N. 264 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 marzo 1995

                                N. 264
 Ordinanza emessa  il  6  marzo  1995  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  pretura  di  Udine nel procedimento penale a
 carico di D'Agostini Lionello ed altri
 Ambiente (tutela  dell')  -  Inquinamento  -  Scarichi  di  pubbliche
 fognature  eccedenti  i  limiti  tabellari  previsti  dalla  legge n.
 319/1976  senza  autorizzazione  -   Lamentata   depenalizzazione   -
 Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi meno
 gravi,  ma  punite  con  maggior  severita'  -  Lesione  del  diritto
 all'ambiente salubre - Omesso adeguamento con le  norme  del  diritto
 internazionale,  in  particolare  con  quelle  CEE  -  Violazione del
 principio di riserva di legge in materia penale  per  reiterazione  a
 catena   dei  decreti-legge  -  Conseguente  sottrazione  del  potere
 legislativo al Parlamento.
 (D.-L. 16 gennaio 1995, n. 9, artt. 3, primo comma, prima parte, e 6,
 secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 10, 25, secondo comma, 32 e 77).
(GU n.21 del 17-5-1995 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti gli  atti  del  procedimento  n.  1338/1995  r.g.g.i.p.  nei
 confronti di:
      1)  D'Agostini  Lionello  nato  il 6 ottobre 1943 a Campoformido
 (Udine), ivi residente, via 11 Febbraio n. 58;
      2) Tomada  Franco  nato  il  2  settembre  1934  a  Campoformido
 (Udine), residente a Lestizza, fraz. Sclaunicco via S. Giovanni Bosco
 n. 52;
      3)  Petris  Giovanni nato il 15 giugno 1955 a Povoletto (Udine),
 residente a Campoformido (Udine), via della Reggia n.  10/2;  persone
 sottoposte ad indagini nella loro qualita' di sindaci pro-tempore del
 comune  di  Campoformido,  il  primo dal 21 luglio 1980 al 16 gennaio
 1987; il secondo dal 17 gennaio 1987 al 12 luglio 1990; il terzo  dal
 13 luglio 1990 attualmente in carica, in ordine:
      1)  a  piu'  scarichi fognari in corso d'acqua superficiale, nel
 territorio  del  comune  di  Campoformido,  in   assenza   di   alcun
 trattamento depurativo, in assenza di impianto di depurazione, ovvero
 in  presenza  di  depuratore  non  funzionante, eccedente i limiti di
 accettabilita' stabiliti dalla  tabella  A  allegata  alla  legge  n.
 319/1976;  scarichi  avvenuti in data: 17 settembre 1992; 18 dicembre
 1992; 24 dicembre 1992; 11 maggio 1993; 21 aprile 1993;
      2) all'attivazione degli scarichi predetti in assenza di  alcuna
 richiesta di autorizzazione;
    Vista  la  richiesta  del  pubblico ministero pervenuta in data 20
 febbraio 1995 che insta per il giudizio  di  costituzionalita'  degli
 artt.  3  e  6  del d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9, e, in subordine, per
 l'archiviazione del procedimento non essendo il fatto previsto  dalla
 legge come reato, ai sensi dell'art. 554 del c.p.p.;
    Premesso  in  fatto  che  dalle  relazioni di analisi eseguite dal
 Servizio chimico ambientale del presidio multizonale  di  prevenzione
 di  Udine  emergeva  il  superamento  alla data dei campionamenti (17
 settembre 1992; 18 dicembre 1992; 24 dicembre 1992; 21 aprile 1993  e
 11  maggio  1993)  da  parte delle acque di scarico provenienti dagli
 impianti fognari comunali di Campoformido, fraz.  Basaldella  e  loc.
 Passons,  mai  autorizzati,  dei  limiti  di accettabilita' previsti,
 eccedendo piu' parametri tanto i limiti posti dalle  tabelle  A  e  C
 allegate  alla  legge  n. 319 cit.  quanto il limite della tabella A1
 del Piano generale di risanamento delle acque della  regione  Friuli-
 Venezia Giulia;
    Premesso  altresi' che gli accertamenti esperiti originati pure da
 plurime denunce di privati, hanno consentito di rinvenirne  la  causa
 nella  presenza  in localita' Basaldella di quattro scarichi di acque
 cloacali  non  trattati  direttamente  (essendo  i   due   depuratori
 installati  inattivi) e sfocianti nell'alveo del torrente Cormor, con
 conseguenti vistosi fenomeni di inquinamento idrico (vds.  consulenza
 tecnica  dd.  4  febbraio 1993 del dott. Giorgio Barbina con allegato
 fascicolo fotografico), osserva.
    La condotta sopra descritta, in virtu' di un consolidato indirizzo
 giurisprudenziale interpretativo degli artt. 1, 9 e 14 della legge n.
 319/1976,  appariva  suscettibile   di   integrare   le   fattispecie
 penalmente  sanzionate  dall'art. 21, primo e terzo comma, legge cit.
 sulla base dell'assunto  che  tutti  gli  scarichi  (da  insediamenti
 produttivi,  da insediamenti civili nuovi non recapitanti in pubblica
 fognatura  e  derivanti  da   pubblica   fognatura)   devono   essere
 autorizzati espressamente e specificatamente ex art. 21, primo comma,
 legge  cit.,  con  la  generalizzata  necessita', la cui omissione e'
 punita appunto dall'art. 21, terzo comma, del rispetto  degli  stand-
 ards  di  accettabilita'  legislativi,  una  volta  cessato il regime
 transitorio  di  adeguamento  graduale degli scarichi nei tempi e nei
 modi  fissati  dai  singoli  P.G.R.A.,   limiti   integrabili   dalla
 disciplina  ragionale ai sensi dell'art. 4, legge cit., solo in senso
 piu' restrittivo (cfr. Cass. 2 febbraio  1994,  n.  1215,  ric.  P.M.
 contro  Vannicola;  Cass.  25  giugno  1993, n. 958, ric. P.M. contro
 Bruschini; Cass. 25 giugno 1993, n.  963,  contro  Battistessa  +  1;
 Cass. 3 marzo 1992, n.  2331, ric. P.M. contro Aloisi, specificamente
 pronunciate in materia di scarichi di pubbliche fognature).
    Il   sistema  e'  stato  profondamente  alterato  dalle  modifiche
 successivamente apportate da una serie di norme che,  a  partire  dal
 d.-l.  15  novembre  1993,  n.  454,  perpetuato sino all'attualmente
 vigente d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9, erano  primariamente  dirette  a
 ridisciplinare  proprio  gli  scarichi  delle  pubbliche fognature (e
 degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature),
 pur essendosi  ampliate,  nel  corso  delle  varie  novellazioni,  ad
 introdurre sostanziose immutazioni pure agli scarichi da insediamenti
 produttivi.
    In  particolare,  per  quanto  qui rileva, da un lato l'art. 1 del
 d.-l. n. 9/1995, sostituendo l'art. 14, secondo comma della legge  n.
 319/1976, ha mantenuto l'attribuzione in capo alle regioni del potere
 disciplinare  gli  scarichi  delle  pubbliche  fognature  in  sede di
 redazione dei rispettivi piani di risanamento delle acque,  derogando
 pure  in  senso peggiorativo, purche' in conformita' ai dettami della
 direttiva 91/271/CEE del Consiglio del  21  maggio  1991  (esclusi  i
 limiti di accettabilita', definiti "inderogabili", per i parametri di
 natura   tossica,   persistente   e   bioaccumulatibile),   e   salva
 l'applicabilita', nelle more di tale definizione, delle  prescrizioni
 gia'  adottate  e,  in  particolare,  delle  direttive presenti nella
 delibera 30 dicembre 1980 del Comitato interministeriale;  dall'altro
 lato l'art. 3 del decreto-legge in esame, sostituendo in toto, l'art.
 21,   terzo   comma,   della  legge  n.  319/1976,  ha  depenalizzato
 l'inosservanza dei limiti di accettabilita' stabiliti  dalle  regioni
 ai  sensi  del  (nuovo)  art.  14,  secondo  comma, per tale condotta
 introducendo una  sanzione  amministrativa  pecuniaria  da  lire  tre
 milioni  a  lire  trenta  milioni;  dall'altro  lato ancora l'art. 6,
 secondo  comma  del  decreto-legge  cit.  ha  depenalizzato  pure  la
 condotta  mantenuta  da  colui che apra o, comunque effettui scarichi
 delle pubbliche fognature "servite o meno  da  impianti  pubblici  di
 depurazione" (oltreche' scarichi civili) nelle acque, sul suolo o nel
 sottosuolo in assenza di autorizzazione o li mantenga dopo il diniego
 o la revoca della citata autorizzazione.
    Trattasi  di  disposizioni  che,  per  queste ultime parti, paiono
 affette da gravi e plurimi vizi di legittimita' costituzionale,  gia'
 peraltro  rilevati  da  altri giudici di merito (cfr. ord. pretura di
 Grosseto dd. 11 ottobre 1994; ord. pretura di Terni dd.  29  novembre
 1994;  ord. pretura di Roma dd.  12 novembre 1994) che si vanno ora a
 sottoporre al vaglio di questa ecc.ma Corte.
    1) Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Molteplici appaiono i profili di contrasto dell'art. 3 e dell'art.
 6, secondo comma, del d.-l.  n.  9/1995  con  il  detto  fondamentale
 parametro  costituzionale. Da un lato, infatti, si e' descriminata la
 disciplina sanzionatoria per i titolari di scarichi  da  insediamenti
 produttivi  che superino i limiti di accettabilita' delle tabelle A e
 C allegate alla legge  (punti  con  la  sanzione  penale  alternativa
 dell'ammenda   o   dell'arresto,   raddoppiata  ove  sia  provato  il
 superamento dei  parametri  inderogabili)  rispetto  ai  titolari  di
 scarichi  di  pubbliche  fognature  i quali, nella medesima evenienza
 (violazione dell'art. 14,  secondo  comma,  della  legge  n.  319)  e
 nell'ipotesi  reputata in assoluto piu' pericolosa per l'ambiente tra
 le  varie  contemplate  subiscono  la  sola  sanzione  amministrativa
 pecuniaria  sopra  indicata: cio' che risulta del tutto irragionevole
 ove si consideri che tale impianto solitamente altro non  e'  che  la
 somma di molteplici scarichi misti, cioe' civili e produttivi, che in
 esso  confluiscono,  per  cui, se comprensibile risulta l'irrogazione
 della  sanzione  amministrativa  per  gli  scarichi  da  insediamenti
 civili,   atteso   il   verosimile,  minor  loro  carico  inquinante,
 altrettanto non puo' dirsi per gli scarichi delle pubbliche fognature
 ad essi parificati e  favorevolmente  discriminati  rispetto  ad  uno
 stabellamento  -  anche  minimo - di un impianto produttivo, di certo
 meno pericoloso per l'ambiente rispetto ad un sostanzioso superamento
 dei limiti da parte dei primi.
    La   differenziazione    non    trova,    pertanto,    ragionevole
 giustificazione ma pare correlata, in definitiva, alla sola qualifica
 soggettiva  del  soggetto  tenuto  al  rispetto della norma (pubblico
 amministratore  nel  primo  caso,  imprenditore  nel  secondo),  come
 confermato  dall'art.  6,  secondo  comma, del d.-l. n. 9/1995 che ha
 depenalizzato  pure  la  condotta  di  apertura  di  uno  scarico  da
 pubbliche   fognature   "servita  o  meno  da  impianti  pubblici  di
 depurazione" in assenza della domanda di autorizzazione  (attualmente
 soggetta  alla  sola  sanzione amministrativa da lire dieci milioni a
 lire cento milioni) permanendo al contrario, la sanzione  penale  per
 il  titolare  di  insediamento produttivo che ometta di richiedere la
 debita autorizzazione (art. 21, primo  comma,  della  legge  n.  319,
 rimasto  immutato):  cio'  che appare parimenti illogico posto che il
 primo, come sopra constatato, altro non e' che la sommatoria di  piu'
 scarichi  produttivi  singoli  e  risulta,  pertanto,  potenzialmente
 dotato di un carico inquinante assai maggiore.
    In particolare per cio' che concerne l'art. 3 del d.-l. n. 9  pure
 l'ammontare  della  sanzione introdotta dall'art. 6 del decreto-legge
 testimonia  l'assoluta  incongruita'  della  previsione   in   esame,
 essendosi  preveduta  una  sanzione  piu'  elevata  per  un  fatto di
 inquinamento formale, qual ritenuto quello previsto dall'art. 6  (ben
 potendo  lo  scarico  non  autorizzato essere contenuto nei limiti di
 legge), rispetto  alla  sanzione  pecuniaria  prescelta  in  caso  di
 effettuazione di scarico da una pubblica fognatura che, autorizzato o
 meno,  abbia  provatamente recato un pregiudizio all'ambiente, con lo
 sversamento  di  reflui  eccedenti   i   limiti   tabellari   fissati
 all'inquinamento c.d. "legittimo".
    La  distonia  della  norma in esame risulta evidenziata ancor piu'
 dal mantenimento nel sistema dell'art. 23 della  legge  n.  319/1976,
 sanzionante penalmente l'effettuazione di nuovi scarichi (da chiunque
 effettuati,  e, pertanto, pure dal titolare della pubblica fognatura)
 prima che l'autorizzazione, gia' richiesta, sia stata concessa: anche
 in  tal  caso  in  via   assoluta   un'irregolarita'   formale   come
 l'effettuazione   di   scarichi   in   ipotesi   consentiti  dopo  la
 presentazione  della  domanda  di  autorizzazione,  ad  es.   da   un
 insediamento  civile,  e'  valutata e punita assai piu' gravemente di
 una  condotta  sostanziale  e  atta  ad  incidere  sui  beni  primari
 collettivi,  come  lo scarico illecito di sostanze da un insediamento
 produttivo pubblico qual e' la fognatura comunale;  inoltre,  in  via
 relativa,  per  quest'ultima  e  piu'  grave  condotta,  il  pubblico
 amministratore sarebbe sanzionato  assai  meno  pesantemente  che  in
 ipotesi  di  attivazione dello scarico della pubblica fognatura nelle
 more del rilascio dell'autorizzazione, per quando il tenore di quello
 scarico fosse conforme agli standards di legge. Ma vi e' di piu',  in
 quanto   ove   l'autorizzazione  richiesta  non  venisse  rilasciata,
 riprendendo vigore le norme dell'art. 21 della legge n. 319 (vd. art.
 23, secondo comma) lo stesso pubblico amministratore sarebbe soggetto
 ad una blandissima sanzione amministrativa pecuniaria ove lo  scarico
 della  fognatura  fosse  proseguito  in  spregio  alle tabelle o alle
 disposizioni  del  P.G.R.A.  (art.  3,  del  d.-l.  n.   9/1995)   o,
 addirittura, ad una sanzione amministrativa piu' pesante per il fatto
 di  aver mantenuto lo scarico dopo il diniego del provvedimento (art.
 6 del d.-l. n. 9/1995).
    Come emerge con evidenza, tra le tre, la condotta  meno  grave  ed
 idonea  a  recare  minor danno o, addirittura, a non arrecarne alcuno
 agli interessi oggetto di tutela e' l'unica punita  penalmente  (art.
 23  della  legge  n.  319),  mentre nelle altre due ipotesi l'entita'
 della sanzione pecunaria amministrativa e' inversamente proporzionale
 al grado  di  lesione,  di  pericolosita'  e  di  offensivita'  della
 condotta concretamente mantenuta.
    Trattasi  di  opzioni  legislative  che,  pur  giustificate  dalla
 discrezionalita' tipica di quella funzione, nel caso creano  profonde
 disparita'   di   trattamento,  apparentemente  non  fondate  ne'  su
 presupposti logici obiettivi, ne' su specifiche concrete esigenze, in
 violazione dei canoni di  ragionevolezza  cui  devono  rispondere  le
 scelte  punitive  e  del  principio  di  uguaglianza  che  impone una
 proporzione tra la pena e il disvalore del fatto  illecito  commesso,
 inosservata   quando   il   complesso   normativo   sanzioni  in  via
 amministrativa   condotte   connotate   di   maggior   gravita'    ed
 identicamente  (se  non  piu') lesive del medesimo bene giuridico, ma
 sanzionate penalmente quando commesse da soggetti diversi (cfr. Corte
 cost. 19 maggio 1993, n. 249; Corte cost. 23  giugno  1994,  n.  254;
 Corte cost. 25 luglio 1994, n. 341).
    2)   Violazione   degli   artt.  9,  secondo  comma,  e  32  della
 Costituzione.
    Attesa l'assunzione a livello costituzionale da parte dello  Stato
 dell'impegno  a  tutelare  il  "paesaggio" inteso come valorizzazione
 delle peculiarita' naturali del territorio e come mantenimento  degli
 ecosistemi,  e'  evidente  che  la  forte  attenuazione del regime di
 tutela  dell'ambiente  rispetto  in  questo  caso   a   fenomeni   di
 inquinamento  idrico  causati  da  fatti  gravi  e  in concreto assai
 pericolosi quali gli scarichi di pubbliche fognature incontrollati ed
 eccedenti i limiti di accettabilita', connessi alla  depenalizzazione
 della  condotta  e  alla  scomparsa  dei  poteri d'intervento - anche
 coercitivi - riconosciuti al Giudice penale, riduce sensibilmente  la
 capacita'  preventiva  e  dissuasiva  in  materia  con una pericolosa
 regressione  di  efficacia  della  normativa   e   una   conseguente,
 verosimile esposizione a maggior rischio e, comunque, una diminuzione
 netta di tutela del bene "paesaggio" nell'accezione sopra indicata.
    Cio'  comporta,  altresi', un diretto pericolo di danno per la sa-
 lute, intesa quale diritto inderogabile e prevalente alla  integrita'
 e  salubrita'  dell'ambiente in cui l'uomo vive e opera, in contrasto
 con il principio  posto  dall'art.  32  della  Costituzione  che,  al
 contrario,  impone  in  via  incondizionata  rispetto  ad  ogni altro
 interesse la ricerca delle scelte piu' adeguate  onde  preservare  la
 pienezza  delle  condizioni oggettive di godimento dell'ambiente, nei
 suoi molteplici componenti (suolo, aria e acqua) rispetto alle  varie
 manifestazioni  di  inquinamento  (cfr. Corte cost. 16 marzo 1990, n.
 127; Cass. s.u. 6 ottobre 1979, n. 5172; Cass. s.u. 3 luglio 1991, n.
 7318).
    3) Violazione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione.
    La disposizione prevista dall'art. 14, secondo comma, della  legge
 n.  319  (novellato  dall'art.  1, primo comma, del d.-l. n. 9/1995),
 costituente il precetto rispetto al  quale  si  applica  la  sanzione
 amministrativa  di  cui  all'art.  3,  primo comma, del decreto-legge
 nonche' dell'art. 6, secondo comma  (in  virtu'  dell'art.  6,  primo
 comma),  pare altresi' porsi in contrasto con la norma costituzionale
 suddetta che impone la conformazione dell'ordinamento  italiano  agli
 obblighi  derivanti dall'appartenenza del nostro Paese alle Comunita'
 economiche europee.
    In particolare, risultano gia' scaduti al 30 giugno 1993 i termini
 per l'adeguamento alla direttiva del  Consiglio  91/271/CEE,  la  cui
 adozione  non  solo viene ulteriormente procrastinata (art. 1, quarto
 comma, del d.-l. n. 9/1995), ma rispetto alla  quale  addirittura  le
 norme in esame rappresentano l'antitesi, attesa la necessita' imposta
 dalle  disposizioni  comunitarie di classificare le "acque reflue ur-
 bane", le "acque reflue domestiche", le  "acque  reflue  industriali"
 (art.   2)   e,  in  particolare,  di  distinguere  nettamente  nella
 regolamentazione degli accessi alle reti  fognarie  pubbliche  tra  i
 vari  tipi  di scarico, assoggettando quelli industriali a specifiche
 autorizzazioni, ad  accurati  controlli  nonche'  a  requisiti  assai
 restrittivi (cfr. artt. 11-13 e All. I Dir. 91/271/CEE).
    Lo Stato italiano, nonostante l'ampia scadenza del termine, non ha
 ancora  in  alcun  modo provveduto ad operare tale distinzione basata
 sulla natura delle acque confluenti in pubblica fognatura, muovendosi
 addirittura in direzione antitetica, cioe' nel senso di depenalizzare
 sic et simpliciter tutta  la  condotta  di  gestione  della  pubblica
 fognatura  (dalla  mancata richiesta di autorizzazione al superamento
 dei limiti tabellari) a prescindere dalla  qualita'  oggettiva  degli
 scarichi in essa terminati, costituente presupposto necessario per le
 successive  opzioni,  e questo nonostante le plurime condanne gia' in
 passato  subite  ad  opera  della  Corte  di  giustizia  europea  per
 l'eccessiva  permissivita'  del  sistema  sanzionatorio  nel  settore
 dell'inquinamento idrico e  per  l'insufficenza  di  alcuni  tipi  di
 sanzioni penali.
    4)   Violazione   degli  artt.  25,  secondo  comma,  e  77  della
 Costituzione.
    Principio costituzionale fondamentale risulta quello della riserva
 assoluta di legge in materia penale, a significazione del  fatto  che
 le scelte in questo settore, formalmente espresse in leggi ordinarie,
 devono  essere  di esclusiva competenza del Parlamento, ove il potere
 di criminalizzazione e' rimesso al  libero  gioco  della  maggioranza
 governativa  e  delle  sue opposizioni, con esclusione di altre fonti
 primarie o, comunque, con il controllo  diretto  delle  Camere  sulle
 stesse,  o  in  sede  di  delega  del potere normativo (art. 76 della
 Costituzione) o all'atto del controllo e  della  recezione  di  norme
 precarie  e  soggette, in caso contrario, a rapida decadenza (art. 77
 della Costituzione).
    La norma prevista dall'art. 3 del d.-l.  n.  9/1995,  direttamente
 incidente  (nel  senso  dell'abrogazione)  su  una sanzione criminale
 voluta   dal   Parlamento,    di    fatto    vive    provvisoriamente
 nell'ordinamento da quasi un anno e mezzo (d.-l. 15 novembre 1993, n.
 454; d.-l. 14 gennaio 1994, n. 31; d.-l. 17 marzo 1994, n. 171; d.-l.
 16  maggio  1994,  n.  292;  d.-l.  15  luglio 1994, n. 449; d.-l. 17
 settembre 1994, n. 537; d.-l.   16 novembre 1994, n.  629;  d.-l.  16
 gennaio  1995,  n. 9), mentre ad un periodo piu' recente, ma comunque
 consistente, risale quella dell'art. 6, secondo comma,  del  decreto-
 legge  cit.:  in  entrambi  i  casi  si  e' cosi' espropriato la sede
 parlamentare del potere esclusivo di disporre in materia penale,  con
 l'assunzione in capo all'esecutivo di tali indebite competenze.
    E'  appena  il  caso  di  rilevare  che  la  continua decretazione
 governativa protratta per un tempo cosi' prolungato  rende  evidente,
 soprattutto in relazione alla norma che qui interessa, la carenza dei
 presupposti  costituzionali  di  necessita' ed urgenza indicati quale
 titolo  di  legittimazione  dall'art.  77,   secondo   comma,   della
 Costituzione,  poiche',  se  gli stessi eventualmente sussistevano al
 tempo del primo decreto, nel lungo periodo trascorso ben  ci  sarebbe
 stata  l'opportunita'  e  la  possibilita'  da parte delle competenti
 Camere di novellare la disciplina secondo le  forme  ordinarie  tanto
 piu'  che,  come  gia'  osservato,  le  norme definite "necessarie ed
 urgenti" si muovono in senso opposto rispetto alle norme  cogenti  di
 diritto   internazionale:   trattasi   di  presupposto  di  validita'
 costituzionale  del  decreto-legge  che  questa   ecc.ma   Corte   ha
 recentemente  giudicato  sindacabile  in quanto attinente ad elementi
 costituzionalmente previsti, il cui mancato rispetto  rappresenta  un
 vizio  in  procedendo dell'iter formativo tanto da parte del decreto-
 legge,  quanto  da  parte  della  legge  che,  in  ipotesi,   l'abbia
 convertito (Corte cost. 27 gennaio 1995, n. 29).
    I  dubbi di costituzionalita' paiono, pertanto, non manifestamente
 infondati  rispetto   ai   parametri   di   costituzionalita'   sopra
 evidenziati.
    In  punto  rilevanza  di  fatto,  e'  chiara l'essenzialita' della
 risoluzione del dubbio  di  costituzionalita',  poiche'  la  condotta
 accertata  consiste proprio nel superamento da parte dello scarico di
 una pubblica  fognatura  di  alcuni  parametri  quali  individuati  e
 imposti  tanto  dalle tabelle allegate alla legge c.d. "Merli" quanto
 dal P.G.R.A. nonche' nell'attivazione dei vari scarichi in assenza di
 autorizzazione: infatti, dipendono dalla discussa legittimita'  delle
 norme  che andranno ad impugnarsi le successive scelte procedimentali
 di  competenza  di  questo   ufficio,   cioe'   l'archiviazione   per
 infondatezza  della  notizia  di reato perche' il fatto e' sanzionato
 non penalmente ma in via  pecuniaria  amministrativa  in  ipotesi  di
 rigetto  dell'incidente  di costituzionalita', ovvero la restituzione
 degli atti al pubblico ministero affinche'  formuli  l'imputazione  o
 perche'   compia   ulteriori  indagini,  ove  si  accertasse  la  non
 conformita' delle norme al dettato costituzionale.
                                P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 973;
    Dichiara   rilevante   per  la  definizione  del  giudizio  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  3,  primo  comma,  prima parte, e 6, secondo comma, del
 decreto-legge 16 gennaio 1995, n. 9, in relazione agli  artt.  3,  9,
 secondo comma, e 32, 10, 25, secondo comma, e 77 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale con conseguente sospensione del procedimento;
    Ordina che la presente ordinanza venga  comunicata  a  cura  della
 cancelleria  al  pubblico ministero in sede e notificata alle persone
 sottoposte ad indagini, al Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Udine, addi' 6 marzo 1995
                           Il giudice: ROJA
                                  Il funzionario di cancelleria: NESCA
 95C0538