N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 ottobre 1994
N. 93 Ordinanza emessa il 6 ottobre 1994 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra fallimento S.p.a. Codelfa e S.r.l. Boccaleone 167 Procedure concorsuali - Azione revocatoria fallimentare - Estensione, per diritto vivente, della normativa prevista per il fallimento in caso di consecuzione tra amministrazione controllata e fallimento - Conseguente computazione del termine di un anno dall'ammissione della procedura di amministrazione controllata anziche' dalla dichiarazione di fallimento - Lamentato egual trattamento per situazioni disuguali - Compressione del diritto di difesa per il convenuto in revocatoria - Limitazione della liberta' d'azione economica. (R.D.-L. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67). (Cost., artt. 3, 24 e 41).(GU n.9 del 1-3-1995 )
IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio per discutere la causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra indicato, chiamata all'udienza collegiale del 6 ottobre 1994, promossa con atto di citazione notificato in data 4 ottobre 1989 a ministero dell'aiutante ufficiale giudiziario addetto all'ufficio unico notifiche della Corte d'appello di Milano da fallimento Codelfa - s.p.a., rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Cristina per mandato a margine dell'atto di citazione, elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo, sito in Milano, via Fontana n. 4, attore, contro Boccaleone 167 s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Vittorio Pellegatta per mandato in calce alla copia notificata dall'atto di citazione, elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo, sito in Milano, via Manzoni n. 14, convenuto, ha pronunciato la seguente ordinanza. Il fallimento Codelfa s.p.a. e' stato dichiarato con sentenza del 27 dicembre 1984; in precedenza, la societa' era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con decreto del 12 luglio 1983 e, prima ancora, alla procedura di amministrazione controllata con decreto del 28 luglio 1982. Il curatore, con atto di citazione notificato il 4 ottobre 1989, previa autorizzazione del giudice delegato, conveniva in giudizio la Boccaleone 167 s.r.l., chiedendo la revoca, ai sensi dell'art. 67 l.f., di pagamenti eseguiti a favore della convenuta per complessive L. 230.000.000 eseguiti, in adempimento di un accordo transattivo, nel periodo ottobre 1981-gennaio 1982, ovvero nell'anno anteriore all'ammissione della prima procedura, quando la controparte ormai ben conosceva lo stato d'insolvenza del debitore. La societa' convenuta si costituiva in giudizio contestando il fondamento di fatto e di diritto della pretesa avversa, per mancanza dei presupposti oggettivi e soggettivi dell'azione revocatoria previsti dalla legge; in via subordinata, chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa per manleva la Generalfin S.p.a., che aveva garantito parte dei pagamenti. Le parti formulavano istanze istruttorie, ma il g.i., ritenuta la causa matura per la decisione, invitava le parti a precisare le conclusioni. Sulle conclusioni rassegnate all'udienza del 4 ottobre 1993 conformemente alle posizioni espresse negli atti introduttivi, la cuasa veniva rimessa al Collegio per la discussione all'udienza sopra indicata. Ai fini del decidere, si pone il problema del termine dal quale computare il periodo di esperibilita' dell'azione revocatoria fallimentare nel caso di consecuzione tra amministrazione controllata e fallimento. L'attore chiede infatti la revoca dei pagamenti effettuati dalla fallita sul presupposto della loro anteriorita' infrannuale rispetto, non gia' alla dichiarazione di fallimento, bensi' alla prima procedura concorsuale alla quale e' stata sottoposta la Codelfa s.p.a. Detta impostazione e' conforme ad una solida tradizione giurisprudenziale, rispetto alla quale questo Tribunale ha assunto da tempo un atteggiamento rispettosamente dissenziente (da ultimo, cfr. sent. 16 settembre 1993 in Foro it. 1994, I, 1808), che e' rimasto tuttavia avversato dalla Corte di cassazione, la quale ha sempre costantemente ribadito la validita' dell'interpretazione tradizionale della consecutio nella prospettiva della revocatoria fallimentare. Tanto appare irremovibile l'atteggiamento interpretativo della Suprema Corte, che si puo' ben dire abbia dato luogo ad un "diritto vivente" secondo il quale l'art. 67 l.f. e' come se fosse scirtto: " .. agli atti compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, o all'ammissione della procedura di amministrazione controllata nel caso di consecuzione". In tale formulazione sostanziale della norma, non appare manifestamente infondata la questione se essa violi il disposto: a) dell'art. 3 della Cost., nella parte in cui tratta in modo uguale situazioni diseguali; b) dell'art. 24 della Cost., nella parte in cui di fatto non consente al convenuto in revocatoria di eccepire la propria inscientia decoctionis; c) dell'art. 24 della Cost., nella parte in cui implica una limitazione della liberta' d'azione economica. a) In relazione all'art. 3 della Cost. La ratio della proposizione normativa sottoposta all'esame di costituzionalita' si puo' riassumere nell'affermazione per cui, quando un'impresa sia passata attraverso la procedura minore giungendo senza soluzione di continuita' al fallimento (eventualmente, come nella specie, passando attraverso il concordato preventivo), essa poteva dirsi decotta fin dall'inizio. Siffatta considerazione induce a ravvisare nelle ipotesi di consecuzione una procedura concorsuale unitaria e ominicomprensiva, che assorbe la fisionomia della procedura anteriore, facendo risalire all'ammissione della medesima gli effetti legali, o almeno alcuni degli effetti legali, tipicamente connessi alla successiva dichiarazione di fallimento. Cosi', per restare al tema in discussione, il periodo di revocabilita' dei pagamenti effettuati dal fallito viene spostato all'indietro a partire da quando l'imprenditore era stato ammesso all'amministrazione controllata. Occorre pero' domandarsi fino a che punto sia giustificato agganciare l'esperibilita' dell'azione revocatoria ad un contesto fattuale nettamento diverso dal fallimento, qual'e' quello in cui interviene la procedura minore menzionata. A parere del Collegio, l'estensione della normativa prevista per il fallimento ad una situazione appositamente differenziata dalla legge si pone in contrasto con l'art. 3 della Cost., giacche', com'e' noto, il principio d'uguaglianza non vale soltanto a rendere uniforme il trattamento di situazioni uguali, ma anche a rendere difforme il trattamento di situazioni diseguali. Comparando i presupposti di fatto dell'amministazione controllata con quelli del fallimento, al di la' del comune e generico, quanto ovvio, riferimento alla crisi dell'impresa, si colgono delle marcate peculiarita', che costringono ad associare i due strumenti concorsuali ad una fenomenologia economica nettamente difforme: mentre la procedura di amministrazione controllata e' volta al risanamento dell'impresa attraverso il superamento di una situazione di temporanea difficolta' ad adempiere (art. 187 l.f.), il fallimento sanziona l'irreversibilita' del dissesto. Per quanto possa giudicarsi semplicistico il richiamo alla definizione letterale, la stessa ragione d'esistenza della procedura minore, piu' di ogni disquisizione sulla natura dell'insolvenza, suggerisce che essa deve necessariamente affondare le proprie radici in una realta' non assimilabile a quella del fallimento. Invero, se non esistesse una disomogeneita', non avrebbe nemmeno senso la valutazione giudiziale che e' tenuta ad individuarla per contrapposizione alla decozione. Senza ravvisare comprovate possibilita' di risanamento e transitorieta' della crisi, il Tribunale non puo' ammettere l'impresa al beneficio della procedura minore, ma deve dichiarare il fallimento; cio' rende chiaro, per converso, che il decreto di ammissione all'amministrazionecontrollata assume il significato sostanziale di un accertamento negativo sull'irreversibilita' dell'insolvenza. La funzione assegnata alla procedura minore dalla legge, oltreche' il contenuto della pronuncia che vi da' ingresso, pertanto, costringono ad associare all'amministrazione controllata una caratterizzazione dell'insolvenza distinta e persino alternativa a quella propria del fallimento, che si potrebbe scolpire nella dicotomia sanabile/insanabile. Sullo specifico terreno della revocatoria, l'irriducibilita' ora segnalata non potrebbe delinearsi in modo piu' netto, giacche' l'amministrazione controllata, postulando il ripristino della normale solvibilita' dell'impresa all'esito della moratoria, non concepisce nemmeno la lesivita' dai pagamenti anteriori e dunque non prevede, di per se', alcuno strumento volto a ripristinare la par condicio creditorum in relazione a simili evenienze. E' superfluo ricordare che la revocatoria non e' esperibile nel corso dell'amministrazione controllata, ma solo ed esclusivamente col seguente fallimento, sicche' la disciplina della consecutio, cosi' come s'e' venuta delineando nel diritto vivente, non comporta l'estensione dello strumento revocatorio al caso dell'amministrazione controllata, ma si limita a proiettare all'indietro il periodo sospetto tipico del fallimento. Cosi' facendo, la disciplina della consecutio colloca paradossalmente la presunzione dell'insolvenza fallimentare laddove doveva risultarne comprovata l'assenza. Le brevi osservazioni sopra condotte in ordine ai diversi profili delle due procedure e dell'accertamento giudiziale che rispettivamente vi da' ingresso sembrano avvalorate da una riflessione sul ruolo assunto dai creditori nel contesto della procedura minore. Invero, mentre il fallimento puo' essere dichiarato d'ufficio, a tutela di un preminente interesse pubblico, l'ammissione alla procedura di amministrazione controllata risponde essenzialmente agli interessi del debitore e dei soggetti immediatamente coinvolti dalla prosecuzione della sua attivita'. Coerentemente, le valutazioni dell'organo di giustizia intervengono in un procedimento entro il quale risulta indispensabile il consenso, non solo del debitore, che deve chiedere il beneficio, ma anche dei creditori, che devono approvare la particolare soluzione concorsuale (artt. 118 e n. 3 e 189 l.f.) alla crisi dell'imprenditore. Il peso determinante assunto dalla volontaria adesione dei creditori avvicina la logica dell'amministrazione controllata a quella degli accordi stragiudiziali tra l'impresa in crisi ed il ceto creditorio, la cui frequenza ed importanza e' ampiamente dimostrata dalla recente cronaca economica. Gli approcci di questo tipo alla patologia della vita aziendale si sviluppano solitamente attraverso una trattativa preliminare coi maggiori creditori e si definiscono poi, in varie forme, sotto la veste di un pactum de non petendo, al quale aderiscono i rimanenti creditori, o comunque la maggioranza di essi, in modo da consentire all'imprenditore di fronteggiare anche le posizioni di coloro che restano dissenzienti. A ben vedere, lo strumento dell'amministrazione controllata appartiene alla stessa fenomenologia generale: analoghi sono i conflitti d'interesse coinvolti ed analoga e' la volonta' che li risolve, benche' l'accordo in cui detta volonta' si manifesta venga raggiunto entro lo schema di una procedura confezionata dalla legge e sorvegliata dall'autorita' giudiziaria; cio' che consente al debitore di ottenere subito e, per cosi' dire, "coattivamente" l'effetto sospensivo della esigibilta' dei crediti, ma non elimina la necessita' di una convergenza di volonta' sulla proposta formulata dal debitore, in quanto tale effetto resta pur sempre sottoposto alla condizione risolutiva di una rapida (il termine e' di 30 gg.) approvazione dei creditori. Rivalutando la valenza dell'aspetto volontaristico del procedimento, l'essenza della valutazione giudiziale che da' luogo alla procedura minore potrebbe cogliersi non tanto in una prognosi fausta sulla sorte dell'impresa, che dipendera' in buona parte dalla fiducia che vorranno accordarvi i creditori, quanto proprio nell'accertamento negativo sopra cennato circa lo status decoctionis, ovvero circa l'assenza di impellenti ragioni tali da imporre l'espulsione dal mercato dell'impresa ormai irrimediabilmente decotta (tale clausola di salvaguardia si perpetua, dopo il voto favorevole dei creditori, nella disposizione dell'art. 192 l.f.). Non e' il caso di approfondire in questa sede la similitudine proposta: se e' facile immaginare le obiezioni che vi si possono muovere, non e' certo impossibile trovare esaurienti risposte, come ha messo in luce quella recente dottrina che e' giunta a configurare l'amministrazione controllata alla stregua di un pactum de non petendo di diritto positivo. Apprezzando anche solo in parte tale impostazione, non puo' non accentuarsi l'impressione di lontananza tra la situazione del fallimento e quella dell'amministrazione controllata: cosi' come l'esistenza di un pactum di diritto comune tra il debitore ed il ceto creditorio dossolve l'insolvenza, poiche' rivela la fiducia di cui gode l'imprenditore, la stessa conclusione puo' essere accolta nel caso dell'amministrazione controllata. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare tutto sommato sterile continuare a discutere se la temporanea difficolta' sia di per se' insolvenza dal punto di vista strettamente economico, inteso come un termine di riferimento assoluto e scientificamente misurabile, quando invece il dato economico appare largamente influenzato dall'esistenza o meno della volonta' dei creditori di concedere fiducia (e dunque credito) all'imprenditore in difficolta', valutandone discrezionalmente le potenzialita' di ripresa. La situazione di fatto sottostante all'amministrazione controllata, dunque, risulta in questa prospettiva irriducibile al fallimento, non solo perche' l'inesistenza della decozione costituiva un requisito preliminare della procedura minore, ma perche' l'atteggiamento favorevole dei creditori ribadisce nei fatti l'inesistenza della decozione. Orbene, se il legislatore ha architettato le due procedure secondo strutture e funzioni nettamente differenziate ed ha inteso associare il rimedio della revocatoria al solo contesto del fallimento, appare del tutto irragionevole, alla luce dell'art. 3 della Cost., che i limiti temporali di esperibilita' dell'azione in caso di consecuzione siano invece agganciati al contesto dell'amministrazione controllata, la quale e' istituzionalmente rivolta al ritorno in bonis dell'impresa e dunque tende ad uno sbocco palesemente contraddittorio con l'esistenza di una presunzione oggettiva d'insolvenza durante il periodo che la precede. b) In relazione all'art. 24 della Cost. Mentre l'esistenza oggettiva dello stato d'insolvenza durante il periodo sospetto e' presunta dalla legge, l'elemento soggettivo dell'azione revocatoria dev'essere dimostrato, com'e' noto, attraverso un'indagine di fatto; non rileva, a questo proposito, quale sia la collocazione dell'onere della prova (a seconda che si verta nell'ipotesi del primo o del secondo comma dell'art. 67 l.f.), ne' la natura concreta del mezzo di prova impiegato (eventualmente la presunzione indiziaria). Gli estremi della rappresentazione mentale che costituisce l'elemento soggettivo dell'azione (in termini penalistici si direbbe l'oggetto del dolo) sono incontestabilmente i connotati dell'insolvenza propri del fallimento, giacche', come abbiamo detto, anche in caso di consecuzione, e' solo dal susseguente fallimento che scaturisce la revocatoria. Nella concatenazione tra procedure emerge subito un problema di allineamento tra la retrodatazione della presunzione oggettiva dell'insolvenza fallimentare e la conoscenza effettiva dell'insolvenza medesima da parte di colui che riceve il pagamento. Il confronto tra la natura presuntiva del primo requisito e la natura realmente probatoria dell'accertamento sul secondo requisito evidenzia una incompatibilita', che reca inevitabilmente una distorsione processuale. Invero, l'esistenza di una presunzione iuris et de iure sul lato oggettivo inibisce al convenuto in revocatoria la difesa piu' elementare ed efficace sul lato soggettivo, non consentendogli di eccepire l'inesistenza della base materiale della supposta scientia decoctionis. Il contrasto tra la presunzione e la realta', come emerge dalle considerazioni sviluppate nel paragrafo precedente, laddove si e' messa in mostra la differenza tra il contesto fattuale dell'amministrazione controllata e quello del fallimento, conduce pertanto ad un'indebita ed ingiustificata compressione del diritto di difesa in sede processuale. Per comprendere la gravita' con cui si manifesta tale lesione, occorre considerare che, com'e' noto, l'oggetto del dolo e' il fatto e non il giudizio sul fatto. Il substrato della scientia decoctionis e' quindi costituito da quella stessa situazione economica dell'impresa alla quale la legge (nell'interpretazione costante della Corte di cassazione) associa automaticamente, ovvero con un giudizio presuntivo, l'insolvenza. Ma il creditore che riceve il pagamento conosce inevitabilmente per quella che e', almeno in qualche misura, la situazione economica del debitore, sicche', quando l'accipiens viene convenuto in revocatoria, si vede costretto a scegliere tra il seguente dilemma: o negare ipocritamente di aver conosciuto la realta' dell'impresa con cui intratteneva rapporti d'affari, oppure ammettere onestamente di averla conosciuta, sostenendo tuttavia di non aver ravvisato l'insolvenza, bensi' una temporanea difficolta'. Quest'ultima scelta difensiva, peraltro, benche' appaia piu' corretta, si traduce in una vana proclamazione, che cozza inesorabilmente contro il giudizio presuntivo imposto a posteriori dalla legge. Una vicenda esemplare, che aiuti a comprendere la scomoda posizione in cui si viene a trovare il convenuto in revocatoria, potrebbe essere sintetizzata come segue: Tizio riceve il pagamento; il Tribunale ammette il debitore all'amministrazione controllata, all'esito di un'istruttoria con la quale accerta che non esiste decozione, ma soltanto temporanea difficolta' dell'impresa; il commissario giudiziale redige una relazione sulla situazione patrimoniale del debitore, che conferma la valutazione del Tribunale; i creditori accettano, votando a favore dell'amministrazione controllata, la moratoria sui propri crediti e cosi' mostano fiducia nel debitore; sopraggiunge infine il fallimento e Tizio si vede revocato il pagamento perche' la sua conoscenza in allora dello stato d'insolvenza appare dimostrata dagli stessi fatti ampiamente conosciuti ed analizzati successivamente dal Tribunale, dal commissario giudiziale e dall'adunanza dei creditori, che pure avevano escluso l'insolvenza fallimentare. E' il caso di segnalare che la vicenda sopra descritta trova puntuale riscontro negli atti della presente causa. Orbene, se il presupposto di fatto dell'amministrazione controllata e' diverso da quello del fallimento, sovrapporre presuntivamente e retroattivamente la condizione fallimentare a quella propria della procedura minore significa fatalmente, non solo omologare cio' che e' diverso, ma anche impedire di contestare l'omologazione sotto il profilo della valutazione soggettiva. Ecco perche' la vicenda sopra esemplificata costituisce uno stereotipo riproducibile in tutte le cause analoghe, dove la prova della scientia decoctionis viene immancabilmente offerta ricorrendo a quegli stessi elementi (notizie di stampa, esistenza di decreti ingiuntivi, procedure esecutive, solleciti di pagamento, ecc.) gia' espressamente considerati dagli organi giudiziali e dalla massa dei creditori, che avevano a loro tempo ammesso, condiviso e votato la procedura di amministrazione controllata, ritenendo temporanea la crisi economica dell'impresa e comprovate le possibilita' di risanamento, con cio' implicitamente riconoscendo, tra l'altro, la non lesivita' dei pagamenti anteriori. In sostanza, la conoscenza di quei fatti che all'epoca del pagamento non potevano per definizione rendere l'accipens consapevole della lesione alla par condicio, viene successivamente intesa come consapevolezza della lesione, trasfigurando per mezzo di una nuova valutazione puramente normativa la stessa condizione psicologica fatturale. L'interversone a posteriori del semplice disvalore del fatto, anziche' la prova di una percezione conoscitiva effettivamente diversa e piu' grave di quella originariamente connessa alla situazione dell'amministrazione controllata, rende del tutto fittizia e minorata la difesa in punto di elemento soggettivo dell'azione revocatoria. c) In relazione all'art. 41 della Cost. Per affrontare l'ultimo, forse tenue, sospetto d'incostituzionalita' della disciplina della consecutio, occorre esaminare gli effetti indiretti che si innescano con le prime avvisaglie di difficolta' dell'impresa nei comportamenti dei creditori, i quali, normalmente, sono a loro volta imprenditori. E' facile immaginare che il timore di revoca degli atti e dei pagamenti agisce come un deterrente al compimento dello scambio economico secondo la pura convenienza di mercato, inducendo l'operatore che fornisce beni o servizi all'impresa, se non a rinunciare o interrompere del tutto il rapporto, a restringere anzitempo il credito concesso all'impresa in crisi, con cio' contribuendo a farla prematuramente collassare verso il fallimento. L'operatore che avverte di poter al momento concludere positivamente uno scambio, ma teme che questo possa essere successivamente reso inefficace a suo danno, presumibilmente evitera' tale rischio astenendosi dal contratto: l'efficienza del mercato viene in tal modo compromessa dall'esistenza di una regola giuridica, che indubbiamente indice sulla liberta' di scelta dei consociati. Si tratta ora di stabilire se tale inibizione sia giustificata dall'esistenza di altri interessi meritevoli di tutela. Torna al riguardo in considerazione, ancora una volta, la differenza tra stato d'insolvenza e condizione di temporanea difficolta' dell'impresa, quale presupposto dell'amministrazione controllata. E' noto che il pagamento rappresenta un atto doveroso, che puo' essere omesso dal debitore e rifiutato dal creditore unicamente in un contesto del tutto straordinario: quello della impotenza economica complessiva dell'impresa; viceversa, cio' costituirebbe un illecito, un turbamento delle regole della negoziazione. Il comportamento di colui il quale riceve un pagamento non puo' dunque essere contrassegnato da disvalore davanti alla semplice difficolta' temporanea del debitore, situazione che, sia sul piano della legittimita', sia sul piano della opportunita', non giustifica, da un lato, l'astensione dai pagamenti e, dall'altro, la restrizione totale del credito. Non sussiste pertanto un interesse giuridicamente apprezzabile a dilatare a ridosso dell'amministrazione controllata l'incertezza sulla sorte dei rapporti anzitempo definiti dall'imprenditore, con cio' alterando prematuramente e dannosamente i comportamenti dei suoi interlocutori. Se, in una lettura sufficientemente aperta degli interessi tutelati dall'art. 41 della Cost., si vogliono ricomprendere nella sfera di protezione di tale norma tutte le liberta' d'azione volte ad ottimizzare l'efficienza dello scambio economico, la cui compressione non risulta razionalmente necessitata da una ben individuata utilita' sociale, appare legittimo il sospetto che la disciplina della revocatoria in caso di consecuzione tra amministrazione controllata e fallimento si ponga in contrasto con detta norma costituzionale. In presenza dei vari dubbi di costituzionalita' sopra evidenziati, che attengono alla regola di diritto determinante ai fini del presente giudizio, si impone la sospensione del medesimo in attesa di una decisione in proposito da parte della Corte costituzionale. La presente ordinanza va notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei deputati.
P. Q. M. Il tribunale di Milano, sezione seconda civ., nella causa in epigrafe indicata, ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disciplina dell'azione revocatoria (art. 67 della l.f.) in caso di consecuzione tra amministrazione controllata e fallimento, per violazione degli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione dispone: 1) la sospensione del presente giudizio; 2) la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione; 3) la notificazione della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri; 4) la comunicazione della presente ordinanza ai Presidente del Senato e della Camera dei deputati. Milano, addi' 6 ottobre 1994 Il presidente: MELI 95C0236