N. 354 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 1995
N. 354 Ordinanza emessa il 16 febbraio 1995 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Rodi Agostino e fallimento S.r.l. Litografia del Sole Procedure concorsuali - Ripartizione dell'attivo - Crediti assistiti da privilegio - Lamentata omessa previsione per i crediti derivanti dall'opera o dal servizio prestato dal lavoratore autonomo (non intellettuale) - Disparita' di trattamento, in particolare, nei confronti dell'imprenditore artigiano - Mancata tutela del lavoro. (C.C., art. 2751-bis, n. 5). (Cost., artt. 3 e 35).(GU n.25 del 14-6-1995 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile promossa con ricorso notificato in data 14 aprile 1992, causa chiamata alla udienza collegiale del 16 febbraio 1995 da Rodi Agostino rappresentato e difeso dall'avv. Mario Aurigo, come da mandato a margine del ricorso, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, opponente, contro il fallimento Litografia del Sole S.r.l., in persona del curatore avv. Bruno Festi rappresentato e difeso dall'avv. Simona Cazzaniga come da mandato in calce alla comparsa di risposta, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, resistente. Sullo svolgimento del fatto. Con ricorso notificato in data 14 aprile 1992, Rodi Agostino, interponeva opposizione ex art. 98 della l.f., lamentando che il giudice delegato al fallimento Litografia del Sole S.r.l. in sede di verifica, aveva ridotto il proprio credito fondato sul rapporto di agenzia, ammettendo il minor importo di L. 14.443.625 e in via chirografaria anziche' privilegiata, sull'inesatto presupposto della inesistenza del rapporto di agenzia; chiedeva, quindi, l'ammissione di L. 56.734.209, di cui una parte per F.I.R.R. e una parte per indennita' suppletiva di clientela, il tutto in via privilegiata oltre spese. Si costituiva in giudizio il curatore, il quale eccepiva che non esisteva il presupposto dell'invocato privilegio in quanto il rapporto in essere non poteva essere qualificato di agenzia ma di collaborazione continuata e coordinata nel settore della consulenza grafica. Contestava altresi' la quantificazione del credito e concludeva per il rigetto dell'opposizione. Dimessi documenti, dato corso all'istruttoria orale, la causa veniva assegnata in decisione all'udienza collegiale sopra indicata sulle conclusioni delle parti, come in epigrafe trascritte. Sui motivi della decisione Il giudizio di opposizione a stato passivo, ancorche' mutui talune regole dai processi di gravame, e' un giudizio ordinario di cognizione di primo grado, in cui l'opponente assume la veste dell'attore, in guisa che a suo carico e' addossato l'onere di dimostrare l'esistenza del credito e dei fatti costitutivi della obbligazione in modo che il giudice possa qualificarli e se richiesta, riconoscere una causa di prelazione. Sulla qualificazione del rapporto. In ordine alla qualificazione del rapporto occorre rilevare che la difesa dell'opponente si fonda sull'esito dell'istruttoria orale dalla quale emerge che il Rodi, per tre anni, ha svolto attivita' di acquisizione di ordini presso la Standa, di stampati da distribuirsi sul territorio nazionale; sul punto vanno segnalate le testimonianze di Cortiana, Colombo e Cremaschi che hanno univocamente confermato la circostanza. Diversamente, la difesa del fallimento si basa sul testo del contratto intercorso fra le parti (a partire dall'accordo del 1 luglio 1987, poi rinnovato), nel quale al Rodi risulta assegnato l'incarico di provvedere alla preparazione e al coordinamento tecnico e grafico dei "pieghevoli Standa", nonche' al controllo della produzione e alla spedizione, mansioni queste ben diverse da quelle del rapporto di agenzia. Tenuto conto delle prove raccolte, la curatela deduce che se vi e' stata attivita' di promozione di vendite, questa era accessoria rispetto a quella pattuita, sicche', comunque, il privilegio non potrebbe essere riconosciuto. Ad avviso del collegio effettivamente nella attivita' prestata dal Rodi non e' identificabile quella propria del rapporto di agenzia che, e' bene ricordarlo, consiste nel promuovere affari da parte di chi con organizzazione di mezzi assume un rischio d'impresa (Cass. 8 gennaio 1993, n. 84; Cass. 10 gennaio 1984, n. 183); nel caso di specie questa connotazione tipica non pare ricorrere ove si consideri la volonta' delle parti (lettera d'incarico) confermata dal comportamento successivo tenuto (il Rodi per oltre tre anni mai ha lamentato l'inquadramento propostogli). I contatti con il cliente Standa ben possono conciliarsi con l'attivita' cui per contratto il Rodi era tenuto. D'altra parte e' tipico che all'agente sia assegnato un certo ambito territoriale entro il quale operare, mentre nella fattispecie di cui si discute l'opponente doveva occuparsi solo di un'impresa (per quanto di rilevanti dimensioni). Non reputa, quindi, il tribunale che al sig. Rodi possa competere la prelazione di cui all'art. 2751-bis n.3) del c.c. Sulla prestazione di lavoro autonomo e sui privilegi di cui all'art. 2751-bis del c.c. Escluso che l'opponente possa essere considerato un agente, escluso che possa essere inquadrato come lavoratore subordinato, ne consegue che deve essere qualificato come prestatore d'opera e quindi come lavoratore autonomo. Scorrendo l'elenco delle cause di prelazione ci si avvede che nessuna disposizione tutela, sotto il profilo del riconoscimento di un privilegio, il lavoro autonomo. Vi e' una norma, l'art. 2751-bis del c.c. che contempla le cause di prelazione che attengono ad obbligazioni sorte nell'ambito di prestazioni di natura esplicitamente o latamente lavorativa, ma nessuna di queste previsioni comprende il lavoro autonomo. E' noto che in materia di privilegi si ritiene applicabile il principio del divieto dell'interpretazione analogica sul presupposto della natura eccezionale della normativa che prevede le cause di prelazione rispetto al principio della par condicio creditorum. Questo indirizzo trova conferma in vari pronunciamenti delle corti di merito e di legittimita' (fra le piu' recenti, Cass. 30 marzo 1992, n. 3878; Cass. 27 febbraio 1990, n. 1510). Resta quindi all'interprete solo la facolta' di far uso dell'interpretazione estensiva che, peraltro, in questa materia e' di difficile configurazione attesa la analiticita' della legislazione. Se si pone attenzione alla norma di cui all'art. 2751-bis del c.c. e' intuitivo che una operazione ermeneutica di questo tipo non conduce ad alcun risultato. Infatti il lavoratore autonomo, per la definizione che ne da il codice, non e' un lavoratore subordinato e ad esso non puo' essere assimilato (l'art. 2222 del c.c. dispone espressamente che l'opera o il servizio vengono svolti " .. senza vincolo di subordinazione"); non e' un professionista in quanto per l'espletamento della prestazione non e' prevista l'iscrizione in albi o elenchi appositi, ne' l'opera prestata ha natura intellettuale; non e' un agente in quanto l'attivita' che svolge non si realizza con la promozione di contratti per conto del preponente (art. 1742 del c.c.); non e' un coltivatore diretto in quanto presta la propria opera al di fuori del collegamento con un fondo agricolo; non e' un imprenditore artigiano (e tanto meno una cooperativa) in quanto svolge la propria opera o servizio con lavoro prevalentemente proprio, e senza quella dotazione di mezzi tipica dell'imprenditore. La griglia della norma di cui all'art. 2751-bis del c.c. presenta quindi maglie non sufficientemente serrate per comprendere tutti quei soggetti che maturano un credito nell'esplicazione di una attivita' direttamente o latamente lavorativa. Esiste, quindi, una zona grigia nel mondo del lavoro che non viene tutelata adeguatamente nel caso di insolvenza del committente. V'e' da chiedersi allora se tale differente trattamento possa essere giustificato, ovvero se la disparita' di disciplina sia tale da provocare il sospetto della illegittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis del c.c. Ad avviso del Collegio non e' irragionevole che il lavoro autonomo sia trattato meno favorevolmente del lavoro subordinato, quanto meno per il fatto che nel secondo caso il dipendente e' soggetto al potere di supremazia del datore di lavoro, e' soggetto al potere disciplinare, e' esposto al rischio dell'insolvenza del datore di lavoro con connotazioni di maggior gravita' in quanto di regola esplica quell'attivita' in via esclusiva (sicche' se fallisce il datore di lavoro, il dipendente non puo' immediatamente procurarsi le fonti di sostentamento se non cercando una nuova collocazione sul mercato). Ma la disparita' di trattamento non e' irragionevole neppure se il confronto viene proposto con il lavoratore autonomo che presta un'opera di natura intellettuale. La piu' favorevole tutela di cui gode il prestatore d'opera intellettuale puo' essere giustificata dal fatto che per talune attivita' l'esercizio e' subordinato all'iscrizione in appositi albi o elenchi per i quali vi sono regole che ne disciplinano l'accesso; mentre per le attivita' intellettuali non protette la giustificazione della particolare tutela puo' essere vista nel fatto che la prestazione intellettuale presuppone comunque uno "studio applicativo" particolare evidentemente considerato meritevole di protezione. Per quanto riguarda la disparita' di trattamento con l'agente, la spiegazione puo' essere fornita se si ritiene (come fa la prevalenza della dottrina e della giurisprudenza di merito ) che l'attribuzione del privilegio di cui al n.3 dell'articolo 2751-bis del c.c. sia diretta a colui che svolge l'attivita' di agente e non al rapporto di agenzia in se' (come parrebbe dalla lettura della norma), quindi a tutela di un soggetto che svolge il proprio lavoro in un "clima" di parasubordinazione (si veda sul punto la volonta' del legislatore di trattare l'agente alla stregua del lavoratore subordinto con riferimento alla tutela processuale purche' l'attivita' venga svolta con un contributo prevalentemente personale - art. 409, n. 3 del c.p.c.). Rispetto al coltivatore diretto, la ratio di un trattamento piu' deteriore puo' essere individuta nel rischio particolarissimo che colora l'impresa agricola che gia' fruisce di uno statuto piu' favorevole (la non assoggettabilita' al fallimento). Del tutto ingiustificata appare invece la disparita' di trattamento con il privilegio che assiste l'impresa artigiana. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis n. 5, del c.c. nella parte in cui non prevede eguale tutela per ogni lavoratore autonomo. Il privilegio di cui all'art. 2751-bis n. 5, del c.c. e' stato giustificato in quanto si e' ritenuto (per la prima volta con la Novella del 1975) che i crediti maturati dall'impresa artigiana per i servizi prestati e per la vendita dei manufatti rappresentassero la remunerazione del lavoro spiegato dall'imprenditore artigiano; si e' quindi assimilata la figura dell'artigiano a quella del prestatore di una attivita' lavorativa, sorvolando sul fatto che l'artigiano e', comunque, un imprenditore. Non e' qui il caso di ripetere (in quanto ininfluente) quanto sia dibattuto il problema della qualificazione dell'impresa artigiana, sia sul fronte del riconoscimento del privilegio, sia su quello dell'esonero dal fallimento. Ai fini che qui interessano bastera' ricordare che l'impresa artigiana (per effetto della legge n. 443/1985) ha visto nel tempo dilatare i propri limiti dimensionali al punto che non e' certo agevole una distinzione con la c.d. piccola industria. Nondimeno il legislatore non e' intervenuto per rivisitare la norma di cui all'art. 2751-bis n. 5, del c.c., sicche' oggi vengono protetti crediti che pur riferibili ad attivita' di natura tipicamente lavorativa, sono imputati a soggetti che impiegano nel processo produttivo rilevanti capitali e ancor piu' significativi livelli occupazionali. Ma se questa scelta non puo' essere sindacata in quanto rientrante nella discrezionalita' del legislatore, puo' al contrario essere valutato il fatto che il legislatore abbia omesso di considerare il lavoro autonomo ai fini della attribuzione di una causa di prelazione. Il diverso regime protettivo appare irragionevole dal momento che si accorda una tutela piu' ampia al credito dell'imprenditore che trae la remunerazione del proprio lavoro dall'esercizio di una impresa rispetto al credito del prestatore d'opera (non intellettuale) che ricava le proprie fonti di reddito dall'esercizio di una attivita' prevalentemente personale (si pensi alle figure del pony express, delle modelle, degli accompagnatori turistici, ecc ..). La ragione di un trattamento differenziato non puo' ricavarsi dalla tutela accordata dalla Costituzione solo ai primi (art. 45 della Costituzione), dal momento che la fonte primaria tutela, ancor prima (art.35 della Costituzione) "il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni". Che la norma sia posta a tutela anche del lavoro autonomo e' stato in passato affermato proprio dal giudice delle leggi (Corte costituzionale 26 luglio 1988, n. 880; Corte costituzionale 27 giugno 1984, n. 180). Il tribunale ritiene, quindi, che sia non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis, n. 5, del c.c. nella parte in cui non prevede che il privilegio sia riconosciuto a tutti i lavoratori autonomi per i crediti nascenti dall'opera o dai servizi prestati. I parametri costituzionali di confronto sono quindi l'art. 3 e l'art. 35 della Costituzione. Sulla rilevanza della questione. Che cosi' impostata la questione di costituzionalita' sia rilevante ai fini di decidere l'odierna controversia e' agevole desumerlo dal fatto che nella qualificazione del rapporto lavorativo svolto dall'opponente sono state state escluse le altre figure ricomprese nell'art. 2751-bis del c.c. In buona sostanza, ove l'eccezione venisse disattesa dalla Corte, all'opponente non resterebbe che la collocazione del credito nel passivo chirografario, ove invece venisse accolta, competerebbe l'ammissione al passivo privilegiato. Sussistono, pertanto, le condizioni per sospendere il presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale cui vanno rimessi gli atti ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale di cui all'art. 2751-bis, n. 5, del c.c. in relazione all'art. 3 e all'art. 35 della Costituzione nella parte in cui non prevede che "il privilegio spetti anche al prestatore di lavoro autonomo (non intellettuale) per il credito derivante dall'opera o dal servizio prestato"; Sospende il presente giudizio sino alla decisione della Corte costituzionale; Dispone la trasmissione degli atti alla cancelleria della Corte costituzionale e ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti e alla Presidenza del Consiglio, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in camera di consiglio il 16 febbraio 1995. Il presidente: PESCHIERA Il giudice estensore: FABIANI 95C0719