N. 60 SENTENZA 20 - 24 febbraio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Interrogatorio  a cura della polizia giudiziaria
 effettuato su delega del p.m. - Possibilita' di  dare  lettura  delle
 dichiarazioni  rese  dall'imputato  -  Omessa  previsione  - Assoluta
 irragionevolezza  della  disparita'  di   disciplina   basata   sulla
 distinzione  tra atti compiuti direttamente dal p.m. e atti da questo
 delegati alla polizia  giudiziaria  -  Richiamo  alla  giurisprudenza
 della  Corte  in  materia  (v.  ordinanza  n.  176/1993 e sentenza n.
 476/1992) - Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.P.P., art. 513, primo comma)
 
(GU n.9 del 1-3-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Ugo SPAGNOLI;
 Giudici: prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
    Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI,  dott.  Renato
    GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
    Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.  Massimo  VARI,
    dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 513 del codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa  il  19  novembre
 1993  dal  Tribunale  di  Marsala nel procedimento penale a carico di
 Cottonaro Massimo, iscritta al n. 251 del registro ordinanze  1994  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 20, prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio dell'8 febbraio 1995 il Giudice
 relatore Mauro Ferri.
                            Cenno del fatto
    1. - Con ordinanza del 19 novembre 1993, il Tribunale  di  Marsala
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
 all'art.  3 della Costituzione, dell'art. 513 del codice di procedura
 penale, nella parte in  cui  non  prevede  la  possibilita'  di  dare
 lettura   delle   dichiarazioni   rese   dall'imputato  alla  polizia
 giudiziaria in sede di interrogatorio da questa effettuato su  delega
 del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 370 del codice medesimo.
    Premesso  che il pubblico ministero ha chiesto darsi lettura delle
 dichiarazioni rese dall'imputato  contumace  ai  Carabinieri  che  lo
 avevano  interrogato  su  delega del procuratore della Repubblica, il
 giudice remittente osserva che la disciplina posta dall'art. 513  del
 codice di procedura penale, secondo cui e' possibile la lettura delle
 sole dichiarazioni rese dall'imputato contumace o assente al pubblico
 ministero  o  al  giudice per le indagini preliminari, con esclusione
 della possibilita' di utilizzare l'interrogatorio reso  dal  medesimo
 alla  polizia  giudiziaria, anche quando essa abbia operato su delega
 del pubblico ministero, non appare sorretta da alcuna giustificazione
 razionale: cio' in quanto la polizia giudiziaria,  quando  procede  a
 norma  dell'art.  370  del  codice  di procedura penale, quale organo
 delegato, e' tenuta ad osservare tutte le prescrizioni  che  regolano
 l'interrogatorio  diretto del pubblico ministero, ivi comprese quelle
 che impongono la contestazione  degli  elementi  esistenti  a  carico
 dell'indagato  e  la  precisazione  delle fonti di prova emerse a suo
 carico.
    D'altro canto, prosegue il giudice a quo, tale  disciplina  stride
 con quella posta dall'art. 503, quinto comma, del codice di procedura
 penale,  che, mediante il meccanismo delle contestazioni, consente la
 utilizzazione delle dichiarazioni in  precedenza  rese  dall'imputato
 presente.
    Inoltre,  essendo  comunque  riferibile  all'ufficio  del pubblico
 ministero l'interrogatorio  raccolto  su  sua  delega  dalla  polizia
 giudiziaria,   non  si  comprende  perche',  in  caso  di  assenza  o
 contumacia  dell'imputato,  si  possa   dare   lettura   delle   sole
 dichiarazioni da esso rese direttamente al pubblico ministero.
    Cio'  comporta,  ad  avviso  del  remittente,  in primo luogo, una
 irragionevole disparita' di trattamento tra imputati che si  trovano,
 sostanzialmente,   nella  medesima  posizione  processuale:  infatti,
 quello  che  ha  reso  le  precedenti  dichiarazioni   alla   polizia
 giudiziaria  su  delega  del  pubblico ministero potra' impedire, con
 l'assenza o la  contumacia,  l'utilizzabilita'  di  esse,  mentre  lo
 stesso  risultato  non  potra'  essere  conseguito dall'altro, il cui
 interrogatorio sia stato raccolto direttamente dallo  stesso  ufficio
 del  pubblico  ministero. Inoltre, la norma impugnata determina anche
 una discriminazione della pubblica accusa rispetto  alla  difesa,  in
 ordine  all'acquisizione  ed  utilizzazione  delle prove, consentendo
 all'imputato, dopo aver reso dichiarazioni confessorie  nel  rispetto
 delle  garanzie  previste per gli interrogatori dinanzi all'autorita'
 giudiziaria, di evitarne la utilizzazione rendendosi contumace.
    2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    Osserva   l'Avvocatura   che   l'interpretazione  della  normativa
 impugnata fornita dal giudice a  quo  non  appare  condivisibile,  in
 quanto  si  sofferma  sul  solo dato testuale della norma (che non fa
 espresso  riferimento  all'interrogatorio  effettuato  dalla  polizia
 giudiziaria) e non alla sostanza giuridica di tale disposizione.
    Infatti,  l'interrogatorio  compiuto  dalla polizia giudiziaria su
 delega del pubblico ministero, svolgendosi con le medesime  modalita'
 garantistiche  di  quello  condotto  dall'autorita'  giudiziaria,  e'
 senz'altro equiparabile a quest'ultimo e ne puo' quindi  essere  data
 lettura,  ricorrendone  le  altre  condizioni  di  legge.  La mancata
 espressa previsione nell'art. 513 si spiega,  conclude  l'Avvocatura,
 da un lato, in quanto la questione e' risolvibile interpretativamente
 sulla  base  degli ordinari principi in tema di delega e di attivita'
 delegata  e,  dall'altro,  poiche'  la   possibilita'   di   delegare
 l'interrogatorio  e'  stata  introdotta  solo con il decreto legge n.
 306/92, che ha modificato l'art. 370 del codice di procedura penale.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale di Marsala  solleva  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  513  del  codice  di  procedura penale, in
 quanto,  nel  disporre  che  sia  data  lettura  dei  verbali   delle
 dichiarazioni  precedentemente rese dall'imputato (contumace, assente
 o che si rifiuti di sottoporsi all'esame) "al pubblico ministero o al
 giudice", esclude analoga previsione  in  ordine  alle  dichiarazioni
 rese  alla  polizia  giudiziaria  in sede di interrogatorio da questa
 effettuato su delega del pubblico ministero, ai sensi  dell'art.  370
 del codice medesimo.
    Ad   avviso   del  remittente,  la  norma  viola  l'art.  3  della
 Costituzione, in quanto la anzidetta preclusione appare  sfornita  di
 razionale  giustificazione,  dato che l'interrogatorio compiuto dalla
 polizia giudiziaria su delega e' soggetto alle medesime  prescrizioni
 di  quello  assunto  direttamente dal pubblico ministero, al quale e'
 comunque riferibile; si  verifica,  inoltre,  una  discrasia  con  la
 disciplina di cui all'art. 503, quinto comma, del codice di procedura
 penale,  che  consente,  mediante  il meccanismo delle contestazioni,
 l'utilizzazione delle dichiarazioni rese dall'imputato presente  alla
 polizia  giudiziaria  delegata dal pubblico ministero; ne deriva, in-
 fine,  una  irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra  imputati
 (nonche',  per  gli  stessi  motivi,  tra accusa e difesa), in quanto
 quello che ha reso le dichiarazioni  alla  polizia  giudiziaria  puo'
 impedirne  -  con l'assenza, la contumacia o il rifiuto di sottoporsi
 all'esame - la lettura, mentre l'imputato che le ha rese direttamente
 al pubblico ministero non puo' conseguire analogo risultato.
    2. - Va premesso che, nell'esaminare la  questione,  questa  Corte
 ritiene   di   doversi  attenere  alla  interpretazione  della  norma
 impugnata fornita dal giudice a quo, la quale,  secondo  l'Avvocatura
 dello  Stato,  sarebbe  invece  superabile  sulla  base  dei principi
 generali in materia di atti delegati.
    Tale interpretazione, infatti, oltre a non risultare  contraddetta
 da  un  diverso orientamento giurisprudenziale, appare sorretta dalla
 formulazione della norma, soprattutto se  raffrontata,  con  indubbio
 rilievo  ermeneutico, con quella adottata nel citato art. 503, quinto
 comma, del codice di procedura penale (anch'esso  compreso  nel  capo
 relativo  all'istruzione  dibattimentale), nel quale e' espressamente
 previsto che siano acquisite nel fascicolo per  il  dibattimento,  se
 utilizzate per le contestazioni, oltre alle dichiarazioni (alle quali
 il  difensore  aveva  il  diritto  di assistere) assunte dal pubblico
 ministero, anche quelle assunte "dalla polizia giudiziaria su  delega
 del pubblico ministero".
    3.1.  Al  di  la'  del  caso  specifico  che  concerne  l'istituto
 dell'interrogatorio, la censura del remittente investe, in  generale,
 l'art.  513  (piu'  specificamente  il  primo  comma)  del  codice di
 procedura penale, in quanto determina una preclusione, in  ordine  al
 regime  di utilizzazione - mediante lettura - degli atti di indagine,
 basata sulla distinzione tra atti compiuti direttamente dal  pubblico
 ministero ed atti da questo delegati alla polizia giudiziaria.
    La  questione e' fondata sotto l'assorbente profilo della assoluta
 irragionevolezza di tale disparita' di disciplina.
    3.2. In relazione alla  medesima  disposizione  ora  di  nuovo  in
 esame,  questa  Corte,  nella  sentenza  n. 476 del 1992, ritenne che
 certamente  non  fosse  irrazionale  la  scelta  del  legislatore  di
 escludere  dalla  possibilita'  di  lettura  le sommarie informazioni
 assunte dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 350  del  codice
 di  procedura  penale:  e  cio'  in  considerazione della sostanziale
 differenza che intercorre,  sotto  l'angolo  visuale  delle  garanzie
 difensive  dell'imputato, tra tale atto e l'interrogatorio effettuato
 dall'autorita' giudiziaria, soltanto quest'ultimo dovendosi  svolgere
 secondo  le  modalita'  stabilite dall'art. 65 del codice (obbligo di
 contestare  alla  persona   sottoposta   alle   indagini   il   fatto
 attribuitole,  di  renderle  noti  gli elementi di prova a carico, di
 comunicargliene - salvo che ne  possa  derivare  pregiudizio  per  le
 indagini - le fonti, nonche' di invitare la persona stessa ad esporre
 quanto ritiene utile per la sua difesa).
    Nella  successiva  ordinanza  n. 176 del 1993, resa sulla medesima
 questione, questa Corte, nel ribadire  quanto  gia'  affermato  nella
 predetta  sentenza,  ebbe  anche  modo  di  osservare  come non fosse
 pertinente il raffronto con l'art. 503, quinto comma, del  codice  di
 procedura  penale, poiche' esso concerneva "l'interrogatorio compiuto
 dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero  ..  cioe'
 un  atto  che  non  puo'  non  essere  soggetto  - a differenza delle
 sommarie informazioni ex art. 350 - alla disciplina prevista  in  via
 generale  per  l'interrogatorio, ivi compresa pertanto quella dettata
 dall'art. 65 del codice di procedura penale".
    La  medesima  ratio  decidendi  delle  citate  pronunce,   fondata
 sull'aspetto  delle  garanzie  difensive  dell'imputato, non puo' che
 condurre, nella fattispecie ora in esame, alla opposta conclusione.
    Come  gia'  detto,  l'interrogatorio  effettuato   dalla   polizia
 giudiziaria  a  cio'  delegata  (possibilita' introdotta - per i soli
 indagati in stato di liberta' - dal decreto-legge n.  306  del  1992,
 convertito nella legge n. 356 del 1992, che ha modificato l'art. 370,
 primo  comma,  del  codice)  si  svolge,  in  conformita' ai principi
 generali in materia di attivita' delegata, con le stesse modalita' di
 quello compiuto personalmente dal  pubblico  ministero:  e'  soggetto
 anch'esso,  in  particolare, alla disciplina garantistica dettata dal
 citato art. 65, nonche'  dall'art.  364  del  codice  (relativo  alla
 nomina  del  difensore), ed e' anzi assistito dall'ulteriore garanzia
 della presenza obbligatoria del difensore (art. 370, primo comma, del
 codice di procedura penale).
    Ne deriva che risulta del tutto priva di razionale giustificazione
 una  disciplina,  quale quella in esame, che determina una disparita'
 nel regime di utilizzazione processuale tra interrogatorio diretto ed
 interrogatorio delegato, in deroga al criterio - seguito nello stesso
 codice (cfr. il citato art. 503, quinto comma) - della assimilazione,
 anche sotto tale profilo, tra atti diretti ed atti delegati.
    3.3. Le medesime considerazioni dianzi  esposte  non  possono  non
 valere  anche in ordine agli altri atti delegabili ai sensi dell'art.
 370,  primo  comma,  del  codice  di  procedura  penale  (nel   testo
 modificato  dal  decreto-legge  n.  306/92),  e,  in  particolare, al
 confronto, per il quale pure e' prevista, come  per  l'interrogatorio
 delegato   (della  cui  natura  del  resto  partecipa),  l'assistenza
 necessaria del difensore.
    In   conclusione,   deve   essere   dichiarata    l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  513,  primo comma, del codice di procedura
 penale nella parte in cui non prevede che il giudice, ricorrendone le
 condizioni, disponga  la  lettura  dei  verbali  delle  dichiarazioni
 dell'imputato   assunte  dalla  polizia  giudiziaria  su  delega  del
 pubblico ministero.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  513,   primo
 comma,  del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede
 che il giudice, ricorrendone le condizioni,  disponga  che  sia  data
 lettura  dei  verbali delle dichiarazioni dell'imputato assunte dalla
 polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1995.
                        Il Presidente: SPAGNOLI
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 24 febbraio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0264