N. 143 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 ottobre 1994

                                N. 143
 Ordinanza  emessa  il  6  ottobre  1994  dal  pretore  di  Gela   nel
 procedimento penale a carico di Patri' Salvatore
 Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Ritenuta riconducibilita'
 di  detto  "istituto  di  clemenza"  alla  amnistia  - Previsione con
 decreto-legge - Indebita rinuncia dello Stato alla  pretesa  punitiva
 senza  la  prescritta  maggioranza  dei  due  terzi dei componenti di
 ciascuna Camera come richiesto per la concessione dell'amnistia.
 Edilizia  e  urbanistica  -  Condono  edilizio  -  Previsione   della
 sospensione  di  tutti  i  procedimenti penali relativi a costruzioni
 abusive ultimate o interrotte con il sequestro entro il  31  dicembre
 1993   ed   estinzione  degli  stessi  dopo  l'avvenuto  pagamento  -
 Conseguente rinuncia alla pretesa punitiva dello Stato  -  Violazione
 dei  principi di uguaglianza, di tutela del paesaggio, della salute e
 della liberta' di iniziativa economica privata.
 (D.-L. 27 settembre 1994, n. 551, artt. 1, 2, 3 e 6).
 (Cost., artt. 3, 9, secondo  comma,  32,  primo  comma,  41,  secondo
 comma, e 79).
(GU n.12 del 22-3-1995 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Visti   gli  atti  del  sopracitato  procedimento,  contro  Patri'
 Salvatore nato a Riesi il 21 gennaio 1928, ivi residente via  Aretusa
 n. 7, imputato:
       a)  del  reato p. e p. dall'art. 20, lettera b), della legge 28
 febbraio 1985, n.  47,  per  avere  realizzato  senza  la  prescritta
 concessione edilizia la costruzione costituita dalla realizzazione di
 muri perimetrali in conci di tufo di mq 30 e in sopraelevazione di un
 preesistente vano, nonche' di un vano di mq 3 c.;
       b) del reato p. e p. dagli articoli 1, 4, 13 e 14 della legge 5
 novembre   1971,   n.  1086,  per  avere  realizzato  la  costruzione
 sopraindicata al capo a) con opere in conglomerato cementizio  armato
 senza il progetto esecutivo e la direzione di un tecnico abilitato ed
 avendo  omesso  di denunciare tali opere all'ufficio del genio civile
 prima del loro inizio;
       c) del reato p. e p.  dagli  articoli  17,  18  e  20  legge  2
 febbraio  1974,  n.  64,  per  aver  realizzato  la costruzione sopra
 indicata al capo a) in  zona  sismica  senza  preavviso  scritto  dal
 sindaco  e  all'ufficio  del  genio  civile  e  senza  la  preventiva
 autorizzazione scritta di quest'ultimo ufficio;
    Accertato in Butera il 1› maggio 1992;
    Vista la legge 1 marzo 1953, n. 87, ed in  particolare  l'art.  23
 commi terzo, primo e secondo;
    Preso  atto dell'istanza del p.m. a che sia sollevata la questione
 di legittimita' costituzionale  degli  articoli  1,  2,  3  e  6  del
 decreto-legge  27  settembre 1994, n. 551, in riferimento all'art. 79
 della Costituzione;
    Ritenuto  di  dover  sollevare  anche   d'ufficio   questione   di
 legittimita'  costituzionale  delle  norme  di  cui all'art. 1, commi
 primo, secondo e quinto del decreto-legge 27 settembre 1994, n.  551,
 in  cui e' ravvisata la violazione dell'art. 79, e dell'art. 3, sotto
 il duplice  profilo  dell'irragionevolezza  di  tali  norme  e  della
 disparita'  di  trattamento  in  relazione  agli  articoli 9, secondo
 comma, 32, primo comma, 41, secondo comma, della Costituzione;
    Ritenuto che le prospettate questioni appaiono tutte  rilevanti  e
 non manifestamente infondate per i seguenti motivi:
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    L'imputato   ha  chiesto  che  il  processo  venga  sospeso;  tale
 richiesta rende  evidente  e  processuale,  la  volonta'  di  valersi
 dell'intera   procedura   di   sanatoria  per  ottenere  il  "condono
 edilizio".
    Ne consegue che, come ha gia' stabilito la Corte costituzionale in
 caso identico (sentenza 23-31 marzo 1988, n. 369) divengono rilevanti
 nella specie le questioni di costituzionalita' relative  a  tutte  le
 summenzionate  disposizioni  aventi  forza  di  legge,  che risultano
 intimamente collegate  fra  loro  nell'unico  fine  di  regolamentare
 (esternamente   ed  internamente)  il  meccanismo  procedimentale  di
 sanatoria.
    Ad ogni buon conto, dal combinato disposto degli artt. 1,  secondo
 e  quinto  comma,  del d.-l. n. 551/1994, e 44 della legge n. 47/1985
 discende  che  la  sospensione  opera  anche  a  prescindere  da  una
 richiesta  di  parte,  e  serve a creare la condizione necessaria per
 l'operativita'    (immediatamente    successiva)    del    meccanismo
 procedimentale  del condono; dunque le disposizioni che regolamentano
 piu' direttamente tale meccanismo  assumono  rilevanza  nel  presente
 processo  (e  con  esse  le  questioni  di  costituzionalita'  che le
 investono) nel momento stesso in cui il  giudice  deve  provvedere  a
 sospendere (o meno) il processo.
    Come  precisato poi dal giudice di legittimita', non ogni processo
 per illeciti urbanistici o edilizi va  sospeso,  ma  soltanto  quelli
 relativi  a  reati  suscettibili  di  essere  estinti  attraverso  la
 procedura  amministrativa;  il  giudice  deve  dunque  esaminare,  ad
 esempio,  il  tempus  commissi  delicti,  e nel far cio' osservare le
 norme contenute nei commi primo e secondo dell'art.  1  del  decreto-
 legge  n.  551/1994.  Tali  norme  assumono  dunque a maggior ragione
 rilevanza nel presente processo.
    Le restanti norme di cui all'art. 1, e agli articoli 2, 3 e 6  del
 decreto-legge  in  questione,  rilevano  nel  presente processo nella
 misura in cui disciplinano  modalita'  e  fasi  del  procedimento  di
 sanatoria.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    a) Violazione dell'art. 79.
    Il  "condono  edilizio"  si  configura  come  istituto di clemenza
 attraverso  il  quale  viene  meno,  limitatamente  a  fatti  tipici,
 commessi  in  un  circoscritto  perriodo di tempo, anteriore alla sua
 operativita', la pretesa punitiva dello Stato.
    Analizzandone il meccanismo operativo la Corte  costituzionale  si
 e' espressa (con la sentenza n. 369/1988) nel senso che tale istituto
 non   possa   essere  ricondotto  alla  figura  tipica  dell'amnistia
 condizionata, e introduca invece una causa atipica di estinzione  del
 reato.
    Rimane    tuttavia    inesplorata   dalla   Corte   costituzionale
 l'argomentazione,  addotta  dal  p.m.,  circa   la   riconducibilita'
 dell'istituto  del  condono  a  quello  dell'amnistia  sottoposta  ad
 obbighi; tale figura e'  espressamente  prevista  dall'art.  151  del
 codice penale.
    Il  "potere  di  clemenza" incontra dei limiti, anche procedurali,
 nella Carta costituzionale; tra essi quello, recentemente  posto  dal
 legislatore  costituzionale  con  la  revisione  dell'art.  79 (legge
 costituzionale 6 marzo 1992, n. 1): prevede la norma  che  l'amnistia
 sia  concessa  con  legge  deliberata a maggioranza dei due terzi dei
 componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione
 finale.
    Conclude dunque il p.m. che il  "condono",  in  quanto  rientrante
 nella     tradizionale     figura     dell'amnistia,     e'     stato
 incostituzionalmente concesso dal Governo con decreto-legge.
    Il quesito che invece viene posto da questo pretore alla  Consulta
 muove   dall'assunto  che  il  condono,  comunque  lo  si  etichetti,
 costituisce forma d'esercizio della  generale  potesta'  di  clemenza
 dello  Stato,  e  debba  percio' essere concesso con le forme dinanzi
 prospettate.
    Anche tale questione, per molti versi analoga alla  prima,  appare
 non   manifestamente   infondata:  a  ritenere  che  l'esecutivo  sia
 legittimato a dar vita, con decretazione  d'urgenza,  ad  una  misura
 generale  di  clemenza  che  si  distingue solo per fisionomia, e non
 anche per effetti giuridici,  dall'amnstia,  si  giungerebbe  ad  una
 sostanziale elusione del dettato costituzionale.
    Dal disposto dell'art. 79 della Costituzione emerge chiaramente la
 volonta' che l'emanazione di misure clemenziali generali, comportanti
 l'estinzione  del reato, debba essere riservata all'apprezzamento del
 Parlamento, al quale soltanto e' rimessa la potesta' di limitare  con
 tale estensione la pretesa punitiva pubblica.
    E  dunque il termine "amnistia", contenuto nel citato art. 79, non
 va  inteso  in  senso  strettamente  tecnico  (dando  cioe'   rilievo
 preminente  al  peculiare  meccanismo  operativo  dell'istituto),  ma
 ricondotto  ad  una  nozione  generale   di   misura   di   clemenza,
 caratterizzata  dal  elementi "sostanziali" tipici (effetto estintivo
 del reato limitato a fatti determinati, commessi in  un  circoscritto
 periodo  di tempo, anteriore alla sua entrata in vigore) comuni tanto
 alla tradizionale amnistia quanto al condono.
    Violazione dell'art.  3,  anche  in  relazione  agli  articoli  9,
 secondo comma, 32, primo comma, e 41, secondo comma.
   La   rinunzia   alla   pretesa   punitiva   da  parte  dello  Stato
 relativamente   a   determinati   reati,   comporta    un'inevitabile
 pregiudizio  al  principio  di  uguaglianza;  essa  deve  ispirarsi a
 criteri di ragionevolezza sostanziale e "trovare giustificazione  nel
 quadro  costituzionale  che  determina  il  fondamento  ed  i  limiti
 dell'intervento punitivo dello Stato" (Corte costituzionale  sentenza
 n.  369/1988),  ed adeguato bilanciamento all'interno della gerarchia
 dei valori e  dei  beni  costituzionalmente  tutelati.  Cio'  a  pena
 d'irragionevolezza e di ingiustificate disparita'.
    Con  riguardo al condono edilizio del 1985 la Corte costituzionale
 verifico' che l'eccezionale introduzione di una causa atipica di "non
 punibilita'" e "non procedibilita'" per condotte recanti  pregiudizio
 a  fondamentali esigenze della collettivita', trovava giustificazione
 nell'intento di "chiudere un passato d'illegalita'  di  massa"  e  di
 "porre  sicure  basi normative per la repressione futura di fatti che
 violano fondamentali esigenze" quali il Governo  del  territorio;  la
 sicurezza  dell'esercizio dell'iniziativa economica privata ed il suo
 coordinamento a fini sociali; la funzione sociale  della  proprieta';
 la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico.
    E'   ritenuta   non   manifestamente  infondata  la  questione  di
 costituzionalita' concernente l'irragionevolezza delle norme che oggi
 reiterano, a  distanza  di  nove  anni,  il  meccanismo  del  condono
 edilizio;  non  si  puo' infatti parlare piu' di eccezionalita' della
 misura clemenziale, stante la sua riproposizione ciclica e l'ampiezza
 del periodo di tempo nell'ambito del quale e' destinata  ad  operare;
 ne'  puo'  nuovamente vedere l'intento, gia' vanificato una volta, di
 chiudere con un passato di diffusa illegalita'.
    Appaiono invece compromessi, nella materia edilizia, in virtu'  di
 tale   reiterazione,   gli   aspetti   di  certezza,  uguaglianza  ed
 obbligatorieta' (dell'azione penale e della pena)  che  informano  il
 sistema costituzionale-penalistico.
    Deve  infine  osservarsi che le norme incriminatrici su cui incide
 il condono edilizio mirano a salvaguardare beni fondamentali  per  la
 collettivita':  a)  il  paesaggio, e dunque sia il razionale sviluppo
 urbanistico del territorio che la tutela del pregio naturalistico; b)
 la salute psico-fisica,  compromessa  particolarmente  in  zone  dove
 l'enormita'  del  fenomeno dell'abusivismo edilizio ed il conseguente
 degrado dei centri abitati sottrae all'individuo il diritto di vivere
 in un ambiente sano.
    La  questione  di  costituzionalita'  sollevata   in   riferimento
 all'art.  3  della  Costituzione  appare  percio'  non manifestamente
 infondata anche  quando  involge  l'aspetto  del  corretto  (o  meno)
 bilanciamento  tra  le  ragioni del nuovo "condono" (e cioe', in base
 alle premesse del d.-l.  n.  551/1994,  il  "rilancio  dell'attivita'
 economica .. la ripresa delle attivita' imprenditoriali .. l'esigenza
 di semplificazione dei procedimenti in materia urbanistico-edilizia")
 e le ragioni di tutela dei beni sopra indicati.
    Considerando  la  questione  secondo la prospettiva del divieto di
 irragionevoli disparita' di trattamento per situazioni meritevoli  di
 pari  tutela, si rileva che il nuovo (seppur limitato) sacrificio dei
 beni costituzionali tutelati dagli articoli 9 e 32  della  Carta  non
 pare   trovare   adeguata   giustificazione,   e   dunque   razionale
 bilanciamento  all'interno  del  quadro  costituzionale;  cio'  nella
 misura  in  cui,  mentre  non vengono sanzionate penalmente le offese
 arrecate a quei beni, ricevono invece un trattamento di favore alcune
 espressioni della liberta' di iniziativa economica privata le  quali,
 pur  avendo  "rango" costituzionale, tuttavia non possono come invece
 pare nel caso di specie, contrastare  con  l'utilita'  sociale  e  la
 dignita' umana.
    E'  stata la stessa Corte costituzionale a definire in particolare
 il paesaggio come "valore  primario  dell'ordinamento"  (sentenze  21
 dicembre  1985,  n.  359,  e 27 giugno 1986,. 151), ed a sottolineare
 come tutela di tale valore sia collocata "fra i principi fondamentali
 dell'ordinamento" e che il perseguimento di  tale  tutela  presuppone
 necessariamente  la  comparizione  ed  il  bilanciamento di interessi
 diversi, in particolare degli  interessi  pubblici  ..  (sentenza  1›
 aprile 1985, n. 94).
                               P. Q. M.
    Sospende   il   presente   procedimento   e   dispone  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della   presente
 ordinanza,  letta  in  dibattimento,  al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al  Presidente
 della Camera dei deputati.
      Gela, addi' 6 ottobre 1994
                           Il pretore: TOSO
 
 95C0332