N. 289 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 settembre 1994- 2 maggio 1995

                                N. 289
 Ordinanza   emessa   il  30  settembre  1994  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 2 maggio  1995)  dalla  Commissione  tributaria  di
 primo  grado  di  Roma  sul  ricorso  proposto  da S.p.a. Ifigest, in
 liquidazione, contro l'Intendenza di finanza di Roma.
 Tributi in genere - Previsione della ritenuta e versamento all'erario
    di una somma pari al  sei  per  mille  dell'ammontare,  risultante
    dalle  scritture  contabili  alla  data  del  9  luglio  1992, dei
    depositi bancari, postali e  presso  istituti  e  sezioni  per  il
    credito  a medio termine, conti correnti, depositi a risparmio e a
    termine, certificati di deposito, libretti e buoni  fruttiferi  da
    chiunque detenuti - Lesione del principio di uguaglianza in quanto
    l'imposta colpisce solo alcune forme di impiego del risparmio e le
    fasce  di  reddito  medio basse le quali non hanno possibilita' di
    utilizzare forme diversificate  e  piu'  remunerative  di  impiego
    economico del risparmio - Violazione del principio della capacita'
    contributiva  in  quanto  la norma impugnata si ispira al criterio
    della proporzionalita' anziche' a quello  della  progressivita'  -
    Incidenza sul principio della tutela del risparmio.
 (Legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 7).
 (Cost., artt. 3, 47 e 53).
(GU n.22 del 24-5-1995 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 11362/93 presentato
 il  12  giugno  1993  (avverso:  manc/min. rimb., assente - Imp. str.
 dep.) dall'Ifigest S.p.a., liquidatore Iannuzzi Alvaro,  residente  a
 Roma,  assente,  contro  l'Intendenza  di  finanza  di  Roma, via del
 Clementino.
 OGGETTO DELLA  DOMANDA,  SVOLGIMENTO  DEL  PROCESSO  E  MOTIVI  DELLA
 DECISIONE
    Con  ricorso  ritualmente  depositato,  la  societa'  Ifigest,  in
 liquidazione, rappresentata  e  difesa  dal  prof.  Claudio  Fagioli,
 giusta procura in atti, ricorre, ai sensi dell'art. 16, ultimo comma,
 del  d.P.R. n. 636/1972, avverso il silenzio-rifiuto della Intendenza
 di finanza di Roma, a provvedere sulla istanza di rimborso presentata
 il 5 marzo 1992.
    Deduce la ricorrente che la Banca Nazionale dell'Agricoltura  ebbe
 ad  effettuare in data 31 luglio 1992 (valuta del 15 settembre 1992),
 il  pagamento  dell'imposta  straordinaria  per  L.  20.249.816,  sul
 deposito  di  c/c  n. 47081/C che essa societa' intrattiene presso il
 predetto istituto bancario. E' cio', in applicazione del disposto  di
 cui  al  sesto e settimo comma dell'art. 7 della legge 8 agosto 1992,
 che ha convertito, con modificazioni, il d.-l.  11  luglio  1992,  n.
 333.
    Detta   norma   istituisce,  infatti,  una  imposta  straordinaria
 sull'ammontare dei depositi bancari,  postali  e  presso  istituti  e
 sezioni  per  il  credito a medio termine, conti correnti, depositi a
 risparmio e a termine, certificati  di  deposito,  libretti  e  buoni
 fruttiferi  da chiunque detenuti. Cosicche' gli istituti di credito e
 l'amministrazione postale sono tenuti  ad  operare,  con  obbligo  di
 rivalsa  nei confronti dei correntisti e depositanti, la ritenuta del
 sei per mille commisurata all'ammontare  risultante  dalle  scritture
 contabili  alla  data  del 9 luglio 1992; tale imposta e' versata poi
 all'erario  con le modalita' di cui al comma secondo dell'art. 26 del
 d.P.R. n. 600/1973.
    La societa' Ifigest  nell'impugnare  il  silenzio-rifiuto  opposto
 dalla  Intendenza  di  finanza  di  Roma,  in  ordine alla domanda di
 rimborso, solleva eccezione di incostituzionalita' dell'art. 7  della
 legge  n. 359/1992 - d.-l. n. 333/1992 per contrasto con gli artt. 3,
 53 e 47 della Costituzione,  assumendo  la  violazione  dei  principi
 fondamentali  di  equita'  ed  eguaglianza,  capacita'  contributiva,
 tutela  del  risparmio.  In  particolare,  eccepisce  la   violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione,  in  quanto  l'imposta,  di cui si
 controverte, andrebbe a colpire solo  alcune  forme  di  impiego  del
 risparmio,  rilevando a tal proposito che il principio di uguaglianza
 consentirebbe di emanare norme differenziate  riguardo  a  situazioni
 diverse,  purche'  queste  norme  rispondano  alla  esigenza  che  la
 disparita' sia fondata su presupposti obiettivi.
    A  suo  dire,  infatti,  tale  imposizione  fiscale   andrebbe   a
 penalizzare  le  fasce  di  reddito medio base, le quali non hanno la
 possibilita' di utilizzare forme diversificate di  impiego  economico
 che  presuppongono maggiori disponibilita' di denaro. La contribuente
 rileva, inoltre, che secondo l'interpretazione corrente dell'art. 53,
 comma  primo,  della  Costituzione,  a  situazioni   uguali   debbono
 corrispondere   uguali   regimi   impositivi  e,  di  conseguenza,  a
 situazioni diverse un trattamento tributario disuguale.
    Con riferimento, poi, all'art.  47  della  Costituzione  la  parte
 afferma  che  il  sesto  comma  dell'art.  7  della legge n. 359/1992
 sarebbe  in  netto  contrasto  con  il  precetto  costituzionale   di
 incoraggiare  e  tutelare il risparmio in tutte le sue forme, poiche'
 si risolverebbe in un prelievo forzoso per una parte  dei  cittadini,
 piu'  in  particolare  su  patrimoni  minimi, frutto di risparmio non
 altrimenti investibili.
    La  Commissione  ritenuta   la   opportunita'   di   pronunciarsi,
 innanzitutto,  sulle eccezioni di incostituzionalita' sollevata dalla
 ricorrente,   osserva   che   la   contestata   norma   presenta   le
 caratteristiche  proprie  di un'imposta sul patrimonio finanziario, e
 non su un effettivo reddito e viene,  quindi,  a  gravare  sia  sulle
 attivita'  che  sulle passivita'. Il prelievo previsto da detta norma
 sembra, in effetti,  aver  inciso  in  maniera  ampia  su  situazioni
 differenziate, discriminando le posizioni dei soggetti colpiti, cosi'
 da  risultare  una  norma  ispirata al principio di proporzionalita',
 piuttosto che a quello di progressivita'.
    In buona sostanza, ha colpito maggiormente i risparmi di minima e,
 comunque, contenuta entita', lasciando esenti patrimoni cospicui che,
 ragionevolmente,  non  vengono  versati   in   depositi   scarsamente
 fruttiferi,   ma   trovano   diversi   e   certo   piu'  remunerativi
 investimenti. Ne' puo' porsi in dubbio che, in alcuni casi, l'imposta
 ha gravato su disponibilita' finanziarie contingenti, momentaneamente
 in transito e talvolta non appartenenti all'intestatario del deposito
 postale o bancario, cosi'  andando  ad  incidere  non  sull'effettiva
 ricchezza,   ma   su  temporanee  liquidita',  che,  spesso,  vengono
 sottoposte ad ulteriori tassazioni. Si pensi ad esempio ai mutui,  ai
 rapporti  fiduciari  intersoggettivi,  alle curatele fallimentari che
 hanno  veste  di  realizzi  solo  al  termine  della   copertura   di
 passivita'.
    Ad   avviso   del  Collegio  la  norma  appare  poi  ulteriormente
 discriminante,  laddove  ha  consentito  soltanto  ai  possessori  di
 scritture  contabili  di  provare  l'ammontare  effettivo  del  saldo
 disponibile,  esistente  alla  data  del   9   luglio   1992   presso
 l'amministrazione  postale  o presso l'azienda o istituto di credito.
 Talche', il non aver concesso  la  possibilita'  di  ammissione  alla
 prova contraria alla generalita' dei soggetti d'imposta, non puo' che
 accrescere gli elementi di disparita' tra i contribuenti.
    Alla  luce  delle  esposte considerazioni, la Commissione ritiene,
 pertanto, non manifestamente infondate le questioni  di  legittimita'
 costituzionale sollevate. E cio', per avere la norma de qua:
      1) disatteso i principi di cui all'art. 3 della Costituzione per
 aver colpito in maniera uguale situazioni differenziate;
      2)  essere  in  contrasto  con  l'art. 53 della Costituzione, in
 quanto il prelievo fiscale ha inciso su saldi contabili astratti  che
 non possono essere considerati espressione di capacita' contributiva,
 cosi' da risultare violato il principio di progressivita';
      3)  essere palese il contrasto con l'art. 47 della Costituzione:
 la misura fiscale introdotta con il prelievo forzoso non sembra  aver
 tutelato  ne'  incoraggiato  il  risparmio,  ma  se  mai, ha generato
 sfiducia nel sistema inducendo i risparmiatori  a  maggiori  cautele,
 sottraendo ricchezza dal circuito economico.
                                P. Q. M.
    La  Commissione  ritiene non manifestamente infondate le questioni
 di legittimita' costituzionale sollevate in ordine all'art.  7  della
 legge  n.  353/1992, pertanto, ordina la trasmissione degli atti alla
 Corte costituzionale, al Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  al
 Presidente  del  Senato  della Repubblica, al Presidente della Camera
 dei deputati.
    Cosi' deciso in Roma, il 30 settembre 1994
                         Il presidente: VERDE
                                         Il consigliere est.: TABACCHI
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