N. 153 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 1991- 7 marzo 1995

                                N. 153
 Ordinanza emessa il 28 febbraio 1991 dalla commissione tributaria  di
 primo  grado di Alessandria (pervenuta alla Corte costituzionale il 7
 marzo  1995)  sui  ricorsi  riuniti  proposti  da  Prosio   Giancarlo
 c/Ufficio I.V.A. di Alessandria
 Imposta  sul  valore  aggiunto  (I.V.A.)  -  Contribuenti  in  regime
 forfettario - Accertamento induttivo dei ricavi operato  dall'ufficio
 I.V.A.   sulla   base  di  presunzioni  relative  alle  dimensioni  o
 ubicazione dei locali, beni strumentali impiegati, numero, qualita' e
 retribuzione   degli   addetti,   acquisti   o  consumi  di  energia,
 assicurazioni stipulate, nonche' altri elementi che  potranno  essere
 indicati dal Ministro delle finanze - Assenza nei dati menzionati dei
 requisiti di gravita', precisione e concordanza richiesti dalla legge
 per  le  presunzioni  -  Incidenza  sui  principi di eguaglianza e di
 capacita' contributiva, nonche' sui diritti alla difesa in giudizio e
 alla tutela giurisdizionale - Riferimento alle sentenze  della  Corte
 costituzionale nn. 103 e 109 del 1967, 99/1968, 200/1976, 42/1980, 96
 e 151 del 1982.
 (Legge 17 febbraio 1985, n. 17, art. 2, ventinovesimo comma).
 (Cost.,  artt.  3,  24,  primo  e  secondo comma, 53, primo e secondo
 comma, 113).
(GU n.12 del 22-3-1995 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha emesso la seguente decisione  sul  ricorso  prodotto  dal  sig.
 Giancarlo Prosio avverso avviso di rettifica;
    Letti gli atti:
    Udito il relatore avv. Franco Grillo;
                           RITENUTO IN FATTO
    In  sede  di  discussione  il  rappresentante  del  ricorrente  ha
 sollecitato la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2,
 comma  29,  della  legge n. 17/1985 per contrasto con l'art. 53 della
 Costituzione.
    La commissione tributaria si e' riservata di decidere.
    Il disposto dell'art. 2, comma 29, della legge n.  17/1985  -  sul
 quale  si basa l'accertamento induttivo operato dall'ufficio I.V.A. -
 appare viziato da illegittimita' costituzionale.
    La norme autorizza gli uffici a desumere i ricavi dei contribuenti
 in regime forfettario anche da uno solo dei seguenti dati  (o  "fatti
 identici"):  dimensioni  o  ubicazione  dei  locali, beni strumentali
 impiegati, numero, qualita' e retribuzione degli addetti, acquisti ..
 consumi di  energia  ecc.,  assicurazioni  stipulate,  nonche'  altri
 elementi che potranno essere indicati dal Ministero delle finanze.
    Sembra  evidente che i dati predetti non consentono l'accertamento
 dei  ricavi  e  dei  corrispettivi,   tanto   piu'   se   considerati
 separatamente come la legge prevede ("uno o piu'").
    L'"ubicazione  dei  locali destinati all'esercizio" dell'impresa o
 della  professione  non  e'  certo  idoneo  a  dimostrare   introiti,
 variabili  da  caso a caso e in generale del tutto indipendenti dalla
 sede di esercizio dell'attivita'.
    Altrettanto dicasi dei "beni strumentali impiegati", che  da  soli
 non  valgono  ad assicurare un guadagno certo e costante; del "numero
 dei dipendenti", che talora puo' costituire piu' un onere che un  in-
 dice  di prosperita' aziendale; dei consumi energetici, relativi piu'
 che altro alla  collocazione  territoriale  ed  all'esposizione  alla
 luce, o meno, dei locali di esercizio, ecc.
    Trattasi  di  dati  astratti,  che  prescindono  dalla  situazione
 economica peculiare di ciascuna impresa e  non  tengono  conto  delle
 differenze  tra  imprenditori  piu'  o meno capaci o "avviati", tra i
 diversi Comuni, tra centro e periferia, ecc.
    La legge consente altresi' al Ministero  di  introdurre  ulteriori
 elementi  indiziari,  ampliando  ancora la possibilita' di sostituire
 un'astratta predeterminazione alla valutazione obiettiva del caso  di
 specie.
    Cio'  comporta,  anzitutto, uno stravolgimento dell'istituto della
 presunzione.
    La disposizione in esame sembra da inquadrare tra le  "presunzioni
 semplici" (art. 2729 del Codice civile) dato che la ricostruzione dei
 ricavi  e dei corrispettivi non consegue direttamente dalla legge, ma
 e' demandata ad organi amministrativi: in tal caso sono  prima  facie
 esclusi  i  requisiti di gravita', precisione e concordanza richiesti
 dalla legge. E' pacifico che "ai fini dell'accertamento induttivo  le
 presunzioni  debbano  essere  suffragate  dai  requisiti  di gravita'
 precisione  e  concordanza",  come   concordemente   ritenuto   dalle
 Commissioni  Tributarie,  e  che  il "fatto ignoto deve rappresentare
 l'univoca conseguenza logica di determinate e certe  premesse  e  non
 gia'  il  risultato  di  una  deduzione  che  ..  lascia sopravvivere
 l'ipotizzabilita'  di  conclusioni  diverse  od  opposte"  (Cass.  n.
 3448/73).
    La  presunzione in esame, invece: A) non e' grave, perche' fondata
 su elementi che non costituiscono sufficiente motivo per disattendere
 la contabilita' e ricostruire i ricavi; B) non  e'  precisa,  essendo
 fondata su indizi non univoci;
  C)  non  e'  concordante,  potendo  derivare  da  un  unico dato non
 raccordato ad altri.
    I ricavi cosi' determinati non sono quelli reali ma il  frutto  di
 una mera congettura, per di piu' generalizzata, senza alcun riscontro
 con la situazione concreta.
    Se  poi,  come  sostiene  l'ufficio,  si  trattasse di presunzione
 legale, ancora piu' manifesta ne sarebbe l'incongruenza, dato che:
       a) i dati noti non sono in rapporto di casualita' con il  fatto
 che  si  vorrebbe  provare:  i  ricavi  non  sono infatti conseguenza
 necessaria e neanche probabile dei c.d. "fatti indice";
       b) la legge, anziche' trarre direttamente le conseguenze da  un
 determinato  fatto  per  risalire  a  quello  ignorato, demanda ad un
 organo amministrativo di desumere i ricavi di un  contribuente  sulla
 base  di  generiche  circostanze  che,  per  di piu', un altro organo
 amministrativo (il Ministero) puo' liberamente accrescere;
       c) la Corte costituzionale ha precisato che "le presunzioni  in
 materia,  fiscale  per  poter  essere  considerate  in armonia con il
 principio della capacita' contributiva (art. 53 della  Costituzione),
 debbano  essere  confortate da elementi concretamente positivi che le
 giustifichino razionalmente" (sent. 28 luglio 1976 n. 200).
    Nella motivazione  di  altra  sentenza  (26  marzo  1980)  leggasi
 testualmente:  "questa  Corte  ha  piu'  volte  chiarito (sent. 103 e
 109/1967; 99/1968; 200/76)  che  le  presunzioni  tributarie  debbono
 fondarsi  su  indici concretamente rilevatori di ricchezza, ovvero su
 fatti reali .. affinche' l'imposizione non abbia una base fittizia".
    La norma in esaame invece consente, "indipendentemente  da  quanto
 stabilito nell'art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29
 settembre  1973  n.  600  e  negli  artt.  54  e  55  del decreto del
 Presidente della Repubblica 26 ottobre  1972"  (quindi  anche  se  la
 contabilita'  appaia regolare) di determinare induttivamente i ricavi
 dal contribuente in  base  ad  elementi  estrinsechi  e  di  per  se'
 insignificanti.
    Quanto  precede  e'  reso  evidente  dall'applicazione della legge
 operata dall'Ufficio I.V.A. di Alessandria:  invocato  uno  solo  dei
 presupposti  di  cui  all'art.  2,  comma  29, e' stato effettuato un
 calcolo  generale   per   un'intera   categoria   (nella   specie   i
 parrucchieri)  che  e'  poi  stato  applicato ai singoli contribuenti
 prescindendo dall'effettiva situazione di ciascuno di essi.
    Non solo, ma, scelto uno dei presupposti, non ne sono stati  presi
 in  considerazione  altri;  con  la  conseguenza che un parrucchiere,
 purche' abbia tot dipendenti, otterrebbe identici ricavi,  secondo  i
 calcoli  dell'ufficio,  cosi'  nelle  vie centrali come in periferia,
 cosi' nel capoluogo come in uno sperduto villaggio, sia che  gestisca
 una  "bottega"  di  lusso, con scelta clientela, che se abbia il piu'
 modesto esercizio.
    Nessuna  considerazione  per  l'avviamento,  per  l'abilita',  per
 l'eta'  dell'artigiano,  per l'attrezzatura piu' o meno completa, per
 il genere di clientela, ecc.
    Si  sostituisce  dunque  alla   prova   presuntiva,   cosi'   come
 disciplinata   da   diritto,   un  amplissimo  potere  discrezionale,
 consentendo in linea di fatto agli uffici  di  determinare  i  ricavi
 senza  alcun  riscontro  con  la  situazione concreta propria di ogni
 artigiano, traendo da un  singolo  dato  conseguenze  indimostrate  e
 senza  cercare  conferma in altri, ne' dare rilevanza alle risultanze
 contabili   ne'   fare   riferimento   all'effettivo   reddito    del
 contribuente.
    Il   presunto  ricavo  e'  ricostruito  con  calcolo  aprioristico
 riferito ad un'intera categoria. Anche se tale calcolo  (di  per  se'
 opinabile)  fosse "mediamente" accettabile, resterebbe ingiustificata
 l'applicazione ai singoli  di  un  dato  statistico:  se  uno  ricava
 quattro e l'altro due, il dato medio (tre) non vale per il primo, ne'
 per il secondo.
    Sotto  il profilo piu' strettamento giuridico la norma in esame si
 pone in contrasto con il dettato costituzionale.
    1. - Viola anzitutto l'art. 53, primo comma,  della  Costituzione,
 posto  che  la "capacita' contributiva", diviene da base concreta per
 determinare  l'imposizione  fiscale  un   elemento   artificiosamente
 costituito a priori.
   Lettera e razio della norma costituzionale richiedono, infatti, per
 l'imposizione  di  un  tributo,  un  fatto  espressivo  di  "concreta
 capacita'" e non una ricostruzione di ricavi eseguita  per  un'intera
 categoria, senza tener conto delle condizioni soggettive ed oggettive
 variabili  di  caso in caso. La giurisprudenza costituzionale ha piu'
 volte  sottolineato  "l'esigenza  di  garantire  che  ogni   prelievo
 tributario  abbia  causa  giustificatrice  in indici .. dai quali sia
 razionalmente  deducibile  l'idoneita'  soggettiva  dell'obbligazione
 d'imposta (Sent. 200/1976).
    2.  -  Stravolge  il principio della "progressivita'" (art. 53 cpv
 della  Costituzione),  in  quanto  applicando  i  parametri  generali
 adottati  dall'ufficio  I.V.A. risultano tassate in misura uguale - a
 parita' di personale - le botteghe piu' avviate al pari di quelle  in
 crisi.  Inoltre,  le  ditte che non dichiarano la cifra astrattamente
 calcolata per l'intera categoria vengono ritenute  colpevoli  di  non
 aver annotato la differenza tra l'importo risultante sul registro dei
 corrispettivi  e  quello  generale  calcolato dall'Ufficio: cosicche'
 contribuenti che hanno percepito uno scarso utile vengono gravati, in
 assenza di accertate irregolarita', da  una  maggiore  differenza  di
 imposta e da fortissime pene pecuniarie.
    Cio' in contrasto col principio, affermato da questa stessa Corte,
 secondo cui "la produzione dei redditi e' un fatto economico legato a
 determinate condizioni oggettive e soggettive di natura variabile".
    3.  -  Viola  l'art. 24, primo e secondo comma della Costituzione,
 data l'estrema difficolta' di fornire una prova contraria  (negativa)
 di fronte a una presunzione appoggiata a dati estrinsechi e generici.
    Se   un   accertamento   induttivo  scatta  ad  esempio,  in  base
 all'indicazione della sede dell'impresa - che non costituisce un  in-
 dice  certo  ma  che  di  per  se'  non  puo'  essere  smentito  - il
 contribuente  viene  di  fatto  privato   del   diritto   di   difesa
 costituzionalmente riconosciuto.
    La giurisprudenza della Corte e' pacifica nel senso che il diritto
 di agire per la tutela dei proprii diritti o interessi legittimi, non
 puo'  essere resa a tal punto difficile da pregiudicare completamente
 la domanda di giustizia.
    Secondo  la  dottrina  e  la  giurisprudenza,  l'art.   24   della
 Costituzione  sancisce  un  diritto  alla  prova quale indispensabile
 accessorio al diritto di difesa ed anche al diritto di azione.
    Nel caso in esame l'ancorare il ricavo ad un dato  generico,  come
 tale   inoppugnabile,  ma  irrilevante  per  le  singole  situazioni,
 vanifica ogni possibilita' di prova.
    La norma contrasta dunque con l'art. 24 nonche' con l'art. 113 cpv
 della Costituzione.
    4. - Discrimina i lavoratori autonomi - e in specie gli  artigiani
 -  in  contrasto  con  l'art.  3,  comma primo della Costituzione che
 sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini "senza distinzione di  ..
 condizioni personali".
    L'accertamento  induttivo senza tener conto delle risultanze delle
 scritture  contabili  e,  quindi,  disattendendole  a  priori,  rende
 particolarmente gravosa la situazione di alcuni contribuenti non solo
 rispetto a tutti gli altri cittadini ma anche nei confronti di coloro
 che  possono  tenere  altra specie di contabilita'. Sussistono dunque
 "l'arbitrarieta' e l'irrazionalita' della norma" che giustificano  il
 controllo  di  legittimita'  ex  art.  3  della  Costituzione  (sent.
 144/1973; 96 e 151/1982).
    Ne' dicasi che  cio'  e'  giustificato  da  "pericoli  conseguenti
 all'introduzione del regime forfettario".
    Tale   regime  e'  stato  introdotto  dalla  legge  ed  e'  quindi
 perfettamente lecito: non si puo' punire qui jure suo utitur.
                               P. Q. M.
    Sciogliendo la riserva che precede,  visti  gli  artt.  134  della
 Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara  d'ufficio  non  manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  ventinovesimo  della
 legge 17/1985 per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, primo e
 secondo  comma,  53,  primo  e secondo comma della Costituzione della
 Repubblica;
    Sospende gli atti del giudizio ed ordina l'immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
 comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
 Repubblica.
      Alessandria, addi' 28 febbraio 1991
                  Il presidente: (firma illeggibile)
                                      Il relatore: (firma illeggibile)
 95C0342