N. 192 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 1995
N. 192 Ordinanza emessa il 7 febbraio 1995 dal tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Bruno Vallero Nicola Processo penale - Unico reato permanente (nella specie: diserzione) gia' "interrotto" giudizialmente - Possibilita' di reiterazione dei giudizi e delle sanzioni a seconda dell'efficienza degli uffici giudiziari procedenti - Irrogabilita' di un complessivo trattamento sanzionatorio superiore a quello edittalmente stabilito (fino a tre volte il massimo ex art. 81 del c.p.) - Lesione dei principi di eguaglianza, di legalita' della pena e di personalita' della responsabilita' penale. (C.P.P. 1988, art. 649). (Cost., artt. 3, 25 e 27).(GU n.15 del 12-4-1995 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro Bruno Vallero Nicola, nato il 18 marzo 1972 a Chioggia (Venezia), atto di nascita n. 186/A/I, ed ivi residente in viale Veneto, 18/B. Soldato nella F.A. del d.m. di Padova, celibe, censurato, libero, imputato di diserzione (art. 148, n. 2 del c.p.m.p.) perche', condannato in data 26 gennaio 1993 dal tribunale militare di Roma per un precedente reato di diserzione (art. 148, n. 2 del c.p.m.p.) perdurante al momento della sentenza, non faceva rientro al Corpo neppure dopo tale sentenza, rimanendo arbitrariamente assente fino al 17 novembre 1993 con il suo arresto da parte dei carabinieri di Chiggia Sottomarina. A seguito di richiesta di applicazione di pena da parte dell'imputato e del p.m. FATTO E DIRITTO Con sentenza in data 26 gennaio 1993 (irrevocabile il 18 aprile 1993) il militare Bruno Vallero veniva condannato dal tribunale militare di Roma alla pena di due anni di reclusione militare (v. certificato penale) per reato di diserzione (art. 148, n. 2 del c.p.m.p.) in relazione ad assenza che, iniziata il 7 maggio 1991, ancora non era cessata alla data del giudizio. Il procuratore militare in sede, a fronte del perdurare dell'assenza, instaurava altro procedimento penale per un secondo reato di diserzione decorrente dal 26 gennaio 1993, data della pronuncia del tribunale militare di Roma, e terminato il 17 novembre 1993, con l'arresto di Bruno Vallero in Chioggia-Sottomarina. Ma con sentenza del 10 gennaio 1994 g.u.p. dichiarava non luogo a procedere per quest'ulteriore reato, ostandovi il principio del ne bis in idem a norma dell'art. 649 del c.p.p. A seguito di impugnativa del procuratore generale, la Corte militare d'appello, sez. di Verona, in riforma di quest'ultima decisione ha disposto tuttavia il rinvio a giudizio dinanzi a questo tribunale. In data odierna le parti ex art. 444 del c.p.p. hanno chiesto che, a norma dell'art. 81 cpv del c.p., trattandosi di un ulteriore episodio riconducibile ad un unico disegno criminoso, sia applicata a Bruno Vallero la pena di quindici giorni di reclusione militare. Questo tribunale ritiene che la decisione della Corte militare d'appello sia corretta. Da una parte, infatti, l'unanime giurisprudenza regolatrice e parte della dottrina concordano nel ritenere che i reati di assenza dal servizio (art. 148 e 151 del c.p.m.p.) siano permanenti. Dall'altra, la costante giurisprudenza e la dottrina prevalente, sul presupposto che il reato permanente congloba tutta una serie di azioni od omissioni sufficienti ciascuna a realizzare la consumazione del reato, affermano che la sentenza o il decreto di condanna "interrrompono la permanenza", di modo che il ne bis in idem riguarda la sola parte del reato gia' giudicata, e la prosecuzione del comportamento illecito integra un nuovo reato, per il quale non puo' non intervenire un ulteriore giudizio. Il principio ha trovato applicazione per i reati permanenti di associazione a delinquere, invasione di terreni, sequestro di persona, violazione degli obblighi di assistenza familiare, guida senza patente, in materia urbanistica, edilizia, finanziaria e previdenziale, ecc. E recenti pronunce della Cassazione (sez. I, 13 novembre 1992, c. D'Alessio; sez. II, 15 luglio 1993, c. Coppola), in linea con il tradizionale insegnamento del tribunale supremo militare, queste stesse regole hanno applicato ai reati militari di assenza dal servizio. Questo tribunale non ritiene di dover mettere in dubbio ne' che i reati di diserzione e di mancanza alla chiamata (artt. 148 e 151 del c.p.m.p.) siano permanenti (benche' non manchi in dottrina la concezione secondo cui i reati omissivi non potrebbero essere che istantanei), ne' in linea di principio le cennate statuizioni sulla portata della preclusione del ne bis in idem. Tuttavia, non puo' non porsi un delicato problema di legittimita' in relazione alle conseguenze che si determinano a seguito delle plurime condanne per le condotte illecite che, perdurando successivamente ad ogni giudizio, danno luogo a nuovi e autonomi reati della stessa specie. Conseguenze che, comunque riguardanti ogni caso di permanenza nel reato, risultano perticolarmente evidenti e gravi quando, come avviene per l'assenza dal servizio, la permanenza nel reato puo' protrarsi anche per venticinque anni circa (dall'eta' dell'obbligo di leva sino al compimento del quarantacinquesimo anno di eta'). E' chiaro che il trattamento sanzionatorio per un illecito penale deve poter tener conto anche dell'ampiezza del periodo nel quale perdura la consumazione del reato. Tuttavia, di fronte all'indefinita possibilita' del moltiplicarsi delle condanne a causa dell'"interruzione giudiziale della permanenza" ex art. 649 del c.p.p., non puo' non porsi un problema di legittimita', che valga a individuare un limite a questa spirale secondo cui, sin quando non termini il periodo di lesione del bene giuridico, la condotta illecita porta ad una condanna che a sua volta pone un nuovo fatto richiedente un'ulteriore sanzione, e cosi' via. Sensibile a quest'esigenza, l'art. 377 c.p.m.p. stabiliva che per i reati di assenza dal servizio di regola non si poteva procedere al giudizio sin quando non ne fosse cessata la permanenza. La norma tuttavia, su istanza di questo tribunale, e' stata dalla Corte costituzionale caducata (sentenza n. 469 del 1990), dopo che, con l'entrata in vigore del nuovo c.p.p. e per la dichiarazione di illegittimita' dell'art. 308 del c.p.m.p. (sentenza n. 503 del 1989), pure a seguito di questione sollevata da questo tribunale, ne era venuto meno il necessario complemento, vale a dire il potere di adottare misure cautelari e precautelari idonee a far cessare la permanenza nel reato. L'attuale situazione, purtroppo, si caratterizza per ancor piu' gravi violazioni di principi costituzionali. L'"interruzione giudiziale della permanenza" ex art. 649 del c.p.p. comporta, innanzitutto, che la responsabilita' penale del disertore o mancante alla chiamata ancora assente non dipenda solamente dal suo operato, come richiederebbe il principio dell'art. 27, primo comma, della Costituzione, ma anche dallo stesso funzionamento dell'apparato giudiziario militare: essa, piu' concretamente, cresce in ragione del numero delle condanne che nel periodo del perdurante reato gli vengono inflitte. Questo moltiplicarsi dei giudizi e delle sanzioni produce, inoltre, in violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, un innalzamento della pena edittalmente stabilita per il reato e una sanzione praticamente indeterminata o, se si preferisce, che ex art. 81 del c.p. trova un limite solamente nel triplo del massimo della pena edittale. Infine, ne risulta violato anche il principio dell'art. 3 della Costituzione, essendo evidente che, a parita' di periodo di assenza dal servizio, il trattamento sanzionatorio complessivo viene a derivare dal grado di efficenza dell'apparato giudiziario competente a conoscere del resto nei vari autonomi episodi che si creano con l'"interruzione giudiziale". La trasgressione del principio costituzionale e', del resto, evidente anche per le fasi del procedimento precedenti il giudizio: da una posticipazione del dibattimento puo', ad esempio, dipendere la sussistenza dell'aggravante di aver protratto l'assenza oltre sei mesi (art. 154, n. 2, del c.p.m.p.). E' chiaro, dunque, in quale senso la denunciata illegittimita' non possa riguardare l'"interruzione giudiziale della permanenza" ex art. 649 del c.p.p. in quanto tale. Essa concerne la parte in cui - il che e' ampiamento sottolineato dalla giurisprudenza regolatrice che senza mezzi termini si riferisce al comportamento successivo al giudizio come ad un episodio del tutto nuovo ed autonomo - consente che per un unico reato permanente, una o piu' volte giudizialmente "interrotto", sia irrogabile un complessivo trattamento sanzionatorio superiore a quello edittalmento stabilito per il reato medesimo. La questione di legittimita' e' sicuramente rilevante nel presente giudizio, in quanto questo limite viene superato per il Bruno Vallero con l'aumento ex art. 81 del c.p., dal momento che il tribunale militare di Roma gia' ha irrogato una pena (due anni di reclusione militare) coincidente con il massimo edittale.
P. Q. M. In sede di giudizio ex art. 444 del c.p.p.; Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del c.p.p. in parte de qua, in relazione agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Padova, addi' 7 febbraio 1995 Il presidente estensore: ROSIN 95C0419