N. 150 ORDINANZA 4 - 5 maggio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Reati militari - Assenza dal servizio - Unico reato
 permanente - Permanenza giudizialmente interrotta una o piu' volte  -
 Trattamento sanzionatorio complessivo superiore a quello edittalmente
 previsto  per  il  reato  medesimo  -  Proposizione  di  questione di
 legittimita' nei confronti di una  disposizione  alla  quale  non  e'
 riconducibile  l'interpretazione  dei  singoli  giudici  a  quibus  -
 Manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.P., art. 649).
 
 (Cost., artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma).
 
(GU n.19 del 10-5-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 649  del  codice
 di  procedura  penale,  promossi con le ordinanze emesse il 12 aprile
 1994, 28 aprile 1994, 31 maggio 1994, 17 maggio 1994 e il  28  giugno
 1994  dal  Tribunale  militare di Padova, rispettivamente iscritte ai
 nn. 431, 432, 433, 484, 496, 497, 498 e 598  del  registro  ordinanze
 1994  e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica, nn. 30,
 37, 38 e 42, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  5 aprile 1995 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Ritenuto che il Tribunale militare di  Padova,  nel  giudizio  nei
 confronti  di  Yuri  Sangalli  -  gia' condannato con sentenza del 23
 giugno 1992 per il reato di mancanza alla chiamata, in relazione alla
 omessa presentazione alle armi iniziata il 30  novembre  1991  e  non
 ancora  cessata  alla  data del giudizio, e, per questo, imputato del
 reato di cui all'art. 148, n. 2, del codice penale militare  di  pace
 (diserzione) per l'assenza proseguita dopo la condanna - ha sollevato
 questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.
 3, 25, secondo comma, e 27,  primo  comma,  della  Costituzione,  nei
 confronti  dell'art.  649 del codice di procedura penale, nella parte
 in cui consente che per un unico reato permanente, per  il  quale  la
 permanenza  sia  una  o  piu'  volte  giudizialmente  interrotta, sia
 irrogabile  un  complessivo  trattamento  sanzionatorio  superiore  a
 quello edittalmente previsto per il reato medesimo;
      che  il  giudice  a  quo, premesso di condividere e di non voler
 contrastare l'orientamento unanime della giurisprudenza,  secondo  il
 quale  i  reati di assenza dal servizio sono reati permanenti (con la
 conseguenza che, una volta intervenuta  la  condanna,  la  permanenza
 viene  interrotta  e  la  condotta  successiva  da' luogo ad un nuovo
 reato), rileva  che  la  ricostruzione  della  permanenza  nei  reati
 omissivi,   accolta  dalla  giurisprudenza,  pone  seri  problemi  di
 legittimita' costituzionale in  relazione  alle  conseguenze  che  si
 determinano   a  seguito  delle  plurime  condanne  per  le  condotte
 illecite,  conseguenze  che,  perdurando  successivamente   ad   ogni
 giudizio  per  il configurarsi, ogni volta, di nuovi e autonomi reati
 della stessa specie, sono  particolarmente  gravi  quando,  come  nel
 caso, la permanenza del reato puo' protrarsi per venticinque anni;
      che,  pertanto,  secondo  il  giudice a quo, la previsione della
 interruzione giudiziale della permanenza, che discende dall'art.  649
 del  codice  di procedura penale, violerebbe le seguenti disposizioni
 costituzionali:
        a) l'art. 27, primo comma, in quanto la responsabilita' penale
 dell'imputato non dipende soltanto dal  suo  operato,  ma  anche  dal
 funzionamento dell'apparato giudiziario militare;
        b)  l'art. 25, secondo comma, in quanto la moltiplicazione dei
 giudizi comporta un innalzamento  della  pena  edittale  praticamente
 indeterminato  sino  al  limite  del  triplo  del  massimo della pena
 edittale, previsto dall'art. 81 del codice penale;
        c) l'art. 3, in quanto, a parita' di periodo  di  assenza  dal
 servizio,  il  trattamento sanzionatorio complessivo viene a derivare
 dal  grado  di  efficienza  dell'apparato  giudiziario  competente  a
 conoscere  del  reato  nei  vari  autonomi  episodi che si creano con
 l'interruzione giudiziale;
      che  identiche  questioni  sono  state  sollevate  dallo  stesso
 Tribunale  militare  di  Padova  con altre sette ordinanze, emesse in
 altrettanti giudizi nei confronti di militari imputati di  diserzione
 e  in precedenza gia' condannati o per diserzione o per mancanza alla
 chiamata;
      che  e'  intervenuto  in  tutti  i  giudizi  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  chiedendo  che la questione sia dichiarata
 inammissibile e comunque non fondata, in quanto l'art. 649 del codice
 di  procedura  penale  non  contiene  affatto  il   principio   della
 "interruzione  giudiziale  della  permanenza", ma enuncia soltanto il
 principio del divieto di un secondo giudizio su  un  medesimo  fatto,
 non  potendosi,  in  ogni caso, considerare in alcun modo identico un
 fatto che, pur mantenendo inalterate le caratteristiche dell'elemento
 oggettivo, si collochi, tuttavia, in una dimensione temporale diversa
 rispetto a quella in cui si e' verificato il fatto gia' giudicato;
      che, inoltre, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, appare  del
 tutto  contraddittoria  la  formulazione della questione, dal momento
 che  i  giudici  a   quibus,   mentre   contestano   le   conseguenze
 dell'interruzione giudiziale del reato permanente, nello stesso tempo
 affermano  di condividere l'assunto secondo il quale la contestazione
 di un nuovo addebito dopo la condanna per il reato di  mancanza  alla
 chiamata   o  per  quello  di  diserzione  non  comporterebbe  alcuna
 violazione del principio del ne bis in idem, contenuto nell'art.  649
 del codice di procedura penale.
    Considerato  che,  poiche'  le ordinanze del Tribunale militare di
 Padova hanno sollevato questioni di legittimita' costituzionale sulla
 medesima disposizione, i relativi giudizi vanno  riuniti  per  essere
 decisi con un unico provvedimento;
      che,  contrariamente  a  quanto mostrano di ritenere i giudici a
 quibus, l'effetto della interruzione giudiziale della permanenza  non
 discende affatto dalla applicazione del principio contenuto nell'art.
 649   del   codice  di  procedura  penale,  dal  momento  che  questa
 disposizione afferma soltanto il  principio  di  civilta'  giuridica,
 oltre  che  di  generalissima applicazione, in forza del quale chi e'
 stato prosciolto o condannato con sentenza divenuta irrevocabile  non
 puo' essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo
 fatto,  neppure  se  questo  viene  qualificato  diversamente  per il
 titolo, per il grado o per le circostanze;
      che, in  realta',  l'effetto  lamentato  dai  giudici  a  quibus
 discende  dalla  configurazione  data  dal  legislatore  ai  reati di
 assenza  dal  servizio  e  dalle  altre  norme  che  disciplinano  la
 prescrizione  del  reato  permanente  (art.  158 del codice penale e,
 soprattutto,  art.  68  del  codice  penale  militare  di   pace)   e
 l'estinzione dell'obbligo del servizio militare (art. 9 del d.P.R. 14
 febbraio 1964, n. 237);
      che, del resto, gli stessi giudici a quibus, mentre affermano di
 non contestare l'interpretazione, unanime nella giurisprudenza, circa
 la  qualificazione  dei  reati  di  assenza  dal  servizio come reati
 permanenti, per i quali vale anche il  principio  della  interruzione
 giudiziale,   dubitano,   poi,   della   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 649 del codice di procedura penale,  che,  nel  fissare  il
 principio  del  ne  bis  in  idem, non indica affatto quali siano gli
 elementi sulla cui base possa essere ritenuta l'identita' del  fatto,
 non  potendosi,  a tale fine, fare riferimento altro che alle singole
 norme incriminatrici;
      che,  pertanto,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 sollevata  dai  giudici a quibus, in quanto proposta nei confronti di
 una disposizione  alla  quale  non  puo'  in  alcun  modo  ricondursi
 l'interpretazione  che  gli stessi giudici intendono contestare, deve
 essere dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e  9,  secondo
 comma,  delle  Norme  integrative  per  i  giudizi davanti alla Corte
 costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi, dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di
 procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo
 comma, e 27, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale  militare
 di Padova con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1995.
                Il Presidente e redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 5 maggio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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