N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 novembre 1994

                                 N. 66
 Ordinanza  emessa  il  29  novembre  1994  dal  pretore  di Terni nel
 procedimento penale a carico di Parasecolo Mario
 Inquinamento - Scarichi provenienti da pubbliche fognature che
    superino  limiti  di  accettabilita'  stabiliti   dalle   regioni,
    scarichi  provenienti  da insediamenti produttivi eccedenti limiti
    di accettabilita' delle tabelle di cui alla legge n.  319/1976  o,
    se recapitano in pubbliche fognature, quelli fissati dall'art. 12,
    primo  comma,  n. 2, stessa legge, nonche' scarichi che superino i
    limiti di accettabilita' inderogabili per i  parametri  di  natura
    tossica persistente e bioaccumulabile - Lamentata depenalizzazione
    per  la  prima  ipotesi  e  riduzione  della  pena  per le altre -
    Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto  ad  ipotesi
    meno  gravi,  ma punite con maggior severita', nonche' tra regioni
    con penalizzazione di quelle che si siano adeguate  alla  delibera
    30  dicembre  1980  del  Comitato  interministeriale - Lesione del
    diritto alla salubrita' dell'ambiente -  Omesso  adeguamento  alle
    norme  del  diritto  internazionale,  in  particolare a quelle CEE
    (direttiva n. 271/1991) - Penalizzazione dell'iniziativa economica
    privata, in specie: aziende che  abbiano  fatto  investimenti  per
    adeguare  gli  impianti  alla  normativa  attuale - Violazione del
    principio di riserva di legge in materia penale per reiterazione a
    catena dei decreti legge, peraltro nemmeno identici tra loro nella
    parte relativa al  sistema  sanzionatorio  -  Conseguente  diversa
    sorte processuale per gli imputati per gli stessi fatti secondo la
    vigenza dei decreti legge stessi.
 (D.-L. 16 novembre 1994, n. 629, art. 3).
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 32, 41 e 77).
(GU n.7 del 15-2-1995 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza:
    1.  -  Procedimento  penale a carico di Parasecolo Mario, imputato
 tra l'altro del reato di cui all'art. 21, terzo comma della legge  n.
 319/1976,  osserva  che  il p.m. di udienza ha richiesto pronuncia di
 questo pretore in ordine all'ipotesi di  non  manifesta  infondatezza
 della  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3  del
 decreto-legge 16 novembre 1994 n. 629 in  sinergia  ed  in  relazione
 interconnessa  con tutti gli altri articoli dello stesso decreto, con
 richiesta di trasmissione degli atti alla  Corte  costituzionale  per
 violazione degli artt. 3, 9, 10, 32 e 41 e 77 della Costituzione: "Il
 p.m.  di  udienza,  dott.  Francesco  Scavo, si oppone all'ammissione
 all'oblazione del prevenuto Parasecolo Mario in ordine al capo B)  di
 imputazione  (violazione art.  21, terzo comma, legge n. 319/1976) in
 applicazione della sanzione di cui all'art. 3  del  decreto-legge  16
 novembre  1994  n. 629, chiedendo al pretore che dichiari rilevante e
 non  manifestamente  infondata   la   questione   di   illegittimita'
 costituzionale  dello  stesso  art.  3  decreto  citato,  in  stretta
 sinergia con gli altri articoli presenti nel decreto, per  violazione
 degli artt. 3, 9, 10, 32, 41 e 77 della Costituzione.
    A  parere del p.m. la norma citata si pone in contrasto con l'art.
 3  della  Costituzione  per  manifesta  disparita'   di   trattamento
 sanzionatorio che il legislatore ha previsto per fattispecie analoghe
 ed  anzi  di  maggiore gravita' sostanziale per quanto in particolare
 concerne la modifica del comma terzo dell'art. 21,  legge-Merli  come
 novellato  dal decreto-legge citato; in contrasto altresi' con l'art.
 9 della Costituzione in  relazione  al  secondo  comma  dell'articolo
 stesso in quanto la mancata applicazione della sanzione penale in di-
 verse  fattispecie  prevista  dall'art.  3  del  decreto-legge citato
 appare insufficiente a tutelare il paesaggio nell'accezione piu' lata
 che recenti pronunce delle Corti Supreme hanno dato alla nozione  del
 paesaggio;  la  norma  in  questione appare in contrasto altresi' con
 l'art. 10 della  Costituzione  che  impone  allo  Stato  italiano  di
 conformarsi   alle  norme  del  diritto  internazionale  generalmente
 riconosciute laddove omette la sostanziale applicazione e  attuazione
 delle  direttive CEE in materia di inquinamento ambientale; ancora si
 appalesa  contrasto  con  l'art.  77  della   Costituzione   per   la
 sovrapposizione  di  sanzioni penali alla norma-base con reiterazioni
 di decreti-legge, nonche' con l'art. 32 della Costituzione perche' lo
 svuotamento del sistema deterrente normativo si rivolve in  un  danno
 per  la  salute  pubblica,  nonche'  contrasto  con  l'art.  41 della
 Costituzione per violazione del  principio  "chi  inquina  paga"  con
 incidenza negativa sulla concorrenza tra imprese.
    La  questione  appare  al  p.m.  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata in relazione all'applicabilita' del  disposto  dell'art.  3
 del  decreto  citato nel caso di specie atteso che l'oblazione per il
 capo B) della rubrica in caso di dichiarazione di incostituzionalita'
 della norma denunciata non  sarebbe  possibile  per  mancata  novella
 all'ipotesi originaria sanzionatoria dell'art. 21, terzo comma, legge
 n. 3l9/1976 e succ. mod.".
    2.  - Osserva il pretore che la richiesta del p.m. e' fondata e si
 ritiene, pertanto, di dover dichiarare rilevante e non manifestamente
 infondata, per violazione degli artt. 3, 9, 10, 32,  41  e  77  della
 Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3
 del decreto-legge 16 novembre 1994 n. 629 in sinergia ed in relazione
 interconnessa  con  tutti  gli altri articoli dello stesso decreto il
 quale  modifica  in  modo  globale  il terzo comma dell'art. 21 della
 legge  n.  319/1976  e  succ.  mod.  prevede  che  "fatte  salve   le
 disposizioni  penali  di cui al primo e secondo comma, l'inosservanza
 dei  limiti  di  accettabilita'  stabiliti  dalle  Regioni  ai  sensi
 dell'art.  14, secondo comma, ove non costituisca reato o circostanza
 aggravante, e' punita con la sola sanzione amministrativa  pecuniaria
 da  lire tremilioni a lire trenta milioni, salvo diversa disposizione
 della legge regionale. Per gli scarichi da  insediamenti  produttivi,
 in  caso  di  superamento  dei limiti di accettabilita' delle tabelle
 allegate alla presente legge e, se recapitano in pubbliche fognature,
 di quelli fissati ai sensi del n. 2 del primo comma dell'art. 12,  si
 applica   la   pena  dell'ammenda  da  lire  quindicimilioni  a  lire
 centocinquantamilioni o dell'arresto fino ad 1 anno.  Si  applica  la
 pena    dell'ammenda    da    lire    venticinquemilioni    a    lire
 duecentocinquantamilioni o la pena dell'arresto da  due  mesi  a  due
 anni  qualora  siano superati i limiti di accettabilita' inderogabili
 per i parametri di natura tossica persistente e  bioaccumulabile,  di
 cui  al  n.  4 del documento unito alla delibera 30 dicembre 1980 del
 Comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della presente legge,
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio  1981,  e  di
 cui  all'elenco dell'allegato 1 alla delibera medesima. Ai fini della
 quantificazione della pena e della ammissibilita'  dell'oblazione  ai
 sensi  dell'art.  162-  bis del codice penale, il giudice tiene conto
 della entita' del superamento dei limiti di accettabilita'".
    3. - Circa i presupposti di diritto in ordine alla  non  manifesta
 infondatezza si rileva quanto segue.
    3.  a)  -  Va  premesso che la legge 10 maggio 1976 n. 319 e succ.
 mod. (cosiddetta "legge-Merli") costituisce la norma-base in  materia
 di  tutela  del territorio e delle acque dall' inquinamento idrico, e
 nel suo contesto sanzionatorio il reato piu' grave e significativo in
 senso assoluto e' stato sempre considerato quello previsto dal  terzo
 comma  dell'art.  21  posto  che  punisce  la  condotta  sostanziale,
 immediatamente  incidente  sull'ambiente  naturale,  di  coloro   che
 "inquinano"  materialmente  nel senso logico-previsionale della legge
 stessa e cioe' superando nello scarico  i  limiti  di  accettabilita'
 previsti  dalla  legge  stessa  come  parametri  massimi  formalmente
 tollerabili per ciascuna  sostanza  riversata  su  quello  che  viene
 definito  il corpo ricettore (e che in realta' e' in massima parte il
 patrimonio idrico e poi anche territoriale del nostro Paese). Accanto
 ad altri reati satellite, si evidenzia altro reato,  per  cosi'  dire
 preventivo  e  burocratico,  previsto  dal  primo e secondo comma del
 citato art. 21 che punisce chi opera uno scarico senza aver  ottenuto
 l'autorizzazione amministrativa allo stesso.
    3.  b)  -  Di  conseguenza,  il reato di cui al terzo comma citato
 riporta la pena piu' grave (arresto da due mesi a due anni  oltre  la
 pena  accessoria  dell'incapacita'  di  contrattare  con  la pubblica
 amministrazione), mentre nel caso  dei  reati  previsti  dagli  altri
 commi  o  dagli  altri articoli si prevedono pene piu' lievi, laddove
 peraltro la pena detentiva e' alternativa a  quella  pecuniaria  (con
 possibilita' di oblazione).
    3.  c) - Il decreto-legge in esame, nella sinergia inscindibile di
 tutti i suoi articoli, depotenzia in modo rilevante  tutti  e  tre  i
 capisaldi  su  cui  si  fonda  la  legge-Merli  e  cioe' l'obbligo di
 richiedere l'autorizzazione, l'obbligo di rispettare le  prescrizioni
 dell'autorizzazione e l'obbligo di rispettare i limiti prefissati.
    3.  d)  -  Riguardo  al punto inerente il regime autorizzatorio si
 osserva una regressione temporale pressoche'  generale  dato  che  si
 riaprono  i  termini  per  gran  parte  degli  adempimenti (con poche
 eccezioni relative ad alcune sostanze tossiche) nonostante  una  mora
 ben  ultradecennale dagli albori della legge-Merli. Detta regressione
 sortisce peraltro il contestuale  effetto  di  creare  una  moratoria
 trasversale in sede penale prevedendo una autorizzazione in sanatoria
 che estingue ogni reato pregresso in materia.
    3.  e)  - Sempre in ordine al regime autorizzatorio, si rileva che
 la sinergia delle previsioni contenute nell'art. 6 del  decreto,  che
 aggiungono  un  tredicesimo  comma  all'art.  15  ed un secondo comma
 all'art. 21 della legge n. 319/1976, determina  una  deregulation  di
 fondo  (con  previsione  di sanzioni amministrative) per gli scarichi
 civili e da pubbliche fognature con conseguente sottrazione di  fatto
 in via permanente degli stessi dalla disciplina generale dell'art. 21
 legge-Merli  sulle  autorizzazioni  (con  connessa pregressa sanzione
 penale). Le residue  sanzioni  penali,  che  sono  connesse  ai  soli
 insediamenti   produttivi,   sarebbero   comunque   sempre  di  fatto
 vanificate per il passato con  la  citata  moratoria  trasversale  di
 sanatoria.
    3.  f) - Riguardo al punto dei limiti da rispettare nello scarico,
 il testo del decreto-legge in esame determina una cancellazione quasi
 totale della disciplina nazionale degli obblighi  in  relazione  alle
 tabelle  o,  comunque,  prefissati  in  modo  uniforme  per  tutto il
 territorio dello Stato. L'art. 1,  infatti,  determina  una  radicale
 modifica  nel  settore demandando alla discrezionalita' delle Regioni
 la quantificazione dei limiti per gli scarichi da pubbliche fognature
 e per quelli da insediamenti civili non in pubbliche  fognature.  Pur
 se  fino  a  nuove  direttive "restano ferme le prescrizioni adottate
 anteriormente .. ed in particolare quelle di cui alla delibera del 30
 dicembre 1980",  consegue  di  fatto  che  si  potra'  potenzialmente
 determinare  una  classificazione e deliberazione diversa Regione per
 Regione, secondo principi e  concetti  eterogenei  (peraltro  vengono
 penalizzate  le  Regioni  che  si erano adeguate alle delibera del 30
 dicembre 1980 con vantaggio per le Regioni inadempienti).
    3. g) - Ancora sul punto dei limiti da rispettare  nello  scarico.
 Il  decreto-legge prevede che gli scarichi da insediamenti produttivi
 in pubbliche fognature "nuovi" (e cioe' attivati  dopo  l'entrata  in
 vigore  della  legge n. 319/1976) vengono estrapolati dall'obbligo di
 rispetto dei limiti della tabella C) ove sia in funzione un  impianto
 centralizzato  di  depurazione  (ed  appare irrilevante e scarsamente
 comprensibile   in   questo   contesto   un   non   meglio   definito
 "pretrattamento"  che  le Regioni dovrebbero imporre in alcuni casi).
 Va osservato che e' previsto solo che il depuratore sia "in funzione"
 ma  non  viene  chiarito  come  e  quanto  debba   essere   realmente
 funzionale, talche' in ipotesi anche un depuratore non adatto o non a
 pieno regime o difettoso sarebbe comunque formalmente e letteralmente
 "in   funzione".   Peraltro  questa  innovazione  contrasta  in  modo
 stridente  con   l'elaborazione   dottrinaria   e   giurisprudenziale
 prevalente  in tema di depuratori secondo la quale l'installazione di
 un depuratore (privato o comunale)  non  si  traduce  automaticamente
 nella  messa in regola dello scarico ai fini della legge n. 319/1976.
 Onere di chi gestisce uno scarico produttivo per essere in regola con
 la  legge  non  e'  infatti quello di dotarsi di un depuratore bensi'
 quello di non scaricare superando i limiti tabellari  e  danneggiando
 il   corso   d'acqua   ricettore  o  aumentandone  il  suo  stato  di
 inquinamento. Il depuratore,  affatto  previsto  espressamente  dalla
 legge  n.  319/1976, e' un mezzo tecnico di libera scelta al quale il
 titolare dello scarico puo' ricorrere per raggiungere l'obiettivo  di
 fondo  richiesto  dalla  legge:  cioe'  scaricare  in tabella e senza
 danneggiare il  corso  d'acqua.  E'  stato  infatti  stabilito  dalla
 giurisprudenza  che  uno  scarico in assenza totale di depuratore ove
 scarichi in tabella e senza danneggiare non e' formalmente inquinante
 ed e' perfettamente in regola con la legge n. 319/1976; viceversa uno
 scarico munito di depuratore "in funzione" ma che,  nonostante  cio',
 scarichi, per diversi motivi, fuori tabella ed in modo da danneggiare
 il  corso  d'acqua,  e' in violazione di legge e non in regola con la
 disciplina specifica prevista  dalla  legge  n.  319/1976.  E'  stato
 dunque  ritenuto inaccettabile il principio che vuole automaticamente
 in regola in toto con la legge  n.  319/1976  chi  dimostra  di  aver
 comunque  installato  un  depuratore.  Il principio del decreto-legge
 teste' esaminato, invece,  capovolge  il  fin  qui  seguito  concetto
 relativo.
    3.  h)  -  Circa  il  punto  sulla inosservanza dei limiti, che ha
 costituito fino ad oggi l'asse portante strutturale  della  legge  n.
 319/1976,  si  prevede  una  deregulation  di fondo. Infatti e' stata
 depenalizzata (art. 3 - prima parte - primo  comma  del  decreto)  la
 violazione  integrata  in  relazione alle pubbliche fognature ed agli
 insediamenti civili non immessi in pubbliche fognature in  ordine  ai
 limiti  previsti  dalle  Regioni,  con  cio' creando, con particolare
 riferimento agli scarichi da pubbliche fognature, un azzeramento  del
 sistema  penale  in  un campo che rivestiva e riveste notevolissima e
 primaria incidenza ambientale. E' stata poi ridotta sostanzialmente e
 svuotata  di  effetto  deterrente   pratico   la   restante   ipotesi
 sanzionatoria  penale  superstite.  Infatti l'inosservanza dei limiti
 tabellari o di quelli previsti dai comuni ad opera di nuovi  scarichi
 da  insediamenti produttivi che recapitano in fognature pubbliche con
 impianto  terminale,   viene   punita   con   l'ammenda   alternativa
 all'arresto  (ipotesi  di  pena  raddoppiata  ove si tratti di alcuni
 elementi  tossico-nocivi).     Detta  residua  sanzione   penale   e'
 estremamente piu' modesta rispetto alla sanzione originaria del terzo
 comma  in questione giacche' prevede la pena dell'arresto alternativa
 con  l'ammenda  e  tutti  i  casi  sono  soggetti  all'oblazione  (al
 contrario della stesura originaria della legge n. 319/1976); consegue
 che,   di   fatto,   il  sistema  sanzionatorio  si  traduce  in  una
 depenalizzazione potenziale indiretta, ben diversa  dalla  previsione
 originaria  del  terzo  comma come sopra espressa.  E che trattasi di
 tendenza alla oblazione e dunque alla trasformazione di  fatto  della
 sanzione  penale  teorica  e  di facciata in un sistema sanzionatorio
 sostanzialmente  pecuniario  e  scevro  da  conseguenze   penali   e'
 confermato  dalla  dizione  espressa  nell'ultimo  precetto del primo
 comma dell'art. 3 del decreto in esame il quale prevede che "ai  fini
 della    quantificazione    della   pena   e   della   ammissibilita'
 dell'oblazione ai sensi dell'art. 162-  bis  del  codice  penale,  il
 giudice  tiene  conto  della  entita'  del  superamento dei limiti di
 accettabilita'". Il principio e' logico e connaturale al concetto  di
 fondo dell'applicazione dell'art. 162- bis c.p. e non potrebbe essere
 altrimenti  e  dunque  la  espressa  reiterazione previsionale teste'
 riportata appare del tutto superfula perche' anche in sua assenza  il
 giudice  avrebbe  comunque  dovuto  operare  in  tal  senso secondo i
 principi generali dell'istituto; e dunque la  espressa  dizione  pare
 voler  sottolineare, ove ce ne fosse bisogno, che il nuovo reato gia'
 cosi' soggetto alla  parziale  deregulation  penale  e  poi  comunque
 soggetto  alla  estinzione  in  via  di  oblazione  che  viene  cosi'
 riproposta e  paventata  in  modo  espresso  e  palese.    E'  logico
 argomentare  che  la  tendenza  di  fatto  generale  in ordine a tale
 residua ipotesi di reato sara' il regime di  oblazione  e  dunque  la
 pregressa  severa previsione del terzo comma dell'art. 21 della legge
 n. 319/1976, che costituiva l'asse portante del sistema sanzionatorio
 connesso, viene di fatto esposta al rischio concreto e logico di  re-
 stare  solo  apparentemente  una  norma  penale mentre in realta' gli
 effetti pratici sortiti  saranno  equiparabili  come  conseguenze  di
 fatto  a quelle di una depenalizzazione impropria.  Ulteriore deregu-
 lation e' prevista dal decreto in esame in ordine  alla  inosservanza
 delle  prescrizioni  delle  autorizzazioni allo scarico; ipotesi che,
 sanzionata in via pregressa dalla legge n.  319/1976 in  via  penale,
 e'  stato  oggi depenalizzata ed e' soggetta soltanto ad una sanzione
 amministrativa.
    3. i) - Considerato che la sinergia tra le previsioni del  decreto
 e  la  legge  modificata  ha determinato un quadro legislativo finale
 confuso e cavilloso (si pensi, ad  esempio,  al  fatto  che  si  sono
 introdotte  modifiche  ad alcuni articoli senza considerare che essi,
 in realta', si riferivano solo ad alcuni scarichi e non a tutti),  si
 osserva  che  detta  nuova formulazione del terzo comma dell'art. 21,
 legge n. 319/1976 e degli altri articoli novellati e  modificati  dal
 decreto  in esame appare difficilmente adattabile ai casi concreti in
 sede di accertamento dell'illecito da parte della polizia giudiziaria
 (tra  gli   altri   confusi   e   scarsamente   percepibili   intarsi
 regolamentativi, si veda ad esempio la previsione diversa per tipo di
 insediamento  ed  in  relazione  ai  "nuovi"  e "vecchi" insediamenti
 produttivi) e dunque un organo di p.g. rischia al momento  importante
 del  fatto-riversamento di non poter sapere in quel momento se agisce
 come organo di polizia giudiziaria che accerta un reato (con tutti  i
 poteri/doveri  conferitigli  dal  codice  di procedura penale) o come
 organo amministrativo che verifica un  illecito  amministrativo  (con
 schemi  operativi  del  tutto  diversi); ne' e' data possibile questa
 verifica  in  quei  casi  di  inquinamento  oggettivo  ai  quali   la
 giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione ricollega un superamento
 automatico generale, anche se non quantificato, dei limiti  tabellari
 in  seguito  a  riversamento  nel  corpo  ricettore di alcuni tipi di
 scarico  (es.  allevamenti)  senza  alcuna  forma  di  depurazione  e
 trattamento.  Peraltro  e' di fatto impossibile per l'organo di p.g.,
 per le medesime ragioni, l'immediata percezione in loco  in  sede  di
 accertamento   dei   limiti  di  accettabilita'  inderogabili  per  i
 parametri di natura tossica, persistente e  bioaccumulabile,  di  cui
 all'ultima  parte  dell'art.  3  del  decreto  in  esame cosicche' si
 profilano realisticamente difficolta' operative connesse. La sinergia
 di dette  previsioni  amministrative/penali  con  labili  ed  incerti
 confini di immediata definizione e percezione in sede di accertamento
 di  p.g.  crea  di  fatto  una incertezza operativa per gli organi di
 polizia giudiziaria che rischia di tradursi in una generale casistica
 di  accertamenti  mancati  e/o  inesatti  per  inevitabili  errori ed
 incertezze interpretative e difficolta' attuative.
    4. - Nel cosi' rinnovato e novellato testo generale della legge n.
 319/1976, emerge, ad avviso dello scrivente pretore,  una  violazione
 dell'art.   3   della   Costituzione  in  quanto  si  e'  creata  una
 ingiustificata disparita' di trattamento  tra  i  cittadini  soggetti
 alle sanzioni per medesimi fatti sostanziali.
    4.  a)  - Si veda, a puro titolo di esempio, il caso di un sindaco
 con fogne non depurate a causa degli scarichi industriali allacciati,
 ed il contestuale caso di un industriale  con  scarico  diretto;  ove
 ambedue  gli  scarichi  superano  i  limiti  tabellari  e  causano un
 fenomeno di inquinamento  idrico  sostanzialmente  uguale  a  livello
 qualitativo   e   quantitativo,   sulla  base  della  sinergia  delle
 previsioni del decreto in esame che ha novellato il testo base  della
 legge  n. 319/1976, il sindaco non e' soggetto ad alcuna sanzione ove
 la Regione ha consentito detto sistema di scarico (in caso  contrario
 sara'  al  massimo  soggetto  ad una sanzione amministrativa), mentre
 l'industriale e' soggetto a sanzione  penale  che  prevede  in  linea
 teorica  anche  la  pena  dell'arresto.   La deregulation operata dal
 decreto in esame con previsioni piu' favorevoli in linea  di  massima
 per gli scarichi di cui sono titolari i pubblici amministratori, crea
 un  ingiustificata  disparita'  di trattamento tra casi di scarico da
 insediamenti privati e scarichi da enti pubblici territoriali, mentre
 e' logico che certamente gli scarichi pubblici non inquinano meno dei
 privati.
    4. b) - Peraltro anche nel contesto dei reati connessi ai pubblici
 amministratori si appalesano  contrasti  potenziali.  Infatti  se  un
 sindaco  apre  un  nuovo  carico  da  pubblica  fognatura  dopo  aver
 richiesto ma prima di aver ottenuto la prescritta  autorizzazione  e'
 punito  con  sanzione  penale  ai  sensi  dell'art. 23 della legge n.
 319/1976; ma se lo stesso sindaco non richiede affatto (e quindi  non
 ottiene)  la  prescritta  autorizzazione  e' punito solo con sanzione
 amministrativa ai sensi del nuovo ultimo  comma  dell'art.  21  della
 legge  n. 319/1976 cosi' come inserito dall'art. 6, secondo comma del
 decreto-legge in esame.
    4. c) - Trasferendo l'esame nel  campo  parallelo  delle  sanzioni
 amministrative, si rileva che dopo le novelle introdotte sulla legge-
 Merli   dal   decreto   in   esame   il   sindaco  che  non  richiede
 l'autorizzazione e' punito con la sanzione amministrativa da lire  10
 a  100  milioni  mentre  se  inquina  le  acque,  superando  i limiti
 impostigli dalla Regione, e' soggetto alla sanzione amministrativa da
 lire 3 a 30 milioni ai sensi dell'art. 3,  primo  comma.    Dunque  a
 violazione  piu'  grave  corrisponde  trattamento  piu' favorevole, e
 viceversa.
    4. d) - Va peraltro sottolineato che colui  che  viola  il  regime
 autorizzatorio  (ad  es.  la  omessa richiesta di autorizzazione allo
 scarico) e quindi pone in  essere  una  condotta  illecita  ben  piu'
 modesta  in  via  sostanziale rispetto a chi scarica inquinando, vede
 intatta la norma punitiva originaria che prevede, in  linea  teorica,
 anche l'arresto che addirittura puo' giungere fino a due anni; mentre
 chi  riversa nell'ambiente naturale sostanze inquinanti in violazione
 di legge sara' soggetto, alla deregulation amministrativa e/o penale-
 oblazionabile  come  nei  punti  precedenti   e   quindi   di   fatto
 potenzialmente ed indirettamente decriminalizzata.
    4.  e)  -  In  base  all'art.  2  gli  scarichi degli insediamenti
 produttivi che si immettono in pubbliche fognature vengono ad  essere
 esonerati  dal  rispetto  della  tabella  C)  indipendentemente dalla
 tipologia di impianto di depurazione presente e dai limiti che questo
 e' capace di rispettare. Conseguentemente abbiamo che  non  essendoci
 limiti  previsti  dalla  normativa  statale  per  gli  scarichi delle
 pubbliche  fognature,  e  non  essendoci  limiti  per  gli   scarichi
 produttivi  che  si  immettono  in pubbliche fognature sempre fissati
 dalla normativa statale, di fatto per questa classe  di  scarichi  da
 insediamenti produttivi viene a determinarsi una doppia disparita' di
 trattamento:  una derivante dalle diverse normative regionali per cui
 uno scarico di insediamento produttivo di una  regione  potra'  avere
 trattamento piu' favorevole di quella di un'altra; l'altra, cioe' una
 disparita'  di  trattamento  degli  insediamenti  produttivi  che  si
 immettono in fognatura anche se questa non e' efficentemente depurata
 rispetto agli altri insediamenti produttivi.
    4. f) - Si appalesa una potenziale e realistica  eterogeneita'  di
 gestione  regolamentativa,  diversa  Regione per Regione, con diverse
 conseguenze sanzionatorie per i cittadini, sulla scorta dell'art. 14,
 legge n. 319/1976, modificato dal decreto in esame, il quale  delinea
 un  ampio  margine  discrezionale  per  le  Regioni  in  ordine  alla
 fissazione dei limiti alle pubbliche fognature nonche'  in  relazione
 al  loro  superamento (cosi' pare di poter dedurre dall'inciso "salvo
 diversa   disposizione   regionale"   inserito   dopo   la   sanzione
 amministrativa prevista per il superamento). Dunque secondo la scelta
 dei  parametri  dei  limiti  (e delle possibili eccezioni per il loro
 superamento)  i  titolari  di   scarichi   di   pubbliche   fognature
 sostanzialmente  identici  possono  vedere il loro caso regolamentato
 come lecito o illecito in due Regioni diverse.
    4.  g)  -  Si  rileva  ancora  una  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento   (sanzioni   penali  del  tutto  diverse)  tra  scarichi
 produttivi nuovi o esistenti,  immessi  in  pubbliche  fognature  con
 depuratore terminale.
    4.  h) - Nel contesto del citato principio di uguaglianza la Corte
 costituzionale (sentenza n. 7/1963) ha stabilito che appare legittimo
 per il legislatore emanare norme differenziate riguardo a  situazioni
 obiettivamente  diverse  solo  a condizione che tali norme rispondano
 all'esigenza  che  la  disparita'  di  trattamento  sia  fondata   su
 presupposti  logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino
 l'adozione. In  caso  di  trattamento  sanzionatorio  irrazionalmente
 differenziato   la   Corte   costituzionale   ha   sempre  dichiarato
 l'incostituzionalita'  delle  disposizioni   relativa   (da   ultimo,
 sentenza  n.  341/1994  in materia di oltraggio con ridimensionamento
 della pena minima edittale).    Ancora  la  Corte  costituzionale  ha
 sancito  con la sentenza n. 254 del 20-23 giugno 1994 che si viola il
 principio di uguaglianza qualora con leggi successivi si dia vita  ad
 un  sistema  normativo  assolutamente squilibrato "come avviene anche
 quando si  favorisce  chi  ha  posto  in  essere,  fra  due  condotte
 gradatamente  lesive dell'identico bene, quella connotata da maggiore
 gravita', discriminando invece chi ha realizzato la  fatto  che  meno
 offende lo stesso valore giuridico" (sentenza n. 249 del 1993).
    4.  i) - Detto squilibrio si avverte, ad avviso di questo pretore,
 non solo in relazione ai casi specifici compresi nel  contesto  della
 legge n. 319/1976 cosi' novellata, bensi' anche, esternamente, tra il
 dettato  cosi' modificato della legge n. 319/1976 e le altre leggi di
 settore parallelo sempre nel campo della tutela ambientale le  quali,
 per  le  violazioni  di  base  di sostanza, prevedono sempre sanzioni
 penali (e  non  amministrative)  per  fatti  di  inquinamento  o  per
 violazione  delle  prescrizioni  dell'autorizzazione, chiunque sia il
 soggetto attivo del reato (si vedano  al  riguardo,  ad  esempio,  la
 legge  31  dicembre  1981,  n.  979  a  difesa  del mare e il decreto
 legislativo 27 gennaio  1992,  n.  133  sugli  scarichi  di  sostanze
 pericolose).
    5.  -  Il  sistema  sanzionatorio dell'art. 21, legge n. 319/1976,
 cosi' come modificato dall'art. 3  del  decreto-legge  in  esame,  di
 fatto  e  in  ogni  caso  crea  un  profondo ed oggettivo svuotamento
 deterrente e punitivo in ordine a quello che puo' essere definito non
 uno qualsiasi dei reati in materia ambientale ma senz'altro  il  piu'
 grave  o  comunque  uno  tra i piu' gravi reati in assoluto in questo
 settore, e cioe'  l'inquinamento  in  senso  stretto  del  patrimonio
 idrico  nazionale e del territorio in linea generale. Va sottolineato
 al riguardo che, nonostante il titolo del  decreto  ("Modifiche  alla
 disciplina   degli   scarichi   delle  pubbliche  fognature  e  degli
 insediamenti civili che non recapitano in  pubbliche  fognature")  in
 realta'  la  modifica del terzo comma dell'art. 21 in questione va ad
 incidere in via diretta e totale sulla regolamentazione sanzionatoria
 anche degli scarichi  da  insediamenti  produttivi,  ivi  compresi  i
 grandi   complessi   industriali.  Dunque  anche  i  grandi  casi  di
 inquinamento  chimico  di  origine  industriale  rientrano  in  detta
 modifica.  Il  ridurre  le  relative  sanzioni,  che  possono  dunque
 riguardare  anche  casi  socialmente  gravissimi  sotto  il   profilo
 biologico-ambientale, ad una sanzione amministrativa o, tutt'al piu',
 ad   una   difficilmente   accertabile   sanzione   penale   peraltro
 oblazionabile cosi' come  sopra  esposto,  significa  di  fatto  aver
 creato  uno  svuotamento  improvviso  ed  ingiustificato  del sistema
 sanzionatorio  originario  che  era,   invece,   chiaro,   facilmente
 interpretabile,  facilmente  attuabile  e  soprattutto  riportava  un
 effetto deterrente e punitivo di ben altra portata.
    6. - Va peraltro osservato che sul modificato terzo comma dell'art
 21, legge n. 319/1976 si e'  innestata  una  fiorente  ed  articolata
 giurisprudenza  della  Corte  di cassazione che ha costruito principi
 inediti ed importanti ruotando intorno a detto sistema sanzionatorio;
 si pensi alle innovative sentenze sulla natura dei prelievi operabili
 anche da organi di p.g.,  alle  problematiche  sulle  garanzie  della
 difesa  in  sede  di  accertamento, alle nuove possibilita' operative
 offerte alla p.g. in diverse sedi di accertamento nel  settore,  alla
 individuazione   di   concetti-base   come   quello  di  insediamento
 produttivo e  civile  ed  alle  innumerevoli  problematiche  connesse
 risolte  in  sede  di  indagine  e  processuale, alle decisioni sulle
 competenze istituzionali, alla individuazione dei punti di scarico ed
 alle metodiche di prelievo e si potrebbe a lungo continuare; trattasi
 di una  stratificazione,  omogenea  e  per  nulla  disarticolata,  di
 giurisprudenza  che  negli  ultimi  anni ha creato una vera e propria
 prassi interpretativa-applicativa di  supporto  e  integrazione  alla
 legge  n. 319/1976 che ha costituito fino ad oggi l'ossatura portante
 delle indagini di p.g. e dei  processi  in  materia;  il  decreto  in
 esame,  intaccando  alla radice il sistema sanzionatorio su cui si e'
 basato l'intervento della Suprema Corte, ha azzerato di fatto  questa
 preziosa  costruzione giurisprudenziale che appare in larga parte non
 piu' pertinente.
    7. - In detto svuotamento sanzionatorio  di  uno  dei  reati  piu'
 importanti  in  materia  di  tutela  ambientale  (forse il reato piu'
 importante in assoluto in materia  di  inquinamenti)  si  profila  ad
 avviso  dello scrivente Pretore una violazione del disposto dell'art.
 9, secondo comma della Costituzione, laddove la tutela del paesaggio,
 inteso secondo le piu' recenti pronunce della Corte di  cassazione  e
 della Corte costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza
 estetica da cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi
 comprensivo   anche   degli   inevitabili   ed  inscindibili  aspetti
 bionaturalistici.  Il decreto-legge prevede come sostanze  pericolose
 esclusivamente  quelle contenute nella delibera del 30 dicembre 1980,
 ma successivamente a tale data le  tabelle  allegate  alla  legge  n.
 319/1976   sono  state  modificate  inserendo  anche  altre  sostanze
 notevolmente pericolose  come  i  policlorobifenili  ed  i  pesticidi
 differenti da quelli clorurati e fosforati; nel momento in cui invece
 si  fa  riferimento  esclusivamente a quelle contenute nella delibera
 vengono fatte salve queste  sostanze  che,  pur  se  pericolose,  non
 vengono  ad  essere  considerate  tra  quelle  soggette alle sanzioni
 previste per le altre sostanze pericolose (ad es. atrazina).  Inoltre
 si deve evidenziare come la legge n. 319/1976  non  prevede  che  non
 vengano  scaricate esclusivamente le sostanze contenute nella tabella
 A) ma prevede anche che non vengano  scaricate  senza  autorizzazione
 tutte  le  sostanze  possibili  tossiche  e nocive che possono essere
 presenti in uno scarico,  talche'  quando  pretende  l'autorizzazione
 all'art. 13 prevede che si chieda l'autorizzazione anche per tutte le
 sostanze  inquinanti  rendendo  appunto  necessaria  la dichiarazione
 delle caratteristiche qualitative e quantitive dello scarico  ma  non
 limitatamente  a  quelle  previste  dalle  tabelle.   Questo precetto
 comporta che se un soggetto scarica nella acque una sostanza tipo  la
 diossina,  non  essendo  la  diossina  stessa  prevista  tra i limiti
 tabellari l'autorita' competente che rilascia l'autorizzazione potra'
 e dovra' certamente  prescrivere  un  limite  per  la  diossina;  nel
 momento  in cui, pero', viene ad essere prescritto questo limite, non
 essendo la diossina annoverata dai  limiti  tabellari  con  l'attuale
 dizione  presente  nel  decreto-legge  in  esame,  abbiamo che pur in
 presenza di detto  scarico  che  riguarda  una  delle  sostanze  piu'
 tossiche,  non e' applicabile la stessa sanzione che e' irrogabile ad
 esempio per il mercurio; e quanto esposto per la  diossina  vale  per
 molte  altre sostanze tossiche come ad esempio l'argento.  Va inoltre
 tenuto presente che le sostanze tossiche contenute nella delibera del
 31 dicembre 1980, cosiddette inderogabili, sono solo una piccolissima
 parte di quelle che invece sono da  considerare  tossiche  e  nocive,
 perche'  solo  una  piccola  parte  di queste sostanze possono essere
 ricondotte alle 129 sostanze previste dalla direttiva CEE  madre  per
 quanto  riguarda  l'inquinamento  e  quindi andare ad applicare delle
 sanzioni penali esclusivamente a queste sostanze  pericolose  e'  del
 tutto limitativo e non rispetta quanto previsto dalla direttiva CEE.
    8.  -  Per gli stessi motivi esposti in relazione all'art. 9 della
 Costituzione, si ritiene che la norma in esame si ponga in  contrasto
 anche  con l'art. 32 della Carta costituzionale. Infatti nel concetto
 di tutela della salute come  principio  costituzionalmente  garantito
 deve,  per forza di cose, ricomprendersi il piu' vasto concetto della
 salute pubblica nel senso della salubrita' dell'ambiente naturale  ed
 urbano  ove  ciascun  cittadino  vive.  Il diritto alla salute inteso
 anche come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai  ripetutamente
 accertato  in  giurisprudenza  (si  veda per tutte la famosa sentenza
 delle sezioni unite n. 517 del  6  ottobre  1979,  nonche'  la  Corte
 costituzionale  in  data 30 dicembre 1987, n. 641 ed in data 16 marzo
 1990, n. 127). E'  fuor  dubbio  che  la  diminuita  possibilita'  di
 intervento  deterrente-punitivo  in  sede di illeciti da inquinamento
 idrico, e la connessa oblazionabilita' delle residue sanzioni penali,
 crea i presupposti per una  evoluzione  incontrollata  del  fenomeno,
 incoraggiata  dall'abbassamento della guardia in sede di controlli di
 p.g. e possibilita' di intervento  processuale;  e  tutto  questo  si
 traduce  in  via  diretta  in  un  danno  per  la salute e salubrita'
 pubblica  in  un   ambiente   che   resta   cosi'   maggiormente   ed
 incontrollatamente esposto al degrado inquinante.
    9. - Va ancora rilevato che la norma in esame pare porsi in totale
 contrasto   con  gli  obblighi  che  derivano  al  nostro  Paese  per
 l'appartenenza all'Unione Europea. Gia' due volte la Corte europea di
 giustizia ha condannato il nostro  Paese  per  il  contrasto  tra  la
 "legge-Merli"  e  le  direttive comunitarie, tra l'altro anche per la
 permissivita'  del  sistema  autorizzatorio   previsto   e   per   la
 "insufficienza"  delle  sanzioni  penali  previste  dall'art.  22  in
 relazione alla inosservanza  della  prescrizioni  dell'autorizzazione
 (Corte  di  giustizia  28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990 pubblicate
 integralmente in "Amendola - Inquinamento e Industria" - Milano 1992,
 pag. 69 e segg.). La sopra esposta generale regressione sanzionatoria
 creata dal decreto-legge in  esame  concretizza  di  conseguenza  una
 ulteriore  evoluzione  del  grado  di  inadempienza italiana verso le
 direttive CEE e verso le sentenze della Corte europea.   Peraltro  il
 decreto stesso, eliminando limiti certi per gli scarichi da pubbliche
 fognature  si  pone in evidente contrasto con la direttiva CEE n. 271
 del 21 maggo 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane,  che  lo
 Stato  italiano  avrebbe  dovuto gia' recepire entro lo scorso giugno
 1993 e che fissa obblighi e limiti ben precisi, con ben pochi margini
 di discrezionalita' specie per le "aree sensibili". E  del  resto  il
 contrasto  e'  apparso  evidentemente  gia'  in sede di redazione del
 testo in esame se il decreto  specifica  espressamente  nell'art.  1,
 terzo comma che "le disposizioni del presente decreto si applicano in
 attesa  dell'attuazione  della  direttiva  91/271/CEE  del  21 maggio
 1991". Dunque da un lato l'Italia non ha recepito  la  direttiva  CEE
 nei  termini  stabiliti  e dall'altro ha adottato un decreto-legge in
 antitesi ai principi della direttiva stessa, con una  mora  temporale
 applicativa illogica. Ove il decreto 629 dovesse essere convertito in
 legge,  le  sue  prescrizioni  si applicheranno dunque finche' non si
 sara' data attuazione alla citata direttiva; evoluzione che  dovrebbe
 avvenire,  secondo  la  legge comunitaria 1993 n. 146 del 22 febbraio
 1994, entro il marzo 1995 e cioe' entro pochissimi mesi; e, peraltro,
 con rigidi principi di attuazione predeterminati dal Parlamento (art.
 37,  primo  comma)  in  evidente  contrasto  con  la  elasticita'   e
 genericita'  del  decreto  in  esame.  Il  che  provochera' ulteriore
 confusione  ed  incertezza  del  diritto.    Ed  in  ogni   caso   va
 sottolineato  che,  secondo  la  citata legge comunitaria, il Governo
 dovrebbe    dare    attuazione   a   questa   direttiva   provvedendo
 all'"adeguamento della normativa vigente alla disciplina comunitaria,
 apportando alla prima ogni necessaria modifica ed  integrazione  allo
 scopo  di  definire un quadro omogeneo ed organico delle disposizioni
 di settore" (art. 36, lett. c).  Dato il carattere regressivo in sede
 sanzionatoria del decreto 629, ritiene lo scrivente che  si  appalesa
 un   contrasto   con   l'art.   10  della  Costituzione  per  mancata
 conformazione alle citate norme del diritto intemazionale.
    10. - Si rileva inoltre che la regressione sanzionatoria in  esame
 si  pone  in  evidente contrasto con il principio "chi inquina paga",
 oggi chiaramente presupposta da  diverse  decisioni  della  Corte  di
 cassazione  (tra  le  altre, Cass. pen. sez. III, 2 febbraio 1994, n.
 2525 e Cass. pen. sez.  III,  6  aprile  1993,  n.  3148).  La  norma
 denunciata  infatti  favorisce  apertamente chi ha violato la legge e
 penalizza, invece, anche sul piano  della  concorrenza  tra  imprese,
 proprio  le  aziende  che hanno affrontato rilevanti investimenti per
 adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale; e cio'
 appalesa, ad avviso dello scrivente, un contrasto con l'art. 41 della
 Costituzione.
    11. - Si rileva ancora che, sotto  il  profilo  della  correttezza
 istituzionale,  ritiene  questo Pretore di far proprie in questa sede
 le osservazioni del pretore di Tivoli svolte nella sua  ordinanza  di
 rimessione alla Corte costituzionale (5 ottobre 1994) a proposito del
 contrasto  tra  il  decreto-legge n. 537 precedente e l'art. 77 della
 Costituzione: "Violato dalla norma denunciata  ed  unitariamente  dal
 decreto-legge  che la contiene e' altresi' il principio di riserva di
 legge in materia penale affermato dall'art.  25  della  Costituzione,
 letto   in   relazione   con   l'art.  77  della  Costituzione  sulla
 decretazione di urgenza da parte del govemo.   Si osserva  sul  punto
 che  la  riserva  di  legge  in materia penale possiede quale primo e
 fondamentale significato quello secondo cui  le  scelte  di  politica
 criminale     sono     monopolio     esclusivo     del    Parlamento.
 L'ammissibilita'che nuove norme di diritto  penale  siano  introdotte
 attraverso  decreti-legge  o  decreti  legislativi  e'  connessa alla
 circostanza che in entrambi i  casi  si  realizza  ed  e'  assicurato
 comunque  l'intervento  del Parlamento in posizione sovraordinata ora
 quale organo delegante (art. 76 della Costituzione) ora quale  organo
 cui  e'  rimesso  il  potere  di  conferire  stabilita' e durevolezza
 attraverso la legge di conversione a disposizioni normative  precarie
 e  soggette  a  decadenza  in  caso di inutile decorso del termine di
 sessanta giorni dettato dall'art. 77 u.c. della  Costituzione.  Nella
 specie  attraverso  la  reiterazione  a  catena  di decreti-legge non
 convertiti disciplinanti l'identica  materia  penale  -  l'ultimo  e'
 quello  denunciato di incostituzionalita' con la presente ordinanza -
 si e' di fatto realizzata la  sottrazione  al  Parlamento  della  sua
 esclusiva    competenza   a   disporre   in   materia   penale,   con
 l'inammissibile assunzione da parte  dell'esecutivo  del  relativo  o
 potere  di  bilanciamento  e  di  valutazione  degli interessi che in
 materia penale e' di  esclusiva  competenza  dell'organo  assembleare
 rappresentativo della sovranita' popolare. In altre parole attraverso
 il  procedimento  indiretto  consistito  nella  ripetuta  adozione di
 decreti-legge  non  convertiti  si   e'   realizzato   il   risultato
 contrastante con le precisazioni di cui alla Corte costituzionale che
 vuole  assicurata  la  competenza esclusiva del Parlamento in materia
 penale".    In aggiunta alla condivisibile motivazione del pretore di
 Tivoli, che lo scrivente fa propria, va  peraltro  osservato  che  la
 legge-Merli e' stata soggetta ad una reiterata modifica in base a sei
 decreti-legge   ripetuti   in   via  continuativa  i  quali  ad  ogni
 reiterazione  hanno  sempre  prospettato  principi  in  alcuni  punti
 diversi,  stratificando  cosi'  di  fatto  una  modifica  valida  per
 sessanta giorni e poi diversificata spesso in via sostanziale su  una
 base normativa che ha dunque perso ogni certezza di applicazione. Gli
 imputati dei connessi procedimenti penali sono dunque stati soggetti,
 con  alternanza  di sessanta giorni, ad un sistema sanzionatorio ogni
 volta modificato, anche profondamente, e che ha di fatto  determinato
 potenziali  diversita'  di  trattamento per casi identici ma valutati
 nelle more di sessanta giorni diverse  per  ulteriore  ed  eterogenea
 reiterazione.  Si pensi, per citare soltanto le diversita' piu' imme-
 diate, alla diversa formulazione di modifica contenuta nel precedente
 decreto n. 537 e nell'attuale decreto in  relazione  al  terzo  comma
 dell'art.  21, legge n. 319/1976, laddove il sistema sanzionatorio e'
 del tutto nuovamente  mutato  e  dunque  gli  imputati  per  processi
 pendenti  sotto la valenza del pregresso decreto hanno dovuto seguire
 una sorte processuale del tutto diversa da  quella  ipotizzabile  per
 gli  imputati  per medesimi fatti nella vigenza dell'attuale decreto.
 Questo crea potenziali gravi ingiustizie, anche considerando che  "la
 norma  contenuta in un decreto-legge non convertito non ha attitudine
 alla  stregua  del  terzo  e  ultimo   comma   dell'art.   77   della
 Costituzione,  di  inserirsi  in un fenomeno successorio quale quello
 descritto regolato dai commi 2 e 3 dell'art.  2  del  c.p.p."  (Corte
 costituzionale  n.  51  del  19  febbraio 1985) e dunque consegue che
 fatti identici pregressi possono essere  definiti  con  sentenze  del
 tutto  diverse secondo la mora di vigenza dei decreti-legge reiterati
 in materia.
    12. - Da quanto sopra esposto, emerge che  in  applicazione  della
 norma oggetto del giudizio di costituzionalita' dovrebbe procedersi a
 verifica  in ordine al capo B) di imputazione per appurare se al caso
 di specie debba applicarsi la  innovativa  disciplina  dell'art.  21,
 terzo  comma,  legge n. 319/1976, derivante dalla modifica introdotta
 dall'art. 3 del  decreto-legge  in  esame,  in  stretta  inscindibile
 sinergia  con gli altri articoli dello stesso decreto. E quindi se il
 prevenuto debba essere ammesso all'oblazione anche  per  tale  reato.
 Qualora,  invece,  la  questione  di costituzionalita' dovesse essere
 accolta,  si  dovrebbe  procedere  a  dibattimento   secondo   prassi
 ordinaria di rito con esame istruttorio nell'alveo interpretativo del
 terzo  comma  dell'art.  21 legge n. 319/1976 sulla base dei principi
 enunciati dalla Cassazione in materia e conseguente articolazione del
 dibattimento e del connesso sistema sanzionatorio secondo i canoni di
 certezza del diritto fino ad oggi seguiti in materia.
    13. - Dalle considerazioni  esposte  si  desume  che  il  presente
 giudizio  non  puo'  essere definito, allo stato e vigente i principi
 del decreto-legge n. 629/1994 in esame, in  modo  indipendente  dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata, per violazione
 degli artt. 3, 9, 10, 32, 41 e 77 della Costituzione, la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3 -  integrale  formulazione  -
 del  decreto-legge  16  novembre  1994,  n.  629,  in  sinergia ed in
 relazione  interconnessa  con  tutti  gli altri articoli dello stesso
 decreto, il quale art. 3 prevede, in modifica globale del terzo comma
 dell'art. 21 della legge n. 319/1976 e succ. mod. che "fatte salve le
 disposizioni penali di cui al primo e secondo  comma,  l'inosservanza
 dei  limiti  di  accettabilita'  stabiliti  dalle  Regioni  ai  sensi
 dell'art. 14, secondo comma, ove non costituisca reato o  circostanza
 aggravante,  e' punita con la sola sanzione amministrativa pecuniaria
 da lire tre milioni a lire trenta milioni, salvo diversa disposizione
 della legge regionale. Per gli scarichi da  insediamenti  produttivi,
 in  caso  di  superamento  dei limiti di accettabilita' delle tabelle
 allegate alla presente legge e, se recapitano in pubbliche fognature,
 di quelli fissati ai sensi del n. 2 del primo comma dell'art. 12,  si
 applica  la  pena  dell'ammenda  da  lire  quindici  milioni  a  lire
 centocinquanta milioni o dell'arresto fino ad 1 anno. Si  applica  la
 pena    dell'ammenda    da    lire   venticinque   milioni   a   lire
 duecentocinquanta milioni o la pena dell'arresto da due  mesi  a  due
 anni  qualora  siano superati i limiti di accettabilita' inderogabili
 per i parametri di natura tossica persistente e  bioaccumulabile,  di
 cui  al  n.  4 del documento unito alla delibera 30 dicembre 1980 del
 comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della presente legge,
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio  1981,  e  di
 cui  all'elenco dell'allegato 1 alla delibera medesima. Ai fini della
 quantificazione della pena e della ammissibilita'  dell'oblazione  ai
 sensi  dell'art.  162-bis  del  codice penale, il giudice tiene conto
 della entita' del superamento dei limiti di accettabilita'";
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata agli imputati, ai loro difensori,  al  pubblico  ministero
 nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri e comunicata al
 Presidente della Camera dei deputati  ed  al  Presidente  del  Senato
 della Repubblica.
      Terni, addi' 29 novembre 1994
                         Il pretore: SANTOLOCI
 
 95C0190