N. 352 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 1995

                                N. 352
 Ordinanza  emessa  il  6 aprile 1995 dalla corte d'appello di Venezia
 nel procedimento per ricusazione proposto da Battaggia Franco
 Processo penale - Appello - Incompatibilita' del giudice -  Lamentata
 omessa  previsione  di  incompatibilita'  del  giudice (nella specie:
 corte d'assise d'appello) che abbia respinto l'accordo delle parti in
 ordine  alla  pena  concordata,  alla  sussistenza   di   circostanze
 attenuanti ed al loro bilanciamento (c.d. patteggiamento improprio) -
 Disparita' di trattamento rispetto a situazioni analoghe - Violazione
 dei  diritti di difesa, del principio del giudice naturale nonche' di
 quelli della legge di delega.
 (C.P.P. 1988, art. 34).
 (Cost., artt. 3, 24, 25 e 76; legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2).
(GU n.25 del 14-6-1995 )
                          LA CORTE D'APPELLO
    Ha pronunciato la seguente ordinanza visti  gli  atti  processuali
 assunti  nel  procedimento  per ricusazione proposto dal difensore di
 Battaggia Franco, nato a Venezia  il  3  febbraio  1946,  attualmente
 detenuto presso la casa circondariale di Verona.
                             O S S E R V A
    Con  sentenza  n. 18 in data 5 ottobre 1994 le sezioni unite della
 Corte  di  cassazione,  in  accoglimento  del  ricorso  proposto   da
 Battaggia  Franco,  annullavano l'ordinanza della corte di appello di
 Venezia, sez. 2a, in data 22  marzo  1994,  e  rimettevano  ad  altra
 sezione  di  questa Corte la decisione sulla ricusazione proposta dal
 difensore del Battaggia contro la corte d'assise d'appello, sez.  1a,
 di Venezia.
    La decisione veniva affidata a questa quarta sezione.
    Appare  necessario,  per  la  migliore  comprensione della vicenda
 processuale, ripercorrere sia pur schematicamente l'iter dei fatti:
      1) con sentenza 28 giugno 1993 il g.i.p. presso il tribunale  di
 Venezia,  in  esito  a  rito  abbreviato,  condannava  il  Battaggia,
 all'epoca latitante, a pena di anni 18  di  reclusione,  ritenuta  la
 continuazione  tra  i  reati  di  omicidio  volontario  ed  altri,  e
 riconosciuto concorso  dell'attenuante  del  risarcimento  dei  danni
 dichiarata  equivalente;  altri  coimputati  erano  condannati a pene
 minori;
      2) proponendo appello, il Battaggia richiedeva, oltre  ad  altri
 motivi, anche la prevalenza delle gia' riconosciute attenuanti;
      3)  in  data  1  marzo 1994, avanti la corte d'assise d'appello,
 essendo il Battaggia ancora latitante, il suo difensore  ed  il  p.g.
 proponevano  al giudice, ex art. 599.4 del c.p.p., previa rinuncia da
 parte della difesa di ogni altro  motivo  di  gravame  diverso  dalla
 misura  sanzionatoria,  la  pena di anni 12 di reclusione, sulla base
 della prevalenza della attenuante gia' riconosciuta in primo grado;
      4) con ordinanza letta in aula la predetta Corte  respingeva  la
 proposta con la dizione "non e' allo stato accoglibile";
      5)  subito  dopo  lo  stesso  difensore  del Battaggia proponeva
 ricusazione contro la  Corte  sul  rilievo  che  si  era,  con  cio',
 pronunciata  su parte essenziale del merito, e, preso atto che tra le
 ipotesi, peraltro tassative, di cui all'art. 34 del  c.p.p.  non  era
 prevista quella in esame, proponeva questione di costituzionalita' di
 esso    art.    34    del    c.p.p.   per   la   mancata   previsione
 dell'incompatibilita' a pronunciare la decisione  di  merito  per  il
 giudice  che  avesse  respinto  la  proposta  di pena ex art. 599 del
 c.p.p. (c.d. "patteggiamento improprio");
      6) con successivo atto lo stesso difensore ribadiva la  proposta
 ricusazione    e    la   conseguente   e   collegata   questione   di
 costituzionalita', integrandola con opportuna documentazione;
      7)  il  procuratore  generale  in  sede  esprimeva   parere   di
 inammissibilita'  e  comunque di manifesta infondateza della proposta
 questione di costituzionalita';
      8) con ordinanza in data 23 marzo 1994  la  corte  d'appello  di
 Venezia,  sez.  2a, dichiarava inammissibile la proposta ricusazione,
 sul rilievo  che  il  difensore  non  era  munito  della  -  ritenuta
 necessaria - procura speciale;
     9)  su  ricorso della difesa, le ss.uu. della Corte di cassazione
 con sentenza  5  ottobre  1994  annullavano  la  predetta  ordinanza,
 dichiaravano  il  difensore  legittimato  a  proporre  la ricusazione
 (atteso lo stato di latitanza  del  proprio  rappresentato,  ex  art.
 165.3  del  c.p.p.),  e  rimettevano  la  decisione  sul merito della
 ricusazione a  senzione  diversa  della  stessa  corte  d'appello  di
 Venezia;
      10) il procuratore generale, con parere 10 febbraio 1995, faceva
 propria la questione di costituzionalita', riproponendola nei termini
 di cui in atti.
    Sentite le parti, ritiene la Corte:
       a)  e'  del  tutto pacifico che le ipotesi di incompatibilita',
 siccome inferenti sul principio costituzionale del giudice  naturale,
 siano  tassative,  e  come  tali  non  ammettano  ne' interpretazione
 estensiva, ne'  analogica;  su  tale  base  la  proposta  ricusazione
 dovrebbe  essere  respinta,  posto  che  il caso che la genera non e'
 previsto dall'art. 34 del c.p.p.;
       b) tanto ritenuto, deve affrontarsi la  proposta  questione  di
 costituzionalita' che vede convergere concretamente sia la difesa che
 il  procuratore  generale  nel suo parere scritto; e oggi all'udienza
 ribadito;
       c) il preliminare vaglio di rilevanza va indubbiamente superato
 positivamente, atteso che, ove  accolta,  la  questione  si  riflette
 addirittura  sulla  potestas  judicandi  del  giudice ricusato; si e'
 posta la Corte il problema della rilevanza anche sulla considerazione
 che l'ordinanza 1 marzo 1994 della  corte  d'assise  di  appello  non
 motiva  specificatamente  le  ragioni  per le quali non ha accolto la
 proposta ex art. 599 del c.p.p. (si e' gia' detto che la dizione  che
 leggesi  nel  relativo  verbale  e' "non e' allo stato accoglibile");
 tuttavia tale formula, che ripete in modo pedissequo quella normativa
 (si veda art. 599.5 del c.p.p.: "se ritiene di non poter  accogliere,
 allo   stato,  la  richiesta",  in  ipotesi  contiene  gia'  in  se',
 inevitabilmente, e pur  se  in  modo  implicito,  un  giudizio  sulla
 proposta   stessa;  del  resto  la  valutazione  di  rilevanza  della
 questione va posta non gia' in relazione alla motivazione in concreto
 (che puo' essere piu' o meno felice), ma sul paradigma normativo; nel
 caso si pone quindi il problema se, come proposto  dalle  parti,  una
 tale  reiezione  concretizzi  una  valutazione  sul merito o su parte
 essenziale  di  esso,  qual'e'  la  misura  sanzionatoria,  tale  che
 implichi  una  violazione  dei  principi   costituzionali   invocati;
 insomma,  la  rilevanza  della  questione  sussiste indipendentemente
 dalla motivazione, e si pone sul paradigma normativo,  qualunque  sia
 stata  la  considerazione adottata dal giudice a sostenere il proprio
 convincimento nel caso concreto;
       d)  in  relazione  a  quanto  proposto,  e  per   verita'   per
 argomentazione  ampiamente condivisa da questa Corte, il ragionamento
 deve procedere ora sulla presa d'atto della  natura  sostanziale  del
 giudizio  che  e'  chiamato  a  dare  il  giudice  nell'accogliere  o
 respingere la proposta di "patteggiamento improprio"  ex  art.  599.4
 del  c.p.p.,  essendo  evidente  che  ove  essa fosse da intendere di
 natura per cosi' dire astratta,  generica,  quasi  paradigmatica,  ne
 deriverebbe  in  modo  sicuro che in tale valutazione il giudice, non
 entrando nel merito del  decidere,  non  si  pone  in  situazione  di
 incompatibilita';   non   ne   deriverebbe  quindi  vulnerazione  del
 principio di terzieta', e  dunque  non  avrebbe  ragion  d'essere  la
 proposta  questione  di  costituzionalita' che, in tal caso, dovrebbe
 essere dichiarata manifestamente infondata;
       e) in realta' cosi' non e'; osserva la Corte che  la  norma  in
 esame  (art.  599.4  del c.p.p.) non esplicita in base a qual tipo di
 considerazioni il  giudice  debba  accogliere  o  non  accogliere  la
 proposta;   appare   del   tutto  evidente  a  questa  Corte  che  la
 valutazione, proprio perche' la proposta  riguarda  la  misura  della
 pena,  debba  essere  fatta  quanto  meno, ma essenzialmente, proprio
 sulla ragionevolezza della pena proposta; proprio per il  motivo  che
 la  norma non stabilisce una direttiva motivazionale, non c'e' dubbio
 che si debba far riferimento ai principi generali in materia;  dunque
 la  valutazione  sull'accoglibilita'  o  meno  della proposta ex art.
 599.4 del c.p.p. non puo' non  basarsi  che  sulla  congruita'  della
 pena;   tale   congruita'   non   puo'  che  essere  concreta,  cioe'
 ragguagliata all'imputato da giudicare e al fatto in imputazione; del
 resto in punto di congruita' della pena il riferimento necessario  e'
 all'art.  133  del  c.p.  che  impone parametri del tutto concreti, e
 cioe' adagiabili sulla persona e sul fatto da giudicare, non gia'  in
 astratto; cio' trova riscontro in decisioni puntuali e conformi della
 Corte  di  legittimita' che indica in subiecta materia la valutazione
 di congruita'  concreta;  si  veda  sul  punto:  cass.  sez.  VI,  20
 settembre 1991, 9842, ric. Verterano; cass. sez. VI 26 febbraio 1993,
 1869,  ric.  Cirillo;  cass.  sez.  VI,  18  marzo  1994,  3380, ric.
 Paolicelli ("congrua al reato giudicato"); ove  poi  si  allarghi  il
 campo  di  valutazione, e si rifletta come in base all'art. 599.4 del
 c.p.,  la  pena  concordata  e  proposta  si  basa   altresi'   sulla
 sussistenza   anche   di   circostanze  attenuanti,  il  giudizio  di
 bilanciamento  (come  nella  presente   fattispecie),   le   sanzioni
 sostitutive,  la  qualificazione  giuridica (con riferimento al primo
 comma dello stesso articolo), non ci possono essere piu' dubbi che la
 valutazione che il giudice e'  chiamato  a  fare  non  sia  meramente
 formale, estrinseca, quasi asettica, bensi' pregnante e penetrante su
 materia che altro non puo' definirsi che merito del decidere;
       f)  ma  se  la  valutazione  in  parola  entra  nel  merito del
 decidendum, o almeno di parti cosi' essenziali del decidendum,  quali
 la  pena,  la  sua  congruita'  (anche  attraverso  il meccanismo del
 bilanciamento) la sussistenza  di  attenuanti,  ne  consegue  che  il
 pronunciamento  relativo inevitabilmente gia' implica una espressione
 processuale non ripetibile poi nelle persone degli stessi  giudicandi
 senza  violare  il  principio  della  terzieta'  e  senza  violare il
 principio fondamentale del divieto di duplicazione del pronunciamento
 sullo stesso tema e sulla stessa persona;
       g) osserva in proposito la Corte che non diversamente la  Corte
 costituzionale,  nelle  sentenze  25  marzo  1992, n. 124, 26 ottobre
 1992, n. 399, e 16 ottobre 1993, n. 439, proprio sul  presupposto  di
 fatto  di  valutazione  di  attenuanti  e  congruita'  della pena, ha
 dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 34 del c.p.p. nella  parte
 in  cui non prevede l'incompatibilita' del g.i.p. che abbia disatteso
 la richiesta di patteggiamento proprio, ex art.  444  del  c.p.p.,  a
 partecipare  alla  successiva  udienza preliminare; si osserva che in
 tali casi sussiste  la  medesima  ragione  logico-processuale  e  che
 l'unica  differenza  (il collegamento a riduzione premiale) non entra
 nella    dinamica     argomentativa     della     declaratoria     di
 incostituzionalita';  si  ravvisa  insomma una piu' che significativa
 uguaglianza di presupposti logico-giuridico, posto che sia  dato  per
 affermato,   come  devesi  alla  stregua  di  quanto  sopra,  che  la
 valutazione da compiere sull'accoglibilita' della  proposta  ex  art.
 599.4  del  c.p.p. (che potrebbe cosi' definire il grado di giudizio)
 debba essere fatta in concreto, e cioe' valutando  ex  art.  133  del
 c.p. la persona ed il fato da giudicare;
       h) rileva ancora questa Corte come non abbiano pregio, o per lo
 meno  non  tale  da  capovolgere  la  valutazione  di  non  manifesta
 infondatezza della proposta  questione,  quelle  argomentazioni  che,
 anziche'  basarsi  sulla  sostanza  della valutazione da compiersi ex
 art.  599.4  del  c.p.p.  (se  si  tratti  cioe'  di   pronunciamento
 penetrante  nel  merito),  si  orientano  a  restringerne  il  campo,
 sottolineando che si tratta comunque  di  decisione  per  cosi'  dire
 interlocutoria,   non   diversamente,   si  dice,  da  valutazione  -
 asseritamente consimili - quali quelle in tema libertatis.
    L'opinione non e' da condividere, posto che le due situazioni  non
 coincidono  nei presupposti, atteso che la decisione de libertate non
 e' precipua su quello che sara' poi il thema decidendum, basandosi su
 parametri, peraltro legislativamente prefissati (il  che  non  e'  in
 tema  di  art.  599.4 del c.p.p., che e' dunque piu' discrezionale, e
 quindi piu' impegnativa)  di  pericolosita'  sociale  che  vedono  il
 merito solo quale incidens del diverso decidendum.
    Si deve considerare poi che il procedimento ex art. 599 del c.p.p.
 tende  ad  una definizione di un grado del decidere, avendo cosi' una
 valenza di prima giurisdizione che, indubbiamente, l'altra situazione
 non ha;
       i) tale sistema  porta  a  dover  ritenere  non  manifestamente
 infondata  la  proposta  questione: art. 34 del c.p.p. nella parte in
 cui non prevede che il giudice, che abbia disatteso la  richiesta  di
 pena  congiutamente  proposta  da  imputato  e p.g. ex art. 599.4 del
 c.p.p., non possa partecipare alla successiva decisione di merito sul
 proposto gravame.
    Con riferimento:
      1) art.  3  della  Costituzione:  violazione  del  principio  di
 parita'  tra  cittadini  in  analoga  posizione, posta corrispondenza
 logico giuridica con la situazione di cui all'art. 444 del  c.p.p.  e
 richiamati  i  gia'  citati  precedenti  decisori  della  stesa Corte
 costituzionale;
      2)  art. 24 e art. 25 della Costituzione: violazione dei diritti
 di  difesa  e  del  principio  del  giudice  naturale   come   inteso
 nell'ordinamento     vigente,     ivi     compreso     il     sistema
 dell'incompatibilita' che ne e' parte integrante ed essenziale;
      3) art. 76 della Costituzione:  violazione  dei  principi  della
 legge  delega  per il c.p.p., con riferimento alla direttiva punto n.
 2, per mancata applicazione del principio di  terzieta'  del  giudice
 decidente sul merito.
                               P. Q. M.
    Dichiara   la   non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 costituzionalita' nei termini di cui in parte motiva;
    Rimette gli atti alla Corte costituzionale per la sua decisione;
    Ordina la sospensione  del  presente  procedimento  relativo  alla
 proposta ricusazione della prima corte d'assise d'appello di Venezia;
    Ordina  le  notifiche  e  le comunicazioni di cui all'ultimo comma
 dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e cioe' dispone che il
 presente provvedimento va notificato al sig.  Presidente  del  Senato
 della  Repubblica  al  sig.  Presidente  della  Camera  dei deputati,
 nonche' al sig. Presidente del Consiglio dei Ministri.
      Venezia, addi' 6 aprile 1995
                       Il presidente: RODIGHIERO
                                      I consiglieri: ZAMPETTI - MARINI
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