N. 135 SENTENZA 20 - 27 aprile 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo   penale   -   Minori   -   Istituto  del  patteggiamento  -
 Applicabilita' nel processo minorile - Esclusione -  Improponibilita'
 del  raffronto  tra  il  patteggiamento  e  il  giudizio abbreviato -
 Richiamo alla giurisprudenza della Corte (v. sentenze nn. 251/1991  e
 66/1990)  -  Non  incisione,  nell'istituto  del giudizio abbreviato,
 dell'accordo delle parti sul  contenuto  della  decisione  ne'  sugli
 effetti della sentenza - Ragionevolezza - Non fondatezza.
 
 (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 25, primo comma).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.18 del 3-5-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
    VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
    Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 25 del d.P.R.
 22 settembre  1988,  n.  448  (Approvazione  delle  disposizioni  sul
 processo  penale  a  carico  di  imputati  minorenni),  promosso  con
 ordinanza  emessa  l'11  marzo  1993  dal   Giudice   per   l'udienza
 preliminare  presso  il  Tribunale  per  i  minorenni  di  Napoli nel
 procedimento penale a carico di C.A., iscritta al n. 317 del registro
 ordinanze  1994  e  pubblicata   nella   Gazzetta   Ufficiale   della
 Repubblica, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 22 febbraio  1994  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Tribunale per i minorenni di Napoli, in composizione e con
 funzioni  di  giudice  per  l'udienza  preliminare, ha sollevato, con
 ordinanza dell'11 marzo 1993 (pervenuta a questa Corte il  18  maggio
 1994),  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 25 del
 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul
 processo penale a carico di imputati minorenni), nella parte  in  cui
 (comma  1)  detta  norma esclude l'applicabilita' nel processo penale
 minorile delle disposizioni del titolo II del libro VI del codice  di
 procedura   penale   (artt.  444  e  448:  c.d.  patteggiamento),  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    2. - Il rimettente premette che  nel  giudizio  a  quo  l'imputato
 minorenne   ha   formulato  personalmente,  all'udienza  preliminare,
 richiesta di applicazione della  pena  concordata  ex  art.  444  del
 codice   di  procedura  penale,  in  una  determinata  misura  e  con
 sostituzione   della   pena    detentiva    in    pena    pecuniaria;
 sull'opposizione  del  pubblico  ministero,  stante la preclusione al
 rito richiesto stabilita dall'art. 25 del d.P.R. n. 448 del 1988,  la
 difesa  dell'imputato  ha eccepito l'illegittimita' costituzionale di
 quest'ultima previsione.
    3. - Nel sollevare la questione il Tribunale espone in primo luogo
 il  requisito  della  rilevanza  muovendo  dai  numerosi  profili  di
 concreto   interesse,   per   l'imputato   minorenne,  a  fruire  del
 patteggiamento: a) l'interessato  ha  gia'  riportato  in  precedenza
 altre  condanne a pene non sospese, e non puo' ulteriormente giovarsi
 del beneficio sospensivo; b) e' suo interesse ottenere  una  sanzione
 pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, nella misura minima
 possibile; c) ancora, e' suo interesse ottenere una pronuncia come il
 patteggiamento,  non  costituente a tutti gli effetti una sentenza di
 condanna, giacche'  viceversa  una  decisione  di  quest'ultimo  tipo
 potrebbe   comportare  la  decadenza  dall'affidamento  in  prova  al
 servizio sociale, in corso di svolgimento per precedente condanna; d)
 mentre la sostituzione di pena sarebbe un dato sicuro  applicando  il
 patteggiamento,   la  stessa  sostituzione  degrada  ad  eventualita'
 nell'ipotesi di accesso al rito abbreviato, consentito nella  specie;
 e)  infine,  vi  e'  l'interesse dell'imputato alla pronuncia di pena
 concordata  anche  sul  piano  della  non-iscrizione  di   essa   nel
 certificato del casellario giudiziale (art. 689, comma 2, lettera a),
 n. 5 del c.p.p.).
    4.  -  Nel  merito  della  questione,  il Tribunale ritiene che la
 esclusione  del  patteggiamento  nel   processo   minorile   sia   in
 contraddizione  con  le  stesse scelte effettuate dal legislatore del
 1988 nel dettare la disciplina del nuovo processo penale minorile; se
 da un lato l'obiettivo  di  fondo  e'  quello  della  piu'  sollecita
 fuoriuscita del minore dal circuito giudiziario penale, e se in linea
 con questo obiettivo sono stati previsti gli istituti - nuovi - della
 irrilevanza  del  fatto  (art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988) e della
 sospensione del processo per messa alla prova  (art.  28  del  d.P.R.
 citato),  risulta  d'altro  lato  contraddittorio  l'abbandono  delle
 possibilita'  deflattive  e  di  spedita  risoluzione  della  vicenda
 processuale  insite  nel  patteggiamento  (come pure nel giudizio per
 decreto, anch'esso non  consentito).  Possibilita'  ed  esigenze  che
 pero'  sussistono nel processo a carico di minori, anche alla luce di
 norme  o   atti   internazionali,   come   le   Regole   minime   per
 l'amministrazione  della  giustizia minorile approvate dall'O.N.U. il
 29 novembre 1985 (c.d. Regole di Pechino) o come  la  Raccomandazione
 sulle  risposte  sociali  alla  delinquenza  minorile  approvata  dal
 Consiglio d'Europa il 17 settembre 1987.
    E' percio' dubbia, ad avviso del  rimettente,  la  coerenza  della
 norma  sulla esclusione del patteggiamento rispetto al raggiungimento
 degli scopi propri del processo penale minorile.
    Ne' risulta appagante, in questo senso, la  giustificazione  della
 norma  offerta  dalla  relazione ministeriale al progetto preliminare
 del codice, incentrata sul fatto che la richiesta  di  patteggiamento
 presuppone una piena maturita' e capacita' di valutazione e di scelta
 che  farebbe  difetto  nel  minore,  in correlazione con l'obbligo di
 verifica caso per caso della capacita' intellettiva  e  volitiva  del
 minorenne.  Sul punto osserva in contrario il rimettente che l'art. 9
 del d.P.R. n. 448 del 1988 impone al pubblico ministero e al  giudice
 la  raccolta  di dati relativi alla personalita' del minore, e dunque
 individua uno strumento di verifica  delle  capacita'  dell'imputato,
 valevole  anche  ai  fini della richiesta di patteggiamento; ne' puo'
 dirsi sussistente il rischio di decisioni affrettate  e  sommarie  di
 "ratifica" del patteggiamento, stanti sia l'obbligo per il giudice di
 verificare  l'assenza  di  cause  di  proscioglimento ex art. 129 del
 codice  di  procedura  penale,  sia  l'ampio  ambito  del   controllo
 giurisdizionale  sulla richiesta, esteso, in forza di decisione della
 Corte costituzionale (sentenza n. 313/1990),  anche  alla  congruita'
 della pena.
    5.  - Ulteriori elementi contrastanti con la ratio dell'esclusione
 del rito speciale tratteggiata dalla relazione ministeriale sono  poi
 desunti  dal  giudice  a quo attraverso l'analisi del complesso delle
 facolta' processuali accordate al minore  nel  processo  penale,  che
 delineano  -  diversamente da quanto avviene nel processo civile - un
 soggetto con piena capacita' processuale, rispetto al quale le  altre
 figure   (genitore,   esercente   la   potesta',  congiunto)  non  si
 sostituiscono a lui. I diritti e le  facolta'  processuali,  infatti,
 sono  riservati  al  minore,  mentre  il  genitore  e le altre figure
 richiamate integrano la sua difesa senza sovrapporsi alle sue scelte.
 Non contraddicono questa configurazione - prosegue il giudice a quo -
 le norme che consentono l'impugnazione all'esercente  la  potesta'  o
 quelle  sulla  nomina del difensore da parte di un prossimo congiunto
 dell'imputato arrestato o fermato,  poiche'  anch'esse  rappresentano
 strumenti  ad  adiuvandum;  ne e' riprova l'art. 34 del d.P.R. n. 448
 del 1988 che assegna la prevalenza  all'impugnazione  del  minore  in
 caso di contrasto con quella del genitore.
    6.  -  Tra  le  accennate  facolta' assume spiccato rilievo, quale
 termine di raffronto per la questione sollevata, la possibilita'  per
 il minore di richiedere il giudizio abbreviato: una scelta attraverso
 la  quale il minorenne, personalmente, dispone in modo incisivo della
 propria situazione processuale, accettando  una  marcata  contrazione
 delle  proprie possibilita' difensive, insita nel giudizio allo stato
 degli atti e nella utilizzabilita' di tutto il materiale di  indagine
 raccolto  - salvo le prove acquisite illegittimamente - ai fini della
 decisione (nonche', prima dell'intervento della Corte costituzionale,
 nella inimpugnabilita' delle condanne a pena sospesa).
    Ad avviso del Tribunale, il "rischio" complessivo per il minore e'
 piu' alto nel giudizio abbreviato che nel patteggiamento: in  questo,
 al  piu',  potra'  esservi  rigetto  della  richiesta,  ma in caso di
 accoglimento  l'interessato  si  vedra'   applicata   la   situazione
 sanzionatoria  predeterminata; nel rito abbreviato, invece, il quadro
 sanzionatorio e' interamente  devoluto  al  giudice,  mentre  per  il
 minore risulterebbe compromessa la facolta' di "difendersi provando".
    A  cio'  si  aggiunge  la  diversita' del termine per formulare la
 richiesta, che e' anticipato nel giudizio abbreviato (fino all'inizio
 dell'udienza   preliminare)   rispetto   al   patteggiamento    (fino
 all'apertura del dibattimento); puo' cosi' verificarsi che il minore,
 anche   per   scarsa  attenzione,  lasci  decorrere  il  termine  per
 richiedere il rito  abbreviato  e  perda  cosi'  la  possibilita'  di
 "influire"  sulla pena, mentre questa facolta' e' ancora praticabile,
 ad esempio, per il maggiorenne coimputato dello stesso reato ascritto
 al minore.
    7. - In conclusione, il Tribunale ritiene che l'impossibilita'  di
 accesso  al patteggiamento per il minore sia ingiustificata, e lesiva
 dell'art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo della disparita'
 di trattamento tra minorenne e  maggiorenne,  sia  sotto  il  profilo
 della  incongruenza  della norma ostativa rispetto alla possibilita',
 viceversa accordata,  di  altri  riti  differenziati,  nei  quali  il
 "rischio"  di  perdita  di  chances  e'  assai  elevato e per i quali
 dovrebbero dunque a maggior ragione  valere  le  giustificazioni  (di
 diminuita   o   incerta   capacita'  e  consapevolezza)  offerte  dal
 legislatore nel motivare la denunciata preclusione.
    8.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato.
    Nell'atto   di   intervento,   l'Avvocatura  argomenta  nel  senso
 dell'infondatezza della questione, sotto entrambi i profili.
    9. -  Quanto  al  profilo  della  disparita'  di  trattamento  tra
 minorenni  e  maggiorenni,  l'Avvocatura  richiama  la relazione alle
 nuove  norme  sul  processo  minorile,   in   cui   si   rileva   che
 l'applicazione  della pena su richiesta "presuppone nell'imputato una
 capacita'  di  valutazione  e  di  decisione  che  richiedono   piena
 maturita'  e consapevolezza di scelte". Questa situazione non ricorre
 per il minore, che in generale per l'ordinamento giuridico non ha  la
 capacita'  di  disporre  autonomamente  dei  propri diritti, e che in
 particolare per l'ambito  penale  e'  in  condizione  di  incapacita'
 assoluta  se  sotto  i  quattordici anni ed e' soggetto a verifica di
 maturita' in concreto se infradiciottenne.
    E' proprio la  diversa  situazione  descritta  che  giustifica  un
 trattamento  processuale differenziato e peculiare, nel quale trovano
 posto, accanto al tradizionale  perdono  giudiziale,  nuovi  istituti
 idonei  a tener conto della particolare condizione minorile, quali in
 particolare la sospensione del giudizio per messa alla prova, e,  sul
 piano delle regole processuali, l'esame diretto da parte del giudice.
 In    questo   quadro,   osserva   l'Avvocatura,   l'esclusione   del
 patteggiamento risulta pienamente coerente con  la  specificita'  del
 giudizio penale minorile.
    10.   -  Quanto  al  secondo  profilo,  l'Avvocatura  contesta  la
 validita' del raffronto istituito dal  giudice  a  quo  tra  giudizio
 abbreviato  e patteggiamento, sottolineando la diversita' strutturale
 tra i due procedimenti speciali.
    Il patteggiamento si configura come  un  accordo  tra  imputato  e
 pubblico ministero sull'applicazione della pena in una certa misura -
 salvo  il  controllo del giudice sulla correttezza del titolo e sulla
 congruita'  della  pena  stessa  -  e  quindi  concerne   il   merito
 dell'imputazione, pur riflettendosi sul rito; il giudizio abbreviato,
 viceversa,  riguarda  soltanto  il  rito (la decidibilita' allo stato
 degli atti), ma non tocca in alcun modo il merito dell'imputazione.
    E' proprio  in  questa  fondamentale  differenza  che  risiede  la
 giustificazione  della  determinazione  legislativa  di  accordare al
 minore  la  sola  scelta  sul  processo  e  non  quella  sul   merito
 dell'addebito,    che    implicherebbe   una   sostanziale   rinuncia
 dell'imputato  al  pieno  accertamento  della  sua   responsabilita';
 accertamento,  viceversa,  pieno  e completo nell'ambito del giudizio
 abbreviato,  in  cui,  per  quanto  qui   rileva,   le   peculiarita'
 processuali  non alterano le regole di giudizio, che rimangono quelle
 proprie del processo penale.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  25,  comma  1,  del  d.P.R.  22  settembre  1988,  n.  448
 (Approvazione delle disposizioni sul  processo  penale  a  carico  di
 imputati  minorenni) nella parte in cui esclude nel processo minorile
 la disciplina per l'applicazione della pena su richiesta delle  parti
 (c.d.  patteggiamento) prevista dal titolo II del libro VI (artt. 444
 e seguenti) del codice di procedura penale.
    Il  giudice  rimettente assume il contrasto della norma denunciata
 con l'art. 3 della Costituzione: a) per irragionevolezza della norma,
 non ritenendo valido fondamento di essa la presunta  incapacita'  del
 minore,  sul  rilievo  di  altri  aspetti  del processo minorile e in
 particolare nel raffronto con la possibilita' accordata al  minorenne
 di  richiedere  il  giudizio  abbreviato - che presenterebbe "rischi"
 anche superiori al patteggiamento - nonche' alla luce delle norme che
 configurano  la  condizione   del   minore   nel   processo   penale,
 diversamente  da  quanto  avviene  in  sede civile, come quella di un
 soggetto  (assistito  ma)  autonomo  e  capace  di  scelte;  b)   per
 disparita'  di  trattamento  rispetto  ai maggiorenni, in particolare
 coimputati  del  medesimo  reato,  i  quali  godrebbero  di   chances
 processuali  maggiori;  con complessiva incoerenza, sotto entrambe le
 prospettazioni,  rispetto  ai  principi  fondamentali  del   processo
 minorile  -  desumibili  anche  da statuizioni internazionali - della
 sollecita fuoriuscita del minore dal circuito  penale  e  della  piu'
 ampia  utilizzazione delle valenze del processo a favore del medesimo
 imputato.
    2.1. - La questione  non  e'  fondata  sotto  entrambi  i  profili
 prospettati.
    Il  giudice  a  quo ritiene inappagante la giustificazione offerta
 dalle relazioni al progetto preliminare e  al  testo  definitivo  del
 codice   di   procedura   penale,   che  fanno  leva  sulla  mancanza
 nell'imputato  minorenne  di  "una  capacita'  di  valutazione  e  di
 decisione che richiedono piena maturita' e consapevolezza di scelte".
 Si  sostiene  difatti  nell'ordinanza  di  rinvio  che,  nel  caso di
 consenso del pubblico ministero al patteggiamento,  incomberebbe  pur
 sempre  al  giudice,  oltre  alla "doverosa" acquisizione di elementi
 sulla  personalita'  del  minore  (  cio'  dovendosi  desumere  dalla
 disciplina  generale  del processo minorile: art. 9 del d.P.R. n. 448
 del 1988), l'obbligo di  formulare  "un  proprio  giudizio  circa  la
 mancanza  della possibilita' di assoluzione ex art. 129 del codice di
 procedura  penale,  la  qualificazione  giuridica  dei  fatti  e   la
 comparazione  delle  circostanze  e, quindi, a maggior ragione, anche
 sulla capacita' del soggetto al momento della commissione del reato",
 nonche'  -  a  seguito  della  sentenza  n.  313/1990   della   Corte
 costituzionale - di verificare la congruita' della pena concordata.
    In   proposito  osserva  la  Corte  che,  nonostante  la  presenza
 immanente del controllo del giudice sul  patteggiamento  -  controllo
 che  secondo l'ordinanza di rinvio si estenderebbe fino alla verifica
 della capacita' dell'imputato - la  scelta  operata  dal  legislatore
 circa l'inapplicabilita' al processo minorile dell'istituto in parola
 non  appare  contraddittoria  con  la  facolta',  invece riconosciuta
 all'imputato minorenne, di  chiedere  (personalmente  o  a  mezzo  di
 procuratore  speciale)  il  giudizio  abbreviato  che  comporterebbe,
 secondo il giudice a quo, una  "situazione  ..  di  gran  lunga  piu'
 pregiudizievole" del patteggiamento.
    In relazione a quanto precede, si deve considerare che ai fini che
 si  propone l'ordinanza di rinvio non e' possibile un raffronto fra i
 due istituti. Difatti quello del patteggiamento opera su di un  piano
 diverso   da  quello  proprio  del  giudizio  abbreviato,  in  quanto
 quest'ultimo istituto si riflette esclusivamente  sul  rito  e  sulla
 misura  della  eventuale  pena,  per  cui  la scelta di esso da parte
 dell'imputato, se comporta la decidibilita' allo  stato  degli  atti,
 lascia tuttavia impregiudicati i poteri decisori del giudice e quindi
 aperte   tutte   le   possibili   conclusioni   del  giudizio.  Nell'
 applicazione di pena su richiesta delle parti, invece,  il  controllo
 del giudice consiste nella verifica della sussistenza dei presupposti
 per  la  sua  ammissibilita',  della correttezza della qualificazione
 giuridica del fatto e dell'applicazione o  della  comparazione  delle
 circostanze, nonche' della congruita' della pena concordata ai fini e
 nei  limiti  di  cui  all'art.  27,  terzo  comma, della Costituzione
 (sentenza n. 313/1990), mentre il giudice stesso  puo'  pervenire  ad
 una  pronuncia  di  proscioglimento  solo  se ricorrano le condizioni
 previste dall'art. 129 del codice di procedura penale. Ma al  di  la'
 di  questi poteri, una volta intervenuto l'accordo resta esclusa ogni
 possibilita'  per  una  conclusione   del   giudizio   di   contenuto
 assolutorio  o  comunque  diversa  da  quella  concordata, per cui la
 relativa sentenza, diversamente da quanto si  verifica  nel  giudizio
 abbreviato,  si  ricollega  in  via diretta alla definizione pattizia
 intercorsa tra imputato e pubblico ministero (sentenza n. 265/1994).
    D'altronde  questa  Corte,  pur  nella  consapevolezza  di  talune
 analogie  tra  il  rito  abbreviato  ed il patteggiamento, in ragione
 della presenza in entrambi di un  accordo  tra  accusa  e  difesa,  e
 dell'effetto  dell'adozione del rito sulla commisurazione della pena,
 ha sottolineato (sentenze nn. 251/1991 e 66/1990) come essi risultino
 "differenziati  nel  contenuto  dell'accordo  che,  nel  primo  caso,
 attiene  soltanto  alle  norme  processuali  da  adottare, mentre nel
 secondo investe anche il merito del processo e la misura della  pena"
 per cui "nella costruzione del rito speciale regolato dagli artt. 444
 e  448 del codice di procedura penale viene ad emergere un profilo di
 negozialita'",  cosi'  che  l'istituto,  "piu'  che  essere  un  rito
 speciale,  e'  una  forma di definizione pattizia del contenuto della
 sentenza" (sentenza n. 265/1994 citata).
    Inoltre, anche se si e' ritenuta  (sentenza  n.  251/1991  citata)
 "l'impossibilita'  di  riferire alla sentenza di cui all'art. 444 del
 codice di procedura penale natura  di  vera  e  propria  sentenza  di
 condanna"  essa  tuttavia,  come esplicitamente affermato dalla legge
 (art. 445, comma 1,  c.p.p.)  e  riconosciuto  sia  dalla  richiamata
 giurisprudenza di questa Corte che da quella del giudice ordinario di
 legittimita', e' per vari effetti equiparata alla prima.
    "Negozialita'",  dunque,  sul  contenuto  della  decisione, da una
 parte, ed equiparazione sotto il profilo degli effetti alla  sentenza
 di  condanna,  dall'altra,  costituiscono certamente elementi tali da
 far ritenere non contraddittorio  e  quindi  non  irragionevole  aver
 escluso  la  richiesta  di  patteggiamento  la'  dove  e'  ammessa la
 richiesta di rito  abbreviato  da  parte  del  minore,  dato  che  in
 quest'ultimo  giudizio,  come  si e' detto, l'accordo delle parti non
 incide sul contenuto della decisione ne' sugli effetti della sentenza
 del giudice che lo recepisce.
    2.2. - Che l'esclusione del "patteggiamento" nel processo minorile
 non sia poi irragionevole -  dato  che  il  recepimento  dell'accordo
 preclude  una pronuncia di tipo assolutorio, diversamente da quel che
 accade con il recepimento dell'accordo per il giudizio  abbreviato  -
 si  desume, del resto, proprio dal carattere e dalla specificita' del
 processo penale minorile. In esso il giudice e' dotato di  amplissimi
 poteri caratterizzati dall'esigenza primaria del recupero del minore,
 un  soggetto  dalla  personalita'  ancora in formazione (v. da ultimo
 sentenza n. 168/1994) per cui sono previste misure che, in  vista  di
 tale esigenza, possono portare a far concludere il processo in modi e
 con contenuti diversi da quelli propri del processo penale ordinario.
 Queste  misure  (perdono giudiziale; sospensione del processo e messa
 alla prova; sentenza di non luogo a  procedere  per  irrilevanza  del
 fatto;  piu' ampio ambito di applicazione delle sanzioni sostitutive)
 sarebbero   invece   precluse,   nell'attuale   configurazione,   dal
 "patteggiamento",  istituto  quest'ultimo  che, pertanto, rispetto al
 minore,   potrebbe   condurre   a   risultati   incoerenti   rispetto
 all'accennata finalita' e dunque lesivi dei principi fondamentali cui
 si ispira la giustizia minorile invocati dal rimettente.
    3.    -    Questo    aspetto    induce   altresi'   ad   escludere
 l'incostituzionalita' della norma anche sotto il  denunciato  profilo
 della  disparita'  di  trattamento, data l'obiettiva diversita' delle
 situazioni poste a raffronto in ragione della particolare  condizione
 e  della  diversa  e  piu'  ricca  gamma  di  possibili soluzioni del
 giudizio per l'imputato nel  processo  minorile,  rispetto  a  quelle
 previste per l'imputato maggiorenne nel processo ordinario.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  25,  comma  1,  del  d.P.R.  22  settembre  1988,  n.  448
 (Approvazione  delle  disposizioni  sul  processo  penale a carico di
 imputati minorenni),  sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Napoli, in funzione di
 giudice  per  l'udienza  preliminare,  con  l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 27 aprile 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0494