N. 29 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 dicembre 1994

                                 N. 29
 Ordinanza  emessa  il  1  dicembre  1994  dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Roma negli atti relativi a Ramirez
 Ospina Pedro
 Gratuito patrocinio - Processo penale - Patrocinio a spese dello
    Stato  per i cittadini italiani non abbienti - Estensione di detto
    trattamento anche allo straniero - Impossibilita' per  il  giudice
    di    verificare    la   veridicita'   dell'autocertificazione   e
    dell'attestato delle autorita' consolari -  Ingiustificato  regime
    di privilegio.
 Gratuito patrocinio - Non abbienti - Estensione del beneficio anche
    allo  straniero  -  Necessita'  di  un'attestazione dell'autorita'
    consolare competente che garantisca che, in base  ad  accertamenti
    compiuti, l'autocertificazione dell'interessato sia corrispondente
    al  vero  - Lamentata omessa previsione - Lesione del principio di
    eguaglianza per ingiustificato privilegio dello straniero rispetto
    al cittadino italiano - Lesione del principio  di  soggezione  del
    giudice solo alla legge.
 (Legge 30 luglio 1990, n. 217, artt. 1, sesto comma, e 5, terzo
    comma).
 (Cost., artt. 3 e 101).
(GU n.5 del 1-2-1995 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    1.  - Nei confronti del cittadino colombiano Ramirez Ospina Pedro,
 tratto in arresto all'atto del suo arrivo in Italia per  introduzione
 nel  territorio  dello  Stato  di  oltre  due chili di cocaina, si e'
 celebrato giudizio abbreviato all'esito  del  quale  il  medesimo  e'
 stato  dichiarato  colpevole  del reato ascrittogli e condannato alla
 pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione e lire 60 milioni di
 multa. Nel corso dell'udienza, il difensore ha depositato istanza con
 la quale il Ramirez ha chiesto di  essere  ammesso  al  patrocinio  a
 spese  dello  Stato, producendo, fra l'altro, l'autocertificazione di
 cui all'art.  5, comma 1, lett. b), della legge 30  luglio  1990,  n.
 217,  nonche'  l'attestazione  della  autorita'  consolare competente
 prevista dal comma 3 del medesimo articolo.
    Sussistono  dunque  i  presupposti,  nel  caso  di   specie,   per
 l'adozione  del  provvedimento  ammissivo richiesto dall'imputato, ma
 sussistono al tempo stesso, a parere  di  questo  giudice,  dubbi  di
 legittimita' costituzionale della normativa in questione, nei sensi e
 nei limiti che qui di seguito si tentera' di evidenziare.
    2. - Gia' da un sommario e complessivo esame della legge 30 luglio
 1990,  n.  217,  recante  l'istituzione  del patrocinio a spese dello
 Stato per i non abbienti, emerge subito con chiarezza  come  l'intera
 disciplina  ivi  enunciata  e, cio' che piu' conta, la determinazione
 dei presupposti per l'ammissione al patrocinio a spese  dello  Stato,
 sia  stata  dettata prendendo in esclusiva considerazione i cittadini
 e, comunque, i titolari di un reddito nel territorio dello Stato.  Si
 fa  infatti riferimento ad un reddito imponibile ai fini dell'imposta
 personale sul  reddito,  risultante  dall'ultima  dichiarazione,  non
 superiore  ad  un  certo  importo;  all'aumento  di  tale  limite  in
 dipendenza dei redditi conseguiti dai  familiari  che  convivono  con
 l'interessato;  alla  computabilita'  dei  redditi che per legge sono
 esenti dall'IRPEF o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a  titolo
 d'imposta  ovvero  ad imposta sostitutiva. In sintesi, una disciplina
 che fa dichiaratamente leva su un sistema per cosi' dire censuario  e
 su  correlativi  livelli  di  reddito  che hanno un significato e una
 validita' soltanto se riferiti al nostro Paese. Da qui gia' un  primo
 rilievo  atto  a  turbare  non poco il principio di uguaglianza e dal
 quale scaturisce  una  disparita'  di  trattamento  fra  cittadini  e
 stranieri,  nonche'  fra  stranieri  appartenenti  a  stati  diversi.
 Considerato, infatti, che il limite di reddito alla stregua del quale
 apprezzare  la  qualita'  di  non  abbiente e' suscettibile - a norma
 dell'art. 3, comma 5, della legge n. 217 del 1990  -  di  adeguamento
 biennale  "in  relazione  alla  variazione,  accertata  dall'Istituto
 centrale di statistica, dell'indice dei  prezzi  al  consumo  per  le
 famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente",
 ne  deriva,  all'evidenza,  che  il  parametro  su  cui  si  fonda la
 condizione di ammissibilita'  al  beneficio  e'  rappresentato  dalle
 generali   condizioni   di   vita  in  Italia,  per  come  le  stesse
 dinamicamente si evolvono in rapporto alle variazioni che subisce  il
 valore  della  moneta.  Un  parametro, quindi, valido soltanto per il
 nostro Paese e non trasferibile sic et simpliciter  ai  cittadini  di
 altri  Stati che vivano e producano reddito nelle rispettive nazioni,
 cosicche'  la  generalizzata  applicabilita'  agli  stranieri   della
 disciplina  che  qui  si  censura  genera  l'ovvia conseguenza che il
 limite di reddito che individua la fascia dei  non  abbienti  finisce
 per risultare del tutto privo di qualsiasi ragion d'essere per quanti
 risiedano  in  paesi  a  piu'  basso tenore di vita, ove quel reddito
 individua situazioni di elevato benessere, se  non,  addirittura,  di
 ricchezza.   Le  conclusioni  ovviamente  non  mutano  ove  si  versi
 nell'esatto reciproco, evidenziando come al fondo del dedotto rilievo
 non stia una semplice quaestio facti, ma l'esistenza di  un  costante
 squilibrio  tra  situazioni, originato proprio dal fatto che non sono
 fra loro sovrapponibili le condizioni di vita in  Italia  rispetto  a
 quelle   che   si  riscontrano  negli  altri  paesi  e,  dunque,  non
 "estensibile" altrove il limite di  reddito  di  cui  innanzi  si  e'
 detto.
    Il  tutto,  va  notato,  in  evidente spregio di quanto stabilisce
 l'art. 16 delle "preleggi", a norma del quale lo straniero e' ammesso
 a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a  condizione  di
 reciprocita'  e  fatte  salve  eventuali  disposizioni  speciali.  Un
 principio, quello di reciprocita', che, totalmente pretermesso  dalla
 disciplina  positiva,  pure  e'  stato  adeguatamente  soppesato  dal
 legislatore,  considerato   che   nella   relazione   della   seconda
 commissione  permanente della Camera (Giustizia) sul disegno di legge
 governativo e sulle proposte unificate (X Legislatura, nn. 3048, 172,
 559,  1569,  2126,  2266  e  3926-A)  testualmente  si  afferma   che
 l'estensione  del  patrocinio  a  spese  dello  Stato  a favore dello
 straniero veniva proposto "in  applicazione  del  principio  generale
 contenuto nell'art. 16 'Delle disposizioni sulle leggi in generale' e
 a prescindere dalla condizione di residenza, di domicilio e di dimora
 nel nostro territorio".
    3.  - Ma l'aspetto che ad avviso di questo giudice piu' fortemente
 contrasta con l'art. 3  della  Costituzione  e'  rappresentato  dalla
 oggettiva  ed  assoluta impossibilita' di controllare, da parte dello
 Stato, l'effettiva sussistenza dei  presupposti  di  reddito  che  lo
 straniero  si  autocertifica e che l'autorita' consolare attesta come
 "non mendace", non  sulla  base  di  una  qualsivoglia  verifica,  ma
 semplicemente "per quanto a conoscenza" dell'autorita' medesima (art.
 5, comma 3). Stabilisce infatti l'art. 6, comma 3, della legge n. 217
 del  1990,  che  l'intendente di finanza - al quale sono trasmessi il
 decreto del giudice, l'istanza dell'interessato e  la  documentazione
 allegata  -  e'  chiamato a verificare l'esattezza dell'ammontare del
 reddito attestato, "nonche' la compatibilita' dei dati  indicati  con
 le  risultanze  dell'anagrafe tributaria e puo' altresi' disporre che
 sia  effettuata  a  cura  della  Guardia di finanza la verifica della
 posizione  fiscale  dell'istante  e  degli  altri  soggetti  indicati
 nell'art. 3", con la conseguenza che, ove all'esito delle verifiche e
 degli  accertamenti risultasse che il beneficio e' stato erroneamente
 concesso, lo stesso intendente di finanza richiede i provvedimenti di
 revoca o modifica dell'ammissione al beneficio a norma dell'art.  10,
 comma 2, della stessa legge. Una disciplina, dunque, ancora una volta
 delineata   con   esclusivo   riferimento  ai  redditi  prodotti  nel
 territorio dello Stato e  come  tale  del  tutto  inapplicabile  agli
 eventuali  redditi  prodotti  all'estero.  Cio' determina, quindi, la
 totale incontrollabilita' della  autocertificazione  dello  straniero
 con  l'inevitabile  conseguenza  di  determinare  in  suo  favore  un
 irragionevole  regime  di  privilegio,  neppure  temperato   da   una
 qualsivoglia condizione di reciprocita'.
    Un  privilegio,  va ancora osservato, che ancor piu' si esalta ove
 si consideri che agli effetti di cui qui si  tratta  "rilevano  anche
 redditi  che  non sono stati assoggettati ad imposta vuoi perche' non
 rientranti nella base imponibile, vuoi perche' esenti,  vuoi  perche'
 di  fatto  non  hanno  subi'to alcuna imposizione", compresi, dunque,
 anche i proventi da attivita' illecite nei limiti in cui  gli  stessi
 non   possono   ritenersi   tassabili  secondo  il  piu'  recente  ed
 accreditato  orientamento  giurisprudenziale  (Cass.,  Sez.  Un.,  12
 novembre  1993, Cinquegrana, in Giust. pen., 1994, II, 432), ovvero i
 redditi per i quali e' stata elusa  l'imposizione  fiscale:  redditi,
 quindi,  tutti  "accertabili con gli ordinari mezzi di prova, tra cui
 le presunzioni semplici previste dall'art. 2739 codice civile  (quali
 il  tenore  di vita ed altri fattori di emersione della percezione di
 redditi)" (v. Corte cost., sentenza n. 144  del  1992).  Nell'ipotesi
 che   qui   interessa,  pertanto,  non  soltanto  non  potra'  essere
 verificata la posizione fiscale "ufficiale" dello straniero o il  suo
 tenore di vita, ma neppure - per stare al caso di specie - i proventi
 ricavati   dal  traffico  di  stupefacente,  con  ulteriore  evidente
 disparita' di trattamento rispetto al ben diverso "regime" che  trova
 applicazione nei confronti del cittadino.
    A   tutto   cio'  si  aggiunge,  poi,  un  ulteriore  fattore  che
 definitivamente compromette, a parere di questo giudice, il principio
 di uguaglianza. Considerato, infatti, che a norma dell'art. 5,  comma
 7,   della  legge  n.  217  del  1990  la  falsita'  o  le  omissioni
 nell'autocertificazione,   nelle   dichiarazioni,    indicazioni    o
 comunicazioni  sono  punite  con le sanzioni previste dalle norme del
 titolo VII del libro secondo  del  codice  penale  e  dalla  relativa
 condanna  consegue  la  decadenza  dal  beneficio, ne deriva che, non
 essendo   mai   accertabile    la    falsita'    o    le    omissioni
 nell'autocertificazione  dello  straniero, quest'ultimo non potra' in
 alcun caso essere assoggettato ne' alla sanzione penale ne' a  quella
 della  perdita  del  beneficio  in dipendenza dell'illecito commesso,
 cosicche' finira' per trovare applicazione  nei  suoi  confronti  una
 sorta  di  clausola  non  scritta  di immunita' penale della quale e'
 impossibile rinvenire una qualsivoglia regionevole giustificazione.
    4. -  In  via  subordinata,  si  ritiene  di  dover  sottoporre  a
 scrutinio  di  costituzionalita'  un  piu' circoscritto aspetto della
 normativa dettata dalla legge n.  217  del  1990.  Come  si  e'  gia'
 accennato, infatti, l'art. 5, comma 3, stabilisce che se l'istante e'
 straniero, alla autocertificazione di cui alla lettera b) del comma 1
 deve  essere  aggiunta  una  "attestazione  dell'autorita'  consolare
 competente dalla quale risulti che, per  quanto  a  conoscenza  della
 predetta  autorita',  la suddetta autocertificazione non e' mendace".
 Tale attestazione, quindi, non soltanto non certifica la  veridicita'
 di quanto l'istante asserisce, ma neppure si fonda sul benche' minimo
 accertamento  sia  pure di ordine meramente formale, cosicche', anche
 nella ipotesi in cui lo straniero risultasse "fiscalmente" benestante
 nel proprio paese, ma tale circostanza non constasse  alla  autorita'
 consolare,  nessun  obbligo  di verifica incomberebbe su quest'ultima
 con le conseguenze che e' fin troppo agevole dedurre. Posto,  dunque,
 che  l'attestazione  consolare,  ancorche' destinata a finalita' lato
 sensu amministrative, non puo' ritenersi integrare  un  provvedimento
 della   pubblica  amministrazione  che  il  giudice  e'  abilitato  a
 disapplicare se illegittimo, ne consegue che, nel caso di specie,  il
 giudice,  anziche'  essere  soggetto soltanto alla legge, finisce per
 essere assoggettato ad un atto del privato (l'autocertificazione)  ed
 a  quello  della  autorita'  consolare  (l'attestazione)  senza alcun
 potere di controllo ne' sul  piano  formale,  essendo  l'attestazione
 priva  di  motivazione,  ne'  sotto un profilo di ordine sostanziale,
 attesa l'evidente carenza di giurisdizione.
    Vulnerato  appare,  quindi,   non   soltanto   il   principio   di
 uguaglianza, per i profili che sono stati dianzi posti in rilievo, ma
 anche  il  precetto  sancito  dall'art.  101,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestatamente infondata, in riferimento all'art. 3
 della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 1, comma 6, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione
 del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) nella parte in
 cui  stabilisce  che il trattamento riservato dalla medesima legge al
 cittadino italiano si estende anche allo straniero;
    Dichiara, in via subordinata, la non  manifesta  infondatezza,  in
 riferimento  agli  artt.  3 e 101, secondo comma, della Costituzione,
 della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma  3,
 della  citata  legge  30  luglio 1990, n. 217, nella parte in cui non
 stabilisce che  l'attestazione  dell'autorita'  consolare  competente
 deve   precisare   che,   sulla  base  degli  accertamenti  compiuti,
 l'autocertificazione di cui alla lettera b) del comma 1 del  medesimo
 articolo e' risultata corrispondente al vero;
    Sospende   il  procedimento  relativo  alla  istanza  indicata  in
 premessa e dispone trasmettersi copia degli atti rilevanti alla Corte
 costituzionale;
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti interessate e al Presidente del Consiglio dei
 Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del
 Senato della Repubblica.
      Addi', 1 dicembre 1994
            Il giudice per le indagini preliminari: MACCHIA
 
 95C0143