N. 286 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 marzo 1995
N. 286 Ordinanza emessa il 6 marzo 1995 dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Udine nel procedimento penale a carico di Martelossi Dario ed altro Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi di pubbliche fognature eccedenti i limiti tabellari previsti dalla legge n. 319/1976 senza autorizzazione - Lamentata depenalizzazione - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi meno gravi, ma punite con maggior severita' - Lesione del diritto all'ambiente salubre - Omesso adeguamento con le norme del diritto internazionale, in particolare con quelle CEE - Violazione del principio di riserva di legge in materia penale per reiterazione a catena dei decreti-legge - Conseguente sottrazione del potere legislativo al Parlamento - Carenza dei presupposti costituzionali di necessita' ed urgenza. (D.-L. 16 gennaio 1995, n. 9, artt. 3, primo comma, prima parte, e 6, secondo comma). (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77).(GU n.22 del 24-5-1995 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza di rinvio degli atti alla Corte costituzionale, letti gli atti del procedimento n. 2592/1994 r.g.g.i.p. nei confronti di: 1) Martelossi Dario, nato il 18 agosto 1948, a San Giovanni al Natisone (Udine), ivi residente, via delle Scuole n. 68/3; 2) Costantini Franco, nato il 7 marzo 1941, a San Giovanni al Natisone (Udine), ivi residente, via Leonardo da Vinci n. 12, persone sottoposte ad indagini nella loro qualita' di sindaci pro-tempore del comune di San Giovani al Natisone, il primo dal 15 luglio 1991 al 30 giugno 1993, il secondo dal 30 giugno 1993 attualmente in carica, in ordine: 1) allo scarico di pubblica fognatura in corso di acqua superficiale, in assenza di ogni depurazione, eccedente i limiti di accettabilita' stabiliti dalla tabella "A" allegata alla legge n. 319/1976 avvenuto nel territorio del comune di San Giovanni al Natisone; 2) allo scarico fognario in corso di acqua superficiale senza avere richiesto la relativa autorizzazione; Vista la richiesta del pubblico ministero pervenuta in data 20 febbraio 1995 che insta per il giudizio di costituzionalita' degli artt. 3 e 6 del d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9, e, in subordine, per l'archiviazione del procedimento non essendo il fatto previsto dalla legge come reato, ai sensi dell'art. 554 del c.p.p.; Premesso in fatto che dalle indagini svolte emergeva la creazione in comune di San Giovanni al Natisone di un laghetto artificiale alimentato dalle acque fognarie scure di quel comune, le quali, successivamente, in assenza di alcun trattamento depurativo o di una bonifica, si riversavano direttamente nel fiume Natisone (vds. annotazione dd. 4 maggio 1993 dei Carabinieri del N.O.R.M. di Palmanova con allegato fascicolo fotografico), dando cosi' luogo ad una situazione igienica assolutamente degradata ed insalubre oltreche' priva di ogni controllo amministrativo in assenza del rilascio della dovuta autorizzazione; Premessa altresi' l'applicabilita' nel caso dei principi elaborati sulla base delle massime d'esperienza per cui lo scarico fognario diretto in un corso d'acqua superficiale in assenza di ogni previo trattamento depurativo, puo' comunque reputarsi eccedente i limiti di accettabilita' previsti tanto dalla tabella "A" allegata alla legge n. 319 cit. quanto il limite tabellare del Piano generale di risanamento delle acque della regione Friuli-Venezia Giulia, osserva: La condotta sopra descritta, in virtu' di un consolidato indirizzo giurisprudenziale interpretativo degli artt. 1, 9 e 14 della legge n. 319/1976, appariva suscettibile di integrare le fattispecie penalmente sanzionate dall'art. 21, primo e terzo comma, della legge cit. sulla base dell'assunto che tutti gli scarichi (da insediamenti produttivi, da insediamenti civili nuovi non recapitanti in pubblica fognatura e derivanti da pubblica fognatura) devono essere autorizzati espressamente e specificamente ex art. 21, primo comma, della legge cit., con la generalizzata necessita', la cui omissione e' punita appunto dall'art. 21 terzo comma, del rispetto degli standards di accettabilita' legisltivi, una volta cessato il regime transitorio di adeguamento graduale degli scarichi nei tempi e nei modi fissati dai singoli p.g.r.a., limiti integrabili dalla disciplina regionale ai sensi dell'art. 14 della legge cit. solo in senso piu' restrittivo (cfr. Cass. 2 febbraio 1994, n. 1215, ric. p.m. contro Vannicola; Cass. 25 giugno 1993, n. 958, ric. p.m. contro Bruschini; Cass. 25 giugno 1993, n. 963, contro Battistessa + 1; Cass. 3 marzo 1992, n. 2331, ric. p.m. contro Aloisi, specificamente pronunciate in materia di scarichi di pubbliche fognature). Il sistema e' stato profondamente alterato dalle modifiche successivamente apportate da una serie di norme che, a partire dal d.-l. 15 novembre 1993, n. 454, perpetuato sino all'attualmente vigente d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9, erano primariamente dirette a ridisciplinare proprio gli scarichi delle pubbliche fognature (e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature), pur essendosi ampliate, nel corso delle varie novellazioni, ad introdurre sostanziose immutazioni pure agli scarichi da insediamenti produttivi. In particolare, per quanto qui rileva, da un lato l'art. 1 del d.-l. n. 9/1995, sostituendo l'art. 14, secondo comma, della legge n. 319/1976, ha mantenuto l'attribuzione in capo alle regioni del potere di disciplinare gli scarichi delle pubbliche fognature in sede di redazione dei rispettivi piani di risanamento delle acque, derogando pure in senso peggiorativo, purche' in conformita' ai dettami della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 (esclusi i limiti di accettabilita', definiti "inderogabili", per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile), e salva l'applicabilita', nelle more di tale definizione, delle prescrizioni gia' adottate e, in particolare, delle direttive presenti nella delibera 30 dicembre 1980 del Comitato Interministeriale; dall'altro lato l'art. 3 del decreto-legge in esame, sostituendo in toto l'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976, ha depenalizzato l'inosservanza dei limiti di accettabilita' stabiliti dalle regioni ai sensi del (nuovo) art. 14, secondo comma, per tale condotta introducendo una sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire trenta milioni; dall'altro lato ancora l'art. 6, secondo comma, del decreto-legge cit. ha depenalizzato pure la condotta mantenuta da colui che apra o, comunque effettui scarichi delle pubbliche fognature "servite o meno da impianti pubblici di depurazione" (oltreche' scarichi civili) nelle acque, sul suolo o nel sottosuolo in assenza di autorizzazione o li mantega dopo il diniego o la revoca della citata autorizzazione. Trattasi di disposizioni che, per queste ultime parti, paiono affette da gravi e plurimi vizi di legittimita' costituzionale, gia' peraltro rilevati da altri giudici di merito (cfr. ord. pretura di Grosseto dd. 11 ottobre 1994; ord. pretura di Terni dd. 29 novembre 1994; ord. pretura di Roma dd. 12 novembre 1994) che si vanno ora a sottoporre al vaglio di questa ecc.ma Corte. 1) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Molteplici appaiono i profili di contrasto dell'art. 3 e dell'art. 6, secondo comma, del d.-l. n. 9/1995 con il detto fondamentale parametro costituzionale. Da un lato, infatti, si e' discriminata la disciplina sanzionatoria per i titolari di scarichi da insedimenti produttivi che superino i limiti di accettabilita' delle tabelle A) e C) allegate alla legge (puniti con la sanzione penale alternativa dell'ammenda o dell'arresto, raddoppiata ove sia provato il superamento dei parametri inderogabili) rispetto ai titolari di scarichi di pubbliche fognature i quali, nella medesima evenienza (violazione dell'art. 14, secondo comma, della legge n. 319) e nell'ipotesi reputata in assoluto piu' pericolosa per l'ambiente tra le varie contemplate subiscono la sola sanzione amministrativa pecuniaria sopra indicata: cio' che risulta del tutto irragionevole ove si consideri che tale impianto solitamente altro non e' che la somma di molteplici scarichi misti, cioe' civili e produttivi, che in esso confluiscono, per cui, se comprensibile risulta l'irrogazione della sanzione amministrativa per gli scarichi da insediamenti civili, atteso il verosimile, minor loro carico inquinante, altrettanto non puo' dirsi per gli scarichi delle pubbliche fognature ad essi parificati e favorevolmente discriminati rispetto ad uno stabellamento - anche minimo - di un impianto produttivo, di certo meno pericoloso per l'ambiente rispetto ad un sostanzioso superamento dei limiti da parte dei primi. La differenziazione non trova, pertanto, ragionevole giustificazione ma pare correlata, in definitiva, alla sola qualifica soggettiva del soggetto tenuto al rispetto della norma (pubblico amministratore nel primo caso, imprenditore nel secondo), come confermato dall'art. 6, secondo comma, del d.-l. n. 9/1995 che ha depenalizzato pure la condotta di apertura di uno scarico da pubbliche fognature "servita o meno da impianti pubblici di depurazione" in assenza della domanda di autorizzazione (attualmente soggetta alla sola sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni) permanendo al contrario, la sanzione penale per il titolare di insediamento produttivo che ometta di richiedere la debita autorizzazione (art. 21, primo comma, della legge n. 319, rimasto immutato): cio' che appare parimenti illogico posto che il primo, come sopra constatato, altro non e' che la sommatoria di piu' scarichi produttivi singoli e risulta, pertanto, potenzialmente dotato di un carico inquinante assai maggiore. In particolare per cio' che concerne l'art. 3 del d.-l. n. 9 pure l'ammontare della sanzione introdotta dall'art. 6 del decreto-legge testimonia l'assoluta incongruita' della previsione in esame, essendosi preveduta una sanzione piu' elevata per un fatto di inquinamento formale, qual ritenuto quello previsto dall'art. 6 (ben potendo lo scarico non autorizzato essere contenuto nei limiti di legge), rispetto alla sanzione pecuniaria prescelta in caso di effettuazione di scarico da una pubblica fognatura che, autorizzato o meno, abbia provatamente recato un pregiudizio all'ambiente, con lo sversamento di reflui eccedenti i limiti tabellari fissati all'inquinamento c.d. "legittimo". La distonia della norma in esame risulta evidenziata ancor piu' dal mantenimento nel sistema dell'art. 23 della legge n. 319/1976, sanzionante penalmente l'effettuazione di nuovi scarichi (da chiunque effettuati, e, pertanto, pure dal titolare della pubblica fognatura) prima che l'autorizzazione, gia' richiesta, sia stata concessa: anche in tal caso in via assoluta un'irregolarita' formale come l'effettuazione di scarichi in ipotesi consentiti dopo la presentazione della domanda di autorizzazione, ad es. da un insediamento civile, e' valutata e punita assai piu' gravemente di una condotta sostanziale e atta ad incidere su beni primari collettivi, come lo scarico illecito di sostanze da un insediamento produttivo pubblico qual e' la fognatura comunale; inoltre, in via relativa, per quest'ultima e piu' grave condotta, il pubblico amministratore sarebbe sanzionato assai meno pesantemente che in ipotesi di attivazione dello scarico della pubblica fognatura nelle more del rilascio dell'autorizzazione, pur quando il tenore di quello scarico fosse conforme agli standards di legge. Ma vi e' di piu', in quanto ove l'autorizzazione richiesta non venisse rilasciata, riprendendo vigore le norme dell'art. 21 della legge n. 319 (vd. art. 23, secondo comma) lo stesso pubblico amministratore sarebbe soggetto ad una blandissima sanzione amministrativa pecuniaria ove lo scarico della fognatura fosse proseguito in spregio alle tabelle o alle disposizioni del p.g.r.a. (art. 3 del d.-l. n. 9/1995) o, addirittura, ad una sanzione amministrativa piu' pesante per il fatto di aver mantenuto lo scarico dopo il diniego del provvedimento (art. 6 del d.-l. n. 9/1995). Come emerge con evidenza, tra le tre, la condotta meno grave ed idonea a recare minor danno o, addirittura, a non arrecarne alcuno agli interessi oggetto di tutela e' l'unica punita penalmente (art. 23 della legge n. 319), mentre nelle altre due ipotesi l'entita' della sanzione pecuniaria amministrativa e' inversamente proporzionale al grado di lesione, di pericolosita' e di offensivita' della condotta concretamente mantenuta. Trattasi di opzioni legislative che, pur giustificate dalla discrezionalita' tipica di quella funzione, nel caso creano profonde disparita' di trattamento, apparentemente non fondate ne' su presupposti logici obiettivi, ne' su specifiche concrete esigenze, in violazione dei canoni di ragionevolezza cui devono rispondere le scelte punitive e del principio di uguaglianza che impone una proporzione tra la pena e il disvalore del fatto illecito commesso, inosservata quando il complesso normativo sanzioni in via amministrativa condotte connotate di maggior gravita' ed identicamente (se non piu') lesive del medesimo bene giuridico, ma sanzionate penalmente quando commesse da soggetti diversi (cfr. Corte cost. 19 maggio 1993, n. 249; Corte cost. 23 giugno 1994, n. 254; Corte cost. 25 luglio 1994, n. 341). 2) Violazione degli artt. 9, secondo comma, e 32 della Costituzione. Attesa l'assunzione a livello costituzionale da parte dello Stato dell'impegno a tutelare il "paesaggio" inteso come valorizzazione delle peculiarita' naturali del territorio e come mantenimento degli ecosistemi, e' evidente che la forte attenuazione del regime di tutela dell'ambiente rispetto in questo caso a fenomeni di inquinamento idrico causati da fatti gravi e in concreto assai pericolosi quali gli scarichi di pubbliche fognature incontrollati ed eccedenti i limiti di accettabilita', connessi alla depenalizzazione della condotta e alla scomparsa dei poteri d'itervento - anche coercitivi - riconosciuti al giudice penale, riduce sensibilmente la capacita' preventiva e dissuasiva in materia con una pericolosa regressione di efficacia della normativa e una conseguente, verosimile esposizione a maggior rischio e, comunque, una diminuzione netta di tutela del bene "paesaggio" nell'accezione sopra indicata. Cio' comporta, altresi', un diretto pericolo di danno per la salute, intesa quale diritto inderogabile e prevalente alla integrita' e salubrita' dell'ambiente in cui l'uomo vive e opera, in contrasto con il principio posto dall'art. 32 Cost. che, al contrario, impone in via incondizionata rispetto ad ogni altro interesse la ricerca delle scelte piu' adeguate onde preservare la pienezza delle condizioni oggettive di godimento dell'ambiente, nei suoi molteplici componenti (suolo, aria e acqua) rispetto alle varie manifestazioni di inquinamento (cfr. Corte costituzionale 16 marzo 1990, n. 127; Cass. s.u. 6 ottobre 1979, n. 5172; Cass. s.u. 3 luglio 1991, n. 7318). 3) Violazione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione. La disposizione prevista dall'art. 14, secondo comma, della legge n. 319 (novellato dall'art. 1, primo comma, del d.-l. n. 9/1995), costituente il precetto rispetto al quale si applica la sanzione amministrativa di cui all'art. 3, primo comma, del decreto-legge nonche' dell'art. 6, secondo comma (in virtu' dell'art. 6, primo comma), pare altresi' porsi in contrasto con la norma costituzionale suddetta che impone la conformazione dell'ordinamento italiano agli obblighi derivanti dall'appartenenza del nostro Paese alle Comunita' economiche europee. In particolare, risultano gia' scaduti al 30 giugno 1993 i termini per l'adeguamento alla direttiva del Consiglio 91/271/CEE, la cui adozione non solo viene ulteriormente procrastinata (art. 1, quarto comma, del d.-l. n. 9/1995), ma rispetto alla quale addirittura le norme in esame rappresentano l'antitesi, attesa la necessita' imposta dalle disposizioni comunitarie di classificare le "acque reflue urbane", le "acque reflue domestiche", le "acque reflue industriali" (art. 2) e, in particolare, di distinguere nettamente nella regolamentazione degli accessi alle reti fognarie pubbliche tra i vari tipi di scarico, assoggettando quelli industriali a specifiche autorizzazioni, ad accurati controlli nonche' a requisiti assai restrittivi (cfr. artt. 11-13 e All. I Dir. 91/271/CEE). Lo Stato italiano, nonostante l'ampia scadenza del termine, non ha ancora in alcun modo provveduto ad operare tale distinzione basata sulla natura delle acque confluenti in pubblica fognatura, muovendosi addirittura in direzione antitetica, cioe' nel senso di depenalizzare sic et simpliciter tutta la condotta di gestione della pubblica fognatura (dalla mancata richiesta di autorizzazione al superamento dei limiti tabellari) a prescindere dalla qualita' oggettiva degli scarichi in essa terminanti, costituente presupposto necessario per le successive opzioni, e questo nonostante le plurime condanne gia' in passato subite ad opera della Corte di giustizia europea per l'eccessiva permissivita' del sistema sanzionatorio nel settore dell'inquinamento idrico e per l'insufficienza di alcuni tipi di sanzioni penali. 4) Violazione degli artt. 25, secondo comma, e 77 della Costituzione. Principio costituzionale fondamentale risulta quello della riserva assoluta di legge in materia penale, a significazione del fatto che le scelte in questo settore, formalmente espresse in leggi ordinarie, devono essere di esclusiva competenza del Parlamento, ove il potere di criminalizzazione e' rimesso al libero gioco della maggioranza governativa e delle sue opposizioni, con esclusione di altre fonti primarie o, comunque, con il controllo diretto delle Camere sulle stesse, o in sede di delega del potere normativo (art. 76 della Costituzione) o all'atto del controllo e della recezione di norme precarie e soggette, in caso contrario, a rapida decadenza (art. 77 della Costituzione). La normativa prevista dall'art. 3 del d.-l. n. 9/1995, direttamente incidente (nel senso dell'abrogazione) su una sanzione criminale voluta dal Parlamento, di fatto vive provvisoriamente nell'ordinamento da quasi un anno e mezzo (d.-l. 15 novembre 1993, n. 454; d.-l. 14 gennaio 1994, n. 31; d.-l. 17 marzo 1994, n. 171; d.-l. 16 maggio 1994, n. 292; d.-l. 15 luglio 1994, n. 449; d.-l. 17 settembre 1994, n. 537; d.-l. 16 novembre 1994, n. 629; d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9), mentre ad un periodo piu' recente, ma comunque consistente, risale quella dell'art. 6, secondo comma, del decreto-legge cit.: in entrambi i casi si e' cosi' espropriato la sede parlamentare del potere esclusivo di disporre in materia penale, con l'assunzione in capo all'esecutivo di tali indebite competenze. E' appena il caso di rilevare che la continua decretazione governativa protratta per un tempo cosi' prolungato rende evidente, soprattutto in relazione alla norma che qui interessa, la carenza dei presupposti costituzionali di necessita' ed urgenza indicati quale titolo di legittimazione dall'art. 77, secondo comma, della Costituzione, poiche', se gli stessi eventualmente sussistevano al tempo del primo decreto, nel lungo periodo trascorso ben ci sarebbe stata l'opportunita' e la possibilita' da parte delle competenti Camere di novellare la disciplina secondo le forme ordinarie tanto piu' che, come gia' osservato, le norme definite "necessarie ed urgenti" si muovono in senso opposto rispetto alle norme cogenti di diritto internazionale: trattasi di presupposto di validita' costituzionale del decreto-legge che questa ecc.ma Corte ha recentemente giudicato sindacabile in quanto attinente ad elementi costituzionalmente previsti, il cui mancato rispetto rappresenta un vizio in procedendo dell'iter formativo tanto da parte del decreto-legge, quanto da parte della legge che, in ipotesi, l'abbia convertito (Corte costituzionale 27 gennaio 1995, n. 29). I dubbi di costituzionalita' paiono, pertanto, non manifestamente infondati rispetto ai parametri di costituzionalita' sopra evedenziati. In punto rilevanza di fatto, e' chiara l'essenzialita' della risoluzione del dubbio di costituzionalita', poiche' la condotta accertata consiste proprio nel superamento da parte dello scarico di una pubblica fognatura di alcuni parametri quali individuati e imposti tanto dalle tabelle allegate alla legge c.d. "Merli" quanto dal p.g.r.a. nonche' nell'attivazione dello stesso in assenza di autorizzazione: infatti, dipendono dalla discussa legittimita' delle norme che andranno ad impugnarsi le successive scelte procedimentali di competenza di questo ufficio, cioe' l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato perche' il fatto e' sanzionato non penalmente ma in via pecuniaria amministrativa in ipotesi di rigetto dell'incidente di costituzionalita', ovvero la restituzione degli atti al pubblico ministero affinche' formuli l'imputazione o perche' compia ulteriori indagini, ove si accertasse la non conformita' delle norme al dettato costituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 973; Dichiara rilevante per la definizione del giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 3, primo comma, prima parte, e 6, secondo comma, del d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9, in relazione agli artt. 3, 9, secondo comma, e 32, 10, 25, secondo comma, e 77 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con conseguente sospensione del procedimento; Ordina che la presente ordinanza venga comunicata a cura della cancelleria al pubblico ministero in sede e notificata alle persone sottoposte ad indagini, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Udine, addi' 6 marzo 1995 Il giudice: ROJA Il funzionario di cancelleria: NESCA 95C0581