N. 67 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 1994
N. 67 Ordinanza emessa il 21 ottobre 1994 dal pretore di Modena, sezione distaccata di Carpi nel procedimento penale a carico di Severdzan Ismail Pena - Mendicita' - Lamentata eccessivita', sia qualitativa che quantitativa della sanzione penale - Irragionevolezza - Deteriore trattamento rispetto a fattispecie criminose analoghe o piu' gravi - Violazione del principio di sussidarieta' della tutela penale - Lesione del principio di risocializzazione e di rieducazione della pena. Pena - Mendicita' - Trattamento sanzionatorio - Misura - Previsione di una pena minima edittale di un mese - Lamentata eccessivita' - Irragionevolezza - Lesione del principio di sussidarieta' della tutela penale. (C.P., art. 670, secondo comma). (Cost., artt. 3, primo comma, 13, 27, terzo comma, e 97, primo comma).(GU n.7 del 15-2-1995 )
IL PRETORE Visti gli atti e i documenti del processo penale iscritto al n. 212/1994 r.g. nei confronti di Ismail Severdzan nato a Skopie (ex Iugoslavia) il 23 gennaio 1963, dichiarato irreperibile con decreto del p.m. in data 5 luglio 1994, imputato del reato previsto e punito dall'art. 670 del codice penale per avere mendicato in luogo aperto al pubblico costituito dai locali delle scuole elementari, mostrando una fotografia di un bambino a cui erano stati parzialmente amputati gli arti inferiori, in Carpi il 7 maggio 1990; Ritenuto di dover sollevare d'ufficio la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 670 del codice penale in relazione agli articoli 3, 13, 27, terzo comma e 97, primo comma, della Costituzione della Repubblica italiana; Ritenuto che la questione sia rilevante nel processo in corso, emergendo dagli atti gravi elementi di responsabilita' a carico dell'imputato; Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; O S S E R V A La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 670 del codice penale, gia' in passato rimessa al giudizio di codesta Corte (1), sembra meritevole di riproposizione. 1. - Violazione del principio di proporzione. L'art. 670 del codice penale prevede, com'e' noto, che "Chiunque mendica in luogo pubblico o aperto al pubblico e' punito con l'arresto fino a tre mesi. La pena e' dell'arresto da uno a sei mesi se il fatto e' commesso in modo ripugnante o vessatorio, ovvero simulando deformita' o malattie, o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l'altrui pieta'". La Corte costituzionale ha affermato che "la norma contenuta nell'art. 670 c.p., anche nella forma aggravata di accattonaggio vessatorio, tutela soltanto il bene giuridico della tranquillita' pubblica, con qualche riflesso sull'ordine pubblico" (C. Cost. n. 51/1959). Alle stesse conclusioni e' pervenuta la dottrina, ravvisando il bene giuridico protetto nell'ordine pubblico, tranquillita' pubblica, moralita' pubblica, pubblico decoro. Dovendosi escludere che l'interesse protetto dalla norma sia il dovere di svolgere un'attivita' lavorativa (2), o l'integrita' del patrimonio (3), o la tranquillita' della persona (4), appare del tutto irragionevole, e sproporzionato per eccesso, tutelare il bene generico della tranquillita' pubblica mediante il sacrificio del diritto fondamentale e inviolabile della liberta' personale. La giurisprudenza della Corte costituzionale e' ormai pacifica nell'affermazione del principio per cui, quantunque la determinazione della quantita' e qualita' della sanzione penale appartenga alla discrezionalita' del legislatore, alla Corte rimane il compito di verificare che l'uso della discrezionalita' legislativa in materia rispetti il limite della ragionevolezza (n. 341 del 1994). Tale irragionevolezza sussiste in presenza di incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni (n. 409 del 1989). Sul fondamento di tali irrinunciabili principi la Corte costituzionale ha censurato di- verse disposizioni della legge penale per violazione del principio di uguaglianza (n. 409 del 1989, nn. 343 e 422 del 1993) e del fine rieducativo della pena (n. 313 del 1990). Ora, la manifesta irragionevolezza della norma in esame appare ancora piu' evidente confrontando altre fattispecie criminose presenti nella stessa sezione I, capo I, titolo I, libro III c.p., dedicata alle contravvenzioni concernenti l'ordine pubblico e la tranquillita' pubblica. Gli artt. 659 (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) e 660 c.p. (Molestia o disturbo alle persone) prevedono in via alternativa l'arresto o l'ammenda, e si deve conseguentemente arguire che il generico bene della tranquillita' pubblica riceve una tutela assai maggiore di quella accordata alla tranquillita' e dignita' della persona. Con un rigore pari a quello dell'art. 670 c.p. non vengono nemmeno punite le contravvenzioni concernenti l'incolumita' pubblica, contenute nella sezione II, capo I, titolo III c.p., essendo sempre prevista la sola ammenda o l'arresto in alternativa con l'ammenda. L'offesa al pubblico decoro da parte di chi mendichi viene punita con l'arresto fino a tre mesi, mentre per gli atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 c.p.) e' previsto soltanto l'arresto fino a un mese o l'ammenda da lire ventimila e quattrocentomila. L'estrema severita' della norma e' il prodotto di concezioni autoritarie del tutto incompatibili con i valori recepiti dall'attuale ordinamento costituzionale e con la stessa tradizione liberale italiana. Il codice penale del 1889, infatti, puniva la mendicita' con pene assai piu' lievi, limitate all'arresto fino a cinque giorni per la forma meno grave (art. 453) e all'arresto fino a un mese per l'accattonaggio vessatorio (art. 545). Il codice Zanardelli concedeva inoltre al giudice la possibilita' di ordinare che la pena dell'arresto potesse essere scontata mediante prestazione d'opera in lavori di pubblica utilita' (art. 455). E' pertanto auspicabile un intervento della Corte che ridimensioni le pene previste dall'art. 670 del codice penale, per ricondurle entro ragionevoli parametri di costituzionalita'. In applicazione dei principi affermati nelle sentenze sopra richiamate, e, in particolare, nella sentenza n. 341 del 1994 che ha dichiarato illegittimo l'art. 341, primo comma, del codice penale, dovrebbe quanto meno essere dichiarato illegittimo il secondo comma dell'art. 670 c.p., nella parte in cui prevede come minimo edittale l'arresto per un mese. 2. - Anacronismo della norma e violazione del principio di sussidiarieta'. Sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, appare anche evidente la violazione del principio di sussidiarieta' della tutela penale. La criminalizzazione della mendicita' si rivela, ad un esame obbiettivo, del tutto irrazionale in considerazione del fatto che il fenomeno dell'accattonaggio puo' essere scoraggiato (e la tranquillita' pubblica piu' che adeguatamente tutelata) con opportune sanzioni amministrative. I vantaggi che si otterrebbero appaiono evidenti, specialmente in relazione alla possibilita' di un intervento repressivo immediato, e percio' decisamente piu' incisivo di quello realizzato dalla giustizia penale. L'irrazionale violazione del principio di sussidiarieta' comporta la necessita' di celebrare dibattimenti penali per un reato che, come ha osservato autorevole dottrina, tutela un interesse anacronistico, e non fa che aggravare ulteriormente la crisi in cui versa l'amministrazionedella giustizia penale in Italia in rapporto all'elevato indice di procedimenti pendenti. Ne' potrebbe ragionevolmente ritenersi che la presenza dell'art. 670 c.p. si giustifichi tuttora per l'intensificarsi dei movimenti migratori dai paesi in precarie condizioni di sviluppo, nei quali mancano le condizioni minime per un'esistenza libera e dignitosa. A una simile logica si oppone non solo la considerazione che i paesi ad elevato indice di benessere hanno interesse ad attivarsi per ridurre il colossale divario che li separa dai paesi piu' poveri, piuttosto che arrestarne i cittadini indigenti (5), ma anche - e soprattutto - la necessita' pratica di non aggravare pericolosamente il fenomeno di sovraffollamento delle carceri, che appare gia' oggi ai limiti del collasso. L'incostituzionalita' dell'art. 670 c.p. emerge quindi anche in relazione all'art. 13 della Costituzione e, sotto gli aspetti da ultimo rilevati, all'art. 97, primo comma, della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 7; Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 670 del codice penale, in relazione agli articoli 3, primo comma, 13, 27, terzo comma, 97, primo comma, della Costituzione della Repubblica italiana; b) dell'art. 670, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede come minimo edittale la pena dell'arresto per un mese, in relazione agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione della Repubblica italiana; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al pubblico ministero, al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Carpi, addi' 21 ottobre 1994 Il pretore: CIGARINI ------- (1) Cfr. Pretura di Lucca (art. 38 u.c. Cost.), ordinanze 21 febbraio e 7 marzo 1959 in Le leggi, 1959, 166, 333; questioni dichiarate non fondate da Corte costituzionale 21 novembre 1959 n. 51 in Giur. cost. 1959, 1071; Pretura di Pietrasanta (art. 3 commi primo e secondo e art. 4, comma secondo Cost.), ord. 3 novembre 1972 in Giur. cost. 1973, 1091 e Pretura di La Spezia (art. 2 Cost.), ordinanza 16 marzo 1972, questioni dichiarate infondate da Corte costituzionale 7 maggio 1975 n. 102 in Giur. cost. 1975, 1182; Pretura di Milano (art. 38 Cost.), ordinanza 13 gennaio 1964 in Giur. cost. 1964, 311, questione dichiarata inammissibile da Corte costituzionale 22 dicembre 1964 n. 116 in Giur. cost. 1964, 1182. (2) Le dottrine (minoritarie) che propendono per la giuridicita' del dovere sancito dall'art. 4, secondo comma, Cost., non hanno mai invocato l'art. 670 c.p. a sostegno della propria tesi. (3) La Corte di cassazione ha affermato che sussiste il delitto di truffa e non la contravvenzione di mendicita' qualora la dazione di denaro o di altra utilita' economica fosse frutto di un'attivita' ingannatrice dell'agente, che, mediante artifici o raggiri, crei nell'animo della vittima la falsa convinzione di adempiere un dovere morale di solidarieta' verso terzi (cfr. Cass. pen. 3 luglio 1981, Liotta, in Cass. pen. 1983, 322". (4) Per la quale sussiste la specifica contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. (Molestia o disturbo alle persone), sicuramente idonea alla repressione della mendicita' petulante, compresa quella dei nomadi e degli extracomunitari. (5) E' ormai largamente condivisa sia la tesi che ritiene che l'elevatissimo benessere dei paesi dell'occidente sia stato conquistato in discreta misura a scapito delle economie dei paesi del cosiddetto terzo e quarto mondo, sia la consapevolezza, fondata sul principio di interdipendenza, che la stessa sopravvivenza del nostro attuale tenore di vita sia legata allo sviluppo economico dei paesi piu' poveri, nei quali vive la stragrande maggioranza della popolazione del pianeta. 95C0191