N. 7 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 giugno 1994- 4 gennaio 1995

                                 N. 7
 Ordinanza  emessa  il  21   giugno   1994   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  4  gennaio  1995) dal Consiglio di Stato, sezione
 quarta giurisdizionale, sul ricorso  proposto  da  Massari  Maria  ed
 altre  contro  il  commissario  straordinario del Governo per le zone
 terremotate della Campania e della Basilicata ed altri.
 Edilizia e urbanistica -  Previsione  che  i  comuni  che,  ai  sensi
 dell'ordinanza del Commissario del governo per le zone terremotate n.
 69  del  29  dicembre  1980,  hanno  individuato  ed  utilizzato aree
 destinate alla installazione di insediamenti provvisori, entro dodici
 mesi dalla entrata in vigore della legge impugnata e della successiva
 legge  di  proroga  (anche  essa  impugnata)  esproprino  tali  aree,
 acquisendole al patrimonio comunale anche nell'ipotesi di intervenuta
 scadenza  del  termine finale previsto per l'occupazione d'urgenza ed
 indipendentemente dall'attuale destinazione urbanistica di dette aree
 - Violazione  del  diritto  di  proprieta'  sotto  il  profilo  della
 mancanza  di  ogni  previsione  legislativa  atta  ad identificare "i
 motivi di interesse generale", che  giustifichino  il  definitivo  ed
 integrale   sacrificio  della  proprieta'  privata  -  Incidenza  sui
 principi di imparzialita' e buon andamento  della  p.a.  -  Incidenza
 altresi'  sulle competenze del consiglio comunale e della regione per
 l'attribuzione al sindaco o alla giunta  municipale  di  attribuzioni
 spettanti ai primi.
 (Legge 18 aprile 1984, n. 80, art. 6, quarto e quinto comma; d.-l. 28
 febbraio  1986, n. 48, art. 1, punto 3, convertito in legge 18 aprile
 1986, n. 119).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 42, terzo comma, 97, primo comma,  118,
 primo e terzo comma).
(GU n.4 del 25-1-1995 )
                         IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  in  appello
 proposto da Massari Maria,  Massari  Arcangela  e  Massari  Rosmunda,
 rappresentate  e  difese  dall'avv.  Vincenzo Colacino, elettivamente
 domiciliate presso lo stesso, in Roma, via N. Ricciotti 9, contro  il
 commissariato straordinario del Governo per le zone terremotate della
 Campania  e  della  Basilicata,  in persona del legale rappresentante
 pro-tempore, rappresentato e difeso  dall'avvocatura  generale  dello
 Stato,  domiciliato presso la stessa, in Roma, via dei Portoghesi 12;
 il comune  di  Muro  Lucano,  in  persona  del  sindaco  pro-tempore,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv. Matteo Martuscelli, elettivamente
 domiciliatoi  presso  il  dott.  Luigi  Martuscelli,  in  Roma,   via
 Trionfale  n.  8229; la regione Basilicata, in persona del presidente
 pro-tempore della giunta regionale, non costituita in  giudizio;  per
 l'annullamento della decisione del tribunale amministrativo regionale
 della Basilicata 30 dicembre 1987, n. 512, resa inter partes;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto   l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del  commissariato
 straordinario e del comune di Muro Lucano;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza del 21 giugno 1994 la relazione del
 consigliere Giaccardi e  uditi,  altresi',  l'avv.  Colacino,  l'avv.
 dello Stato Aiello e l'avv. Martuscelli;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con sentenza 30 dicembre 1987, n. 312, il tribunale amministrativo
 regionale  della  Basilicata  ha respinto otto ricorsi, separatamente
 proposti dalle sorelle Maria, Arcangela e Rosmunda Massari, avverso i
 seguenti provvedimenti:
      quanto ai ricorsi nn. 162 e 163/1981, il decreto del commissario
 straordinario del Governo per le zone terremotate  della  Campania  e
 della  Basilicata,  10  marzo  1981,  n. 571, comunicato con note del
 sindaco di Muro Lucano in data 17 e 30 marzo successivi, con il quale
 il  comune  di  Muro  Lucano  e'  stato  autorizzato  all'occupazione
 d'urgenza,  per  la  durata di due anni prorogabili fino a cinque, di
 tre  terreni  di  proprieta'  delle  ricorrenti,  della   complessiva
 dimensione   di   circa   32.500   metri   quadrati,   da  destinarsi
 all'insediamento  provvisorio  con  prefabbricati mobili dell'abitato
 comunale rimasto distrutto a seguito del sisma del 23 novembre  1980,
 nonche',  in  qualita'  di  atti  presupposti, le deliberazioni della
 giunta municipale di Muro Lucano 12 dicembre 1980, n. 560, 6 febbraio
 1981, n. 41, 11 febbraio 1981, n. 54, e 6 marzo 1981, n. 79;
      quanto ai ricorsi nn. 219, 220 e 221/1986, il decreto in data 20
 gennaio 1986, con il quale il sindaco di Muro Lucano  ha  pronunziato
 l'espropriazione dei suddetti terreni, ai sensi della legge 18 aprile
 1984, n. 80;
      quanto  ai  ricorsi nn. 241, 242 e 243/1987, la deliberazione 10
 novembre 1986, n. 649, con la quale  la  giunta  municipale  di  Muro
 Lucano  ha "fatto proprio" il suddetto decreto sindacale ed ha, anche
 autonomamente, espropriato i terreni di cui trattasi.
    Con  la  medesima  sentenza  il  t.a.r.  Basilicata  ha,   infine,
 dichiarato l'improcedibilita' per sopravvenuto difetto d'interesse di
 un nono ricorso (n. 640/85) congiuntamente proposto dalle tre sorelle
 Massari  per  l'annullamento del piano regolatore generale del comune
 di Muro Lucano, adottato con deliberazione consiliare 13 maggio 1982,
 n. 46,  ed  approvato  con  decreto  15  aprile  1985,  n.  389,  del
 Presidente  della giunta regionale, nella parte in cui trasformava in
 "verde pubblico attrezzato" l'originaria  destinazione  agricola  dei
 medesimi  terreni  di  proprieta'  delle  ricorrenti, successivamente
 espropriati per le finalita' di cui alla citata legge n. 80/l984.
    Avverso la suddetta decisione si gravano,  con  unico  ricorso  in
 appello,  le  sorelle  Massari,  richiamando  integralmente  tutte le
 censure   dedotte   con   i   ricorsi   introduttivi   e   lamentando
 specificamente  i  seguenti  errori  ed  incongruenze  della sentenza
 appellata:
       A)  con  riferimento  all'impugnazione  del  provvedimento   di
 occupazione d'urgenza per la realizzazione di insediamenti provvisori
 e  degli  atti  connessi,  il  primo  giudice non fornirebbe adeguata
 motivazione in ordine al rigetto  delle  due  doglianze  dedotte  nel
 ricorso   introduttivo,   in   ordine,   rispettivamente:   a)   alla
 perplessita' della scelta comunale circa le dimensioni delle aree  da
 occupare;  b)  alla  mancanza  di un'adeguata indagine comparativa ai
 fini della scelta delle suddette aree;
       B)  con  riferimento  all'impugnazione  dei  provvedimenti   di
 espropriazione dei terreni delle ricorrenti, si ripropone l'eccezione
 di  legittimita'  costituzionale  -  gia'  disattesa  dal  t.a.r. con
 declaratoria di manifesta infondatezza - dell'art. 6, commi  terzo  e
 quarto  (attualmente  quarto  e  quinto,  a  seguito  delle modifiche
 introdotte  con  d.-l.  n.  48/1986),  della  legge  n.  80/1984,  in
 relazione agli artt. 3 e 42 della Costituzione, nella parte in cui la
 suddetta   norma  consente  ai  comuni  di  espropriare  le  aree  in
 precedenza occupate per l'installazione di  insediamenti  provvisori,
 al  solo  fine  di  acquisirle ai loro patrimoni, a prescindere dalla
 destinazione urbanistica impressa su di esse;
       C) con riferimento all'impugnativa del p.r.g., si  contesta  la
 declaratoria    di    improcedibilita'   per   sopravvenuto   difetto
 d'interesse, nell'eventualita'  che  i  successivi  provvedimenti  di
 esproprio  vengano  annullati  in  sede di appello, e si ripropongono
 integralmente le doglianze gia' dedotte con l'originario ricorso.
    Resistono all'appello il commissario straordinario di Governo e il
 comune  di  Muro  Lucano,  chiedendone  il  rigetto  e la conseguente
 conferma della decisione  di  primo  grado,  previa  declaratoria  di
 manifesta  infondatezza  della  riproposta  eccezione di legittimita'
 costituzionale. Il  comune  sviluppa,  cautelativamente,  le  proprie
 argomentazioni  difensive  anche  in  forma  di  appello  incidentale
 condizionato, ad eventuale  aggiunta,  integrazione  e  completamento
 della motivazione della sentenza di primo grado.
    In  esito a discussione orale, alla pubblica udienza del 21 giugno
 1994 l'appello e' passato in decisione.
                             D I R I T T O
    1. -  Con  sentenza  parziale  in  data  odierna,  la  sezione  ha
 rigettato l'appello proposto dalle sorelle Massari avverso il capo di
 decisione con cui sono stati respinti gli originari ricorsi nn. 162 e
 163/1981  r.g.  t.a.r.  Basilicata,  proposti  avverso il decreto del
 commissario straordinario del Governo per le zone  terremotate  della
 Campania  e della Basilicata 10 marzo 1981, n. 571, di autorizzazicne
 all'occupazione d'urgenza di terreni di proprieta' delle  ricorrenti,
 nonche'  avverso  alcune  presupposte  e connesse deliberazioni della
 giunta municipale di Muro Lucano.
    2.  -  La  medesima  decisione  parziale  ha  altresi'  dichiarato
 inammissibili,  e comunque respinto, i motivi d'appello genericamente
 dedotti avverso il capo di decisione che ha, a sua volta, respinto  o
 dichiarato  inammissibili  il  primo,  secondo  e  terzo motivo degli
 originari ricorsi nn. 219, 220 e 221/1986, 241, 242 e  243/1987  r.g.
 t.a.r.  Basilicata,  proposti, rispettivamente, avverso il decreto 20
 gennaio 1986 del sindaco di  Muro  Lucano,  con  il  quale  e'  stata
 pronunziata  l'espropriazione  dei  suddetti  terreni,  ed avverso la
 deliberazione 10 novembre 1986,  n.  649,  con  la  quale  la  giunta
 municipale  ha  "fatto  proprio" il suddetto decreto sindacale ed ha,
 anche autonomamente, espropriato i terreni di cui innanzi.
    3. - Resta ora da esaminare il motivo d'appello  (sub  B)  con  il
 quale  viene  riproposta  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 6, commi terzo e quarto (attualmente  quarto  e  quinto,  a
 seguito delle modifiche introdotte con d.-l. n. 48/1986), della legge
 n.  80/1984,  in relazione agli artt. 3 e 42 della Costituzione, gia'
 dedotta con il quarto e conclusivo motivo dei menzionati sei  ricorsi
 di  primo  grado  avverso  i provvedimenti espropriativi di sindaco e
 giunta,  e  disattesa  dal  t.a.r.  Basilicata  con  declaratoria  di
 manifesta infondatezza.
    La  suddetta  questione  e', innanzitutto, rilevante ai fini della
 decisione del presente giudizio, nella parte non ancora definita  con
 sentenza parziale.
    La   ritenuta   infondatezza,  o  inammissibilita',  di  tutte  le
 ulteriori censure  dedotte  in  primo  grado,  e  solo  genericamente
 riproposte  in appello, avverso i provvedimenti espropriativi implica
 infatti   che   soltanto   una   declaratoria    di    illegittimita'
 costituzionale  della  norma  legislativa su cui si fonda l'esercizio
 del potere de quo - e cioe' il menzionato art.  6,  quarto  e  quinto
 comma,  della  legge  n. 80/1984 - potrebbe comportare l'annullamento
 degli impugnati  atti  ablatori,  e  quindi  un  esito  del  giudizio
 parzialmente  favorevole  alle  appellanti,  altrimenti  destinate  a
 totale soccombenza.
    4.  -  La  dedotta  questione  di  legittimita'  costituzionale e'
 rilevante anche con riguardo alla  definizione  di  altra  parte  del
 presente  giudizio.  Ossia di quella relativa all'impugnazione, fatta
 dalle  Massari,   del   capo   di   decisione   che   ha   dichiarato
 l'improcedibilita'     per     sopravvenuto    difetto    d'interesse
 dell'originario ricorso n. 640/1985 r.g. t.a.r. Basilicata. Il  quale
 fu  proposto  avverso  il  piano  regolatore generale di Muro Lucano,
 adottato con deliberazione consiliare  13  maggio  1982,  n.  46,  ed
 approvato  con  d.p.g.r.  15 aprile 1985, n.  389, nella parte in cui
 destina a verde privato attrezzato le  medesime  aree  di  proprieta'
 delle   ricorrenti,   gia'   a   destinazione  agricola,  incise  dai
 successivi, menzionati provvedimenti  espropriativi  in  applicazione
 della legge n. 80/1984.
    L'attuale  situazione  di  carenza d'interesse all'annullamento di
 previsioni urbanistiche superate dagli atti  ablatori  medio  tempore
 adottati  verrebbe, infatti, meno ove detti provvedimenti venissero a
 loro  volta  caducati  in  esito  al  presente  giudizio   d'appello:
 eventualita'    questa    che,    come   sopra   ricordato,   postula
 necessariamente la caducazione della norma di legge ordinaria di  cui
 si prospetta il contrasto con i principi costituzionali.
    5.  -  La  dedotta questione di costituzionalita' appare, inoltre,
 non manifestamente infondata.
    L'art.  6  della  legge  18  aprile  1984,  n.  80  (ad   oggetto:
 "conversione in legge, con modificazioni, del d.-l. 28 febbraio 1984,
 n.  19,  recante proroga dei termini ed accelerazione delle procedure
 per l'applicazione della legge 14 maggio1981,  n.  219  e  successive
 modificazioni")  prevede,  al quarto ( ex terzo) comma, che "i comuni
 che, ai sensi dell'ordinanza del commissario del Governo per le  zone
 terremotate  n.  69  del  29  dicembre  1980,  hanno  individuato  ed
 utilizzato   aree   destinate   all'installazione   di   insediamenti
 provvisori,  entro  dodici mesi dall'entrata in vigore della presente
 legge espropriano tali  aree,  acquisendole  al  patrimonio  comunale
 anche   nell'ipotesi  di  intervenuta  scadenza  del  termine  finale
 previsto per l'occupazione d'urgenza". Aggiunge il successivo  quinto
 (  ex  quarto)  comma  che  "le  aree di cui al comma precedente sono
 espropriate  indipendentemente  dalla   loro   attuale   destinazione
 urbanistica".
    Il  termine  annuale  sopra citato e' stato quindi prorogato al 31
 dicembre 1986 dall'art. 1, punto 3, del d.-l. 28  febbraio  1986,  n.
 48,  convertito  nella  legge  18  aprile  1986,  n.  119: entro tale
 scadenza  rinnovata   sono   quindi   intervenuti   i   provvedimenti
 espropriativi  del  sindaco  e della giunta di Muro Lucano, della cui
 legittimita' si discute nel presente giudizio.
    5. - Nel giudizio di primo grado  le  ricorrenti  hanno  sollevato
 formalmente  questione di legittimita' costituzionale della normativa
 richiamata, osservando  in  particolare  che  le  espropriazioni  ivi
 previste  perseguirebbero  unicamente  lo  scopo  di  incrementare  i
 patrimoni comunali, con conseguente violazione  dell'art.  42,  terzo
 comma, Cost., nella parte in cui e' consentita l'espropriazione della
 proprieta' privata soltanto "per motivi di interesse generale".
    L'eccezione  e' stata ritenuta manifestamente infondata dal t.a.r.
 della  Basilicata  sulla  base  di  un  unico  rilievo:  che,  cioe',
 l'acquisizione  delle aree in questione ai patrimoni comunali sarebbe
 finalizzata alla realizzazione dei piani di zona di cui alla legge 18
 aprile 1962, n. 167, e di quelli per gli insediamenti  produttivi  di
 cui  all'art.  27  della  legge  22 ottobre l971, n. 865, dei quali i
 comuni disastrati debbono dotarsi,  a  norma  dell'art.  28,  secondo
 comma,  lett. A-B, della legge 14 maggio 1981, n. 219, in vista della
 sostituzione del patrimonio edilizio distrutto e non ricostruibile in
 loco. E  poiche'  l'utilizzazione  delle  aree  ricadenti  nei  piani
 suddetti  ha  luogo,  anche  ai  sensi  del quattordicesimo comma del
 citato art. 28, mediante assegnazione a privati da parte del  comune,
 quest'ultimo   deve   necessariamente   farsi   carico  della  previa
 acquisizione delle stesse al proprio patrimonio, cosi' come  previsto
 anche  dagli  artt.  9,  ultimo comma, legge n. 167/1962 e 27, quinto
 comma, legge n. 865/1971.
    6.  -  L'argomento   svolto   dal   primo   giudice   non   appare
 condivisibile.
    In  particolare,  da  una lettura coordinata delle disposizioni di
 cui agli artt. 28, secondo comma, della legge n. 219/1981 e 6,  commi
 quarto  e  quinto  della  legge  n.  80/1984,  non  sembra  evincersi
 univocamente   che   le   espropriazioni   previste   dalla   seconda
 disposizione  siano  necessariamente  finalizzate  alla realizzazione
 degli interventi previsti dalla prima.
    Al contrario, proprio il citato art. 28 della legge  n.  219,  nel
 prevedere  che  i  comuni  debbono  dotarsi  di strumenti urbanistici
 attuativi (p.e.e.p. e p.i.p.) per sopperire alle  immediate  esigenze
 di  ricostruzione,  prefigura  un  sistema di intervento nel quale la
 scelta pianificatoria di dettaglio,  eventualmente  anche  in  deroga
 rispetto  alle  previsioni  degli  strumenti generali, costituisce un
 prius - sul piano cronologico e logico  -  rispetto  agli  interventi
 espropriativi,  finalizzati  all'acquisizione  di  quelle aree - e di
 esse soltanto - che gli strumenti attuativi destinano agli interventi
 ivi contemplati. Sotto questo profilo, e' chiaramente  erroneo  anche
 il richiamo operato dal t.a.r. alle disposizioni di cui agli artt. 9,
 ultimo comma, della legge n. 167/1962 e 27, quinto comma, della legge
 n.  865/1971,  posto  che  tali  norme  contemplano l'acquisizione al
 patrimonio comunale di aree gia'  individuate  dai  rispettivi  piani
 esecutivi,  laddove  l'art.  6  della  legge n. 80/1984 conferisce ai
 comuni un potere di esproprio generalizzato, da  attuarsi  entro  una
 scadenza  temporale definita, a prescindere dalla previa adozione dei
 piani attuativi previsti dalla legge n.  219  (della  cui  esistenza,
 invero,  non  vi  e' menzione alcuna negli atti di causa), e comunque
 senza la previsione, a livello  legislativo,  di  alcun  rapporto  di
 diretta  e  necessaria strumentalita' tra l'intervento ablatorio e la
 successiva  -  meramente  eventuale  -  riutilizzazione  delle   aree
 espropriate  secondo  le  finalita'  proprie dei menzionati strumenti
 pianificatori.
    La stessa, ricordata  previsione  del  quinto  comma  dell'art.  6
 (sulla  quale  si  dovra' tornare, ad altri fini, anche in prosieguo)
 testimonia chiaramente come la scelta del legislatore del 1984 si sia
 indirizzata nel senso di  configurare  il  potere  espropriativo  ivi
 conferito  ai  comuni  come  totalmente  svincolato  dal quadro della
 previgente pianificazione urbanistica, sia di livello generale, sia -
 per  quanto  qui  interessa  -  di  livello  attuativo:  con  l'ovvia
 conseguenza  che,  nel  sistema  introdotto dalla legge n. 80, ne' la
 previa adozione dei piani esecutivi ex art.  2  della  legge  n.  219
 costituisce  presupposto e condizione di legittimita' dell'intervento
 espropriativo, ne' la mancata successiva adozione di tali piani  puo'
 incidere  ex  post  sull'efficacia  di  provvedimenti  ablatori medio
 tempore adottati - comportando, ad esempio, la retrocessione dei beni
 non  utilizzati  ne'  piu'  utilizzabili  per  le   finalita'   della
 ricostruzione - difettando ogni previsione legislativa in tal senso e
 dovendosi, al contrario ritenere che le aree, una volta genericamente
 acquisite  ai  patrimoni  comunali, siano quindi suscettibili di ogni
 possibile destinazione.
    7.  -  Il  vero  e',  come  esattamente  dedotto   dalle   odierne
 appellanti,  che  l'unico  momento  di  collegamento identificato dal
 legislatore tra esercizio del potere  espropriativo  e  finalita'  di
 interesse  generale  consiste  nella  circostanza che al procedimento
 ablatorio ex art. 6 legge n. 80/1984  sono  assoggettabili  tutti  ed
 esclusivamente  i  terreni  gia'  in  precedenza  utilizzati  per  la
 realizzazione  di  insediamenti  provvisori,  in   attuazione   delle
 disposizioni      impartite     dal     commissario     straordinario
 nell'immediatezza dell'evento calamitoso.
    Tale circostanza, peraltro, lungi dal porre la norma al riparo  da
 ogni  dubbio  di incostituzionalita', sembra di per se' avvalorare il
 giudizio di non manifesta infondatezza della questione dedotta.
    In sintesi, pare al collegio che il  disegno  normativo  all'esame
 rechi  in  se'  un'irrazionale  inversione  degli  ordinari  rapporti
 configurantisi  tra  procedimento  espropriativo  e  procedimento  di
 occupazione  d'urgenza. Cio' nel senso che la scelta espropriativa e'
 qui direttamente legata, e condizionata, alla diversa scelta compiuta
 in via di  urgenza,  al  fine  di  far  fronte  in  via  immediata  e
 provvisoria  ad  una  situazione  di  grave  emergenza.  Laddove, nel
 sistema ordinario, il provvedimento di occupazione  assume  un  ruolo
 meramente strumentale rispetto alla realizzazione di un programmato e
 gia'  definito intervento di pubblica utilita', al quale dovra' darsi
 compiutamente corso attraverso lo strumento espropriativo.
    La normale coincidenza, in  unico  atto,  della  dichiarazione  di
 pubblica   utilita'  e  di  quella  di  indifferibilita'  ed  urgenza
 testimonia, anche visivamente, come negli ordinari procedimenti volti
 alla realizzazione di opere di pubblica utilita'  vi  sia,  a  monte,
 un'unica scelta progettuale dalla quale si dipartono, parallelamente,
 sia  gli  interventi  preordinati  alla definitiva acquisizione delle
 aree occorrenti, sia  quelli  finalizzati  all'immediata  occupazione
 delle stesse, in vista di una sollecita realizzazione delle opere.
    Nella   fattispecie   in   esame  non  vi  e',  per  contro,  tale
 coincidenza.   La   scelta   originaria,   volta   unicamente    alla
 realizzazione  di  "insediamenti provvisori" per fronteggiare a tempi
 brevi   una   situazione   di   indilazionabile   emergenza,    viene
 successivamente,  a  distanza di cinque anni, adattata (o, forse piu'
 esattamente,  forzata),  per   soddisfare   altre,   e   per   giunta
 legislativamente  non  definite,  finalita'  a  carattere permanente,
 senza che sia rinvenibile alcun nuovo momento  di  valutazione  e  di
 scelta  - con correlativa ponderazione dei diversi interessi pubblici
 e privati - tale da giustificare  la  definitiva  appropriazione  del
 bene alla mano pubblica.
    Per  le  considerazioni  fin  qui  svolte,  la sezione ritiene non
 manifestamente infondato il dubbio circa il contrasto fra la norma in
 esame e l'art. 42, terzo comma, Cost., sotto il duplice profilo della
 mancanza di ogni previsione legislativa atta ad identificare  "motivi
 di  interesse  generale" che giustifichino il definitivo ed integrale
 sacrificio  della  proprieta'  privata,  nonche' - correlativamente -
 dell'inadeguatezza  del  riferimento   legislativo   alla   pregressa
 utilizzazione   dei   terreni  per  la  realizzazione  di  interventi
 provvisori,  al  fine  di  sorreggere  la  permanente  e   definitiva
 destinazione degli stessi a finalita' di pubblico interesse.
    8.  - Con la sentenza parziale in data odierna questa sezione, nel
 rigettare i ricorsi  proposti  nei  confronti  dei  provvedimenti  di
 occupazione    d'urgenza   finalizzati   alla   realizzazione   degli
 insediamenti provvisori, ha avuto modo di  rilevare  come  le  scelte
 amministrative  relative  alla dimensione e localizzazione delle aree
 possano legittimamente prescindere da una  compiuta  ed  approfondita
 istruttoria, tale da comportare una valutazione comparativa tra tutte
 le  aree  potenzialmente  idonee  allo  scopo,  dovendo  in  tal caso
 accordarsi  prevalenza  all'interesse  pubblico  ad   una   sollecita
 realizzazione  di  interventi  urgenti  e  indilazionabili,  volti  a
 soddisfare esigenze primarie della collettivita', quali  l'abitazione
 e i servizi pubblici essenziali.
    I   rilievi   esposti,  peraltro,  mentre  valgono  a  legittimare
 interventi provvisori da attuarsi sotto la spinta dell'emergenza, non
 possono parimenti attagliarsi ad interventi a  carattere  permanente,
 finalizzati  a  scopi di interesse pubblico destinati a protrarsi nel
 tempo, per i quali riemerge la necessita' di un'adeguata ponderazione
 e comparazione degli interessi coinvolti, e quindi anche un  adeguato
 vaglio  selettivo  fra  le  posizioni  dei  privati  suscettibili  di
 potenziale incisione  da  parte  dei  pubblici  poteri,  al  fine  di
 assicurarne il minor sacrificio possibile che risulti compatibile con
 l'interesse pubblico perseguito.
    Cio'  posto,  osserva  il  collegio come l'automatismo contemplato
 dall'art. 6,  della  legge  n.  80/1984,  nel  passaggio  dalla  fase
 dell'occupazione  d'urgenza  per  la  realizzazione  di  insediamenti
 provvisori a quella della definitiva espropriazione delle aree a  tal
 fine   utilizzate,   sembra   vulnerare  le  garanzie  sostanziali  e
 procedimentali  atte   ad   assicurare   una   corretta   valutazione
 comparativa in ordine alla scelta delle aree medesime.
    Il  profilo puo' essere apprezzato, congiuntamente, sia in termini
 di violazione del principio di eguaglianza di cui all'art.  3,  primo
 comma   Cost.,   sia   in  termini  di  violazione  dei  principi  di
 imparzialita' e buon andamento di cui all'art. 97, primo comma Cost.,
 nella misura  in  cui  il  legislatore  fa  dipendere  il  sacrificio
 impresso in via definitiva ad uno piuttosto che ad altro proprietario
 da   valutazioni  e  scelte  sommariamente  operate  in  passato  per
 fronteggiare in via d'urgenza una  situazione  contingente,  anziche'
 subordinare  l'intervento  ablatorio  ad  una  rinnovata  ed  attuale
 ponderazione degli interessi in gioco.
    9.   -   Un   ultimo,   ed   autonomo,   profilo    di    sospetta
 incostituzionalita'  investe  la  previsione  del quinto ( ex quarto)
 comma dell'art. 6 in esame, che sancisce il  principio  dell'assoluta
 irrilevanza   della  destinazione  urbanistica  impressa  sulle  aree
 interessate dagli interventi espropriativi di cui trattasi.
    Nel rilevare come tale principio abbia, in concreto, comportato la
 pratica vanificazione della scelta pianificatoria a  "verde  pubblico
 attrezzato" impressa sulle aree delle ricorrenti dal piano regolatore
 generale  di  Muro Lucano adottato dal consiglio comunale nel 1982 ed
 approvato  dalla  Regione  nel  1985  (nelle  more,  quindi,  fra  il
 provvedimento   di  occupazione  d'urgenza  assunto  dal  commissario
 straordinario nel 1981 e i provvedimenti comunali di  espropriazione,
 risalenti  al  1986),  osserva  il  collegio  che la previsione di un
 intervento  espropriativo  totalmente  svincolato  dal  quadro  della
 pianificazione territoriale pone, di per se', dubbi di compatibilita'
 con il disegno costituzionale, ed in particolare:
       a)  con  l'art.  42, terzo comma, Cost., in quanto l'intervento
 espropriativo non soltanto non  appare  giustificato  da  "motivi  di
 interesse generale", ma addirittura puo' porsi - ed in concreto si e'
 posto   -   in  contraddizione  con  interessi  pubblici  canonizzati
 attraverso le scelte pianificatorie;
       b) con gli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, Cost.,  sul
 presupposto   che   le  scelte  attuate  in  sede  di  pianificazione
 territoriale, con le relative garanzie sostanziali e  procedimentali,
 tutelino  in misura ottimale il diritto dei consociati ad un equanime
 ed imparziale trattamento da parte dei pubblici poteri; diritto  che,
 per  contro,  appare  vulnerato  dalla  previsione  legislativa di un
 intervento  espropriativo  comunque  realizzabile,  indipendentemente
 dall'attuale destinazione urbanistica delle aree incise;
       c)  con l'art. 1l8, primo e terzo comma, Cost., nella misura in
 cui  lo  stravolgimento  delle  previsioni   urbanistiche   derivante
 dall'intervento  espropriativo - sia esso attuato dal sindaco, ovvero
 dalla giunta municipale - viene ad incidere sull'ambito di competenze
 costituzionalmente  garantite,  ed  in  particolare  sulla   potesta'
 pianificatoria  istituzionalmente ripartita tra il consiglio comunale
 e gli organi della regione.
    10. - Tutte le questioni di legittimita'  costituzionale  fin  qui
 prospettate  con  riguardo  all'art.  6, quarto e quinto comma, della
 legge  n.   80/l984,   sono   altresi'   riferibili,   con   identica
 prospettazione,  all'art.  1, punto 3, del d.-l. 28 febbraio 1986, n.
 48, convertito nella legge 18 aprile 1986, n. 119, che  ha  prorogato
 al  31  dicembre  1986 il termine per l'esercizio da parte dei comuni
 del potere espropriativo di cui trattasi.
    Sotto il profilo  della  rilevanza,  l'estensione  a  quest'ultima
 norma  dell'incidente  di  costituzionalita' si giustifica in ragione
 del fatto che i  provvedimenti  espropriativi  impugnati  sono  stati
 emanati  dopo  la  scadenza  del termine originario, e nel vigore del
 termine rinnovato.
    11. - Stante la  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  delle
 questioni  di  costituzionalita'  analiticamente  sviluppate in parte
 motiva e sinteticamente riassunte in dispositivo,  il  giudizio  deve
 essere  sospeso  - per la parte non definita con decisione parziale -
 fino alla pronunzia della Corte costituzionale; cui gli atti  vengono
 pertanto trasmessi.
                                P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 e seguenti della legge costituzionale 9 febbraio
 1948, n. 1; 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione
 di  legittimita'  costituzionale degli artt. 6, commi quarto e quinto
 (gia' terzo e quarto), della legge 18 aprile 1984, n. 80, e 1,  punto
 3 del d.-l. 28 febbraio 1986, n. 48, convertito nella legge 18 aprile
 1986,  n.  119,  in  relazione  agli  artt. 42, terzo comma, 3, primo
 comma,  97,  primo  comma,  e  118,  primo  e  terzo   comma,   della
 Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso,  per  la  parte  non  definita  con
 sentenza parziale in data odierna;
    Ordina  che,  a  cura  della segreteria della sezione, la presente
 ordinanza sia notificata alle parti in causa  ed  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri, e comunicata ai presidenti della Camera dei
 deputati e del Senato della Repubblica.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  dal   Consiglio   di   Stato   in   sede
 giurisdizionale,  sezione  quarta,  nella  camera di consiglio del 21
 giugno 1994.
                       Il presidente: PALEOLOGO
    I consiglieri: LIGNANI - FERRARI - PATRONI GRIFFI
                                  Il consigliere, estensore: GIACCARDI
 95C0092