N. 219 SENTENZA 29 maggio - 1 giugno 1995
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Gratuito patrocinio - Ammissione al beneficio - Presupposto reddituale - Estensione allo straniero del trattamento riservato al cittadino italiano - Discriminazioni in materia di disciplina della documentazione necessaria per l'accertamento dei presupposti reddituali dettata rispettivamente per il cittadino e per lo straniero - Irragionevolezza - Violazione del principio di eguaglianza - Illegittimita' costituzionale parziale - Non fondatezza. (Legge 30 luglio 1990, n. 217, artt. 1, sesto comma, e 5, terzo comma)(GU n.24 del 7-6-1995 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE; Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 6, e 5, comma 3, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), promosso con ordinanza emessa il 1 dicembre 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma negli atti relativi a Ramirez Ospina Pedro iscritta al n. 29 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 3 maggio 1995 il Giudice relatore Renato Granata; Ritenuto in fatto 1. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma - premesso che il cittadino colombiano Ramirez Ospina, tratto in arresto per il reato di introduzione nel territorio dello Stato di sostanze stupefacenti e riconosciuto colpevole a seguito di giudizio abbreviato, aveva chiesto di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, producendo, fra l'altro, l'autocertificazione di cui all'art. 5, comma 1, lettera b), della legge 30 luglio 1990, n. 217, nonche' l'attestazione della autorita' consolare competente prevista dal comma 3 del medesimo articolo - ha sollevato (con ordinanza del 1 dicembre 1994) questione incidentale di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 1, comma 6, della cit. legge n. 217 del 1990, nella parte in cui stabilisce che il trattamento riservato dalla medesima legge al cittadino italiano si estende anche allo straniero. Il Giudice rimettente - le cui censure riguardano essenzialmente il presupposto reddituale per l'ammissione alla fruizione del beneficio - osserva che il parametro su cui si fonda la condizione di ammissibilita' al beneficio e' rappresentato dalle generali condizioni di vita in Italia, per come le stesse dinamicamente si evolvono in rapporto alle variazioni che subisce il valore della moneta; parametro, quindi, non trasferibile sic et simpliciter ai cittadini di altri Stati che vivano e producano reddito nelle rispettive nazioni, cosicche' la generalizzata applicabilita' agli stranieri della disciplina censurata genera la conseguenza che il limite di reddito che individua la fascia dei non abbienti finisce per risultare del tutto priva di qualsiasi ragion d'essere per quanti risiedano in paesi a piu' basso tenore di vita, ove quel reddito individua situazioni di elevato benessere, se non, addirittura, di ricchezza. L'art. 3 Cost. sarebbe poi violato - nella prospettazione del giudice rimettente - anche per la oggettiva ed assoluta impossibilita' di controllare, da parte dello Stato, l'effettiva sussistenza dei presupposti di reddito che lo straniero si autocertifica e che l'autorita' consolare attesta come "non mendace", non sulla base di una verifica, ma semplicemente "per quanto a conoscenza" della autorita' medesima (art. 5, comma 3). In via subordinata il giudice rimettente ha altresi' sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, della citata legge n. 217 del 1990, nella parte in cui non stabilisce che l'attestazione dell'autorita' consolare competente deve precisare che, sulla base degli accertamenti compiuti, l'autocertificazione di cui alla lettera b) del comma 1 del medesimo articolo e' risultata corrispondente al vero. 2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo pregiudizialmente che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile perche' la denunciata disparita' vede semmai il cittadino italiano discriminato rispetto a quello straniero sicche' sarebbe possibile invocare la parificazione della disciplina soltanto in un giudizio che veda come imputato un cittadino italiano e non gia' uno straniero. Nel merito l'Avvocatura ritiene non fondata la questione di costituzionalita' atteso che la differenza di disciplina si giustifica perche' una legge dello Stato italiano non potrebbe mai dare una disciplina dettagliata degli accertamenti demandabili alle autorita' di un diverso Stato. Considerato in diritto 1. - E' stata sollevata questione incidentale di legittimita' costituzionale - in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 1, comma 6, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui stabilisce che il trattamento riservato dalla medesima legge al cittadino italiano si estende anche allo straniero, per sospetta violazione del principio di eguaglianza in ragione della disparita' di trattamento tra cittadini e stranieri (nonche' tra stranieri appartenenti a Stati diversi) sotto un triplice profilo. Si denuncia da parte del giudice rimettente che ingiustificatamente il limite di reddito per l'accesso del beneficio del patrocinio a spese dello Stato viene assunto come parametro unico e generalizzato senza tener conto delle diverse condizioni economiche dei paesi di provenienza degli stranieri; inoltre lo straniero versa in una posizione di ingiustificato privilegio perche' lo Stato italiano, che eroga il beneficio, non ha alcuna possibilita' di controllare l'effettiva sussistenza dei presupposti di reddito che lo straniero si autocertifica con una dichiarazione il cui carattere non mendace e' attestato dall'autorita' consolare soltanto limitatamente a quanto e' a sua "conoscenza"; conseguentemente lo straniero, a differenza del cittadino, non potra' mai ne' essere assoggettato a sanzione penale per la falsita' o le omissioni nell'autocertificazione, ne' mai potra' perdere il beneficio a causa dell'(eventuale) illecito commesso. Inoltre dal medesimo giudice rimettente e' stato altresi' censurato - in riferimento agli artt. 3 e 101, secondo comma, Cost. - l'art. 5, comma 3, della citata legge 30 luglio 1990, n. 217, nella parte in cui non stabilisce che l'attestazione dell'autorita' consolare competente deve precisare che, sulla base degli accertamenti compiuti, l'autocertificazione di cui alla lettera b) del comma 1 del medesimo articolo e' risultata corrispondente al vero, per sospetta violazione sia del principio di eguaglianza per l'ingiustificata disparita' di trattamento tra straniero e cittadino essendo possibile soltanto per quest'ultimo, e non anche per il primo, il controllo dell'effettiva sussistenza del requisito reddituale per l'accesso al beneficio; sia del principio che vuole il giudice soggetto soltanto alla legge, mentre nella fattispecie egli e' vincolato ad un atto dell'autorita' consolare senza poterlo controllare ne' sul piano formale, ne' su quello sostanziale. 2. - Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura dello Stato atteso che l'operativita' del principio di eguaglianza non e' unidirezionalmente e necessariamente diretta ad estendere la portata di una disciplina piu' favorevole evocata come tertium comparationis, ma puo' dispiegarsi anche nel senso di rimuovere l'ingiustificato privilegio di una disciplina piu' favorevole rispetto a quella indicata a comparazione (sent. n. 62 del 1994, ord. n. 401 del 1994). E' possibile quindi denunciare le disposizioni censurate (anche) sotto il profilo che accorderebbero una disciplina ingiustificatamente piu' favorevole allo straniero rispetto al cittadino. 3. - Nel merito e' infondata la piu' radicale censura che attinge l'art. 1, comma 6, cit., mentre deve accogliersi la censura, di carattere subordinato, dell'art. 5, comma 3, della medesima legge. 4. - Va preliminarmente rilevato che, ancorche' il giudice rimettente, sia nella questione proposta in via principale, che nel primo profilo della questione posta in via subordinata, evochi l'art. 3 Cost. sotto il profilo della assunta disparita' di trattamento, in realta' l'allegato vizio di incostituzionalita' si fonda sull'asserita violazione del principio di ragionevolezza perche' cio' che in sostanza egli denuncia e' in radice l'estensione agli stranieri del beneficio del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, mentre le differenze rimarcate tra la situazione degli uni e quella degli altri sono appunto addotte a dimostrazione dell'irragionevolezza dell'estensione e non gia' per invocare la parificazione della disciplina. Orbene, nella sua prospettazione piu' radicale la censura non e' fondata perche' anche lo straniero fruisce della garanzia costituzionale in ordine ai diritti civili fondamentali, in particolare in ordine al diritto di difesa (sent. n. 10 del 1993), nel quale e' compresa anche la difesa dei non abbienti (sent. n. 194 del 1992). Con il disposto del comma 6 dell'art. 1 cit. il legislatore obbedisce a questo imperativo costituzionale, apprestando una disciplina concessiva del beneficio anche allo straniero; disciplina che pero' non puo' non tener conto delle peculiarita' che contraddistinguono la situazione dello straniero da quella del cittadino, in particolare per quanto riguarda sia la sua situazione reddituale, la quale - al di la' del maggiore o minore potere d'acquisto della moneta nei vari paesi, che costituisce differenza fattuale, occasionale e variabile - condiziona l'ammissione al beneficio, sia il relativo accertamento. 5. - Fondata e' invece la censura subordinata espressa sempre - come gia' rilevato - in riferimento al principio di ragionevolezza, la cui violazione e' svelata dalla divaricata disciplina della documentazione del presupposto reddituale per l'accesso al beneficio dettata rispettivamente per il cittadino e per lo straniero. Per il cittadino l'art. 5 detta una prescrizione assai rigorosa, che si coniuga con quelle ulteriormente previste dai successivi artt. 6 e 10. Ed infatti il cittadino deve autocertificare la sussistenza delle condizioni reddituali; deve inoltre allegare la copia dell'ultima dichiarazione dei redditi o dei certificati sostitutivi; deve altresi' produrre una dichiarazione contenente l'elencazione di tutti i suoi redditi, di qualsiasi fonte ed a prescindere dal loro trattamento fiscale; infine deve indicare anche la sua situazione patrimoniale, accludendo all'istanza una elencazione dei beni immobili e mobili registrati in ordine ai quali l'interessato sia titolare di un diritto reale. A questo rigoroso onere documentale si accompagna un'altrettanto rigorosa procedura di controllo perche' copia di tutta la documentazione deve essere inviata all'intendente di finanza, che ne apprezza l'esattezza, eventualmente disponendo la verifica della posizione fiscale dell'istante a mezzo della Guardia di finanza (art. 6 cit.). Ove all'esito di tali accertamenti risulti l'insussistenza del presupposto reddituale, il beneficio del patrocinio a spese dello Stato viene revocato (art. 10 cit.). Invece nulla di tutto cio' e' previsto per lo straniero. E' infatti sufficiente che egli produca l'autocertificazione della sussistenza del requisito reddituale, accompagnata dall'attestazione dell'autorita' consolare competente dalla quale risulti che, "per quanto a conoscenza" della stessa, l'autocertificazione non e' mendace. In particolare la limitazione dell'attestazione di non mendacio della autocertificazione all'eventuale conformita' con quanto possa essere a conoscenza dell'autorita' consolare da una parte consente in realta' che nessuna verifica sia fatta e d'altra parte priva di ogni elemento di valutazione il giudice chiamato a provvedere ( ex art. 6 cit.) sulla base dell'autocertificazione. Cio' svela l'irragionevolezza intrinseca della disciplina dell'onere documentale perche' il legislatore, se da una parte nella sua discrezionalita' puo' individuare in termini analoghi per il cittadino e per lo straniero la situazione reddituale che definisce la condizione di non abbienza come presupposto per la spettanza del beneficio, non puo' pero' rinunciare solo per lo straniero a prevedere una qualche verifica e controllo che non siano legati unicamente all'eventualita', meramente ipotetica e casuale, che all'autorita' consolare gia' risultino elementi di conoscenza utili a valutare l'autocertificazione del presupposto. 6. - L'art. 5, comma 3, cit. va quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 3 Cost. (assorbita la denuncia di violazione anche dell'art. 101, comma 2, Cost.) e la reductio ad legitimitatem puo' essere operata eliminando dalla disposizione censurata l'inciso "per quanto a conoscenza della predetta autorita'". Per effetto di tale pronunzia l'autorita' consolare, se vuole rendere una attestazione utile in favore dell'interessato, non puo' piu' limitarsi a raffrontare l'autocertificazione con i dati conoscitivi di cui eventualmente disponga, ma (nello spirito di leale collaborazione tra autorita' appartenenti a Stati diversi) ha (non certo l'obbligo, ma) l'onere (implicito nella riferibilita' ad essa di un atto di asseveramento di una dichiarazione di scienza) di verificare nel merito il contenuto dell'autocertificazione indicando gli accertamenti eseguiti. Viene cosi' meno il sostanziale vincolo che - dalla sufficienza della conformita' dell'autocertificazione a quanto fosse (eventualmente) a conoscenza dell'autorita' consolare - derivava per il giudice nazionale per il fatto che l'attestazione di tale mera conformita' (in se' non sufficientemente significativa) comportava una sorta di qualificazione legale di genuinita' dell'autocertificazione. In conseguenza della presente pronunzia invece - dovendo l'autocertificazione essere in se' non mendace (piuttosto che meramente conforme a quanto eventualmente a conoscenza dell'autorita' consolare) - il giudice diviene libero di valutare l'idoneita' degli accertamenti eseguiti e la congruita' delle risultanze degli stessi rispetto a quanto emergente dall'autocertificazione al fine di riconoscere o disconoscere il diritto dell'interessato al patrocinio a spese dello Stato.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) limitatamente alle parole "per quanto a conoscenza della predetta autorita'"; Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 maggio 1995. Il Presidente: BALDASSARRE Il redattore: GRANATA Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 1 giugno 1995. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 95C0707