N. 22 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 novembre 1994

                                 N. 22
 Ordinanza emessa l'11 novembre  1994  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  pretura di Firenze nel procedimento penale a
 carico di Rufat Elmaz ed altra
 Reati in genere - Mendicita' - Lamentata omessa previsione, quale
    elemento  integrativo  del  reato,  della  mancanza  di  mezzi  di
    sostentamento  imputabile  a  propria  condotta dolosa o colposa -
    Mancato assolvimento  dei  compiti  istituzionali  dello  Stato  -
    Lesione del principio di risocializzazione e di rieducazione della
    pena - Violazione del principio di eguaglianza.
 (C.P., art. 670, primo comma).
 (Cost., artt. 2, 3 e 27, terzo comma).
(GU n.5 del 1-2-1995 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
                               F A T T O
    Al  termine  delle indagini preliminari, il p.m. chiedeva a questo
 giudice la emissione di decreto penale a  carico  di  Rufat  Elmaz  e
 Kasumova Dzulistan in atti generalizzate per il reato di cui all'art.
 670, primo comma, c.p.
    Dalla  lettura  degli  atti  non  emerge  che  le imputate abbiano
 mendicato tenendo alcuna delle condotte previste  dal  secondo  comma
 dell'art. 670 c.p. ovvero dall'art. 671 c.p.
    Non  risulta  altresi' che le predette usufruissero di elargizioni
 da parte dello Stato, di enti pubblici o da parte di privati  per  il
 sostentamento  proprio e dei prossimi congiunti, ne' che avessero una
 occupazione lavorativa dalla quale trarre i  mezzi  necessari  con  i
 quali  fare  fronte ai propri bisogni primari tra cui, oltre a quelli
 alimentari, anche quelli di sistemazione in un ambiente salubre, alle
 piu'  elementari  necessita'  di  educazione,  istruzione   e   svago
 moralmente  accettabili  per  se'  e  per la prole, beni tutti questi
 garantiti costituzionalmente (artt. 1, 2, 3, 4, 9 nonche' 30, 31, 32,
 38 Cost.). Vale la pena, al riguardo, richiamare  l'attenzione  sulle
 condizioni  ambientali,  sociali, culturali ed economiche nelle quali
 vive la popolazione ROM  alla  quale  appartengono  le  imputate  (in
 baracche  o  roulotte in campi nomadi notoriamente con insufficienza,
 inidoneita' quando non addirittura inesistenza di  servizi  igienici,
 di  fognature, di acqua, di mezzi di riscaldamento, di infrastrutture
 in  genere),  per  rendersi  conto  che  nel  caso   concreto   siano
 assolutamente  carenti  sotto  ogni  profilo  le iniziative pubbliche
 volte non solo a garantire loro la pura e semplice assistenza, quanto
 quelle di carattere piu' generale volte a creare le  condizioni  loro
 indispensabili  per  una  reale  integrazione  nella societa', ai cui
 margini tali persone per fatti involontari si ritrovano a vivere.
                             D I R I T T O
    Sulla base di  tali  presupposti  di  fatto  appare  rilevante  la
 questione   di   legittimita'   costituzionale   nei   termini  sotto
 specificati dell'art. 670, primo comma, c.p. per  contrasto  con  gli
 artt.  2, 3 e 27 della Costituzione, giacche' dall'esito della stessa
 dipende quello del presente procedimento che in  caso  positivo  puo'
 concludersi con una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.
    1.  - Il complesso delle disposizioni di cui agli artt. 670, primo
 e secondo comma,  e  671  c.p.  ha  di  mira  la  tutela  dell'ordine
 pubblico.
    Attraverso  la  punizione  dell'attivita' di mendicita' si intende
 prevenire e punire un complesso di comportamenti che in qualche  modo
 possono  costituire  un  pericolo  per  la tranquillita' ed il decoro
 della civile convivenza (cfr. Cass. sez VI, 11 marzo 1970, n. 617).
    La lesione di siffatto bene e' facilmente ravvisabile  laddove  la
 mendicita'   assuma   forme   particolari,   vessatorie,  ripugnanti,
 petulanti ovvero fraudolente (cfr. secondo comma, dell'art. 670 c.p.)
 o addirittura in pregiudizio dei minori (cfr. art. 671 c.p.).
    L'offesa al bene  tutelato  e'  altresi'  ravvisabile  laddove  il
 mendicare  non  trovi giustificazione in uno stato di bisogno, inteso
 questo in senso  piu'  ampio  di  quello  sotteso  alla  disposizione
 dell'art.  54  c.p.  (con  i limiti dell'imminenza del pericolo e del
 grave danno alla persona), cioe'  in  uno  stato  di  impossibilita',
 seppure   momentanea,  di  affrontare  diversamente  le  esigenze  di
 mantenimento proprie e dei  propri  congiunti,  laddove  appunto,  il
 soggetto   non   versi  in  condizioni  di  particolare  ristrettezza
 economica.
    In  tali  casi,  infatti,  l'atteggiamento  di   mendicita'   puo'
 risultare  offensivo  della  morale  e  della tranquillita' pubblica,
 cioe' di quella dei cittadini  che  legittimamente  sentono  di  aver
 adempiuto  ai  loro  doveri  sociali attraverso il proprio contributo
 lavorativo e fiscale alla organizzazione della  collettivita'  e  che
 pertanto   sono   legittimati  a  nutrire  aspettative  di  paritario
 comportamento dagli altri consociati.
    E proprio in tali casi,  quando  addirittura  si  rappresenti  con
 mezzi   fraudolenti   uno  stato  di  bisogno  inesistente,  tale  da
 ingenerare nell'animo altrui il senso  di  pieta'  o  ancor  piu'  la
 convinzione  di  adempiere  ad  un  dovere morale di solidarieta', e'
 stata ritenuta perfino la sussistenza del reato di truffa (cfr. Cass.
 sez. II, 16 dicembre 1981 Liotta).
    Per contro ogni volta che il  soggetto  che  involontariamente  si
 trovi  in  quella  situazione  di  bisogno,  cioe'  in una situazione
 contrastante e incompatibile con  quella  voluta  e  concepita  dallo
 Stato  come  base  di  regolazione  dei  rapporti  sociali  -  che in
 applicazione dello stesso dettato costituzionale, fondato sul  lavoro
 (artt.  1  e 2) e allo stesso tempo ispirato a principi solidaristici
 (art. 3, secondo comma), dovrebbe garantire ad  ogni  persona,  senza
 distinzione alcuna, fornendole i mezzi (lavoro ed assistenza) perche'
 possa  vivere  un'esistenza  dignitosa  quale  individuo  e  soggetto
 sociale -  la  mendicita'  non  puo'  che  essere  interpretata  come
 semplice  e legittima richiesta della solidarieta' altrui, realizzata
 attraverso  un  atteggiamento  che  fa  leva  unicamente  su  di   un
 sentimento,  quello  della  carita',  che  in  quanto tale, niente di
 lesivo puo' contenere, salvo che non sia esercitato con modalita'  di
 per se' offensive (cfr. secondo comma, art. 670 c.p.).
    Al di fuori dei limiti interpretativi ora prospettati, vale a dire
 al di la' dei casi in cui vi sia la prova concreta (fornita dunque da
 chi   sostiene   l'accusa)  che  il  soggetto  abbia  volontariamente
 rifiutato i  mezzi  posti  a  sua  disposizione  o  ad  essi,  quando
 realmente  accessibili,  volontariamente  o per colpa non abbia fatto
 ricorso, si ritiene pertanto che la disposizione contenuta nel  primo
 comma   dell'art.   670   c.p.   sia  in  contrasto  con  i  principi
 costituzionali di cui agli artt. 2 e 3.
    In definitiva, cosi' come formulata, la fattispecie, che incrimina
 chiunque mendichi - e non invece solo chi  cio'  faccia  per  propria
 colpa,  potendo  altrimenti  contare  e  ricorrere  su altri mezzi di
 mantenimento - riserva lo stesso trattamento  (punitivo)  a  soggetti
 che  si trovano in situazioni del tutto diverse (art. 3, primo comma,
 Cost.), senza tener conto, appunto che  soltanto  in  taluni  casi  -
 quelli  teste'  menzionati  -  detti  soggetti  pongono in essere una
 condotta realmente offensiva, finendo cosi', nei restanti  casi,  per
 vanificare   quei  doveri  di  solidarieta'  previsti  appunto  dalla
 Costituzione al fine di rimuovere gli ostacoli che limitano di  fatto
 l'uguaglianza (cfr. art. 2 e 3, secondo comma, Cost.).
    2.  -  La fattispecie in esame, laddove non dovesse essere accolto
 il rilievo sopra esposto,  e  dunque  dovesse  continuare  ad  essere
 rivolta  a  chiunque, cioe' anche a quei soggetti che non per propria
 colpa, ma per carenze istituzionali, si trovassero  nella  situazione
 di  non  potersi  garantire  quelle  condizioni  minime  e necessarie
 (mantenimento,  abitazione,  istruzione,  salute)  per   vivere   con
 dignita' e decoro - valori questi ai quali implicitamente si richiama
 la  fattispecie stessa - dovrebbe ritenersi in conflitto altresi' con
 il principio costituzionale della finalita'  rieducativa  della  pena
 (art. 27, terzo comma, Cost.).
    Sanzionare  penalmente una condotta alla quale il soggetto non per
 propria colpa non avrebbe non potuto ricorrere o che addirittura  gli
 si  sarebbe  posta  come unica possibile alternativa al ricorso a ben
 piu'  gravi  fatti  criminosi  non   puo'   ritenersi   atteggiamento
 finalizzato  a  rieducare,  dal  momento  che  in  casi del genere il
 soggetto  punito  nessun  insegnamento,  nessuno  stimolo  a  diverso
 atteggiamento  potrebbe  trarre  dalla  sanzione,  in  quanto nessuna
 diversa  e  concreta  prospettiva  alla  quale  egli  possa   essersi
 colposamente   o   volontariamente   sottratto   gli   e'  mai  stata
 rappresentata.
    Ne' d'altra parte puo' sostenersi alcuna funzione  risocializzante
 della  pena  -  che  si  esplica pur sempre post factum - laddove non
 siano stati assolti i compiti  istituzionali  dello  Stato  (art.  2,
 Cost.),  la  cui  realizzazione  ancor prima della punizione dovrebbe
 esplicare funzioni di prevenzione generale.
    Si ritiene pertanto la sussistenza delle condizioni di rilevanza e
 di non manifesta infondatezza per sollevare d'ufficio la eccezione di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 670, primo comma, c.p.
                               P. Q. M.
    Visti  gli artt. 459, del c.p.p.; 23 della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 136 e 137 della Costituzione;
    Respinge allo stato la richiesta di decreto penale di condanna;
    Solleva d'ufficio, dichiarando  la  questione  non  manifestamente
 infondata   e   rilevante   nel   presente   giudizio,  eccezione  di
 illegittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 670 del  c.p.
 per  contrasto  con  gli  artt.  2,  3,  e  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione nella misura in cui prevede  la  punizione  di  chiunque
 mendichi  senza  prevedere  le  condizioni  soggettive  ed  oggettive
 necessarie nei termini specificati in motivazione (mancanza di  mezzi
 di  sostentamento  non  imputabile  alla  propria  condotta  dolosa o
 colposa), quali elementi integrativi della fattispecie;
    Sospende il presente giudizio e ordina la trasmissione degli  atti
 alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato;
    Manda   alla   cancelleria   per   gli  ulteriori  adempimenti  di
 competenza.
      Firenze, addi' 11 novembre 1994
                        Il giudice: CHIARANTINI
 
 95C0136