N. 253 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 febbraio 1995

                                N. 253
 Ordinanza emessa il 27 febbraio 1995 dal  pretore  di  Roma,  sezione
 distaccata  di  Tivoli  nel  procedimento penale a carico di Gallotti
 Sandro
 Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi eccedenti i limiti
    tabellari  previsti  dalla   legge   n.   319/1976   -   Lamentata
    depenalizzazione  -  Irragionevolezza  - Disparita' di trattamento
    rispetto ad ipotesi meno gravi, ma punite con maggior severita'  -
    Lesione  del diritto all'ambiente salubre - Omesso adeguamento con
    le norme del diritto internazionale, in particolare con quelle CEE
    -  Violazione  del principio di riserva di legge in materia penale
    per  reiterazione  a  catena  dei  decreti-legge   -   Conseguente
    sottrazione del potere legislativo al Parlamento.
 (D.-L. 16 gennaio 1995, n. 9, art. 3, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 10, 11, 25, 32 e 77).
(GU n.19 del 10-5-1995 )
                              IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale n.
 128/85 r.g. a carico di Gallotti Sandro nato a Tivoli il 24 settembre
 1946, imputato dei reati: a) art. 21, primo  comma,  della  legge  n.
 319/1976;  b)  art.  23  della  legge  n. 319/1976; c) art. 21, terzo
 comma, della legge n. 319/1976; d) art. 21,  primo  comma,  legge  n.
 319/1976;  alla  pubblica udienza del 15 febbraio 1995 ha pronunciato
 la  sottoestesa  ordinanza  di  rimessione  degli  atti  alla   Corte
 costituzionale  per  il  giudizio  di  costituzionalita' dell'art. 3,
 secondo comma del decreto-legge 16 gennaio 1995, n.  9  in  relazione
 agli artt. 3, 10, 11, 25, 32 e 77 della Costituzione.
    Il  primo  e  piu'  evidente  contrasto denunciabile e' quello tra
 l'impugnata norma e  l'art.  3  della  Costituzione  inteso  nel  suo
 essenziale   significato   di   limite   di   ragionevolezza  che  le
 disposizioni legislative devono sempre rispettare.
    Si osserva al riguardo che in  forza  della  norma  denunciata  si
 realizza  de  facto et de iure, la sostanziale depenalizzazione della
 condotta  di  inquinamento  collegata  al  superamento   dei   limiti
 tabellari  previsti dalla legge (con la residua rilevanza penalistica
 della condotta inquinante di chi  supera  la  soglia  percentuale  di
 inquinamento  fissata  al  20% dei valori tabellari, assoggettando la
 relativa ipotesi alla sola sanzione dell'ammenda).
    Orbene,  in  conseguenza  di  tale   novella,   la   condotta   di
 inquinamento  c.d.  sostanziale,  cosi'  definito  perche'  legato al
 superamento dei valori considerati inquinanti, riceve un  trattamento
 difforme  e  piu'  favorevole  rispetto  ai casi di inquinamento c.d.
 formale cosi' definito perche' connesso alla  sola  violazione  delle
 competenze  amministrative  dettate dalla legge in merito al rilascio
 della autorizzazione allo scarico, indipendentemente, quindi  da  una
 lesivita' in atto dell'interesse sostanziale riguardante l'integrita'
 delle acque.
    Infatti,  tali  violazioni  a  carattere  meramente  formale  sono
 rimaste   assoggettate   alla   pena   alternativa   dell'arresto   o
 dell'ammenda  ex  art.  21,  primo comma, della legge n. 319 del 1976
 laddove, per l'ipotesi del superamento dei limiti tabellari da  parte
 di  scarico  produttivo, con la norma denunciata, si e' realizzata la
 sostanziale depenalizzazione con il residuale ricorso  alla  sanzione
 penale  solo  in  caso  di  superamento  di una determinata soglia di
 inquinamento.
    Il trattamento differenziato sopra  descritto  mostra  evidenti  i
 segni  della  incoerenza logica e della disparita' di trattamento che
 non riesce a trovare alcuna valida giustificazione  della  diversita'
 delle situazioni di fatto disciplinate.
    Al   contrario,  proprio  confrontando  le  realta'  obiettive  da
 disciplinare emerge la violazione del limite di ragionevolezza atteso
 che e' stata introdotta, con la norma denunciata, una  disciplina  di
 maggior  favore  per  fatti (di inquinamento sostanziale) sicuramente
 piu' gravi di quelli (di inquinamento solo formale) per  i  quali  e'
 stata mantenuta inalterata la precedente disciplina; con il risultato
 abnorme  di  punire piu' gravemente l'inquinamento formale (arresto o
 ammenda)  rispetto  all'inquinamento  sostanziale  (solo  ammenda  o,
 persino,  al  di  sotto  della  ricordata  soglia  del  20%, assoluta
 irrilevanza penale).
    Altro profilo di contrasto denunciabile e' quello riferibile  agli
 artt.  10  e  11  della Costituzione reclamanti l'obbligo dello Stato
 italiano  di  conformarsi  agli   obblighi   internazionali   assunti
 consentendo  in condizione di parita' con gli altri Stati, anche alle
 necessarie limitazioni di sovranita'.
    Si  osserva  infatti  che  l'appartenenza  dell'Italia  all'Unione
 europea  impone  al  nostro  Paese  il pieno rispetto delle direttive
 comunitarie che, a seconda dei casi,  ricevono  diretta  applicazione
 nell'ordinamento   italiano   ovvero   vengono  applicate  attraverso
 l'intermediazione  di  leggi  di   attuazione   che   ne   assicurano
 l'esecuzione ed il rispetto.
    Nella  materia  che qui interessa sussistono direttive comunitarie
 che impongono determinati  criteri  normativi  sulla  gestione  delle
 acque e sulla repressione dei contegni violativi.
    Per  ben  due volte la Corte europea di giustizia ha condannato il
 nostro Paese per il riconosciuto contrasto tra la "Legge Merli" e  le
 vigenti  direttive comunitarie (Corte di giustizia 13 dicembre 1990 e
 28 febbraio 1991) fra le altre ragioni perche' recante  norme  troppo
 permissive   ai   fini   del   rilascio   della   autorizzazioni   ed
 insufficientemente repressive agli effetti sanzionatori in  relazione
 all'inosservanza  delle  prescrizioni  riportate nelle autorizzazioni
 medesime.
    Con la denunciata norma, che abbassa ulteriormente il  livello  di
 risposta   penale,   gia'   ritenuto   insufficiete,  si  concretizza
 l'ulteriore accentuazione  del  grado  di  inadempienza  dello  Stato
 italiano  verso  le  direttive comunitarie e verso le decisioni della
 Corte europea di giustizia.
    Violato   dalla   norma   denunciata   ed,   unitariamente,    dal
 decreto-legge  che la contiene e' altresi' il principio di riserva di
 legge in materia penale affermato dall'art.  25  della  Costituzione,
 letto   in   relazione   con   l'art.  77  della  Costituzione  sulla
 decretazione di urgenza da parte del Governo.
    Si osserva sul punto che la riserva di  legge  in  materia  penale
 possiede  quale primo e fondamentale significato, quello secondo cui,
 le  scelte  di  politica  criminale,  sono  monopolio  esclusivo  del
 Parlamento.
    L'ammissibilita'   che   nuove   norme  di  diritto  penale  siano
 introdotte attraverso decreti-legge o decreti legislativi e' connessa
 alla  circostanza  che,  in  entrambi  i  casi,  si  realizza  ed  e'
 assicurato   comunque   l'intervento   del  Parlamento  in  posizione
 sovraordinata,  ora   quale   organo   delegante   (art.   76   della
 Costituzione), ora quale organo cui e' rimesso il potere di conferire
 stabilita'  e  durevolezza,  attraverso  la  legge  di  conversione a
 disposizioni normative precarie e soggette a  decadenza  in  caso  di
 inutile  decorso del termine di sessanta giorni dettato dall'art. 77,
 ultimo comma, della Costituzione.
    Nella specie, attraverso la reiterazione a catena di decreti-legge
 non convertiti disciplinanti l'identica materia penale - l'ultimo  e'
 quello  denunciato di incostituzionalita' con la presente ordinanza -
 si e' di fatto realizzata la  sottrazione  al  Parlamento  della  sua
 esclusiva    competenza   a   disporre   in   materia   penale,   con
 l'inammissibile assunzione  da  parte  dell'esecutivo,  del  relativo
 potere  di  bilanciamento  e  di  valutazione  degli interessi che in
 materia penale e' di  esclusiva  competenza  dell'organo  assembleare
 rappresentativo della sovranita' popolare.
    In  altre  parole, attraverso il procedimento indiretto consistito
 nella  ripetuta  adozione  di  decreti-legge  non  convertiti,  e  di
 identico contenuto, si e' realizzato il risultato contrastante con le
 precisazioni di cui alla Corte costituzionale che vuole assicurata la
 competenza esclusiva del Parlamento in materia penale.
    Da  ultimo,  e'  sussistente  un evidente contrasto nella norma in
 esame con l'art. 32 della Costituzione.
    Infatti, puo' considerarsi pacifico che  nel  concetto  di  salute
 pubblica, costituzionalmente garantito, debba ricomprendersi anche la
 salubrita'  dell'ambiente  naturale  ed  urbano  entro  cui  ciascuna
 persona viva.
    Questo concetto viene pacificamente riconosciuto in giurisprudenza
 sicche' l'affievolita, ed in alcuni casi del  tutto  esclusa,  tutela
 penale  in  materia di inquinamento sostanziale comporta che la nuova
 normativa si pone in contrasto con le esigenze che  l'art.  32  della
 Costituzione   vuole   assicurate,   anche   e  soprattutto  per  via
 legislativa in materia di tutela della salute.
    La sollevata questione e' rilevante ai fini del presente  giudizio
 atteso  che  investe la norma che direttamente incide sul trattamento
 sanzionatorio applicabile al caso concreto determinandone uno affatto
 diverso.
    Infatti, nella validita'  e  vigenza  della  denunciata  norma  la
 condotta  dell'imputata risulterebbe priva della rilevanza penale; in
 opposta  ipotesi  ricadrebbe  sotto  i  rigori   della   preesistente
 disciplina  penale  di cui all'art. 21, secondo comma, della legge n.
 319/1976.
                                P. Q. M.
    Vista la  eccezione  di  incostituzionalita'  sollevata  dal  p.m.
 dell'art.  3,  secondo  comma,  del  d.-l.  16  gennaio 1995, n. 9 in
 relazione agli artt. 3, 10, 11, 25, 32 e 77;
    Ritenuto  che  la  non  manifesta  infondatezza  delle   questioni
 prospettate    e    rilevati    d'ufficio    autonomi    profili   di
 incostituzionalita' dell'art. 3, del d.-l. 16 gennaio 1995, n.  9  in
 relazione agli articoli 3, 25 e 77 della Costituzione;
    Ritenuta    la    rilevanza    della    superiore   questione   di
 costituzionalita' ai fini della definizione del presente giudizio;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva questione di  costituzionalita'  del  richiamato  art.  3,
 secondo  comma  del  d.-l.  16  gennaio 1995, n. 9, in relazione agli
 artt. 3, 10, 11,  25,  32  e  77  della  Costituzione  disponendo  la
 immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione
 sia notificata alle parti in causa ed al p. m. nonche' al  presidente
 del Consiglio dei Ministri;
    L'ordinanza verra' comunicata a cura del cancelliere ai Presidenti
 delle due Camere;
    Sospende il presente giudizio.
      Tivoli, addi' 27 febbraio 1995
                           Il pretore: CROCE
 
 95C0521