N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 1994
N. 106 Ordinanza emessa il 22 novembre 1994 dal Tribunale di sorveglianza di Brescia sull'istanza proposta da Fettolini Domenico Pena - Condannato definitivo affetto da grave malattia psichica - Differimento dell'esecuzione della pena - Obbligo per il giudice di ordinare il ricovero in manicomio giudiziale - Impossibilita' di applicare misure diverse in caso di soggetto non pericoloso socialmente - Disparita' di trattamento rispetto agli affetti da malattia fisica - Mancata tutela della salute - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena. (C.P., art. 148). (Cost., artt. 3, 27 e 32).(GU n.10 del 8-3-1995 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza. Fettolini Domenico e' condannato definitivo, in forza di un cumulo di questo p.g. n. 82/1992 che prevede un residuo di pena pari a anni 7, mesi 5, giorni 12 di reclusione. La domanda di differimento in via provvisoria ex art. 684/II e' stata rigettata dal magistrato di sorveglianza il 6 settembre 1994 che ha trasmesso gli atti per il giudizio definitivo del Collegio. E' in atti una perizia d'ufficio 23 giugno 1994 che riferisce una situazione grave dovuta a malattia psichica, peraltro priva di obiettivita' fisica. Trattasi di grave sindrome depressiva in parte reattiva alla situazione esistenziale ed in parte supportata da una personalita' patologica borde line, che puo' presentare gravi scompensi psichici. Trattasi, pertanto, di soggetto affetto da "grave infermita' psichica" che ha bisogno di controllo continuo farmacologico e psicoterapeutico, del tutto impensabile in una struttura penitenziaria. Il Collegio osserva quanto segue: 1. - L'aumento della malattia di mente nei detenuti rende urgente una revisione del sistema del differimento dell'esecuzione penale tuttora disciplinato dagli artt. 147 n. 2 del c.p. di Rocco. La "grave infermita' fisica" comporta il differimento senza condizioni ne' prescrizioni, mentre l'"infermita' psichica" comporta il ricovero in o.p.g. e vale a dire non il ritorno in liberta', ma il passaggio da una struttura penitenziaria ad un'altra e niente piu'. Per il malato di mente, con l'abolizione degli Ospedali Psichiatrici civili, attuata con la legge n. 180, la situazione e' addirittura peggiorata, perche' il giudice - almeno nei casi meno gravi - non puo' piu' disporre di tali strutture, ma soltanto dell'o.p.g. La disparita' di trattamento e' pertanto evidente, perche': 1) l'infermita' fisica deve essere "grave", mentre quella psichica puo' essere anche leggera, in quanto la legge non la quantifica ne' la qualifica; 2) l'infermita' sia fisica che psichica e' sempre tale e confligge con le modalita' della reclusione o dell'internamento, nonche' contro il senso di umanita' nell'esecuzione della pena; 3) l'o.p.g. e' una struttura penitenziaria, a tutti gli effetti (anche se ammette forme di terapia e di riabilitazione) e comunque e' tale da sopprimere totalmente la liberta' personale; 4) non sempre e non necessariamente il malato di mente e' socialmente pericoloso. 2. - Il sistema sembra cosi' in contrasto con i principi della Costituzione, ora che la legge n. 833/778 sancisce (art.1) che la Repubblica tutela la salute come "fondamentale diritto del singolo ad interesse della collettivita'", mediante il S.S.N. che deve promuovere, mantenere, recuperare la salute "fisica e psichica" di tutta la popolazione, assicurando l'eguaglianza di tutti di fronte ai servizi. L'art. 2, n. 4 precisa che il S.S.N. deve riabilitare gli stati di malattia "somatica e psichica". La lettera g) dispone che al S.S.N. persegue la tutela della salute mentale, eliminando ogni forma di segregazione e di discriminazione. Il concetto di "salute" e' pertanto ampio, omnicomprensivo, di contenuto positivo (lo "stato di benessere" e' qualcosa di piu' e di meglio della semplice assenza di malattia) e non tollera discriminazioni tra il fisico e lo psichico. Chi non ha la salute e' ammalato, indipendentemente dalla natura fisica o psichica del morbo di cui e' affetto e, se e' grave, le conseguenze devono essere le stesse. Il malato di mente non merita un trattamento deteriore, rispetto al malato fisico, come se si trattasse di un soggetto fuori dal diritto, qualcosa di "inservibile" e di "diverso". 3. - Si chiede il Collegio perche' un ammalato di cancro in fase terminale, od un cardiopatico grave, pur tuttavia giudicati socialmente pericolosi, debbano lasciare il carcere, mentre uno psicotico od uno schizofrenico grave debbano finire (anche se non piu' socialmente pericoloso, se condannati definitivi), quanto meno fino all'espiare della pena, in un o.p.g. Gia' Rocco (a pag. 197 della Relazione) avvertiva che l'ammalato psichico non e' in condizione di avvertire gli effetti afflittivi e correttivi della pena. Per questo penso' alla "sospensione" dell'esecuzione, peraltro con ricovero prescindendo da ogni esame della attualita' della pericolosita' sociale. Da allora, molta acqua e' passata sotto i ponti e la Corte Costituzionale ha fulminato la suddetta sospensione con la sentenza 19 giugno 1975 n. 146, sia pure sotto il solo profilo dell'art. 3 della Cost., a causa della evidente disparita' di trattamento che veniva a crearsi con il soggetto che era in custodia preventiva, recuperabile ad espiazione ex art. 137 del c.p., come tale non sospesa. Perfettamente condivisibile e giusta fu la suddetta decisione che per altro deve essere estesa, allargando l'esame agli altri principi costituzionali sopra citati ed in attesa di un nuovo, finalmente unitario, concetto di salute e malattia. Ci si chiede, in altri termini, perche' segregare l'ammalato in o.p.g. per "espiare" la pena, (prescindendo, si noti, dalla sua pericolosita' sociale), in una struttura che e' penitenziaria e custodiale, quasi sempre peggiorativa delle condizioni psichiche del soggetto. E' appena il caso di ricordare che con la legge n. 180 sono stati aboliti gli ospedali psichiatrici "civili" e non gli o.p.g., con il che l'art. 148 del c.p. e' stato peggiorato notevolmente, a danno dell'ammalato che ora non puo' che essere ricoverato nella suddetta struttura penitenziaria. 4. - E' vero che l'art. 11, ord. penit., primo comma, dispone che ogni istituto deve essere dotato di "servizio medico" per rispondere alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e, quindi, anche di quella mentale. Infatti, il quinto comma prescrive la visita medica dei detenuti per accertare eventuali "malattie fisiche o psichiche". Conferma l'art. 17, quinto comma, del regol. che l'amm. penit. deve provvedere anche alle prescrizioni di carattere psichiatrico ricorrendo se necessario a specialisti esterni. L'art. 99 res. consente al magistrato di procedere ad accertamento dell'infermita' mentale per un o.p.g. (per un periodo non superiore a 30 giorni), qualora tale accertamento non sia possibile in istituto. Non vi e' piu' ragione per il richiamo che l'art. 99 reg. fa all'art. 88 del c.p.p. abrogato, quanto agli imputati, perche' il nuovo art. 70 non consente piu' il ricovero in o.p.g. Comunque la Corte costituzionale con sent. n. 340 del 20 luglio 1992 ha soppresso le parole "sopravvenuta al fatto" per violazione dell'art. 24, secondo comma. Rimane applicabile agli imputati in via provvisoria la misura di sicurezza dell'o.p.g. ai sensi degli artt. 312 e 313 del c.p.p. qualora il giudice ritenga permanere la pericolosita' sociale. 5. - Dal complesso delle norme succitate emerge che, alla fine, tutta la salute, senza distinzione tra fisica e psichica, deve essere tutelata. Se si citano per lo piu' strutture esterne al penitenziario per le malattie psichiche, cio' avviene per ragioni storiche e pratiche, non avendo voluto l'Amministrazione farsi carico diretto di tali forme morbose, per le quali non ha saputo che produrre fino ad oggi cinque ospedali psichiatrici giudiziari che alla fine sono pur sempre luoghi di carcerazione e di espiazione piu' che di terapia, luoghi in cui molto spesso le condizioni di salute psichica degli ospiti peggiorano gravemente rispetto ad analoghi soggetti trattati con sistemi diversi, sul territorio. La stessa Corte costituzionale, di fronte alla eccezione avanzata che denunciava l'insufficienza del trattamento unico previsto per i non imputabili, tuttavia pericolosi socialmente, ha autorevolmente riconosciuto che l'o.p.g. ha sostanzialmente natura carceraria e che e' indubbia la disparita' di trattamento che si verificava. La Corte costituzionale con la sent. 30 gennaio 1985 n. 24 si e' trincerata dietro una declaratoria di incompetenza. Infatti, la questione prospettata richiede di "apprestare una nuova disciplina" e che "simili interventi di innovazione normativa esulano del tutto dai poteri della Corte". Il tribunale di Savona (vedi Gazzetta Ufficiale n. 9 del 23 febbraio 1994) con ordinanza 4 novembre 1993, ha risollevato il problema. Sono trascorsi dieci anni ed il legislatore non si e' mosso. Nel frattempo la situazione diviene sempre piu' grave ed insostenibile. Di conseguenza, il senso di civilta' deve prevalere mediante un intervento rescissorio della Corte che finalmente costringa il Parlamento a decidere, uscendo da una inerzia ormai troppo lunga, contraria alle tradizioni giuridiche e civili del nostro Paese. 6. - La questione e' gia' stata affrontata dalla Corte di cassazione (sent. 1048 del 15 maggio 1992, c.c. 5 marzo 1992) e dichiarata manifestamente infondata. Tale statuizione per il vero si riferisce ad una "situazione intermedia" tra infermita' fisica e psichica. La Corte ha esattamente precisato che se l'infermita' psichica incide "anche" in modo grave nella sfera biologico-fisica, si applica l'art. 147 del c.p. Se l'incidenza manca, si tratta di una malattia psichica che e' regolata dall'art. 148 del c.p. La Corte non ha, pertanto, affrontato il vero problema di fondo, quello nascente da una malattia psichica grave, come nel caso, priva di incidenza sul piano fisico. Lo stato di depressione psichica e' una malattia, definita grave dai periti e non vede il tribunale - mancando ogni prova di pericolosita' sociale in atti - perche' il condannato debba necessariamente, inesorabilmente finire in o.p.g. 7. - Sul concetto di "infermita' fisica" la produzione giurisprudenziale e' abbondante ed il suo esame conferma la tesi qui sostenuta. La patologia deve essere tale non solo da comportare il pericolo di morte, ma anche il pericolo di altre conseguenze dannose. Il trattamento deve poter essere attuato nel penitenziario e non deve essere passibile di ottenere regressione nel senso recuperativo; nella liberta' le cure sono diverse e piu' efficaci di quelle pre- state in ambiente penitenziario (n. 1361 del 27 settembre 1986; n. 4035 del 20 gennaio 1987; n. 4363 del 25 gennaio 1991; n. 1537 del 18 giugno 1993 e n. 1462 del 30 aprile 1994). La malattia e' grave quando esclude la pericolosita' e la sua capacita' di avvertire l'effetto rieducativo della pena (n. 304 del 14 marzo 1987). La malattia deve contrastare il senso di umanita' (n. 2866 del 31 gennaio 1989) e tale da eludere il principio di uguaglianza e quello della priorita' del diritto alla salute (n. 251 del 16 febbraio 1989; n. 4384 del 16 gennaio 1991; n. 104 del 10 marzo 1992; n. 2819 del 6 luglio 1992 e n. 1138 del 26 aprile 1994). Di particolare evidenza e' il riferimento, contenuto nelle sentenze piu' recenti, ai referenti costituzionali della salute, della parita' di trattamento, del senso di umanita' (artt. 3, 27, 32 della Cost.). Ebbene, la malattia mentale possiede ancora di piu' le caratteristiche suddette e per questo non si capisce perche' il condannato non debba essere liberato ma semplicemente trasferito in o.p.g. Se poi vi e' una malattia, generalmente insanabile, che pone il soggetto in condizioni di non avvertire piu' sia gli effetti rieducativi che quelli afflittivi della detenzione, e' proprio quella mentale. Infine, certamente la detenzione e' del tutto incompatibile con la terapia della malattia mentale. Il carcere e', come e' noto, causa di aggravamento delle condizioni psichiche e tali da minare l'equilibrio psichico dei soggetti normali. Questa verita' e' del resto ben presente nel Codice Rocco, tanto e' vero che prevede il trasferimento in altra istituzione penitenziaria; le cui capacita' terapeutiche peraltro sono tuttora fortemente contestate, in via di diritto e di fatto ed in cui prevale nettamente la componente custodialistica. 8. - Concludendo e riassumendo, l'istituto di cui all'art. 148 del c.p. come misura di esecuzione della pena detentiva nei componenti di un malato di mente e' contraria al principio della tendenziale rieducazione di cui all'art. 27 della Costit.; come misura "terapeutica" di un ammalato di mente non tutela la salute, ma anzi la peggiora e pertanto e' contraria all'art. 32 della Cost.; come strumento penale processuale esclusivo produce situazioni paradossali ed irragionevoli differenze di trattamento tra soggetti, negando pari dignita' ad alcuni e pertanto violando il principio di cui all'art. 3 della Cost.
P. Q. M. Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante, pregiudiziale e non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' dell'art. 148 del c.p. nel residuo testo vigente, per contrasto con gli artt. 3, 27, 32 della Cost., nella parte in cui, in caso di malattia psichica (sopravvenuta o preesistente) nel condannato definitivo, consente al magistrato di sorveglianza esclusivamente il ricovero di un o.p.g., indipendentemente dalla pericolosita' sociale, che potrebbe non essere presente o essere tale da poter essere contenuta con misure cautelari meno rigide; Dispone la sospensione del procedimento, la notifica al Presidente del Consiglio dei Ministri, la comunicazione al Presidente della Cam- era ed a quello del Senato; Ordina la trasmissione del fascicolo alla Corte costituzionale in Roma. Brescia, addi' 22 novembre 1994 Il presidente estensore: ZAPPA 95C0273