N. 144 SENTENZA 4 maggio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Norme di attuazione - Attivita'  del  difensore  di
 ufficio  -  Previsione  che  la medesima sia comunque ed in ogni caso
 retribuita - Irrinunciabilita' del diritto di difesa quale situazione
 speculare alla sua inviolabilita' (vedi  sentenze  nn.    125/1979  e
 188/1980)  -  Prestazione    ex  lege - Obbligo di retribuzione - Non
 fondatezza.
 
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 31).
 
 (Cost., artt. 3, 76 e 77).
(GU n.19 del 10-5-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 31 del  decreto
 legislativo   28  luglio  1989,  n.  271  (Norme  di  attuazione,  di
 coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso
 con ordinanza emessa l'11 ottobre 1994  dal  Pretore  di  Torino  nel
 procedimento  civile  vertente tra D'Antino Raffaele e Paggi Claudio,
 iscritta  al  n.  732  del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  51,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  5  aprile  1995  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Pretore  di  Torino,  adito  a seguito di azione civile
 promossa da un avvocato per il pagamento delle somme dovutegli  quale
 difensore   di  ufficio  del  convenuto  in  un  procedimento  penale
 celebratosi davanti al locale tribunale, ha sollevato, in riferimento
 agli artt. 3, 76 e 77 della Costituzione, questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  31 del decreto legislativo 28 luglio 1989,
 n. 271 (Norme di  attuazione,  di  coordinamento  e  transitorie  del
 codice   di   procedura  penale)  nella  parte  in  cui  prevede  che
 l'attivita' del difensore di ufficio e' in ogni caso retribuita.
   Il giudice a quo ritiene nella specie violati gli  artt.  76  e  77
 della  Carta fondamentale in quanto la legge-delega 16 febbraio 1987,
 n. 81, non conterrebbe alcun principio o criterio direttivo dal quale
 far discendere l'obbligo dell'imputato di retribuire il difensore  di
 ufficio   del   quale   non  siano  state  richieste  le  prestazioni
 professionali. In  particolare,  afferma  il  rimettente,  un  simile
 obbligo  non  puo'  ritenersi  correlato  ne' alla direttiva (art. 2,
 comma 1, primo periodo) che impone  di  adeguare  la  disciplina  del
 codice  alle  convenzioni  internazionali  ratificate dall'Italia (la
 Convenzione per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo,  infatti,
 prevede   solo   il   diritto   di  difendersi  personalmente  o  con
 l'assistenza di un difensore di fiducia e, in mancanza di  mezzi,  di
 essere  assistito  da  un  difensore  di ufficio), ne' alla direttiva
 (art. 2, n. 3) che prevede  la  partecipazione  dell'accusa  e  della
 difesa su basi di parita' in ogni stato e grado.
    La  norma  risulterebbe  poi  in  contrasto  con  il  principio di
 uguaglianza  giacche'  porta  a  considerare  obbligati  alla  stessa
 prestazione   pecuniaria   tanto  l'imputato  che  ha  stipulato  col
 professionista un contratto  di  prestazione  d'opera  intellettuale,
 quanto  l'imputato  che  sia  stato assistito dal difensore ex lege a
 norma dell'art. 97 del codice di procedura penale, senza averne fatto
 alcuna richiesta ovvero rifiutandone l'assistenza.
    2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata  non  fondata.  Dopo
 aver avanzato dubbi sulla ammissibilita' della questione in quanto si
 potrebbe  ritenere  obbligato  nei confronti del difensore di ufficio
 non  soltanto  l'imputato  ma,  "ad   esempio,   anche   lo   Stato",
 l'Avvocatura  contesta  nel  merito  la  fondatezza  della  questione
 osservando che la norma impugnata rappresenta  il  naturale  sviluppo
 della  direttiva  105  della  legge-delega  che  impone  di  adeguare
 l'istituto della difesa di ufficio  a  criteri  che  ne  garantiscano
 l'effettivita'.
    D'altra   parte,   rileva  l'Avvocatura,  analoga  previsione  era
 contenuta anche nel codice abrogato (art. 128 del codice di procedura
 penale del 1930 e art. 4 delle relative disposizioni  di  attuazione)
 con la precisazione, peraltro, che l'onere del pagamento era a carico
 dell'imputato:   precisazione   che,   mancando  invece  nella  norma
 impugnata, consentirebbe ad avviso della Avvocatura di dubitare circa
 la correttezza della interpretazione che della norma  stessa  da'  il
 giudice  a  quo.  Insussistente sarebbe poi la violazione dell'art. 3
 della  Costituzione   in   quanto   il   parametro   invocato   "mira
 essenzialmente  a tutelare la ragionevolezza intrinseca del sistema";
 in ogni caso,  conclude  l'Avvocatura,  per  omologare  fra  loro  le
 situazioni  che  il  giudice  a  quo  pone  a  raffronto occorrerebbe
 affermare che l'imputato difeso di ufficio  e'  l'unico  obbligato  a
 retribuire  il  difensore, assunto, questo, che la difesa dello Stato
 ritiene "tutt'altro che dimostrato".
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3,  76
 e  77 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art.
 31 delle norme di attuazione del codice di procedura penale  (decreto
 legislativo  28  luglio  1989, n. 271) nella parte in cui prevede che
 l'attivita' del difensore di ufficio e' in ogni caso  retribuita.  La
 norma oggetto di impugnativa risulterebbe anzitutto viziata, a parere
 del  giudice  a quo, per un profilo di eccesso di delega, in quanto -
 osserva il rimettente - da nessuno dei princip/' e criteri  direttivi
 enunciati  nella  legge  16  febbraio  1987, n. 81, recante delega al
 Governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale e delle
 relative norme di attuazione, sembra potersi dedurre la facolta'  per
 il  legislatore  delegato  di  introdurre l'obbligo per l'imputato di
 retribuire  l'attivita'  svolta  dal   difensore   di   ufficio.   La
 disposizione  censurata si porrebbe poi in contrasto con il principio
 di uguaglianza, in quanto dalla stessa scaturisce per l'imputato  che
 non  abbia  richiesto ovvero abbia addirittura rifiutato l'assistenza
 del difensore di ufficio, l'insorgenza di una obbligazione pecuniaria
 del tutto analoga a quella cui e' assoggettato l'imputato  che  abbia
 invece  stipulato  col  professionista un contratto a norma dell'art.
 2230 del codice civile.
    2. - La questione non e' fondata. Quanto alla prima delle indicate
 censure e come puntualmente rilevato dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato,  e'  infatti  agevole  osservare  che  la previsione della cui
 legittimita'   si   dubita,   lungi   dal   presentare   aspetti   di
 incompatibilita'  con  le  scelte  operate dal legislatore delegante,
 costituisce nulla piu' che il naturale corollario di quanto  previsto
 dalla  direttiva  105  della  legge-delega,  giacche'  il legislatore
 delegato ha coerentemente ritenuto che la retribuzione del  difensore
 di  ufficio  fosse  prescrizione  intimamente  correlata  al  fine di
 assicurare quella "effettivita'" cui la disciplina  della  difesa  di
 ufficio   doveva   essere   informata   (v.   Relazione  al  Progetto
 preliminare, pag. 45). D'altra parte, e proprio tenendo conto di  una
 simile  esigenza,  sarebbe  stato  davvero  paradossale espungere dal
 sistema  un  principio  che  gia'  era  sancito  dall'art.  4   delle
 disposizioni  di  attuazione del codice di procedura penale del 1930,
 specie in considerazione della  particolare  cura  con  la  quale  il
 legislatore  della  riforma  ha inteso attuare il richiamato precetto
 della legge-delega e degli impegnativi compiti che il nuovo codice ha
 assegnato al difensore di ufficio.
   Ugualmente  infondato  e'  il  secondo  degli  accennati profili di
 illegittimita' che  il  giudice  a  quo  ha  dedotto.  Questa  Corte,
 infatti,  ha  avuto modo di affermare in piu' occasioni che speculare
 alla inviolabilita' del diritto di difesa e' la irrinunciabilita'  di
 esso,  quali  ne  siano  le  concrete modalita' di esercizio, sicche'
 l'obbligatorieta' della nomina del difensore in  assenza  di  mandato
 fiduciario  equivale  alla "predisposizione astratta di uno strumento
 ritenuto idoneo a consentire, in qualsiasi momento,  l'esercizio  del
 diritto  inviolabile  - e come tale irrinunciabile - di difesa, senza
 pregiudizio dell'elasticita' dei rapporti fra imputato e difensore  e
 soprattutto  senza  pregiudizio  della  piena  autonomia delle scelte
 difensive, positive o negative, la cui  incoercibilita'  rappresenta,
 oltre  che un dato di fatto, l'immediato risvolto dell'inviolabilita'
 del diritto in questione" (v. sentenze n. 125 del 1979 e n.  188  del
 1980).  Ad  una  prestazione  ex lege, dunque, coerentemente si salda
 l'obbligo di retribuzione in capo all'imputato abbiente che ne  abbia
 beneficiato,  proprio perche' si tratta di un'obbligazione funzionale
 all'esercizio di un  diritto  al  quale  egli  non  puo'  rinunciare,
 rendendo cosi' evidente come l'identita' di effetti che il rimettente
 prospetta  a  sostegno  della  dedotta  violazione  del  principio di
 uguaglianza trovi adeguata giustificazione nella  natura  stessa  del
 diritto   di  difesa,  le  cui  caratteristiche  di  indisponibilita'
 certamente consentono di prescindere, ai fini  che  qui  interessano,
 dalla  fonte,  normativa o contrattuale, da cui il relativo esercizio
 trae origine.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 31 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di
 attuazione,  di  coordinamento  e transitorie del codice di procedura
 penale), sollevata, in riferimento  agli  artt.  3,  76  e  77  della
 Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 4 maggio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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