N. 199 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 1995
N. 199 Ordinanza emessa il 10 febbraio 1995 dalla Corte d'appello di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Pellegrino Donatella Stupefacenti e sostanze psicotrope - Coltivazione di sostanze stupefacenti destinate ad uso personale - Prevista assoggettabilita', per interpretazione del diritto vivente, a sanzione penale diversamente da quanto stabilito all'esito della abrogazione referendaria (recepita nel d.P.R. n. 171/1993) per l'importazione, la detenzione o l'acquisto di sostanze stupefacenti destinate all'uso personale - Ingiustificata disparita' di trattamento - Irrazionalita'. (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 75, modificato dal d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171). (Cost., art. 3).(GU n.16 del 19-4-1995 )
LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di Pellegrino Donatella, appellante avverso la sentenza 23 dicembre 1993 del Tribunale di Cosenza che l'aveva giudicata colpevole del reato di cui all'art. 73, quinto comma, del d.P.R. n. 309/1990 per avere, senza autorizzazione, coltivato dieci piantine di canapa indiana contenenti un principio tossicologico attivo nella misura dello 0,64 %, pari ad una dose media di stupefacente. La Corte solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 75, primo comma, del d.P.R. n. 309/1990, come modificato dal d.P.R. n. 171/1993 a seguito di referendum popolare, in relazione all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che anche la coltivazione di sostanze stupefacenti - oltre che l'importazione, l'acquisto o la detenzione - venga punita soltanto con sanzioni amministrative se finalizzata all'uso personale della sostanza. 1. - La questione e' rilevante nel caso in esame atteso che, come emerge dalla impugnata sentenza, in considerazione delle modalita' e circostanze del fatto, della natura e quantita' della sostanza stupefacente e delle condizioni personali dell'imputata, puo' ritenersi che la Pellegrino coltivasse le predette piantine per fare uso personale dello stupefacente. Manca in ogni caso qualsiasi elemento di prova idoneo a dimostrare che la coltivazione fosse finalizzata al commercio o alla cessione a terzi dello stupefacente, prova che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, e' posta a carico dell'accusa sia che, secondo l'orientamento prevalente, si ravvisi nel nuovo art. 75 del d.P.R. n. 309/1990 un'ipotesi di abolitio criminis (Cass., sez. un., 18 giugno 1993, De Bortoli; Cass. IV, 18 gennaio 1994 n. 2534; Cass. IV, 7 aprile 1994 n. 4042; Cass. IV, 18 marzo 1994 n. 3331; Cass. VI, 15 novembre 1993, Mulas), sia che si ravvisi nella citata norma una circostanza soggettiva di esclusione della pena (Cass. IV, 22 aprile 1994, Pinna). Nel caso di specie, peraltro, l'accusa non solo non ha provato ma neppure prospettato che la coltivazione delle piantine di canapa indiana da parte della Pellegrino fosse finalizzata alla cessione a terzi dello stupefacente. 2. - A parere del Collegio il sistema normativo di risulta conseguente al referendum abrogativo del 1993 ed al d.P.R. n. 171/1993 delinea, negli artt. 73 e 75 del d.P.R. n. 309/1990, per condotte ugualmente caratterizzate dalla destinazione della sostanza all'uso personale (coltivazione da un lato e acquisto, importazione e detenzione dall'altro) un trattamento sanzionatorio diversificato che non appare ispirato a criteri di ragionevolezza e si pone in contrasto con il principio di uguaglianza dell'art. 3 della Costituzione. Invero, questa stessa Corte (sentenza 23 marzo 1994, Noia) aveva gia' percorso la strada dell'interpretazione estensiva dell'art. 75 del d.P.R. n. 309/1990, argomentando che a seguito della depenalizzazione della detenzione per uso personale della droga, conseguente agli esiti del referendum abrogativo, e con il superamento del dato quantitativo mediante l'abrogazione del concetto di dose media giornaliera, si imponeva al giudice di considerare la finalizzazione della condotta quale unico discrimine per la sanzionabilita' penale della stessa. Di conseguenza anche la coltivazione, se finalizzata all'uso personale, doveva ricomprendersi nel piu' ampio concetto di detenzione per uso personale previsto dal primo comma dell'art. 75, non avendo piu' ragione di persistere quell'orientamento giurisprudenziale che considerava la coltivazione come reato di pericolo astratto e presunto, per la sussistenza del quale non occorreva verificare la quantita' del principio attivo di sostanza stupefacente contenuto nelle piantine e la finalita' di spaccio della droga. La Corte di cassazione tuttavia ha annullato la predetta decisione (Cass. IV, 20 settembre 1994-21 dicembre 1994, n. 2013) in base all'argomento, definito decisivo, "che gli effetti abroganti del decreto n. 171/1993 non riguardano gli artt. 26 e 73 del d.P.R. n. 309, che fanno espresso divieto di coltivazione e fabbricazione - ritenute equipollenti dal legislatore - di sostanze stupefacenti". Ha rilevato la Suprema Corte che mentre la illiceita' della coltivazione risulta tuttora sanzionata penalmente ai sensi dell'art. 73, l'art. 75, come riformato dal decreto referendario mediante la degradazione della detenzione per uso personale a mero illecito amministrativo, limita oggettivamente l'ambito dei soggetti che eventualmente fanno uso personale della sostanza, con esclusivo riferimento a chi illecitamente importa, acquista o comunque detiene sostanze stupefacenti. Da tale ambito, che a giudizio della Cassazione ha un valore particolarmente significativo per la individuazione dei soggetti beneficiari della non punibilita', e' rimasto pertanto escluso colui che coltiva o fabbrica stupefacenti. E in siffatta materia, aggiunge la Cassazione, non e' possibile "una estensione analogica, in mancanza dei presupposti necessari ed in considerazione della tassativita' delle prescrizioni contenute negli artt. 73 e 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, che implicano una scelta precisa ed una valutazione ponderata del legislatore". A conclusione di tali argomentazioni la Suprema Corte ha riaffermato la punibilita' in sede penale della coltivazione di sostanze stupefacenti anche se finalizzata ad uso personale, confermando l'indirizzo che ravvisa in tale condotta un reato di pericolo con conseguente irrilevanza della valutazione della quantita' di droga potenzialmente ricavabile dalla piantine coltivate e dell'elemento soggettivo dell'agente in relazione all'eventuale destinazione ad uso personale della sostanza. 3. - Questa Corte prende atto del diritto vivente quale emerge dalla interpretazione fornita dalla Suprema Corte, ma rileva che il sistema normativo in tema di stupefacenti seguito al referendum abrogativo del 1993, cosi' delineato, si presenta, con riferimento alla coltivazione di sostanze stupefacenti, poco razionale ed in contrasto con il principio di uguaglianza dell'art. 3 della Costituzione. La scelta del legislatore del 1990 aveva una sua logica coerenza in quanto si radicava sul principio della illiceita' della detenzione di sostanze stupefacenti, anche se finalizzata ad uso personale, e limitava l'applicabilita' delle sanzioni amministrative al solo esiguo parametro quantitativo della dose media giornaliera. Appariva pertanto coerente con tale impostazione l'esclusione della coltivazione dall'elenco delle condotte che ai sensi dell'art. 75 comportavano la degradazione dell'illecito penale ad illecito amministrativo, in quanto tale attivita' produttiva - per sua natura - era potenzialmente ed astrattamente idonea a travolgere il dato quantitativo della dose media giornaliera che operava come discrimine per la punibilita' penale. In simile prospettiva, coerentemente, si poneva la giurisprudenza che tratteggiava la coltivazione di sostanze stupefacenti come reato di pericolo, nei termini gia' descritti. G1i esiti del referendum abrogativo travolgono tale impostazione, giacche' cancellano il principio del divieto dell'uso personale di sostanze stupefacenti sancito al primo comma dell'art. 72 e - eliminando il parametro quantitativo della dose media giornaliera - pongono la finalita' dell'uso personale quale unico discrimine tra l'illecito penale e quello amministrativo, indipendentemente dal tipo di condotta e dalla natura e quantita' della sostanza stupefacente. Perde rilevanza, di conseguenza, quell'orientamento che individuava nella coltivazione di sostanze stupefacenti un reato di pericolo presunto sulla base della considerazione che tale condotta era astrattamente idonea ad accrescere in maniera indiscriminata i quantitativi coltivabili e quindi non consentiva di valutare a priori la quantita' potenzialmente ricavabile di stupefacente. Il rilievo depenalizzante assunto dall'uso personale della droga nella nuova disciplina, indipendentemente da parametri quantitativi non piu' esistenti (in tal senso espressamente, Cass. IV, 18 gennaio 1994 n. 2534), dovrebbe infatti equiparare la coltivazione alle altre condotte previste dall'art. 75 ai fini degli effetti sanzionatori indicati nella medesima norma. Nel quadro normativo ridisegnato dagli esiti del referendum, pertanto, l'esclusione della coltivazione dal novero delle condotte punite con sanzione amministrativa, se finalizzate all'uso personale dello stupefacente, non appare piu' sorretta da quei criteri di ragionevolezza che pur aveva nel contesto della originaria normativa e si pone in contrasto con il principo di parita' di trattamento che l'art. 3 della Costituzione impone al legislatore. Tale esclusione costituisce oggi una non piu' giustificata diversita' di trattamento sanzionatorio per condotte diverse (importazione, acquisto, detenzione e coltivazione) ma egualmente ispirate a quella medesima finalita' di uso personale della sostanza stupefacente posta a fondamento della scelta popolare di depenalizzazione. Allo stato della normativa attuale, infatti, colui che coltiva, magari in un vaso sul davanzale della finestra, alcune piantine di canapa indiana per uso personale e' sottoposto alle sanzioni penali previste dall'art. 73, mentre colui che importa o acquista, sempre per uso personale, anche cospicue quantita' di eroina o cocaina soggiace alle sanzioni amministrative previste dall'art. 75. Tale irragionevole trattamento differenziato non puo' trovare giustificazione, peraltro, neppure in base ad una presunta intrinseca maggiore pericolosita' sociale dell'attivita' di coltivazione rispetto alle altre condotte. In alcuni casi, anzi, e' di tutta evidenza il contrario, dovendosi, ad esempio, ritenere di minor allarme sociale l'attivita' di colui che coltiva nel proprio giardino poche piantine di canapa indiana per ricavare lo stupefacente di cui fa uso rispetto a colui che importa eroina o cocaina - e denota quindi una notevole capacita' di mezzi e contatti anche con paesi stranieri - o a colui che acquista lo stupefacente di cui fa abitualmente uso, incrementando in tal modo l'illecito mercato della droga. 4. - A parere del Collegio la descritta situazione normativa configura un'ipotesi di incostituzionalita' sopravvenuta - conseguente agli esiti del referendum ed al d.P.R. n. 171/1993, per certi versi inevitabile data la natura del referendum abrogativo ed i limiti della sua operativita' sulla normativa preesistente - alla quale puo' porre rimedio la Corte costituzionale con una sentenza additiva, con la quale si dichiari l'incostituzionalita' del primo comma dell'art. 75 del d.P.R. n. 309/1990, come modificato dal d.P.R. n. 171, perche' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che anche la coltivazione di sostanze stupefacenti (oltre che l'acquisto, l'importazione o la detenzione) sia punita con le sanzioni amministrative, se finalizzata esclusivamente all'uso personale della droga. Tale auspicata pronuncia sanerebbe il vulnus al precetto costituzionale e restituirebbe ragionevolezza alla nuova normativa sugli stupefacenti, perche' coerentemente verrebbero escluse dalla possibilita' di applicazione di sanzioni amministrative solo quelle condotte che ex se sono indicative della destinazione a terzi della droga (vendita, cessione, commercio, offerta, distribuzione, ecc.), mentre sarebbero incluse nella previsione dell'art. 75 quelle condotte neutre che non dimostrano di per se' la destinazione della sostanza, lasciando cosi' al giudice l'accertamento della sussistenza o meno dell'uso personale depenalizzante. Siffatta decisione sarebbe perfettamente conforme alla volonta' popolare espressa nel referendum e in un certo senso ne realizzerebbe compiutamente l'ispirazione di fondo che ha indiscutibilmente elevato l'uso personale di sostanze stupefacenti a momento di discrimine per la rilevanza penale di ogni condotta. Sarebbe inoltre conforme ai principi espressi dalla stessa Corte nella sentenza che ha dichiarato ammissibile il referendum (4 febbraio 1993 n. 28) e non contrasterebbe con la Convenzione di Vienna del 20 dicembre 1988, resa esecutiva con legge 5 novembre 1990 n. 328, in quella sede richiamata, che lascia agli Stati contraenti la possibilita' di prevedere la possibilita' di misure diverse dalla sanzione penale in casi adeguati di natura minore. Anche nella prospettiva sopra delineata, infatti, la coltivazione di sostanze stupefacenti - al pari della fabbricazione, detenzione, acquisto, importazione, ecc. - resterebbe una condotta penalmente rilevante ai sensi degli artt. 26 e 73, del d.P.R. n. 309/1990. La degradazione ad illecito amministrativo discenderebbe unicamente dalla non contestabile finalita' d'uso personale, ipotesi senza dubbio di minore gravita', mentre resterebbe intatta la possibilita' per il giudice ordinario di valutare in concreto ogni singolo caso per desumere dalla dimensione ed estensione della coltivazione ed alla stregua degli altri parametri piu' volte enunciati dalla Cassazione (modalita' e circostanze del fatto, natura e quantita' della sostanza, condizioni personali ed economiche del soggetto, ecc.), la sussistenza o meno della asserita finalita' di uso personale ed i conseguenti effetti depenalizzanti.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, come modificato dal d.P.R. 5 giugno 1993 n. 171, nella parte in cui non prevede che anche la coltivazione di sostanze stupefacenti - al pari della importazione, acquisto e detenzione - venga punita con le sanzioni amministrative previste dalla medesima norma, ove la stessa sia finalizzata all'uso personale della sostanza; Ordina che a cura della cancelleria gli atti vengano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Catanzaro, addi' 10 febbraio 1995 Il presidente estensore: GRECO 95C0426