N. 164 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 gennaio 1995

                                N. 164
 Ordinanza emessa il 16 gennaio 1995 dal pretore di  Reggio  Calabria,
 sezione  distaccata  di  Bagnara  Calabra  nel  procedimento penale a
 carico di Riso Carmela
 Edilizia  e  urbanistica  -  Condono  edilizio  -  Previsione   della
    sospensione  di tutti i procedimenti penali relativi a costruzioni
    abusive ultimate  o  interrotte  con  il  sequestro  entro  il  31
    dicembre  1993 ed estinzione dei reati dopo l'avvenuto pagamento -
    Indebita rinuncia dello  Stato  alla  pretesa  punitiva  senza  la
    prescritta  maggioranza  dei  due terzi dei componenti di ciascuna
    Camera come richiesto per la concessione dell'amnistia  -  Lesione
    del principio di uguaglianza.
 (Legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39).
 (Cost., artt. 3 e 79).
(GU n.13 del 29-3-1995 )
                              IL PRETORE
    Visti gli atti del procedimento n. 439/1994 r.g.n.r., n. 4156/1994
 reg. pret. contro Riso Carmela Grazia, imputata:
       a)  del  reato  p.  e  p. dall'art. 20, lett. c) della legge 28
 febbraio 1985, n. 47, per avere eseguito i lavori di  costruzione  di
 un  sottotetto  abitabile,  con  quattro  camere e servizi, in totale
 difformita' della concessione in  sanatoria,  in  zona  sottoposta  a
 vincolo paesaggistico;
       b) del reato p. e p. dagli artt. 17 e 20 della legge 2 febbraio
 1974, n. 64, per avere iniziato la costruzione di cui al capo A senza
 nulla osta del Genio civile;
       c) del reato p. e p. dagli artt. 18 e 20 della legge 2 febbraio
 1974,  n.  64,  per  avere effettuato la costruzione di cui al capo A
 senza la direzione tecnica di un professionista autorizzato;
    In Scilla (Reggio Calabria), il 23 novembre 1993;
    Preso  atto  dell'istanza  presentata  all'odierna   udienza   dal
 pubblico  ministero  (dott.  Giuseppe  Creazzo)  a  che sia sollevata
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 39 della legge  23
 dicembre  1994,  n.  724,  in  relazione  agli  artt.  79  e  3 della
 Costituzione;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuto  che  la  prospettata  questione  appare  rilevante e non
 manifestamente infondata per i motivi che seguono;
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    Sembra  opportuno   citare,   nella   sua   sintetica   chiarezza,
 l'argomentazione  addotta  dal pubblico ministero, argomentazione che
 questo giudice condivide integralmente: "la questione  va  dichiarata
 rilevante  poiche'  deve  essere disposta la sospensione del presente
 procedimento.    Tale    sospensione    discende    obbligatoriamente
 dall'applicazione  del combinato disposto dell'art. 39 della legge n.
 724/1994 (c.d. legge finanziaria)  e  dell'art.  44  della  legge  n.
 47/1985, posto che il reato risulta essere stato commesso entro il 31
 dicembre  1993,  termine  ultimo  previsto dall'art. 39, primo comma,
 della legge n. 724/1994 cit.  La  sospensione  opera  e  deve  essere
 disposta  in  tutti  i  procedimenti aventi ad oggetto i reati di cui
 all'art. 20 della legge n. 47/1985, anche  indipendentemente  da  una
 richiesta di parte, e costituisce il primo atto dell'intera procedura
 prevista  per  addivenire alla declaratoria di estinzione del reato a
 seguito del pagamento della somma stabilita. Ne  consegue  che,  come
 gia'  statuito dalla Corte costituzionale in caso identico, afferente
 la disciplina di cui alla legge n. 47/1985,  divengono  rilevanti  le
 questioni di costituzionalita' relative a tutte le disposizioni della
 legge    (adesso    integralmente   fatte   rivivere   dalla   citata
 "finanziaria")  che  risultano   intimamente   collegate   tra   loro
 nell'unico  fine  di  regolamentare  il  meccanismo procedimentale di
 sanatoria (sent. Corte costituzionale n. 369 del 23-31 marzo 1988).
    Si vuole aggiungere -  ad  ulteriore  conferma  della  tesi  sopra
 esposta  -  che  l'obbligatorieta' della sospensione trova fondamento
 nelle  esigenze  di   "economia"   sottostanti   qualsiasi   istituto
 processuale:  non sembra dubitabile, infatti, che persino a fronte di
 un'espressa istanza in senso opposto  dell'imputato  il  giudice  sia
 tenuto  a  sospendere  il procedimento, onde evitare di addivenire ad
 una pronuncia suscettibile, ab origine e sino  al  suo  passaggio  in
 giudicato,  di  essere  inficiata dalla successiva sanatoria ottenuta
 dall'imputato medesimo, cui la richiesta di "condono"  non  e'  certo
 preclusa dalla sentenza penale, sanatoria che comporterebbe, ai sensi
 dell'art.  38,  secondo  comma  della legge n. 47/1985, la necessaria
 declaratoria di estinzione del reato.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    Occorre muovere dal raffronto tra il provvedimento normativo  oggi
 impugnato  e  quello precedente, cui il medesimo fa integrale rinvio:
 e' proprio dalla "reviviscenza" dell'istituto contenuto nei capi IV e
 V della legge n. 47/1985,  determinata  dal  citato  rinvio,  che  si
 desumono  ed  evidenziano  i  contorni  ed  i  contenuti  del recente
 "condono  edilizio",  contenuti  cui  deve   essere   necessariamente
 attribuita   natura   "clemenziale".  Tanto  deriva,  infatti,  dalla
 rinnovata attualita' dell'analisi gia' compiuta, in  merito,  proprio
 dalla  Suprema  Corte nella citata sentenza n. 369/1988, ove si legge
 che la legge n. 47/1985 "pur non putendosi ritenere .. implicante  la
 tipica  figura  dell'amnistia, di cui all'art. 151 c.p., costituisce,
 senza  dubbio,  'specie'  d'una  generale  nozione  di   'misura   di
 clemenza'". Ebbene, non v'e' dubbio neppure che le considerazioni che
 indussero  la  Corte  a  pervenire,  allora, ad una tale conclusione,
 possano oggi essere integralmente applicate al nuovo "condono",  che,
 si ripete, recepisce pienamente la precedente normativa.
    Ad  ulteriore  -  ma  certo  superfluo  -  suffragio  delle  dette
 considerazioni, puo' essere richiamata la previsione di un'esclusione
 soggettiva  all'applicazione  del  provvedimento  di   sanatoria,   e
 precisamente  quella  di  cui  all'ultimo periodo dell'art. 39, primo
 comma, cit., concernente i condannati per il reato di associazione di
 tipo mafioso: appare  evidente  il  taglio  "morale"  di  una  simile
 esclusione che non trova giustificazione in oggettive connessioni tra
 l'attivita'  ammessa  al  condono  e  la  fattispecie per la quale il
 medesimo viene negato. Sola coerenza  normativa  che  questo  giudice
 ipotizza  sottendere  detta  limitazione  soggettiva alla fruibilita'
 della sanatoria  e',  dunque,  proprio  quella  tipica  dell'atto  di
 clemenza,  destinato a tutti e soli gli individui che il legislatore,
 nella sua sovranita' discrezionale e non  certo  arbitraria,  ritiene
 meritevoli del beneficio concesso.
    Tanto   premesso,   sembra  oltremodo  verosimile  la  prospettata
 violazione  del  dettato  dell'art.  79  della   Costituzione,   come
 modificato  dalla  legge  costituzionale  n.  1/1992, che prevede gli
 istituti di clemenza, quegli istituti, cioe', che rompono  "il  nesso
 costante  tra reato e punibilita'" (sent. Corte costituzionale cit.).
 Il presente condono, infatti, verrebbe a determinare detta  "rottura"
 al  di fuori dei limiti procedimentali costituzionalmente sanciti per
 lo scopo, che prevedono l'adozione di un tale provvedimento con legge
 deliberata a maggioranza dei due terzi  dei  componenti  di  ciascuna
 Camera, in ogni suo articolo e nalla votazione finale.
    Ne'   sembrano  poter  rivivere  le  ragioni  che,  a  suo  tempo,
 "giustificarono"  la  rinuncia  dello  Stato  alla  propria  potesta'
 punitiva,  ravvisando,  per  contro,  la  confliggenza  del  presente
 "condono" con il dettato fondamentale dell'art. 3 della Costituzione.
    Infatti, come incisivamente affermato dal pubblico ministero in un
 passo dell'istanza, che  piace  riportare  testualmente  "il  supremo
 organo   di  giustizia,  nella  sentenza  citata,  ritenne  opportuno
 tracciare, ribadendoli, i limiti costituzionali 'esterni'  al  potere
 di  emanare provvedimenti di clemenza da parte dello Stato, statuendo
 che tutte le volte in cui si rompe il  nesso  costante  tra  reato  e
 punibilita'  e  quest'ultima  viene  utilizzata  per  fini estranei a
 quelli  relativi   alla   difesa   dei   beni   tutelati   attraverso
 l'incriminazione  penale,  tale  uso, nell'incidere negativamente sul
 principio di eguaglianza ex art. 3 della Costituzione,  deve  trovare
 la  sua  giustificazione  nel  quadro costituzionale che determina il
 fondamento ed i limiti del  potere  punitivo  dello  Stato.  Ritenne,
 quindi,  di  individuare  la  'giustificazione'  di  tale  dirompente
 provvedimento di clemenza nell'esigenza di 'chiudere con  un  passato
 di  illegalita'  di massa', si' da porre, per il futuro, 'sicure basi
 normative (discendenti dalla disciplina organica di cui alla legge n.
 47/1985) per la repressione futura di fatti che violano  fondamentali
 esigenze  sottese  al  governo  del  territorio,  come  la  sicurezza
 dell'esercizio   dell'iniziativa   economica    privata,    il    suo
 coordinamento  a  fini sociali, la funzione sociale della proprieta',
 la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico ecc.  E
 questi beni non potevano essere validamente difesi, per il futuro, se
 non  attraverso  la 'cancellazione' del notevole, ingombrante, carico
 pendente relativo alle passate illegalita' (cfr.  sent.  Corte  cost.
 cit.  in  Gazzetta  Ufficiale,  1a  serie speciale, p. 24). Non vi e'
 dubbio, dunque, che la  sola,  vera  ragione  che  indusse  la  Corte
 costituzionale  a  respingere  le  censure  di  costituzionalita' del
 condono edilizio di cui alla legge n. 47/1985  fu  la  eccezionalita'
 del  provvedimento  e  l'esigenza  di  chiudere  con  il  passato  in
 occasione dell'emanazione di nuova, organica, disciplina  legislativa
 in materia di repressione di illeciti urbanistici ed edilizi".
    Alla  luce  di  quanto  sopra, sembra evidente a questo pretore la
 confliggenza del provvedimento rimesso oggi al vaglio  della  Suprema
 Corte  con  quei  principi  che  la  Corte  stessa  ritenne opportuno
 enunciare, e sottolineare con fermezza, per chiarire le ragioni della
 propria mancata censura al precedente condono. E' precisamente quella
 gerarchia di valori che giustifico' l'atto di clemenza di  allora  ad
 essere  oggi  minacciata:  allora  lo  Stato  rinuncio'  alla propria
 potesta' punitiva nel nome dei citati valori di tutela dell'ambiente,
 del patrimonio storico ed artistico,  della  funzione  sociale  della
 proprieta';  la  reiterazione  del  provvedimento, oggi, disattende e
 sovverte radicalmente le limpide indicazioni fornite  gia'  all'epoca
 dell'Organo di suprema giustizia.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  39  delle  legge  23  dicembre
 1994, n. 724 in relazione agli artt. 79 e 3 della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  presente procedimento e l'immediata
 trasmissione degli atti  alla  Corte  costituzionale,  mandando  alla
 cancelleria  per la notificazione della presente ordinanza, letta nel
 pubblico dibattimento, al Presidente del Consiglio dei  Ministri,  al
 Presidente  del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera
 dei deputati.
      Bagnara Calabra, addi' 16 gennaio 1995
                      Il pretore: ANGELINI CHESI
                            Il collaboratore di cancelleria: MODAFFERI
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