N. 361 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 dicembre 1994
N. 361 Ordinanza emessa il 7 dicembre 1994 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Campania nel giudizio di responsabilita' nei confronti di Granese Alberto ed altri Impiego pubblico - Dipendenti degli enti locali - Previsione della validita' ed efficacia dei provvedimenti deliberativi riguardanti il trattamento del personale di detti enti, adottati prima del 31 agosto 1993, che abbiano previsto profili professionali od operato inquadramenti in modo difforme dal d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, e successive modificazioni e integrazioni - Ingiustificato eguale trattamento dei dipendenti legittimamente inquadrati rispetto ai dipendenti che per effetto della sanatoria derivante dalla norma impugnata, vengono a ricoprire eguale posizione e qualifica pur senza averne avuto titolo - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Violazione del principio di copertura finanziaria per la mancata indicazione dei mezzi di copertura della maggior spesa o minor entrata conseguente alla sanatoria preclusiva dell'azione di responsabilita' per il risarcimento del danno. (Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 6-bis, aggiunto dalla legge 28 ottobre 1994, n. 96; d.-l. 27 agosto 1994, n. 515). (Cost., artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 81, quarto comma, 97, primo comma, e 128).(GU n.25 del 14-6-1995 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita' proposto dal vice procuratore generale presso la sezione Campania nei confronti dei signori Alberto Granese, Antonio Budetta, Corrado Zinna, Luigi Fereoli, Gerardo Greco e Antonio Di Lascio; Visto l'atto introduttivo del giudizio in data 14 maggio 1993 iscritto al n. 289/EL del registro di segreteria; Visti gli atti ed i documenti tutti della causa; Uditi nella camera di consiglio del 7 dicembre 1994, con l'assistenza del segretario G. Rega, il relatore consigliere dott. Arturo Martucci di Scarfizzi, il p.m. rappresentato in udienza dal v.p.g. Filippo Esposito, l'avv. Nicola Abbondante per delega dell'avv. Roberto Marrama per il convenuto Zinna. RITENUTO IN FATTO Il procuratore regionale per la Campania, con atto del 14 maggio 1993 ritualmente notificato, conveniva in giudizio i signori Granese, Budetta, Zinna, Fereoli, Greco e Di Lascio - tutti amministratori del comune di Montecorvino Rovella (Salerno) - per aver adottato illegittime delibere di inquadramento (con conseguente attribuzione del relativo trattamento economico) del vice segretario comunale, dott. Merola, chiedendone altresi' la condanna solidale al pagamento di L. 114.866.414 (oltre rivalutazione monetaria e interessi) a titolo di risarcimento del relativo danno arrecato alle finanze di quel comune. Alcuni dei convenuti si costituivano in giudizio con il patrocinio degli avvocati Abbamonte (Granese, Greco e Fereoli) e Marrama (Zinna) contestando la pretesa attrice sotto i profili dell'intervenuta prescrizione del diritto azionato, della asserita legittimita' degli atti adottati e, comunque, della assenza di colpa. Con atto depositato il 18 novembre 1994, il procuratore regionale produceva una "nota integrativa" dell'originario atto di citazione con la quale, mentre ribadiva la richiesta di condanna dei convenuti nel riflesso della non applicabilita' al caso in esame del comma 6- bis dell'art. 3 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, approvato con legge 28 ottobre 1994, n. 596, sollevava in via gradata - per l'ipotesi fosse ritenuta applicabile tale norma - eccezione di incostituzionalita' del suddetto comma 6-bis ritenendo la relativa questione rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con gli artt. 3, 24 e 97, primo comma, della Costituzione. La dedotta questione di costituzionalita' veniva motivata sotto vari profili. Il contrasto con l'art. 3 Cost. veniva argomentato sotto i diversi aspetti della disparita' di trattamento sia tra i comuni dissestati con esubero (o meno) di personale, sia con riferimento ad altri impiegati correttamente inquadrati o, per converso, non fruenti di analoghi trattamenti, sia in relazione ad altri dipendenti statali, parastatali o comunque non comunali. Il contrasto con l'art. 24 Cost. veniva rinvenuto nella impossibilita' per gli amministratori di ripristinare la legalita' violata e di chiedere al giudice contabile una pronuncia di condanna. Infine, la norma censurata confliggerebbe con l'art. 97 Cost. violando il canone del buon andamento in quanto, risiedendo il limite di discrezionalita' del legislatore nella ragionevolezza, l'attribuzione di livelli e qualifiche, senza alcuna relazione con le mansioni svolte, non risponderebbe ad alcun criterio di razionalita'. La procura regionale ha depositato in data 2 dicembre 1994 la nota n. 14749 - inviata in via fax in pari data - del comune di Montecorvino Rovella con la quale viene precisato che il comune stesso non ha dichiarato il dissesto finanziario e che non ha superato il rapporto dipendenti-popolazione previsto dal comma 14 dell'art. 3 della legge n. 537/1993, cosi' come modificato dal d.-l. n. 515/1994 convertito nella legge n. 596/1994 in quanto risultano in servizio n. 78 dipendenti a fronte di 10.825 abitanti. Alla odierna udienza pubblica l'avv. Nicola Abbondante, su delega dell'avv. Marrama (per il convenuto Zinna), si e' riportato alla memoria difensiva depositata agli atti di causa, mentre il pubblico ministero ha insistito sulla richiesta di condanna e, subordinatamente, per l'accoglimento della prospettata questione di costituzionalita', non mancando di sottolineare che mai il comune di Montecorvino Rovella ha superato il rapporto dipendenti-popolazione previsto dalla normativa di settore. Con decisione interlocutoria non definitiva n. 2/95 depositata in pari data, la Sezione ha respinto l'istanza di sospensione del giudizio ed ha dichiarato non prescritto il diritto al risarcimento del danno azionato dal procuratore regionale respingendo le relative eccezioni dei convenuti. CONSIDERATO IN DIRITTO In relazione alla eccezione di incostituzionalita' dedotta dal procuratore regionale con la "nota integrativa" esposta in fatto, il collegio ritiene - ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - di dover preliminarmente vagliare la rilevanza della prospettata eccezione ai fini della decisione del giudizio teste' incardinato presso la sezione giurisdizionale per la Campania. La rilevanza ai fini del decidere va riguardata sotto tre profili. Un primo profilo attiene alle eccezioni di prescrizione - preliminari al merito - sollevate da entrambe le difese; se, infatti, tali eccezioni fossero risultate fondate, nessun rilievo assumerebbe la denuncia di illegittimita' costituzionale dedotta dal procuratore regionale poiche' la norma sospettata di violazione della Costituzione, riguardando il vero e proprio merito della causa, non potrebbe comunque trovare applicazione in quanto il diritto al risarcimento del danno risulterebbe prescritto. Il collegio, quindi, esaminate le dedotte eccezioni di prescrizione, le ha rigettate con la sentenza interlocutoria non definitiva n. ??? che in pari data e' stata depositata di guisa che, sotto questo profilo, la questione proposta appare rilevante. Sotto altro aspetto, il collegio ritiene che il giudizio sulla rilevanza debba investire l'accertamento della circostanza, prevista dal comma 6-bis in questione, riguardante il rapporto dipendenti-popolazione del comune di Montecorvino Rovella poiche' l'applicabilita' della suddetta norma e' espressamente limitata "agli enti locali, ancorche' dissestati, i cui organici, per effetto dei provvedimenti di cui sopra, non superino i rapporti dipendenti-popolazione previsti dal comma 14 del presente articolo cosi' come modificato dall'art. 2 del d.-l. 27 agosto 1994, n. 515". Appare, infatti, evidente che se tale rapporto risultasse superiore a quello previsto, la norma non troverebbe applicazione e nessuna questione di costituzionalita' potrebbe, quindi, trovare ingresso. Orbene, dalla nota n. 14749 del 2 dicembre 1994 del comune di Montecorvino Rovella si evince che tale comune non ha superato il suddetto rapporto poiche' "attualmente risultano in servizio n. 78 dipendenti a fronte di 10.825 abitanti". Infatti, ai sensi dell'art. 2 del d.-l. 27 agosto 1994, n. 515, convertito in legge 28 ottobre 1994, n. 596, che ha modificato il comma quattordicesimo dell'art. 3 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, il rapporto medio dipendenti-popolazione per i comuni con fascia demografica da 10.000 a 59.000 abitanti (tra i quali va ricompreso quello di Montecorvino Rovella) non deve superare 1/95, di guisa che l'esistenza di n. 78 dipendenti su 10.825 abitanti e' senz'altro al di sotto della percentuale prevista dalla legge. Poiche' anche il p.m. d'udienza ha chiarito che il comune di Montecorvino Rovella non ha mai superato tale rapporto, il collegio ritiene che, sotto tale specifico profilo, ricorrono le condizioni di applicabilita' della norma sospettata di incostituzionalita' ed e' quindi rilevante ai fini del decidere la dedotta questione. Resta da esaminare l'ultimo dei profili di rilevanza che, a sua volta, presenta due aspetti: un primo aspetto riguardante il quesito se la norma in questione, cosi' come formulata, possa prestarsi ad una interpretazione di salvezza dei soli profili di legittimita' senza toccare la illeceita' dei comportamenti posti a base degli atti deliberativi poiche', in tale ultima eventualita', ne deriverebbe una sostanziale irrilevanza ai fini di una pronuncia di condanna al risarcimento del relativo danno; un secondo aspetto che attiene alla portata retrattiva o meno della norma poiche', ove si propendesse per una efficacia ex nunc della disposta salvezza, essa non potrebbe riguardare i casi pregressi e comunque i giudizi in corso. Partendo da quest'ultimo aspetto, ritiene il collegio che la formulazione della norma: "i provvedimenti deliberativi. . . adottati prima del 31 agosto 1993. . . . . sono validi ed afficaci" non lasci dubbi sulla voluntas legis. Innanzitutto, appare improprio parlare di "sanatoria" poiche' con quest'ultimo termine la dottrina individua un atto amministrativo che interviene successivamente per integrare un elemento carente dell'atto originario, cosi' come neanche si tratta di una "interpretazione autentica" del legislatore che si e' solo limitato a dichiarare validi ed efficaci atti che evidentemente non lo erano perche' posti in essere "in modo difforme" dal d.P.R. n. 347/1983. Cio' premesso, ritiene il collegio che il legislatore ha voluto sancire una postuma intangibilita' e inoppugnabilita' di tali atti illegittimi e che, essendosi fatto riferimento, oltre che alla efficacia, anche alla "validita'" degli atti deliberativi ". . . adottati prima del 31 agosto 1993. . .", si sia voluto sottolineare, anche e soprattuto, il momento genetico degli atti stessi conferendo loro una intangibilita' ab initio, sia pure con evidente fictio iuris; diversamente opinando, la norma in questione non avrebbe senso in quanto rimarrebbe frustrato proprio lo scopo perseguito dal legislatore. Pertanto, poiche', in tesi, la norma denunciata e' applicabile al caso di specie, anche sotto questo aspetto la questione appare rilevante. Da ultimo, il collegio sofferma la propria attenzione sugli effetti del comma 6-bis per valutarne la estensione o meno alla responsabilita' dei pubblici amministratori che adottarono le delibere illegittime poiche', solo nella negativa, la proposta questione diverrebbe rilevante. Il procuratore regionale, sostenendo in via principale la non estensione della norma alla responsabilita' per danno dei singoli amministratori, si e' richiamato a precedenti giurisprudenziali della Corte dei conti attinenti la interpretazione dell'art. 28 della legge 31 maggio 1990, n. 128, recante anch'esso una "salvezza" degli inquadramenti stabiliti nei ruoli amministrativi regionali operati dagli amministratori delle u.s.s.l. o degli enti ex ospedalieri. Giova al riguardo ricordare che la giurisprudenza contabile citata dal procuratore regionale (ss.rr. n. 757/A del 2 aprile 1992; sez. II n. 316/91; sez. II n. 214/94) ha si escluso che la norma di cui all'art. 28 citato possa considerarsi estesa anche alla responsabilita', ma solo perche' la norma stessa, cosi' come formulata, era diretta ad impegnare il Governo e rivedere entro i termini stabiliti le situazioni che avevano dato luogo a contestazioni configurandosi cosi', piu' che come una sanatoria, alla stregua di una "moratoria" (in tal senso, cfr. sez. I, n. 276/1991). Puo' aggiungersi che proprio la giurisprudenza della Sezione Giurisdizionale per la Campania ha chiarito al riguardo dell'interpretazione dell'art. 28 in questione e dell'art. 116 del d.P.R. n. 270/1987 che non si versa in ipotesi di sanatoria legislativa della illegittimita' dei provvedimenti di inquadramento e delle connesse responsabilita', bensi' solo di un impegno, di cui e' destinatario il Governo, ad intervenire per eliminare sperequazioni (cfr. sez. Campania n. 16, 17 e 18, tutte del 1993). E' evidente, dunque, che la diversa formulazione del comma 6-bis in questione - che non ha per destinatario il Governo e sana i provvedimenti deliberativi adottati disponendone la validita' ed efficacia - non consente di giovarsi della cennata giurisprudenza stante, appunto, il diverso contesto normativo. Osserva ancora il collegio che altra norma, alquanto analoga al comma 6-bis, fu introdotta nell'ordinamento con l'art. 2, comma terzo, della legge 7 luglio 1980, n. 299, che ha convertito il d.-l. 7 maggio 1980, n. 153, recante la disposizione per cui "i provvedimenti deliberativi riguardanti il trattamento del personale che abbiano previsto". . . . profili professionali o operato inquadramenti. . . . . in modo difforme da quanto stabilito dal d.P.R. 1 giugno 1979, n. 91, sono validi ed efficaci fino all'entrata in vigore dell'A.N.U.L. relativo al triennio 1 marzo 1979-28 febbraio 1982". La giurisprudenza contabile che ando' formandosi su tale norma non fu unanime. A fronte di una pronuncia che escludeva la estensione della "sanatoria" alla responsabilita' degli amministratori che avevano adottato le delibere illegittime (cfr. Corte dei conti sez. I, 18 gennaio 1984, n. 15), si e' invece ritenuto che il citato art. 2 d.-l. n. 153 avesse effetto di sanatoria che, in quanto espressamente riferita non solo alle situazioni di fatto createsi ma agli stessi provvedimenti ritenuti validi ed efficaci, non puo' non estendersi anche ai comportamenti di coloro, che tali provvedimenti adottarono (cfr. sul punto Corte dei conti sez. II, n. 92/85 del 9 maggio 1985). A prescindere da tale diversita' di indirizzo deve, comunque, rilevarsi che anche nel su ricordato caso la dizione della "sanatoria" operata con la legge n. 299/1980, benche' analoga a quella di cui al comma 6-bis, e' tuttavia formalmente e sostanzialmente differente da quest'ultima, sia per i riferimenti temporali contenuti nel citato art. 2 (. . . "validi ed efficaci fino all'entrata in vigore dell'ANUL"), sia perche' veniva allora previsto l'obbligo per gli enti locali di adeguare i provvedimenti adottati operando i relativi conguagli a carico o a favore del personale interessato; motivo, quest'ultimo, che aveva indotto la giurisprudenza contabile ad escludere l'estensione della sanatoria alla responsabilita' degli amministratori. Al contrario, la norma di cui al comma 6-bis, cosi' come formulata, non contiene alcun limite finale temporale degli effetti sananti, ne' individua destinatari di sorta (Governo e p.a. in genere), ne' autorizza conguagli di alcun tipo, bensi' si limita a sancire in modo netto la validita' e l'efficacia degli atti deliberativi adottati prima del 31 agosto 1993, di guisa che il suo tenore letterale depone piuttosto per una esclusione anche della responsabilita' degli amministratori che tali delibere adottarono in quanto trattasi di un effetto (la risarcibilita' del danno) strettamente connesso ed interdipendente con la legittimita' o meno degli atti adottati, pur se riferibile immediatamente ai comportamenti personali degli autori degli atti stessi. Consegue che se la norma in questione fosse ritenuta priva di ogni sospetto di costituzionalita', essa troverebbe applicazione nel giudizio de quo e quindi, anche sotto questo ultimo aspetto, la proposta questione di legittimita' costituzionale diviene rilevante ai fini del decidere. Il collegio, pertanto, vagliata la rilevanza e passando ad esaminare i denunciati profili di illegittimita' costituzionale, ritiene non manifestamente infondati alcuni di quelli proposti dal procuratore regionale - sia pure in una prospettazione diversa relativamente alla subordinazione di taluni profili rispetto ad altri - con riferimento agli artt. 97 e 3 della Costituzione, e ne solleva ex officio altri con riferimento agli artt. 81, quarto comma, e 128 della Costituzione. Ritiene innanzitutto il collegio che la norma di cui al comma 6- bis sembra confliggere con l'art. 97 della Costituzione e in particolare con il principio di buon andamento dell'amministrazione (primo comma) e di corretta organizzazione degli uffici (secondo comma), soprattutto se posto in relazione con il canone di ragionevolezza. Il giudice delle leggi ha insegnato con costante giurisprudenza che il buon andamento e la corretta organizzazione degli uffici, in quanto interessi costituzionalmente protetti, si estendono alla disciplina del pubblico impiego poiche' questa ultima e' strumentale rispetto alle finalita' istituzionali assegnate agli uffici in cui si articola la p.a. (cfr. Corte cost. 7 aprile 1981, n. 52 e Corte cost. 5 maggio 1980, n. 68), chiarendo altresi' che l'art. 97, comma primo, Cost. non si riferisce esclusivamente alla fase organizzativa iniziale della p.a. ma ne investe il funzionamento nel suo complesso (cfr. Corte cost. 10 marzo 1966, n. 22). Piu' in particolare, la Corte costituzionale ha anche ritenuto che il limite della discrezionalita' nell'adottare, da parte del legislatore, le procedure per la costituzione del rapporto d'impiego pubblico e la progressione in carriera, risiede nel valutare congruamente e razionalmente l'attivita' del dipendente si da trarne utili elementi perche' egli possa ben svolgere le funzioni superiori (cfr. Corte cost. 7 aprile 1983, n. 81), cosi' come parimenti e' stato chiarito che proprio l'arbitrarieta' e la irragionevolezza della norma puo' comportare la violazione del principio del buon andamento di cui all'art. 97, comma primo, Cost. (cfr. Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 10 e Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 16). Nel senso, poi, che il principio del buon andamento di cui all'art. 97, primo comma, Cost. si riferisce ai pubblici uffici e al rapporto di pubblico impiego si e' espressa anche la S.C. di Cassazione (cfr. Cass. S.V. 21 ottobre 1983, n. 6179). Questo insegnamento consolidato e' ben presente al collegio che ritiene i principi del buon andamento e di corretta organizzazione degli uffici pubblici un cardine dello stato di diritto. Non puo' non considerarsi al riguardo come il rispetto di tale fondamentale principio postuli che gli uffici pubblici siano organizzati secondo criteri di professionalita' del personale che vi e' preposto, con la conseguenza che i dipendenti devono venire inquadrati secondo i precisi parametri previsti dalla legge o dai decreti presidenziali ricettivi degli accordi nazionali di settore, recanti i relativi profili professioali e qualifiche funzionali, essendo rimessa alla sola fonte legislativa la valutazione dei requisiti e delle condizioni per il conseguimento, da parte del dipendente pubblico, delle qualifiche spettanti di guisa che venga garantito lo svolgimento dei servizi e delle funzioni pubbliche da parte di idoneo personale. Non par dubbio, quindi, che qualunque stravolgimento di tali principi e criteri (inquadramenti contra legem) ha per effetto la preposizione di personale inidoneo a funzioni che avrebbero dovute essere svolte da altri agenti pubblici idonei, con evidenti riflessi negativi sul servizio pubblico e sulla stessa utilitas pubblica di cui tutti i cittadini hanno diritto di fruire; in una sola parola, si realizza una scorretta organizzazione dei pubblici uffici con conseguente cattivo andamento della pubblica amministrazione. Ove, come nel caso in esame, il legislatore intervenga normativamente per rendere intangibile tali atti illegittimi, appare fondato il sospetto, ad avviso del collegio remittente, che una tale norma (comma 6-bis,) cosi' come formulata, vulneri profondamente il principio di buon andamento poiche' ha l'effetto di consolidare quella cattiva organizzazione degli uffici pubblici di cui innanzi si e' detto. Non si intravede, infatti, nel disposto di cui al comma 6-bis in questione alcuna ragionevole giustificazione di tale "consolidamento" se non quella - del tutto arbitraria - di voler rendere intangibili gli atti deliberativi illegittimi privilegiando immotivatamente i beneficiari degli inquadramenti con piu' alte e non consentite qualifiche funzionali. La norma di cui al comma 6-bis appare viappiu' irragionevole ove si pensi che confligge anche con gli stessi criteri ispiratari del pubblico impiego: "l'efficienza", la "economicita'", la "speditezza", la "rispondenza al pubblico interesse" (cfr. artt. 1, punto 1 a, e art. 4 del d.P.R. n. 29 del 3 febbraio 1993) che sono elevati addirittura a "principi fondamentali", ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, dall'art. 1, punto 3, del d.P.R. n. 29/1993 e che sono specificamente richiamati anche nell'art. 1 della legge n. 241/1990. Sotto quest'ultimo particolare aspetto, viene in rilievo il contrasto con il secondo comma dell'art. 97 della Costituzione poiche' il consolidamento degli effetti di illegittimi inquadramenti stravolge quelle "sfere di competenza, attribuzioni e responsabilita'" dei funzionari previste e tutelate proprio dal secondo comma dell'art. 97. Non puo' sfuggire inoltre un ulteriore aspetto di contrasto con l'art. 97 suddetto posto in relazione con l'art. 128 della Costituzione ove si consideri che l'art. 1, punto 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142 dispone che "ai sensi dell'art. 128 della Costituzione" le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi della presente legge se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni" e che proprio la legge n. 142/1990, all'art. 51, eleva a canone guida dell'organizzazione degli uffici e del personale i principi di "professionalita'" e di "responsabilita'" e, per i dirigenti, quello di "correttezza amministrativa" e di "efficienza della gestione" non risultando, d'altro canto, che il comma 6-bis abbia inteso specificamente derogare a questi principi. Concludendo sul punto, opina il collegio che la norma di cui al comma 6-bis, per il suo contenuto di immotivata e privilegiante salvezza di atti illegittimi, vulneri profondamente il principio di corretta organizzazione degli uffici pubblici secondo i criteri di professionalita' ed efficienza e impedisce il buon andamento della pubblica amministrazione ponendosi in contrasto con l'art. 97, primo e secondo comma, della Costituzione, posto anche in relazione con l'art. 128 della Costituzione e con il generale principio di ragionevolezza che incombe al legislatore. Sotto diverso profilo, il comma 6-bis sembra confliggere con altro fondamentale precetto costituzionale; tale norma contrasta, infatti, anche con il disposto di cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione a termine del quale "ogni altra legge che comporti nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte". Rileva in proposito il collegio che la norma in questione, pur conferendo legalita' ad inquadramenti illegittimi, non prevede alcuna copertura finanziaria per i maggiori oneri che inevitabilmente derivano e deriveranno dai maggiori livelli retributivi connessi ai piu' favorevoli profili professionali o inquadramenti illegittimamente deliberati. Infatti, ne' la legge di conversione n. 596 del 28 ottobre 1994, ne' il d.-l. 27 agosto 1994, n. 515 recano norme di copertura finanziaria del comma 6-bis poiche' all'art. 9 del d.-l. n. 515/1994 si provvede alla previsione di copertura mediante riduzione degli stanziamenti solo relativamente agli oneri per la attuazione degli artt. 1, 4 e 7 dello stesso decreto-legge, mentre il comma 6-bis, com'e' noto, e' stato introdotto con l'allegato previsto dall'art. 1, punto 1, della stessa legge di conversione che integra l'art. 2 del citato decreto-legge. Viene anche in rilievo la circostanza che se per il passato tali maggiori oneri (derivanti dagli illegittimi inquadramenti) - che avevano trovato solo formale copertura nel ricorso all'indebitamento pubblico - erano ancora sub indice in quanto potevano essere accertate le connesse responsabilita', per il futuro la illegittimita' degli atti non potra' piu' essere accertata di guisa che, ove dovesse ritenersi che anche la responsabilita' di chi ha adottato i provvedimenti non potesse essere perseguita, il risarcimento del danno derivante alle finanze degli enti locali e, in ultima analisi, al bilancio dello Stato non potrebbe piu' essere conseguito, di guisa che, in assenza di altre forme di copertura finanziaria, anche quest'ultima (il risarcimento del danno) rimarrebbe preclusa. A ben vedere infatti - in difetto della previsione di altre entrate o di minori spese - solo il risarcimento del danno rappresenterebbe la copertura finanziaria della disposta "sanatoria" poiche' per far fronte agli inevitabili oneri sugli esercizi finanziari futuri soltanto il ristoro patrimoniale derivante da pronunce di condanna dei responsabili potrebbe assolvere, anche se in modo forse parziale, la fondamentale funzione di copertura delle "maggiori spese" imposta dall'art. 81, quarto comma della Costituzione, sopratutto ove si consideri che la responsabilita' degli amministratori degli enti locali, previsti dall'art. 58 della legge n. 142/1990, e' principio generale che non puo' essere derogato ai sensi dell'art. 128 della Costituzione (v. art. 1, punto 3, della legge n. 142/1990). D'altronde, e' insegnamento della Corte costituzionale che l'art. 81 della Costituzione riguarda anche gli esercizi successivi a quello nel quale ha inizio una spesa che si protragga nel tempo di guisa che l'obbligo della copertura deve essere osservato dal legislatore ordinario anche nei confronti di spese nuove o maggiori che la legge prevede siano inserite negli stati di previsione della spesa di esercizi futuri (cfr. Corte costituzionale 10 gennaio 1966 n. 1 e Corte costituzionale 17 aprile 1968, n. 22). Ora, poiche' non par dubbio che le maggiori spese derivanti dalle piu' favorevoli posizioni di status derivanti dagli illegittimi inquadramenti adottati si riflettono anche sugli esercizi futuri, ne consegue che la norma di cui al comma 6-bis contrasta con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione in quanto non e' prevista alcuna nuova o maggiore entrata o minore spesa con la quale sopperire all'onere finanziario che ne deriva per la finanza pubblica; comunque, il comma 6-bis appare illegittimo quantomeno nella misura in cui non prevede la risarcibilita' del danno da parte degli amministratori che hanno adottato gli atti deliberativi, a causa dell'evidente ristoro patrimoniale che deriverebbe all'erario dalle pronunce di condanna e che offrirebbe copertura alla relativa spesa. Da ultimo, il comma 6-bis sembra confliggere anche con l'art. 3 della Costituzione. Sotto un primo profilo, perche' numerosi dipendenti all'interno della stessa amministrazione, con differenti requisiti professionali e correttamente inquadrati, vedrebbero parificata la loro posizione di status a quella di quanti, beneficiando degli effetti sananti derivanti dal comma 6-bis, ricoprirebbero eguale posizione e qualifica pur senza averne (avuto) i titoli; poi, perche' - ma tale prospettazione e' del tutto subordinata a tutti i profili sin qui ora enunciati - non si intravede alcuna plausibile ragione per la quale il comma 6-bis debba riguardare solo gli inquadramenti dei dipendenti degli enti locali e non anche quelli dei dipendenti rientranti negli altri comparti del pubblico impiego (Stato, Parastato, Enti pubblici, Sanita'). Tutto cio' premesso, il collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la esposta questione di costituzionalita' sotto i profili enunciati e nella prospettazione di cui in parte motiva.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, e 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa al comma 6-bis dell'art. 3 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, introdotto ed approvato con legge 28 ottobre 1994 n. 596 recante conversione con modificazioni del d.-l. 27 agosto 1994 n. 515; con riferimento all'art. 97, primo e secondo comma, e 128 della Costituzione; con riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, gradatamente anche per la parte in cui non prevede la risarcibilita' del danno da parte degli amministratori che hanno adottato gli atti deliberativi; con riferimento all'art. 3 della Costituzione nella gradata prospettazione di cui in parte motiva; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al procuratore generale della Corte dei conti, al procuratore regionale presso questa sezione giurisdizionale regionale, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia inoltre comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. Cosi' disposto in Napoli, nella camera di consiglio del 7 dicembre 1994 Il presidente: COVELLI L'estensore: MARTUCCI DI SCARFIZZI 95C0726