N. 52 SENTENZA 8 - 20 febbraio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Continuazione  di  reati   -   Connessione   fra
 procedimenti per reati commessi da imputato minorenne successivamente
 colpevole  di  reati da maggiorenne con conseguente devoluzione della
 competenza al tribunale per i minorenni dei procedimenti in tal  modo
 connessi  -  Omessa  previsione  -  Separazione  delle  procedure non
 ostativa all'applicazione del criterio  del  cumulo  giuridico  delle
 pene da parte del giudice dell'esecuzione - Non fondatezza.
 
 (C.P.P.,  art. 14, secondo comma; legge 16 febbraio 1987, n. 81, art.
 3, primo comma, lett.  a)).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.9 del 1-3-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco   GUIZZI,   prof.   Cesare   MIRABELLI,  prof.  Fernando
    SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
    Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 2,
 del codice di procedura penale e dell'art. 3, comma  1,  lettera  a),
 della  legge  16  febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo
 della Repubblica per  l'emanazione  del  nuovo  codice  di  procedura
 penale),  promosso  con ordinanza emessa il 15 marzo 1994 dal Giudice
 per le indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di  Perugia  nel
 procedimento  penale  a  carico  di  Ginocchietti  Claudio  ed altri,
 iscritta al n. 320 del registro ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  23, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nell'ambito di un procedimento a carico di cinque imputati  di
 violenza  carnale  concretatasi  in tre episodi commessi nell'arco di
 circa un mese in unicita' di disegno criminoso,  il  Giudice  per  le
 indagini preliminari presso il Tribunale di Perugia, premesso che due
 degli  imputati  erano  stati  gia'  sottoposti a procedimento penale
 avanti al Tribunale dei minorenni relativamente  al  primo  episodio,
 verificatosi  quando  essi  non  avevavo  ancora raggiunto i diciotto
 anni,  e  che  ora  i  medesimi  dovevano  essere  giudicati,   quali
 maggiorenni,  relativamente  agli altri due episodi, ha sollevato, in
 riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 14, comma 2, cod. proc. pen., e dell'art.
 3,  comma  1, lettera a), della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81,
 "nella parte in cui non prevedono che, nel  caso  previsto  dall'art.
 12,  lett. b), cod. proc. pen., la connessione operi tra procedimenti
 per i  reati  commessi  quando  l'imputato  era  minorenne  e  quando
 l'imputato era maggiorenne".
    Il  giudice  remittente  osserva  che il comma 2 dell'art. 14 cod.
 proc. pen., in ossequio alla  citata  direttiva  della  legge-delega,
 prevede,   appunto,   la   non  operativita'  della  connessione  tra
 procedimenti per reati commessi  dallo  stesso  imputato  quando  era
 minore  e quando era maggiore degli anni diciotto. Tale disposizione,
 tuttavia,  contrasterebbe  con  i  principi  di  uguaglianza   e   di
 ragionevolezza  (art. 3 della Costituzione) nonche' con il diritto di
 difesa (art. 24 della Costituzione).
    Sotto  il  primo  profilo,  si  rileva  che  se  si  parte   dalla
 considerazione  che  il  processo  a  carico  di imputati che abbiano
 commesso i fatti quando essi erano infradiciottenni ha  finalita'  di
 tutela  dei diritti del minore, di reinserimento e di recupero, e che
 la specificita' delle norme processuali e sostanziali applicabili  ai
 minorenni   ha   imposto   la  creazione  di  un  giudice  ad  hoc  e
 l'applicazione di  istituti  centrati  sulle  particolari  condizioni
 psicologiche  del  minore,  "non  si  vede quale ragionevolezza possa
 consentire che in relazione a quel medesimo soggetto, le cui esigenze
 di  tutela e le cui condizioni psicologiche naturalmente non cambiano
 a  secondo  della  sede  processuale,  si  applichino  poi  le  norme
 ordinarie per fatti commessi da maggiorenni".
    Tale  considerazione, si precisa, riguarda naturalmente non i casi
 di  connessione  meramente  soggettiva  ma  quello   di   connessione
 derivante  da  continuazione  ex art. 12, comma 1, lettera b), ultima
 ipotesi, cod. proc. pen., il solo ad assumere rilevanza nel  presente
 procedimento: il disegno criminoso unitario che lega i fatti commessi
 prima  e dopo il compimento dei diciotto anni e' maturato nel caso in
 esame  quando  il  soggetto  era  minorenne,  sicche'  la  previsione
 dell'art.  14,  comma  2,  appare  del tutto irragionevole, in quanto
 disancorata dal dato fattuale e dalle effettive  esigenze  di  tutela
 del soggetto.
    Da   cio'   consegue   che  tutto  il  complesso  degli  strumenti
 processuali e sostanziali previsti per il minorenne  viene  di  fatto
 vanificato  per  il  contemporaneo assoggettamento dell'imputato a un
 procedimento penale condotto secondo il rito  ordinario,  e  cio'  in
 palese  dissonanza  con  le Regole minime per l'amministrazione della
 giustizia minorile enunciate dall'Assemblea generale dell'O.N.U.  nel
 1985  (c.d.  "Regole  di  Pechino"), tese ad evitare i pregiudizi che
 possono  derivare  al  minore  dal  contatto  con  l'apparato   della
 giustizia e dall'ingresso nel circuito penale.
    Le  norme impugnate, inoltre, contrasterebbero con l'art. 24 della
 Costituzione, per il pregiudizio al diritto di  difesa  dell'imputato
 "cui viene negata una unitaria valutazione dei fatti".
    Precisa  da  ultimo  il  remittente  che, tenuto anche conto della
 sentenza della Corte costituzionale n. 22 (recte, n. 222)  del  1983,
 "la  soluzione  normativa  che  si  prospetta come praticabile non e'
 quella dell'attrazione presso il giudice ordinario  dei  procedimenti
 per  reati  commessi  quando  l'imputato  era  minorenne,  ma  quella
 esattamente contraria".
    2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e
 comunque infondata.
    Nell'atto di intervento si osserva che la sommaria esposizione dei
 fatti  del  procedimento,  risultante dall'ordinanza, non consente di
 verificare la  sussistenza  nella  fattispecie  dell'unitarieta'  del
 disegno  criminoso,  dal  che  consegue l'impossibilita' per la Corte
 costituzionale di controllare la rilevanza della questione.
    Nel merito, si nega che  l'art.  14,  comma  2,  cod.  proc.  pen.
 contrasti  con  l'art.  3  della  Costituzione,  considerato  che  al
 soggetto minore  e'  assicurata  l'applicabilita'  della  particolare
 disciplina   sul   processo  minorile,  essendo  ragionevole  che  al
 maggiorenne,  pur  se  imputato  di  reati  inquadrabili  nell'ambito
 dell'unitarieta' di disegno criminoso insieme ad altri fatti commessi
 da  minorenne, sia applicata l'ordinaria disciplina: tale unitarieta'
 di disegno  criminoso,  infatti,  sarebbe  "interrotta"  proprio  dal
 raggiungimento della maggiore eta'.
    Ne',  secondo  la  difesa del Governo, puo' essere ravvisato alcun
 contrasto con l'art. 24 della Costituzione,  atteso  che  l'imputato,
 una  volta  divenuto maggiorenne, "potra' difendersi con tutti quegli
 strumenti che l'assetto normativo mette a disposizione  di  qualsiasi
 soggetto che abbia raggiunto i 18 anni di eta'".
                        Considerato in diritto
   1.  - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Perugia dubita del contrasto con gli artt. 3 e 24 della  Costituzione
 dell'art.  14,  comma  2,  cod.  proc.  pen.  e dell'art. 3, comma 1,
 lettera a), della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81,  nella  parte
 in  cui  non  prevedono che, nel caso di continuazione di reati (art.
 81, secondo comma, cod. pen.), contemplato  dall'art.  12,  comma  1,
 lettera  b),  cod.  proc. pen., la connessione operi fra procedimenti
 per reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti per
 reati commessi quando il medesimo era  maggiorenne,  con  devoluzione
 alla competenza del Tribunale per i minorenni dei procedimenti in tal
 modo connessi.
    Secondo  il  giudice  remittente  la  concomitante  competenza del
 Tribunale per i minorenni e del Tribunale ordinario per  i  reati  in
 continuazione, non riducibile nell'ambito di un simultaneus processus
 innanzi   al   primo   di  tali  organi  proprio  per  effetto  delle
 disposizioni impugnate, puo' ritenersi contrastare, in  primo  luogo,
 con  l'art.  3 della Costituzione, sotto il profilo sia del principio
 di uguaglianza  sia  del  principio  di  ragionevolezza,  in  quanto,
 trattandosi  di  fatti  commessi in unitarieta' di disegno criminoso,
 tutto il complesso degli strumenti processuali e sostanziali previsti
 per il minorenne  verrebbe  a  essere  di  fatto  vanificato  per  il
 contemporaneo  assoggettamento dell'imputato a un procedimento penale
 condotto secondo il rito ordinario.
    Sarebbe  inoltre  leso  l'art.  24  della  Costituzione,  per   il
 pregiudizio  al diritto di difesa dell'imputato, cui verrebbe "negata
 una unitaria valutazione dei fatti".
    2. - Va preliminarmente rigettata l'eccezione di  inammissibilita'
 sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato.
    Il giudice a quo assume che tra i vari episodi di violenza carnale
 commessi  nell'arco  di circa un mese in danno della medesima persona
 sia ravvisabile il vincolo della continuazione. E, non rientrando nei
 poteri della Corte sindacare una  simile  valutazione,  la  questione
 deve ritenersi rilevante.
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    In  virtu'  della  previsione legale che collega il raggiungimento
 della maggiore eta' al compimento dei diciotto anni, deve  presumersi
 che,  nella  realizzazione  di  ogni  fatto-reato, il soggetto agente
 versi in una dimensione psicologica che e' quella propria dello  sta-
 tus  (minorenne  o  maggiorenne)  che  la legge, ratione aetatis, gli
 riconosce, sicche' non e' irragionevole ne' lesivo del  principio  di
 uguaglianza  o  del  diritto di difesa che, delle condotte realizzate
 con la maturita' del maggiorenne, egli risponda penalmente secondo le
 norme sostanziali e processuali proprie degli adulti.
    Tale conclusione non e' messa in crisi qualora i vari  fatti-reato
 siano   stati   realizzati  in  esecuzione  di  un  medesimo  disegno
 criminoso. Anche se si accoglie la concezione piu'  rigorosa  secondo
 la  quale  perche'  sussista  il  reato continuato occorre che i vari
 fatti devono essere stati tutti previsti, programmati e deliberati in
 via preliminare dall'autore come elementi  costitutivi  di  un  piano
 unitario,  cio' non toglie che ogni fatto facente parte del programma
 criminoso deve essere assistito dal momento  volitivo,  che  si  pone
 autonomamente,  di  volta  in volta, nella realizzazione concreta dei
 singoli episodi.
    D'altra  parte  non  e'  in  via  di principio indifferente che il
 soggetto, per una parte degli episodi, sia assoggettato agli istituti
 minorili, in quanto il trattamento penale complessivo ben puo' essere
 influenzato dagli istituti di favore  (ad  esempio,  irrilevanza  del
 fatto,  messa  alla  prova, perdono giudiziale, diminuente ex art. 98
 cod.pen.) che caratterizzano il sistema  penale  minorile.  In  altri
 termini,  non  puo'  dirsi  nemmeno  del  tutto  rispondente  al vero
 l'affermazione  del  giudice  a  quo  secondo  cui  questi   istituti
 sarebbero completamente "vanificati" dalla contemporanea applicazione
 degli istituti processuali e sostanziali previsti per gli adulti.
    A  cio'  va  aggiunto  che  la  separazione  delle  procedure  non
 impedisce,  ovviamente,  che,   sussistendo   i   presupposti   della
 continuazione  di  reati,  si  faccia  applicazione  del criterio del
 cumulo giuridico delle pene ex art. 81 cod.  pen.,  eventualmente  da
 parte  del giudice della esecuzione, a norma dell'art. 671 cod. proc.
 pen.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  14, comma 2, del codice di procedura penale e dell'art. 3,
 comma 1, lettera a), della legge 16  febbraio  1987,  n.  81  (Delega
 legislativa  al  Governo  della Repubblica per l'emanazione del nuovo
 codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso
 il Tribunale di Perugia con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1995.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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