N. 336 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 1995
N. 336 Ordinanza emessa il 24 marzo 1995 dal pretore di Perugia sezione distaccata di Todi nel procedimento penale a carico di Budassi Valfiero Ambiente (tutela dell') - Scarichi occasionali senza autorizzazione - Ritenuta non sanabilita' - Lamentata modifica e parziale abrogazione di normativa penale mediante reiterati decreti-legge non convertiti e contenenti anche modifiche l'uno dall'altro - Lesione del principio di legalita' e di riserva di legge in materia penale - Carenza dei presupposti di necessita' ed urgenza per l'emissione degli stessi - Contrasto con le direttive comunitarie, in particolare la n. 271/1991 - Mancata tutela dell'ambiente naturale in senso lato - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi piu' gravi. (D.-L. 17 marzo 1995, n. 79, artt. 3 e 7). (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77).(GU n.24 del 7-6-1995 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo di cui in epigrafe a carico di Budassi Valfiero. OSSERVA All'odierno processo l'avv. L. Ferretti, quale difensore di Budassi Valfiero, produceva domanda in sanatoria datata 14 marzo 1995, ai sensi del d.-l. 17 marzo 1995 n. 79, in ordine al reato di cui all'art. 21, comma primo, della legge 10 maggio 1976, n. 319 dell'imputazione, facendo presente che la pubblica amministrazione non era ancora in grado di determinare la somma dovuta a titolo di oblazione. Ritiene il giudicante, alla luce di questa produzione, che la decisione sul punto, che non puo' essere scissa da quella dell'accertamento della sussistenza dell'altro reato contestato in questa sede, merita preliminarmente l'esame della questione di legittimita' costituzionale degli articoli 3 e 7 del d.-l. 17 marzo 1995 n. 79. RILEVANZA Dalle emergenze processuali sembra risultare, salva ogni successiva determinazione, la presenza nell'odierna vicenda di uno scarico che, seppure occasionale, rientra nel regime della legge n. 319 del 1976, cosi' come statuito da Cass., Sez. III, 11 gennaio 1994, Cristofani. In forza di queste attuali emergenze processuali rileva il giudicante come l'ipotesi accusatoria in esame attiene ad attivita' riguardanti degli scarichi la cui disciplina va rinvenuta nel disposto degli articoli 3 e 7 del d.-l. n. 79 del 1995, che per un verso abroga parzialmente ma in modo significativo la normativa penale dell'originario impianto sanzionatorio di cui alla legge n. 319 del 1976 e per l'altro introduce una sanatoria per le ipotesi criminose pregresse. NON MANIFESTA INFONDATEZZA Cio' premesso si nota, conformemente a quanto testualmente ritenuto da Corte cost. 9 marzo 1988-10 marzo 1988 n. 302, che "in via di principio la reiterazione dei decreti-legge suscita gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai principi costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in base al decreto reiterato sono praticamente irreversibili (come, ad esempio, quando incidono sulla liberta' personale dei cittadini) o allorche' gli stessi effetti sono fatti salvi, nonostante l'intervenuta decadenza, ad opera dei decreti successivamente riprodotti". Tali dubbi appaiono particolarmente fondati nell'odierna vicenda in cui il d.-l. n. 79 del 1995 fa seguito ai decreti legge, non convertiti nei termini e ripresentati anche con modifiche, di seguito indicati: d.-l. 15 luglio 1994 n. 449, d.-l. 17 settembre 1994 n. 537, d.-l. 16 novembre 1994 n. 629 e d.-l. 16 gennaio 1995 n. 9. Sorge il fondato sospetto che la reiterazione cosi' ostinata di decreti legge non convertiti nei termini e talvolta contenenti anche profonde modifiche l'uno dall'altro con rilevanti effetti in tema di abrogazione o meno delle norme contenenti fattispecie penali, costituisca una palese violazione del combinato disposto degli articoli 25 e 77 della Costituzione in materia penale; infatti non si comprende come la necessita' ed urgenza della decretazione normativa e la connessa provvisorieta' della normativa nonostante la naturale vocazione del decreto-legge a disporre anche in via definitiva, possa conciliarsi, in materia penale, con la mancanza di alcuna scadenza temporale o di limite al legislatore in sede di conversione. Tale contrasto si acuisce allorche' la precarieta' legislativa si protragga, come nel caso di specie, per l'arco di quasi un anno, sempre che l'attuale decreto legge venga finalmente convertito o definitivamente abbandonato. In pratica questo Pretore potrebbe emettere una sentenza assolutoria per un fatto che, pur essendo in ipotesi offensivo di un bene, quale la salute pubblica, tutelato al massimo rango costituzionale viene depenalizzato in forza di una normativa non solo provvisoria, ma costantemente reiterata, addirittura con modifiche, nel tempo in mancanza di conversione legislativa. Tale anomalia appare tanto piu' marcata ove si rifletta sulla circostanza che l'arco temporale coperto dai quattro decreti legge succedutisi in materia, pari ad otto mesi, copre per quasi un quarto il decorso del termine di prescrizione dei reati in esame, individuato dall'art. 152, comma primo, n. 5 del codice penale in tre anni. A prescindere dall'eventuale contrasto tra la normativa interna in esame e quella comunitaria, segnatamente con la direttiva CEE n. 271 del 21 maggio 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane che lo Stato Italiano avrebbe dovuto gia' recepire entro il giugno 1993, il dettato dell'art. 3 e dell'art. 7 del d.-l. n. 79 del 1995, astrattamente applicabile al caso di specie, sembra in conflitto con i principi costituzionali che statuiscono il principio di legalita' e la riserva di legge in materia penale. Sul punto del rispetto del principio di legalita', la situazione di incertezza legislativa cagiona perniciosi effetti in tema di prevedibilita' delle decisioni giudiziarie in quanto gli imputati sottoposti a processo penale per un medesimo fatto vengono giudicati in forza di una normativa precaria e mutevole nel tempo. Cio' e' tanto piu' grave in materia penale ove e' doveroso stabilire un discrimine certo tra condotta lecita e comportamento illecito, come ricordato in generale anche dalla giurisprudenza costituzionale (per tutte v. Corte cost. 24 marzo 1988 n. 364). Per quanto riguarda il secondo profilo, la ratio della riserva di legge consiste nell'attribuire al potere legislativo il monopolio penale col duplice scopo di evitare l'arbitrio del potere giudiziario e di quello del potere esecutivo. Non si contesta certo la natura di fonte legale di diritto al decreto legge, sancita dall'art. 77 della Costituzione, ma si vuole ricordare come l'appartenenza di una propria potesta' legislativa al Governo presupponga la sussistenza di casi straordinari di necessita' ed urgenza. In effetti per il decreto-legge si tratta - come riconosciuto dalla dottrina la cui citazione nominativa degli autori e' preclusa da un'opportuna applicazione analogica del disposto dell'art. 118, terzo comma, del r.d. 18 dicembre 1941 n. 1368 contenente le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile - di una fonte assolutamente unica nel suo genere in quanto subordinata alla conversione legislativa. Si pensi ai problemi che puo' suscitare il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione nei termini di rito, di una sentenza penale del giudice di primo grado che abbia applicato la norma abrogata da un decreto-legge non convertito nel termine di sessanta giorni. Senza ignorare inoltre l'ipotesi, non necessariamente solo scolastica, in cui il giudicante, avvalendosi della facolta' di cui al combinato disposto degli artt. 544, 549 e 567 del c.p.p., rediga la motivazione della sentenza in epoca successiva alla lettura del dispositivo con cio' andando incontro al rischio di motivare una sentenza pronunciata, mediante lettura del solo dispositivo, nel vigore di un decreto-legge non convertito nelle more della stesura della motivazione della sentenza. Sebbene la prassi della rinnovazione dei decreti legge sia divenuta pressoche' costante, al punto che decreti legge vengono modificati nelle more del procedimento di conversione con separato decreto legge (v. d.-l. 15 dicembre 1994 n. 684 il cui art. 1 modifica l'art. 1 del d.-l. 25 novembre 1994 n. 649 in una materia la cui attuale disciplina va individuata nel dettato dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724), questo Pretore non ritiene che l'unico strumento di garanzia per il cittadino sia costituito da un'eventuale revisione costituzionale sul punto che riformuli i presupposti per l'esercizio della decretazione d'urgenza. Infatti, e' pacifico, in primo luogo, che i decreti legge possono essere sindacati sotto il profilo dei vizi propri che ne inficiano la legittimita', ancor prima dell'intervento dell'eventuale legge di conversione; per tale motivo e' ammesso, qualora ne sussistano i presupposti, sollevare un questione di legittimita' costituzionale avverso un decreto-legge non ancora convertito. Ma oltre a cio' si ricorda che ai sensi dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione il governo si assume la responsabilita' dell'adozione del decreto-legge. Le sanzioni a cui l'esecutivo soggiace in caso di mancata conversione del decreto-legge non consistono esclusivamente in quelle di natura politica, che per loro natura ovviamente esulano dall'odierno esame, ma si riflettono anche nell'ambito strettamente giuridico. Infatti va considerato che la facolta', di cui all'art. 77, terzo comma, della Costituzione, di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e' meramente eventuale e non obbligatoria. Sembra percio' logico ritenere che, qualora il decreto legge venga emanato in assenza dei presupposti giustificativi, non e' necessario attendere l'intervento del legislatore, ma il giudice puo' dichiarare l'illegittimita' della norma contenuta nel decreto-legge. Tale pronuncia, che non spetta naturalmente al giudice di merito, deve essere eventualmente pronunciata dalla Corte costituzionale, qualora ritenga, come sostiene questo pretore, che il decreto-legge non poteva essere presentato o, come nel caso di specie, reiteratamente presentato, con o senza modifiche, essendo venuto meno il presupposto giustificativo della decretazione d'urgenza. Questa opinione sembra trovare autorevole ed idoneo supporto in quanto affermato testualmente anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 27 gennaio 1995 n. 29) secondo cui, a norma dell'art. 77 della Costituzione, "la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimita' costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilita' applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione. Pertanto, non esiste alcuna preclusione affinche' la Corte costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validita' costituzionale relativi alla preesistenza dei presupposti di necessita' ed urgenza, dal momento che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa". Nel caso di specie, dunque, sussistendo i presupposti questo giudice puo' sollevare la questione con riferimento al menzionato dettato costituzionale. In ogni caso il disposto dell'art. 3 del d.-l. n. 79 del 1995, che comporta una modifica della disciplina sanzionatoria del reato contestato in questa sede sotto il profilo dell'art. 21, comma terzo, della legge n. 319 del 1976, sembra confliggere con il dettato costituzionale anche sotto altri parametri, che qui per brevita' espositiva possono intendersi sostanzialmente indicati nei seguenti: con l'art. 10 per il contrasto di fondo tra il decreto-legge in esame e la normativa comunitaria, al punto che la Corte europea di giustizia ha condannato il nostro governo per il contrasto tra la legge n. 319 del 1976 e le direttive comunitarie per l'insufficienza delle sanzioni penali in materia (cfr. Corte di giustizia 28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990); con il combinato disposto degli articoli 9 e 32 della Costituzione che tutelano l'ambiente e la salute come ambiente naturale in senso lato. Il disposto dell'art. 7 del d.-l. n. 9 del 1995, che comporta una sanatoria della disciplina sanzionatoria del reato contestato in questa sede sotto il profilo dell'art. 21, comma primo, della legge n. 319 del 1976, sembra confliggere con il dettato costituzionale per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto la domanda di autorizzazione, il cui rilascio estingue in ipotesi il reato contestato all'odierno imputato, puo' essere presentata dai titolari di scarichi in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.-l. n. 79 del 1995. Considerato che nella presente fattispecie lo scarico era occasionale, appare evidente l'irrazionale trattamento discriminatorio tra una condotta che, pur essendo piu' grave stante la sua permanenza nel tempo (cioe', scarico esercitato in difetto di autorizzazione, da epoca indeterminata sino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.-l. n. 79 del 1995), puo' essere sanata ed altra condotta omissiva (cioe', scarico occasionale in difetto di autorizzazione antecedente all'entrata in vigore della legge di conversione del d.-l. n. 79 del 1995) che, pur essendo meno grave, non puo' essere sanata. Per queste considerazioni la questione nel presente processo e' rilevante e non manifestamente infondata per cui deve essere sollevata anche d'ufficio.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli articoli 9, 10, 25, 32 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. 17 marzo 1995 n. 79, nei sensi di cui in motivazione; Dichiara altresi' rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli articoli 3, 25 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.-l. 17 marzo 1995 n. 79, nei sensi di cui in motivazione; Sospende il giudizio in corso; Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 ordina che a cura della cancelleria gli atti del presente giudizio vengano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza, letta all'odierna pubblica udienza, venga trasmessa al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Todi, addi' 24 gennaio 1995 Il pretore: SOTTANI 95C0679