini della decisione, in quanto attengono alla correttezza, sotto il profilo costituzionale, del procedimento disciplinare preordinato alla irrogazione della sanzione della rimozione del grado e decisive in quanto e' evidente che l'eventuale illegittimita' di detta procedura si riverbera su quella del provvedimento conclusivo. La rilevanza discende anche dalla circostanza che i motivi di merito, concernenti l'adeguatezza della sanzione, vengono dedotti comunque subordinatamente alla verifica della correttezza della procedura, dalla quale quindi non e' dato prescindere. I momenti del procedimento concernenti la sanzione della perdita del grado in relazione ai quali appare non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' riguardano l'omessa previsione dell'obbligo di assistenza in sede defensionale dell'incolpato e la genericita' della fattispecie disciplinare alla quale e' correlata la grave sanzione della rimozione dal grado e conseguente dimissione dal servizio. Quanto al primo, la sezione osserva che il profilo di incostituzionalita' che emerge con una certa evidenza riguarda non tanto e comunque non soltanto l'art 64 della legge n. 599/1954, come si sostiene nel ricorso, ma altresi' e piu' specificamente l'art. 73, comma 1, e 74, comma 1, laddove prevedono rispettivamente che "il sottufficiale puo' farsi assistere da un ufficiale difensore da lui scelto o designato dal presidente della commissione di disciplina" e che "se il sottufficiale non si presenta ne' fa constare di essere legittimamente impedito si procede in sua assenza; in tal caso l'ufficiale difensore che eventualmente assista il sottufficiale non e' ammesso ad intervenire". Si tratta infatti di norme che dove non prevedono (nel primo caso) l'obbligo della nomina del difensore d'ufficio e l'impossibilita' per l'eventuale difensore designato dalla parte di intervenire in difesa dell'incolpato dinanzi alla commissione stessa ledono in maniera evidente e significativa il diritto di difesa, atteso che se per ragioni diverse (che possono spaziare dal disinteresse nei confronti del procedimento alla mancanza di consapevolezza della gravita' delle imputazioni disciplinari e delle relative conseguenze) l'incolpato non nomini un difensore o lo nomini e rimanga assente nonostante la convocazione dinanzi alla commissione, nessuno potra' garantire la salvezza del contraddittorio e quindi che la decisione venga adottata con piena cognizione di tutti gli elementi favorevoli e sfavorevoli alle ragioni dell'incolpato. La sezione ritiene invero di dover escludere che il disposto dell'art. 73 possa essere interpretato in termini compatibili con la salvaguardia del principio di difesa, vale a dire nel senso che nel caso di omessa nomina di difensore da parte dell'incolpato a questo "debba" provvedere d'ufficio il presidente della commissione. Se nondimeno la Corte ritenesse che la sola interpretazione possibile della norma in premessa e' quella che la lettera esclude dovrebbe comunque dichiarare l'incostituzionalita' della norma stessa laddove intesa nel senso fatto palese dalla lettera (facolta' di nomina) e non in quello costituzionalmente compatibile (obbligo di nomina del difensore d'ufficio). D'altra parte non puo' esserci dubbio che sussista nella specie la violazione dei principi costituzionali di difesa (anche sotto il profilo della salvezza del contraddittorio) posto che la norma riguarda tutti i procedimenti disciplinari, relativi quindi sia a sanzioni di corpo (meno gravi) che a sanzioni di status (piu' gravi) laddove con la successiva legge dell'11 luglio 1978, n. 382, recante norme di principio sulla disciplina militare e' stato previsto espressamente (articolo 15, comma 2) che "Non puo' essere inflitta la consegna di rigore se non e' stato sentito il parere di una commissione di tre militari, di cui due di grado superIore ed uno pari grado del militare che ha commesso la mancanza; quest'ultimo e' assistito da un difensore da lui scelto tra i militari dell'ente cui appartiene, o, in mancanza, designato d'ufficio". Allo stato della normativa pertanto, e questo configura un grave vizio di irragionevolezza per disparita' di trattamento in peius, il militare che incorra in un illecito disciplinare passibile di consegna di rigore, sanzione di corpo, ha diritto all'assistenza del difensore mentre il militare che venga incolpato di un illecito disciplinare passibile di sanzione di status, quale la rimozione dal grado, di tale diritto non dispone. Nella specie l'applicazione della norma nel senso della cui costituzionalita' si dubita ha consentito che il ricorrente venisse deferito alla commissione di disciplina e che quest'ultima, in assenza di difensore nominato e dello stesso incolpato, procedesse a formulare nei suoi confronti la proposta di sanzione di status consistente nella perdita del grado per rimozione, senza di fatto alcun contraddittorio. La sezione ravvisa inoltre un secondo evidente ed autonomo profilo di costituzionalita' della normativa censurata nel punto relativo all'espresso divieto di partecipazione alla riunione della commissione di disciplina dell'ufficiale che eventualmente (avverbio che indirettamente conferma la previsione della mera possibilita' e non dell'obbligo di difesa) assista il sottufficiale. In sostanza proprio nel caso in cui la presenza del difensore e' essenziale ai fini del contraddittorio la norma ne esclude paradossalmente l'impiego. Nel caso di specie quindi, anche se il ricorrente avesse nominato un difensore questi non avrebbe potuto assisterlo per il semplice fatto che l'incolpato non si e' presentato dinanzi alla commissione. In proposito va ricordato che "la Corte costituzionale con sentenza n. 104/1991 ha gia' esaminato la normativa in questione, ancorche' su profili relativi alla scansione del procedimento disciplinare ed alla ragionevolezza dei termini per l'avvio del medesimo, evidenziando e valorizzando espressamente" la generale tendenza al maggiore possibile avvicinamento dei diritti del cittadino militare a quelli del cittadino che tale non e'. Ebbene, nella citata decisione la Corte ha ripercorso le fasi del procedimento disciplinare dando per scontato (verosimilmente in una prospettiva di ricostruzione costituzionalmente corretta della procedura) che la seduta della commissione di disciplina "e' celebrata in contraddittorio con il sottufficiale inquisito assistito da un ufficiale difensore". La sezione ritiene quindi, sotto i profili sin qui riassunti, non manifestamente infondate le questioni di cui sopra per contrasto con gli articoli 3 e 24, comma 2, della Costituzione. La sezione ritiene infine di rimettere alla Corte per non manifesta infondatezza anche un ulteriore profilo di costituzionalita' e precisamente la genericita' della norma (combinato disposto dell'art. 60, punto 6, e dell'art. 63, punto d), che lo richiama) che prevede le ipotesi sanzionate con la rimozione dal grado. Al riguardo la sezione rileva che l'art. 60 primo comma numero 6 non specifica con esattezza le fattispecie che comportano l'irrogazione della rimozione con conseguente cessazione dal servizio. La formula "per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari" risulta invero estremamente generica e tale da non consentire, per un verso all'incolpato di conoscere preventivamente le violazioni del codice di comportamento passibili della citata sanzione e per altro verso tale da lasciare all'amministrazione la piu' ampia discrezionalita' nello stabilire in quali estremamente in- definite ipotesi sia possibile infliggerla. E questo con particolare riguardo alla sottospecificazione "per altri motivi disciplinari", endiadi che virtualmente compendia tutte le mancanze previste dal codice di disciplina. La genericita' della formula, in questo caso, merita di essere contrapposta alla previsione dell'art. 14, ultimo comma, della legge n. 382/1978 gia' citata che invece prescrive (al fine della legittima irrogazione della sanzione della consegna di rigore) la specifica previsione nel regolamento di disciplina delle fattispecie sanzionabili. E quest'ultimo, si segnala, prevede infatti ben 55 ipotesi di comportamenti che possono essere puniti con detta sanzione. E' evidente quindi, a giudizio della sezione che nella specie risulta violato il principio di legalita' (art. 25, comma 2, e 97 della Costituzione) in quanto non sussiste, per quanto concerne la grave sanzione della rimozione una definizione precisa e riconoscibile delle fattispecie sanzionate, il che implica per converso una dilatazione del potere disciplinare in misura difficilmente arginabile anche in sede di tutela giurisdizionale. Ne' sembra che argomenti contrari alla prospettazione possano derivare dalle sentenze (n. 971/1988 e 197/1993 in particolare) con le quali la Corte costituzionale nel dichiarare l'illegittimita' di norme che prevedevano automatismi rigidi tra previsioni sanzionatorie di particolare gravita' (la destituzione) e comportamenti ascrivibili alle ipotesi sanzionate, ha espressamente valorizzato il potere di cui dispone l'amministrazione in sede disciplinare, di apprezzare e rapportare la sanzione alla oggettiva gravita' dei fatti commessi. Invero la circostanza che la Corte abbia riaffermato l'essenzialita' del principio di flessibilita' e dell'adeguatezza della sanzione ed il relativo apprezzamento all'amministrazione non solo non esclude ma semmai conferma che deve esistere un quadro di riferimento sufficientemente preciso entro il quale il potere di apprezzare la gravita' dei fatti e tutti gli altri elementi del comportamento che infranga le regole necessita di essere ricondotto. In sostanza non c'e' contraddizione ma coerenza nel garantire per un verso la salvezza del principio di legalita' nella materia delle sanzioni disciplinari, specie per le sanzioni che hanno conseguenze sullo status giuridico dell'incolpato, e per altro verso la garanzia del giudizio basato sulla valutazione ragionevole dei fatti e della loro gravita' in contraddittorio con l'incolpato. Nel caso di specie la questione appare rilevante perche' la condotta del ricorrente e' stata sanzionata con riferimento alla violazione degli artt. 9, 10, 14 e 36 del Regolamento di disciplina militare approvato con il d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, norme che riguardano rispettivamente il comportamento contrario al giuramento prestato, il grado, il senso di responsabilita' ed il contegno del militare, tutto quanto equivale in sintesi, per un dipendente pubblico, ad una contestazione generica di violazione dei doveri d'ufficio. Il fatto che il comportamento sanzionato nella specie sia il reato di diserzione, ossia un comportamento che, secondo la difesa dell'avvocatura dello Stato va considerato incompatibile con lo sta- tus militare e rende ineluttabile l'adozione vincolata della misura espulsiva, non esclude ma conferma che se e' possibile stabilire quali comportamenti contrastano in maniera irrefutabile con la conservazione dello status di militare non c'e' ragione per affidare questa valutazione ad una formula che lascia nell'indistinto tutta la tipologia delle fattispecie punite con tale sanzione. Per i motivi anzidetti la sezione sospende il giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti gli art. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenutane la rilevanza, propone, in quanto non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale degli art. 73, comma 1, e 74, comma 1, della legge n. 599/1954, in relazione agli art. 3 e 24, comma 2, della Costituzione e del combinato disposto degli art. 60, punto 6, e 63, punto d) della legge n. 599/1954, in relazione agli art. 25, comma 2, e 97 della Costituzione; Sospende pertanto il giudizio in corso; Dispone che, a cura della segreteria del tribunale, la presente ordinanza sia notificata a tutte le parti in causa ed altresi' al Presidente del Consiglio dei Ministri in ragione della sua carica istituzionale, e sia comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Venezia, addi' 14 aprile 1994 Il presidente: TROTTA L'estensore: DE ZOTTI 95C0077