N. 194 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 1994
N. 194 Ordinanza emessa il 12 dicembre 1994 dal tribunale per i minorenni di Bologna nel procedimento a carico di Ciavardini Luigi Processo penale - Cognizione del giudice - Questioni pregiudiziali - Dibattimento - Divieto di rinvio o di sospensione motivata fino al passaggio in giudicato della sentenza penale di altro procedimento che definisce la questione (nella specie: procedimento a carico di imputato, minorenne all'epoca del fatto, per il quale l'accertamento nei confronti degli imputati maggiorenni si presenta prioritario ed in fase processualmente piu' avanzata) - Lesione del principio di eguaglianza in rapporto alla delega legislativa e alla prima direttiva della stessa ispirata al principio della massima semplificazione nello svolgimento del processo - Violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia. (C.P.P. 1988, art. 2, primo comma). (Cost., artt. 3, 76, 77, primo comma, e 97).(GU n.16 del 19-4-1995 )
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha proposto la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale intorno alla impossibilita' di rinviare il dibattimento a dopo la formazione del giudicato nei confronti dei coimputati maggiorenni di Luigi Ciavardini. Sulla rilevanza della questione va detto quanto segue: il decreto del giudice che ha disposto il giudizio e la lista depositata dal pubblico ministero a norma dell'art. 468 del c.p.p. mostrano che i delitti contestati all'imputato, minorenne all'epoca dei fatti, sono gli stessi per cui si procede nei confronti dei maggiorenni Signorelli Paolo, Fachini Massimiliano, Rinani Roberto, Fioravanti Valerio, Mambro Francesca, Picciafuoco Sergio, Cavallini Gilberto, Iannilli Marcello, Gliuliani Egidio, Raho Roberto e che la condotta criminosa di costoro costituisce il presupposto di quella a lui contestata. Dalla detta lista si desume, riguardo alla strage consumata il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, che il Ciavardini sarebbe stato un esecutore materiale ("la strage e' stata compiuta da ragazzini") con ruolo di mandatario (vedi la frase che dovrebbero confermare i testi Ferreli e Aurora: "ecco cosa succede a mandare dei ragazzini a fare certe cose"). L'accertamento nei confronti degli adulti si presenta percio' prioritario. E non solo per la posizione gregaria del minorenne, ma anche perche' i mezzi di prova dedotti dal p.m. intorno alla presenza di taluno dei coimputati nel luogo e nel momento della strage si riferiscono soltanto ai maggiorenni (vedi circostanze relative alla posizione di Sergio Picciafuoco e alla richiesta deposizione di Massimo Sparti sulle frasi dettegli da Valerio Fioravanti), laddove gli indizi a carico del Ciavardini sono puramente logico-deduttivi e da rapportare, sulla base dei suoi rapporti con loro, appunto all'ipotesi di reita' di detti coimputati. Il meno indiretto, l'indizio costituito dalla telefonata fatta dal Ciavardini - secondo il capitolato di prova del p.m. da sottoporre a Cecilia Loreti (p. 506, fasc. dib.) - per dissuadere altri amici a raggiungerlo il giorno 1 agosto 1980 a Venezia da Roma "in quanto vi erano gravi problemi", dovrebbe denotare la sua conoscenza del disegno criminoso dei coimputati e, per tale fatto, la sua partecipazione. L'accertamento richiesto a questo giudice si prospetta, cioe', idealmente articolato in ipotesi e tesi: la prima concernente il fatto dei maggiorenni, la seconda il fatto del minorenne. Illuminanti sono in proposito le circostanze indicate a prova dell'ipotesi nei paragrafi B, C, D della lista del p.m., le sue produzioni documentali (intese a dare fondamento storico-ideologico-politico all'impianto accusatorio), le sue richieste di acquisire sentenze e processi verbali per provare la reita' dei maggiorenni. Di conseguenza, ai fini della conduzione e dell'esito del dibattimento, ha evidente rilevanza decidere se e come debba essere incidentalmente compiuto dal tribunale per i minorenni l'accertamento dei fatti imputati ai maggiorenni. Si aggiunga che il p.m., preoccupato di non decadere dalla possibilita' di provare con ogni mezzo l'ipotesi, nel ritenere "acquisibili tutti i verbali di prove assunti dal pubblico ministero o dal giudice istruttore e gia' acquisiti al procedimento per la strage di Bologna concernente i "maggiorenni", preannuncia una questione di costituzionalita' qualora il tribunale ritenesse di non potere acquisire gli atti non assunti secondo i principi del processo accusatorio. E cio' pur non essendo in grado di precisare di quali verbali domanda l'acquisizione, "attesa la quantita' dei verbali stessi" (quel processo e' dell'ordine delle centinaia di migliaia di affoliazioni). Onde ancora piu' forte si avverte la necessita' di prima decidere se puo' o no attendersi quella res judicata che potrebbe o surrogare una siffatta acquisizione, o consentire acquisizioni razionalmente mirate (non possibili riguardo al materiale innominato e indistinto cui il p.m. si riferisce). L'art. 238- bis del c.p.p. e' stato concepito proprio allo scopo di mettere sinteticamente a disposizione del giudice, attraverso le sentenze irrevocabili, elementi di valutazione influenti. Il legislatore stesso, nel prevedere l'acquisizione "delle sentenze divenute irrevocabili", ne ha stabilita l'inferenza "ai fini della prova di fatto in esse accertato". Non e' chiaro l'effetto di tale previsione (in ordine al limite posto all'autorita' del giudicato penale nel processo ricevente, atteso che, mentre il d.-l. 8 giugno 1992, n. 306 disponeva che le sentenze irrevocabili fossero "liberamente valutate", la legge di conversione 7 agosto 1992, n. 356 ha sostituito alla libera valutazione il richiamo dell'art. 192/3 del c.p.p., ristretto al modo di valutare "le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12"). Ma appare in ogni modo evidente che l'utilizzabilita' delle sentenze irrevocabili, qualora pure le si assuma come mera prova dei fatti, o come presunzione meramente relativa di accertamento, non puo' essere stata di elementi conoscitivi e, soprattutto, per evitare, quanto meno in linea di massima, la ripetizione di uno stesso accertamento. L'ineludibile riscontro di tali sentenze sembra insomma da consegnare, oltre che al raffronto con il contesto probatorio del processo che le acquisisce, non ad altro che alla verifica di eccezioni eventualmente sollevate su loro singoli capi o passaggi dimostrativi. Ed e' a questo punto che occorre misurare la portata dell'art. 2/1 del c.p.p., su cui si focalizza la questione di legittimita' costituzionale. Intorno alla non manifesta infondatezza della questione deve osservarsi: la competenza del tribunale per i minorenni sui reati commessi da minorenni, adesso statuita dall'art. 3/1 d.P.R. n. 448/1988, e' fuori discussione da quando la Corte costituzionale, con la sentenza n. 222/1983, volendo privilegiare la finalita' del "recupero del minore deviante" rispetto al valore dell'uniformita' dei giudicati, dichiaro' illegittimo l'art. 9 del r.d.-l. n. 1404/1934 nella parte in cui sottraeva all'organo di giustizia minorile la competenza a giudicare i minorenni coimputati con maggiorenni. Se non che quella pronuncia escluse la connessione fra procedimenti contro adulti e procedimenti contro minorenni in un contesto sistematico che non contemplava il principio di autonomia del processo penale, poi sancito dal nuovo c.p.p. nell'art. 2/1 che cosi' recita: "Il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito". (La deroga concerne il rapporto con le controversie non penali di cui agli art. 3 e 479 del c.p.p.). Per cui si tratta ora di saggiare quale fondamento costituzionale residui sotto il principio di autonomia del processo penale, al quale si e' venuta a ricondurre anche l'autonomia del processo minorile. E cio' in vista dei gravi problemi che al tribunale per i minorenni vengono dalla indiscriminata applicazione di un tale principio, che impedisce di attendere la formazione del giudicato nei confronti dei coimputati maggiorenni, nonostante il processo contro essi abbia gia' superato il secondo grado in sede di rinvio dalla Corte di cassazione. Avere eliminato ogni palliativo alla duplicazione dei processi in presenza di coimputati maggiorenni e minorenni non sembra, al cospetto della sempre piu' grave crisi del giudizio penale, realistico e ragionevole. Ne' vi si puo' cercare rimedio nell'art. 465 del c.p.p. (che ha il solo scopo di temperare, in rapporto intuibile con eventuali difficolta' operative dell'ufficio, il potere riservato al g.i.p. di scegliere la data del giudizio). La possibilita' di differire l'udienza non piu' di una volta e' data al presidente prima di conoscere le liste di cui all'art. 468. E in questo processo, peraltro, e' stata gia' consumata. Occorre pertanto muovere dal rilievo che, prima della novella di cui alla legge n. 356/1992, escludere il valore probatorio del giudicato penale esterno era conforme all'affermazione dell'autonomia del processo. E che, se la novella ha ricuperato, ai fini della prova del fatto, le sentenze penali divenute irrevocabili, prevedendone l'acquisibilita' al fascicolo del dibattimento, cio' non puo' che scuotere l'autonomia del processo. Giustapporre alla regola dei processi autonomi e paralleli l'utilizzazione del giudicato formatosi per primo ha introdotto nel sistema un elemento di contraddizione. Il che fa ripensare a come, in verita', il principio di autonomia del processo non fosse menzionato nella legge di delegazione al governo per l'emanazione del codice. Canonizzare quel principio fu autonoma scelta tecnica del legislatore delegato, giustificata da motivi di coerenza dogmatica con l'oralita' e la concentrazione proprie del rito accusatorio, e con i tempi brevi di definizione perseguiti come essenziali nel disegno del nuovo codice. Motivi la cui persuasivita' si e' di molto attenuata anche per effetto di altre modifiche apportate dalla detta novella, che ha impresso al rito impronta notevole di processo scritto (vedi art. 190- bis e 238 del c.p.p.), mentre e' largamente caduta l'attesa d'una definizione rapida degli affari, soprattutto di quelli giunti in fase di giudizio. Tanto premesso, la domanda e', anzitutto, in quale misura resta costituzionale la regola dell'art. 2/1 del c.p.p., visto che la sua legittimita' viene a dipendere dall'accordabilita' con i principi d'un processo rimasto orale nei limiti dei principi di realta' e ragionevolezza cui si e' ispirata la Corte costituzionale nell'emendarne il testo originale. Rotta la chiusura del processo, le modifiche non possono che rimetterne in discussione l'autonomia. Tanto piu' in quanto l'art. 238- bis, riconoscendo il valore della sentenza penale passata in giudicato, consegna l'autonomia del processo addirittura al caso, se e' vero che la necessita' o meno di sviluppare ex novo un accertamento incidentale risulta condizionata dal tempo di formazione di un giudicato esterno sull'oggetto dell'accertamento. Tutto cio' suscita intorno all'art. 2/1 del c.p.p. tre interrogativi di costituzionalita'. Il primo in rapporto al principio di uguaglianza, posto che la prova viene a dipendere da una variabile esterna al processo, secondo che all'esterno si formi o no un giudicato penale su fatti da provare. Il secondo in rapporto alla delega legislativa, in quanto la coerenza sistematica, che prima poteva giustificare la formulazione (drastica) di una norma non contemplata dalla legge di delegazione al governo, e' venuta largamente meno dopo gli interventi della Corte costituzionale e del legislatore stesso. Mentre resta cogente la prima direttiva della legge delega, che previde la "massima semplificazione nello svolgimento del processo". Il terzo in rapporto al principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia, soprattutto con riferimento alla giustizia minorile, dato che l'art. 97 della Costituzione non riguarda soltanto la pubblica amministrazione in senso stretto. Sembra giusto verificare fino a che punto il costo pagato in nome dell'autonomia del processo penale si giustifica allorche' sia per tradursi nello sconvolgimento dell'attivita' del tribunale per i minorenni (organo certo non concepito e strutturato per affrontare i processi-inchiesta relativi alla criminalita' adulta organizzata, e meno che mai nelle forme della prova orale in giudizio. Immaginiamo un grande processo di mafia in cui sia coimputato, per attivita' esecutiva, un minorenne). La questione e' se la pretesa che il tribunale debba qui assolutamente ripetere una intera istruttoria dibattimentale intorno all'ipotesi costituita dalla reita' degli imputati maggiorenni abbia rigore logico-costituzionale, considerato che puo' provocare, oltre a enorme diseconomia processuale e a inquietanti riflessi sull'ordine pubblico, riverberi sociali per la conseguente inevitabile compromissione delle altre attivita' dell'organo di giustizia minorile. Organo i cui giudici togati, per la specializzazione di fatto acquisita, non sono accettabilmente surrogabili ricorrendo all'istituto dell'applicazione di magistrati di altro ufficio, tenendo fra l'altro presente che l'applicato non puo' svolgere attivita' in procedimenti penali di particolare durata (art. 106/6 dell'ord. giud.). La stessa Corte costituzionale ha insegnato che, mentre la scelta in se' del simultaneus processus o dei processi autonomi non puo' considerarsi costituzionalizzata, e' sempre doveroso fare in modo che la regola non pregiudichi esigenze che l'ordinamento considera preminenti. La questione di costituzionalita' dell'art. 2/1 del c.p.p. si solleva quindi per violazione degli art. 3, 76, 77, comma primo, e 97 della Costituzione, nella parte in cui esso non consente di rinviare o sospendere motivatamente (e magari con garanzia di impugnazione) il processo allorche' la decisione in qualche modo dipenda da una questione penale da risolvere in via incidentale mentre in altro processo la medesima e' oggetto di un accertamento in fase processuale piu' avanzata. E, in ispecie, non lo consente al tribunale per i minorenni, pure quando, non essendo l'imputato piu' minorenne, manca la necessita' di non ritardare il trattamento giudiziario specialisticamente diretto al "recupero del minore deviante".
P. Q. M. Visti gli art. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale sull'art. 2/1 del c.p.p. in rapporto agli art. 3, 76, 77, comma primo, e 97 della Costituzione nel senso e agli effetti precisati in motivazione; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bologna, addi' 12 dicembre 1994 Il presidente: SACCHETTI 95C0421