N. 218 SENTENZA 29 maggio - 1 giugno 1995
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza e assistenza - Ritenuta illegittimita' del regime di incompatibilita' tra assegno (o pensione) di invalidita' ed indennita' di mobilita' - Opzione tra il trattamento di invalidita' e quello di mobilita' all'atto di iscrizione nelle apposite liste - Omessa previsione - Irrazionalita' - Illegittimita' costituzionale - Divieto di cumulo tra indennita' di mobilita' e assegno di invalidita' - Discrezionalita' legislativa - Non fondatezza - Inammissibilita'. (D.-L. 20 maggio 1993, n. 148, artt. 1 e 6, settimo comma, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236; d.-l. 18 marzo 1994, n. 185, artt. 2, quinto comma, e 12). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.24 del 7-6-1995 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE; Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, 1 della stessa legge 19 luglio 1993, n. 236, 2, comma 5, 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (Ulteriori interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), 5 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478, 5 del decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31, 6, comma 7, del decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, promossi con quattro ordinanze emesse il 12 maggio 1994, dal pretore di Parma, il 30 maggio 1994 dal pretore di Bergamo, il 12 agosto 1994 dal pretore di Bologna, il 29 settembre 1994 dal pretore di Busto Arsizio iscritte rispettivamente ai nn. 443, 509, 661 e 663 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 30, 38 e 47, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visti gli atti di costituzione di Ugolotti Giancarlo, Sangaletti Primo, Vannini Graziano e dell'I.N.P.S., nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice relatore Renato Granata; Uditi gli avv.ti Franco Agostini per Ugolotti Giancarlo e Sangaletti Primo, Giacomo Giordano e Giuseppe Fabiani per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1.1. - Con ordinanza del 12 maggio 1994 il pretore di Parma - nel corso del giudizio promosso da Ugolotti Giancarlo nei confronti dell'INPS per il riconoscimento della differenza tra il trattamento di mobilita', spettantegli per essere stato assoggettato a licenziamento collettivo, e l'assegno di invalidita', differenza prima erogatagli dall'INPS fino al 14 dicembre 1992, ma successivamente sospesa a seguito dell'incompatibilita' tra i due istituti previdenziali introdotta dall'art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992 - ha sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonche' dell'art. 1 della legge n. 236 del 1993 nella parte in cui fa salvi gli effetti prodotti dall'art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992, dall'art. 5 del decreto-legge n. 31 del 1993, dall'art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 57 del 1993, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Premette il giudice rimettente che - mentre in precedenza l'art. 10, quattordicesimo comma, della legge 22 dicembre 1984, n. 887 faceva salva in ogni caso la quota del trattamento di disoccupazione eventualmente eccedente l'importo del trattamento pensionistico - il cit. art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992 ha stabilito la totale incompatibilita' fra i trattamenti di disoccupazione e l'indennita' di mobilita', da un lato, ed i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, dall'altro. Non essendo intervenuta la conversione in legge, il suo contenuto e' stato reiterato con i decreti-legge n. 31 del 1993 (art. 4) e n. 57 del 1993 (art. 6, comma 7), anch'essi non convertiti e infine con il decreto-legge del 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, che all'art. 6, comma 7, ha disposto la totale incompatibilita' fra indennita' di mobilita' e trattamenti pensionistici. L'art. 1 della legge di conversione ha fatto salvi gli effetti dei precedenti decreti non convertiti. In via interpretativa il pretore rimettente ritiene che nella categoria dei "trattamenti pensionistici", previsti dall'art. 10, quarto comma, della legge 22 dicembre 1984, n. 887 come incompatibili con i trattamenti ordinari di disoccupazione rientri anche l'assegno di invalidita' e che d'altra parte l'indennita' di mobilita' (conseguente al licenziamento collettivo) ben puo' qualificarsi come un trattamento di disoccupazione. Quanto alla lesione dei parametri evocati, il pretore rimettente ritiene sussistere un principio generale per cui, in caso di concorrenza fra due prestazioni non cumulabili, al titolare deve essere garantita la possibilita' di optare per l'una o l'altra prestazione. La mancanza di tale possibilita' urta contro il principio di ragionevolezza, crea disparita' di trattamento ed appare in contrasto con l'art. 38 della Costituzione che esige che il lavoratore venga garantito sia in caso di invalidita' che in caso di disoccupazione involontaria. In sostanza, afferma il giudice a quo, si puo' escludere il cumulo, ma non anche il diritto di opzione o la conservazione del secondo beneficio nei limiti della differenza. Anche sotto un altro profilo c'e' poi violazione del principio di uguaglianza perche' la totale incompatibilita' sussiste solo per il breve spazio di tempo dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 478 del 1992 all'entrata in vigore del decreto-legge n. 40 del 1994 che ha introdotto la facolta' di opzione (comunque non rilevante per il ricorrente perche' a quest'ultima data era ormai gia' scaduto il periodo di spettanza dell'indennita' di mobilita'); peraltro il decreto-legge n. 40 del 1994, non convertito, e' stato reiterato con il decreto-legge n. 185 del 1994. 1.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente infondata. L'Avvocatura - nel ricordare che con decreto-legge 18 gennaio 1994, n. 40 (art. 2, comma 5) e con decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (art. 2, comma 5), e' stato abrogato il principio della incompatibilita' di cui alle norme censurate ed introdotto il diritto di conservare il trattamento piu' favorevole per il lavoratore - rileva che la limitatezza temporale del periodo nel quale ci sarebbe stata la pretesa violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, da un lato, puo' essere indice di una valutazione del legislatore ispirata alle particolari condizioni economiche e sociali del paese; d'altra parte, la ridotta incidenza del presunto contrasto con i precetti costituzionali non puo' considerarsi espressione di una generale vulnerazione del principio di ragionevolezza e di uniformita' di trattamento cui devono ispirarsi le leggi in genere. 1.3. - Si e' costituito l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Premessa la non assimilabilita' dell'indennita' di mobilita' al trattamento di integrazione salariale, sicche' trattasi di situazioni non omogenee, la difesa dell'INPS osserva che rientra nella discrezionalita' del legislatore prevedere, nei vari ordinamenti previdenziali, le prestazioni che meglio si adattano alle particolarita' delle singole situazioni, predisponendo i mezzi finanziari all'uopo necessari. 1.4. - Si e' costituita la difesa dell'Ugolotti sostenendo - anche con una successiva memoria - in via principale la erroneita' della premessa interpretativa da cui muove il pretore rimettente (e quindi l'insussistenza della fattispecie del divieto di cumulo sia perche' l'assegno di invalidita' non costituisce trattamento pensionistico, sia perche' l'indennita' di mobilita' non e' assimilabile al trattamento di integrazione salariale); da cio' l'inammissibilita' della questione di costituzionalita' per difetto di rilevanza. Nel merito la difesa aderisce alle argomentazioni del pretore rimettente, concludendo quindi per l'incostituzionalita' delle disposizioni censurate. 2.1. - Con ordinanza del 30 maggio 1994, emessa nel procedimento civile promosso da Sangalletti Primo (licenziato e posto in mobilita' il 31 agosto 1991) contro l'INPS per ottenere il riconoscimento del diritto all'indennita' di mobilita', il Pretore di Bergamo ha sollevato questione di legittimita' costituzionale sia dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, conv. con modificazioni dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, sia degli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione. Premesso (in via interpretativa) che, soprattutto dopo l'introduzione della facolta' di opzione con testuale riferimento all'assegno di invalidita', deve ritenersi che sussista l'incompatibilita' tra tale prestazione previdenziale e quella dell'indennita' di mobilita', il pretore rimettente sottolinea che l'assegno e la pensione di invalidita' hanno natura molto diversa: mentre le pensioni INPS ordinarie hanno natura previdenziale, l'assegno di cui all'art. 1 della legge n. 222 del 1984 e' una prestazione atipica ed ha natura eminentemente assistenziale; e' temporaneo, rinnovabile solo a domanda (almeno le prime tre volte), non reversibile ai superstiti e puo' essere anche inferiore ai minimi vigenti per ogni altro trattamento pensionistico; lo stesso poi non esaurisce la possibilita' di reddito del lavoratore, a cui residua una parte della sua capacita' lavorativa; infine il primo a differenza della seconda puo' cumularsi con la retribuzione. Pertanto viola il principio di eguaglianza il fatto che il legislatore tratti allo stesso modo due situazioni cosi' diverse, sancendo che l'indennita' di mobilita' (tipico trattamento sostitutivo della retribuzione) sia incompatibile non solo con la pensione, ma anche con l'assegno di invalidita'. Un ulteriore vizio di incostituzionalita' sussiste poi sotto il profilo che la facolta' di opzione tra i due trattamenti, per i quali sussiste il divieto di cumulo, e' stata - nel 1994 - introdotta soltanto per il futuro, nonche' - quanto ai collocamenti in mobilita' gia' disposti - soltanto per la parte residua della prestazione, sicche' i lavoratori sono discriminati a seconda del momento della collocazione in mobilita' o dell'ottenimento dell'assegno, senza che in cio' sia ravvisabile alcuna giustificazione. In entrambe le ipotesi (quella principale e quella subordinata) vi e' poi violazione dell'art. 38 della Costituzione perche' per effetto della suddetta incompatibilita' il lavoratore pensionato soffre ingiustificatamente una riduzione di reddito. 2.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente infondata. 2.3. - Si e' costituito l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. In particolare sostiene la piena equiparabilita' dell'assegno ordinario di invalidita' con la pensione ordinaria di inabilita' sicche' giustificata e' la loro assimilazione quanto al regime di incompatibilita'. D'altra parte l'introduzione della facolta' di opzione soltanto per il futuro introduce un discrimine ratione temporis, ma cio' e' giustificato dal principio di gradualita' dell'intervento legislativo e dalla successione temporale di distinte fasi di sviluppo del sistema previdenziale. 2.4. - Si e' costituito Sangalletti Primo aderendo - anche con successiva memoria - alle prospettazioni dell'ordinanza di rimessione e concludendo per la dichiarazione di incostituzionalita' delle disposizioni censurate. 3.1. - In analogo giudizio - promosso da un lavoratore titolare di pensione di invalidita' che, in quanto assoggettato a licenziamento collettivo, domandava il riconoscimento (anche) dell'indennita' di mobilita', indennita' negatagli dall'INPS in quanto incompatibile con il trattamento pensionistico in godimento - il Pretore di Bologna con ordinanza del 12 agosto 1994 ha sollevato questione della legittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478, dell'art. 5 del decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31, dell'art. 6, comma 6 (rectius: comma 7), del decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57; dell'art. 6, comma 7, decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 e della legge 19 luglio 1993, n. 236, nella parte in cui dispongono la incompatibilita' tra l'indennita' di mobilita' con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, senza prevedere la possibilita' di conguaglio nel caso che il trattamento di pensione sia di importo inferiore a quello della indennita' di mobilita', per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. 3.2. - L'Avvocatura dello Stato e dell'INPS, nei rispettivi atti di intervento e di costituzione, hanno ripetuto le argomentazioni e le conclusioni gia' rassegnate nei precedenti giudizi incidentali. 3.3. - Si e' costituito anche il ricorrente Vannini Graziano concludendo in via principale per l'inammissibilita' della questione di costituzionalita' ed in via subordinata per la dichiarazione di incostituzionalita' delle disposizioni censurate. Ed infatti - sostiene la difesa del ricorrente - il regime di incompatibilita' e' stato introdotto ex novo dall'art. 1 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 e dalla corrispondente norma del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 a far tempo dal 15 dicembre 1992; quindi, ove il diritto all'indennita' di mobilita' sia maturato prima di tale data, anche i ratei successivi sono immuni dalla nuova piu' rigorosa disciplina; da cio' l'irrilevanza della questione di costituzionalita'. Nel merito ritiene sussistere la violazione dei parametri evocati aderendo alle argomentazioni del giudice rimettente. 4. - Da ultimo il pretore di Busto Arsizio - in un giudizio promosso da una lavoratrice, titolare di pensione di invalidita', che domandava il riconoscimento dell'indennita' di mobilita' in quanto assoggettata a licenziamento collettivo, indennita' anche in tal caso negatale dall'INPS in quanto incompatibile con il trattamento pensionistico in godimento - ha sollevato (con ordinanza del 29 settembre 1994) questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 conv. in legge 19 luglio 1993, n. 236 in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione. In particolare il pretore rimettente ritiene violato il principio di eguaglianza in ragione del trattamento deteriore riservato ai lavoratori titolari di pensione di invalidita' nel periodo di vigenza del regime di totale incompatibilita' con l'indennita' di mobilita'. Sarebbe poi violato anche l'art. 38 della Costituzione perche' viene assicurato il soddisfacimento delle esigenze di vita dell'assicurato di fronte all'evento protetto concretizzatosi prima (l'invalidita') e non invece di fronte a quello successivo (la disoccupazione involontaria), restando, il relativo trattamento assorbito dal primo; e cio' nonostante che il trattamento previsto per l'evento successivo sia ben maggiore. L'Avvocatura dello Stato e dell'INPS, nei rispettivi atti di intervento e di costituzione, hanno ripetuto le argomentazioni e le conclusioni gia' rassegnate nei precedenti giudizi incidentali. Non si e' invece costituita la lavoratrice ricorrente. Considerato in diritto 1. - Ancorche' le plurime censure sollevate dai giudici rimettenti abbiano una matrice comune, costituita dalla (ritenuta) illegittimita' del regime di incompatibilita' tra assegno (o pensione) di invalidita' ed indennita' di mobilita', tuttavia esse sono diversamente articolate e vanno distintamente esaminate. E' stata innanzi tutto sollevata (dal Pretore di Bergamo) questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione - dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236 nella parte in cui prevede il divieto di cumulo tra indennita' di mobilita' ed assegno di invalidita' (in particolare), per sospetta violazione del principio di eguaglianza perche' e' previsto un trattamento analogo (ossia l'incompatibilita' delle due prestazioni) al pari dell'ipotesi in cui con l'indennita' di mobilita' concorra la pensione di invalidita' con la conseguenza che sono a tale effetto ingiustificatamente parificate situazioni differenziate (quella riferita alla titolarita' rispettivamente dell'assegno di invalidita' e della pensione di invalidita'). In una prospettiva meno radicale e' stata poi sollevata (dal Pretore di Parma, dal Pretore di Bologna e dal Pretore di Busto Arsizio) questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione - dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonche' dell'art. 1 della medesima legge n. 236 del 1993 che fa salvi gli effetti prodotti da precedenti analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992, art. 5 del decreto-legge n. 31 del 1993, art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 57 del 1993) nella parte in cui - nel sancire l'incompatibilita' dell'indennita' di mobilita' con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, tra i quali rientrano l'assegno di invalidita' e la pensione di invalidita' - non prevede la possibilita' di opzione per il trattamento piu' favorevole ovvero non riconosce al titolare del trattamento di invalidita' la differenza tra i due importi nel caso in cui (come nella fattispecie) l'ammontare del primo sia inferiore a quello della indennita' di mobilita'. E' in particolare prospettata la possibile violazione: a) del principio generale secondo cui, in caso di concorso di due prestazioni previdenziali, pur rientrando nella discrezionalita' del legislatore la previsione di un divieto di cumulo tra le stesse, e' pero' necessario che a chi versi nella situazione di fatto per essere titolare di entrambe sia comunque assicurata la prestazione di importo piu' elevato (ovvero la differenza rispetto al trattamento piu' favorevole) dovendo il lavoratore essere garantito sia in caso di invalidita' che di disoccupazione involontaria; b) del principio di eguaglianza perche' tale rigida ed assoluta incompatibilita', introdotta dalla normativa censurata (che ha fatto venir meno la precedente piu' favorevole disciplina che prevedeva invece la salvezza del trattamento piu' favorevole tra i due incompatibili: art. 10, quattordicesimo comma, della legge 22 dicembre 1984, n. 887), risulta operante soltanto nel (limitato) periodo fino a quando il legislatore (prima con decreto-legge 18 gennaio 1994, n. 40 e decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 e da ultimo con l'art. 2, comma 5, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, conv. in legge 19 luglio 1994, n. 451) ha introdotto (ma solo ex nunc) la facolta' di opzione, emendando cosi' il (prospettato) vizio di incostituzionalita'; sussiste quindi disparita' di trattamento tra lavoratori secondo il momento del collocamento in mobilita'; c) (ancora) del principio di eguaglianza per disparita' di trattamento tra lavoratori licenziati e collocati in mobilita' perche', a parita' di altre condizioni, i lavoratori gia' titolari di assegno o di pensione di invalidita' hanno un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto agli altri lavoratori perche' questi ultimi, e non anche i primi, percepiscono la (piu' favorevole) indennita' di mobilita'; d) dell'art. 38 della Costituzione perche' le esigenze di vita del lavoratore sono soddisfatte rispetto all'evento verificatosi per primo (invalidita'), ma non anche rispetto a quello successivo (mobilita') malgrado il maggior favore del trattamento previsto per quest'ultimo. Infine il pretore di Bergamo ha (ulteriormente ed in via subordinata) censurato - in riferimento all'art. 3 e 38 della Costituzione - gli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (Ulteriori interventi urgenti a sostegno dell'occupazione) decreto-legge non convertito, ma i cui effetti sono stati (successivamente) fatti salvi dall'art. 1, comma 2, della legge 19 luglio 1994, n. 451) perche', nell'introdurre - ex nunc - la facolta' di opzione tra assegno di invalidita' e indennita' di mobilita', la limitano soltanto ai futuri collocamenti in mobilita' e alla parte ancora residua del periodo di mobilita' in corso, senza estendere il beneficio retroattivamente anche al periodo pregresso con conseguente disparita' di trattamento tra lavoratori secondo il momento del collocamento in mobilita'. 2. - In via pregiudiziale - riuniti i giudizi perche' oggettivamente connessi - vanno respinte le eccezioni di inammissibilita' sollevate dalle parti private sotto un duplice profilo. Le questioni di costituzionalita' riguardanti l'assegno di invalidita' sono rilevanti atteso che il giudice rimettente (pretore di Parma), con interpretazione a lui riservata nei limiti della plausibilita', ha ritenuto che tale prestazione previdenziale rientri tra i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti e quindi sussiste la censurata incompatibilita' con l'indennita' di mobilita'. D'altra parte che l'assegno suddetto sia compreso nel regime di incompatibilita' si evince dalla legislazione successiva sull'opzione che a tale prestazione fa espressamente riferimento (v. infra); l'indennita' di mobilita' e' poi direttamente contemplata dalla normativa censurata. Analogamente rilevante (e quindi ammissibile) e' la questione di costituzionalita' sollevata dal Pretore di Bologna; ancorche' nella specie il lavoratore licenziato sia stato collocato in mobilita' prima che fosse introdotta l'incompatibilita' tra indennita' di mobilita' e trattamento di invalidita', il giudice rimettente ha ritenuto non implausibilmente che sia applicabile ratione temporis la (successiva e meno favorevole) normativa censurata ancorche' soltanto per il periodo successivo alla sua entrata in vigore; l'introdotta incompatibilita' incide infatti sul rapporto (in atto) e non gia' sul (pregresso) suo atto costitutivo. 3. - Infondata e' la questione principale sollevata dal Pretore di Bergamo. Assegno di invalidita' e pensione di invalidita' sono prestazioni distinte, previste da diverse normative succedutesi nel tempo; ma da una parte esse sono pur sempre riconducibili ad una matrice comune, rappresentata dal verificarsi dell'evento protetto (l'invalidita' del lavoratore, ancorche' diversamente definita dalla legge n. 222 del 1984 e dalla normativa precedente); d'altra parte rientra nella discrezionalita' del legislatore, nel prevedere un regime di incompatibilita' o di divieto di cumulo, catalogare le plurime prestazioni che in tale regime ricadono. La radicale prospettazione del giudice rimettente porterebbe alla paradossale conclusione che, una volta individuate (dal legislatore) due prestazioni incompatibili, tutti i possibili altri trattamenti previdenziali o assistenziali sarebbero necessariamente fuori da tale regime per il solo fatto di essere in qualche misura diversi dalle prime; e' invece ben possibile che la medesima ratio dell'incompatibilita' (o divieto di cumulo) sussista per una pluralita' di prestazioni e le accomuni in una medesima categoria connotata dal fatto che il lavoratore assicurato abbia gia' beneficiato di una prestazione assicurativa e quindi gli sia gia' stata apprestata una provvista che astrattamente lo rende meno vulnerabile di fronte al secondo possibile evento pregiudizievole. Tanto e' sufficiente nella fattispecie per escludere che la evocata comparazione orizzontale delle prestazioni che fanno scattare il regime di incompatibilita' (o di divieto di cumulo) possa radicare una violazione dei parametri indicati; mentre maggiormente delicata e' la verifica (che si viene ora a fare) della costituzionalita' dei singoli rapporti di incompatibilita' tra distinte prestazioni. 4. - Passando a considerare questa seconda prospettazione e quindi ad esaminare le questioni di costituzionalita' sollevate dai Pretori di Parma, Bologna e Busto Arsizio, puo' subito rilevarsi che il legislatore ha adottato, nel corso del tempo, tre distinti regimi: quello della non cumulabilita' dei trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, con salvezza in ogni caso del trattamento di disoccupazione eventualmente eccedente l'importo del trattamento pensionistico (art. 10 della legge 22 dicembre 1984, n. 887); quello (meno favorevole) dell'incompatibilita' dei medesimi trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e dell'indennita' di mobilita' (prestazione introdotta nell'ordinamento previdenziale dall'art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223) ancora con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, ma senza alcuna salvezza del trattamento piu' favorevole (art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonche' in precedenza analoghe disposizioni di decreti legge non convertiti: art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992, art. 5 del decreto-legge n. 31 del 1993, art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 57 del 1993); quello dell'incompatibilita', come appena indicata, corretta dalla facolta' per coloro che fruiscono dell'assegno o della pensione di mobilita' di optare a favore del trattamento di mobilita' con conseguente temporanea sospensione del trattamento di invalidita' per tutto il periodo di fruizione del primo (art. 2 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito in legge 9 luglio 1994, n. 451, nonche' in precedenza analoghe disposizioni di decreti legge non convertiti: art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 40 del 1994, art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 185 del 1994). Orbene rientra nella discrezionalita' del legislatore stabilire eventuali rapporti di non cumulabilita' ovvero di incompatibilita' tra diverse prestazioni previdenziali o assistenziali. E' possibile quindi che in un bilanciamento complessivo degli interessi e dei valori in gioco che vede fronteggiarsi le esigenze della solidarieta' e della liberazione dal bisogno (art. 38 della Costituzione) con i limiti conseguenti alla necessita' di preservare l'equilibrio della finanza pubblica (art. 81 della Costituzione) il legislatore - in una situazione in cui si verifichino plurimi eventi oggetto di assicurazioni sociali - valuti come sufficiente l'attribuzione di un unico trattamento previdenziale al fine di garantire al lavoratore assicurato mezzi adeguati alle esigenze di vita sue e della sua famiglia. Questa concentrazione dell'intervento del sistema di sicurezza sociale in un'unica prestazione deve pero' soddisfare il principio di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) non potendo pretermettersi che in generale chi subisce plurimi eventi pregiudizievoli si trova esposto ad una situazione di bisogno maggiore di chi ne subisce uno solo e quindi il primo non potra', rispetto a quest'ultimo, avere un trattamento deteriore, pur dovendo farsi a tal fine una ponderazione globale e complessiva (e non gia' limitata a specifici aspetti o periodi) della pluralita' di trattamenti astrattamente spettanti in ragione della pluralita' di eventi verificatisi. Nella fattispecie il regime della rigida incompatibilita', non temperata dalla facolta' di opzione, va valutata con riferimento alla particolare ipotesi in cui i plurimi eventi verificatisi sono quelli del collocamento in mobilita' e quello dell'invalidita' ed i trattamenti astrattamente concorrenti sono quelli dell'indennita' di mobilita' e dell'assegno (o pensione) di invalidita'. La ponderazione comparata di tali due trattamenti svela l'intrinseca irragionevolezza, che ridonda in disparita' di trattamento, del rigido criterio dell'incompatibilita'. Pur essendo sia l'assegno che la pensione di invalidita' idonei a realizzare singulatim la finalita' previdenziale dell'assicurazione sociale (art. 38 della Costituzione), si ha pero' che il lavoratore parzialmente invalido, ove collocato in mobilita', viene a trovarsi in una situazione di piu' urgente bisogno del lavoratore valido, anch'egli collocato in mobilita', essendo prevedibile che egli, rispetto a quest'ultimo, abbia maggiori esigenze di mantenimento. Invece - essendo l'importo dell'indennita' di mobilita' maggiore sia della pensione che dell'assegno di invalidita' - si ha che, nella medesima comunita' di lavoratori collocati in mobilita', i lavoratori invalidi percepiscono una prestazione quantitativamente inferiore a quella dei lavoratori validi. Di tale palese incongruenza - nella fattispecie non giustificata neppure se si considera globalmente la possibile piu' estesa durata del trattamento di invalidita' rispetto a quello di mobilita' perche' lo stato di invalidita' aggrava il rischio della disoccupazione involontaria insito nel collocamento in mobilita' - si e' reso conto il legislatore stesso che ha corretto il regime dell'incompatibilita' introducendo la indicata facolta' di opzione; ma anche nel periodo precedente, per emendare l'evidenziato vulnus, la prevista incompatibilita', con riferimento ai suddetti trattamenti concorrenti, avrebbe dovuto comunque far salva la facolta' di opzione. La reductio ad legitimitatem e' possibile con una pronuncia additiva perche' desumibile "a rime obbligate" dalla disciplina dell'opzione successivamente introdotta dagli artt. 2, comma 5, e 12, del decreto-legge n. 299 comma 2 del 1994, convertito in legge n. 451 del 1994 di cui mutua modi ed effetti; opzione quindi esercitabile ora per allora. In tale parte va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale della normativa denunciata, rimanendo assorbiti gli altri profili di censura. 5. - E' infine inammissibile la censura subordinata mossa dal Pretore di Bergamo in quanto avente ad oggetto disposizioni (gli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 21 marzo 1994 e non convertito) non piu' in vigore gia' al momento di pubblicazione dell'ordinanza di rimessione (30 maggio 1994).
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi: dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonche' dell'art. 1 della medesima legge n. 236 del 1993 che fa salvi gli effetti prodotti da precedenti analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (art. 5 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478, art. 5 del decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31, art. 6, comma 7, del decreto-legge del 10 marzo 1993, n. 57), nella parte in cui non prevedono che all'atto di iscrizione nelle liste di mobilita' i lavoratori che fruiscono dell'assegno o della pensione di invalidita' possono optare tra tali trattamenti e quello di mobilita' nei modi e con gli effetti previsti dagli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge del 16 maggio 1994, n. 299, convertito in legge 19 luglio 1994, n. 451; dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 7, decreto-legge del 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nella parte in cui prevede il divieto di cumulo tra indennita' di mobilita' ed assegno di invalidita', sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal pretore di Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe; dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (Ulteriori interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal pretore di Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 maggio 1995. Il Presidente: BALDASSARRE Il redattore: GRANATA Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 1 giugno 1995. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 95C0706