N. 361 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 dicembre 1994

                                N. 361
 Ordinanza emessa il 7 dicembre 1994 dalla Corte  dei  conti,  sezione
 giurisdizionale   per   la   regione   Campania   nel   giudizio   di
 responsabilita' nei confronti di Granese Alberto ed altri
 Impiego pubblico - Dipendenti degli enti locali  -  Previsione  della
 validita'  ed efficacia dei provvedimenti deliberativi riguardanti il
 trattamento del personale di detti enti, adottati prima del 31 agosto
 1993,  che  abbiano  previsto  profili   professionali   od   operato
 inquadramenti  in  modo difforme dal d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, e
 successive  modificazioni  e  integrazioni  -  Ingiustificato  eguale
 trattamento  dei  dipendenti  legittimamente  inquadrati  rispetto ai
 dipendenti che per effetto  della  sanatoria  derivante  dalla  norma
 impugnata, vengono a ricoprire eguale posizione e qualifica pur senza
 averne  avuto titolo - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon
 andamento  della  p.a.  -  Violazione  del  principio  di   copertura
 finanziaria  per  la mancata indicazione dei mezzi di copertura della
 maggior spesa o minor entrata conseguente alla  sanatoria  preclusiva
 dell'azione di responsabilita' per il risarcimento del danno.
 (Legge  24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 6-bis, aggiunto dalla
 legge 28 ottobre 1994, n. 96; d.-l. 27 agosto 1994, n. 515).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 81, quarto comma,  97,
 primo comma, e 128).
(GU n.25 del 14-6-1995 )
                          LA CORTE DEI CONTI
    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
 responsabilita' proposto dal  vice  procuratore  generale  presso  la
 sezione  Campania  nei confronti dei signori Alberto Granese, Antonio
 Budetta, Corrado Zinna, Luigi Fereoli, Gerardo  Greco  e  Antonio  Di
 Lascio;
    Visto  l'atto  introduttivo  del  giudizio  in data 14 maggio 1993
 iscritto al n. 289/EL del registro di segreteria;
    Visti gli atti ed i documenti tutti della causa;
    Uditi  nella  camera  di  consiglio  del  7  dicembre  1994,   con
 l'assistenza  del  segretario  G. Rega, il relatore consigliere dott.
 Arturo Martucci di Scarfizzi, il p.m. rappresentato  in  udienza  dal
 v.p.g.   Filippo   Esposito,  l'avv.  Nicola  Abbondante  per  delega
 dell'avv. Roberto Marrama per il convenuto Zinna.
                           RITENUTO IN FATTO
    Il procuratore regionale per la Campania, con atto del  14  maggio
 1993 ritualmente notificato, conveniva in giudizio i signori Granese,
 Budetta, Zinna, Fereoli, Greco e Di Lascio - tutti amministratori del
 comune   di  Montecorvino  Rovella  (Salerno)  -  per  aver  adottato
 illegittime delibere di inquadramento (con  conseguente  attribuzione
 del  relativo  trattamento  economico)  del vice segretario comunale,
 dott. Merola, chiedendone altresi' la condanna solidale al  pagamento
 di  L.  114.866.414  (oltre  rivalutazione  monetaria  e interessi) a
 titolo di risarcimento del relativo danno arrecato  alle  finanze  di
 quel comune.
    Alcuni dei convenuti si costituivano in giudizio con il patrocinio
 degli avvocati Abbamonte (Granese, Greco e Fereoli) e Marrama (Zinna)
 contestando  la  pretesa  attrice  sotto  i  profili dell'intervenuta
 prescrizione del diritto azionato, della asserita legittimita'  degli
 atti adottati e, comunque, della assenza di colpa.
    Con  atto depositato il 18 novembre 1994, il procuratore regionale
 produceva una "nota integrativa" dell'originario  atto  di  citazione
 con  la quale, mentre ribadiva la richiesta di condanna dei convenuti
 nel riflesso della non applicabilita' al caso in esame del  comma  6-
 bis  dell'art.  3 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, approvato con
 legge 28 ottobre 1994,  n.  596,  sollevava  in  via  gradata  -  per
 l'ipotesi  fosse  ritenuta  applicabile  tale  norma  -  eccezione di
 incostituzionalita' del suddetto comma 6-bis  ritenendo  la  relativa
 questione  rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con
 gli artt. 3, 24 e 97, primo comma, della Costituzione.
    La dedotta questione di costituzionalita'  veniva  motivata  sotto
 vari profili.
    Il contrasto con l'art. 3 Cost. veniva argomentato sotto i diversi
 aspetti  della  disparita' di trattamento sia tra i comuni dissestati
 con esubero (o meno) di  personale,  sia  con  riferimento  ad  altri
 impiegati  correttamente  inquadrati  o, per converso, non fruenti di
 analoghi trattamenti, sia in relazione ad altri  dipendenti  statali,
 parastatali o comunque non comunali.
    Il   contrasto   con   l'art.  24  Cost.  veniva  rinvenuto  nella
 impossibilita' per gli amministratori di  ripristinare  la  legalita'
 violata e di chiedere al giudice contabile una pronuncia di condanna.
    Infine,  la  norma  censurata  confliggerebbe  con l'art. 97 Cost.
 violando il canone del buon andamento in quanto, risiedendo il limite
 di   discrezionalita'   del   legislatore    nella    ragionevolezza,
 l'attribuzione di livelli e qualifiche, senza alcuna relazione con le
 mansioni svolte, non risponderebbe ad alcun criterio di razionalita'.
    La procura regionale ha depositato in data 2 dicembre 1994 la nota
 n.  14749  -  inviata  in  via  fax  in  pari  data  -  del comune di
 Montecorvino Rovella con la  quale  viene  precisato  che  il  comune
 stesso  non  ha  dichiarato  il  dissesto  finanziario  e  che non ha
 superato il rapporto dipendenti-popolazione  previsto  dal  comma  14
 dell'art.  3 della legge n. 537/1993, cosi' come modificato dal d.-l.
 n. 515/1994 convertito nella legge n. 596/1994 in quanto risultano in
 servizio n. 78 dipendenti a fronte di 10.825 abitanti.
    Alla odierna udienza pubblica l'avv. Nicola Abbondante, su  delega
 dell'avv.  Marrama  (per  il  convenuto  Zinna), si e' riportato alla
 memoria difensiva depositata agli atti di causa, mentre  il  pubblico
 ministero    ha    insistito   sulla   richiesta   di   condanna   e,
 subordinatamente, per l'accoglimento della prospettata  questione  di
 costituzionalita',  non mancando di sottolineare che mai il comune di
 Montecorvino Rovella ha superato il  rapporto  dipendenti-popolazione
 previsto dalla normativa di settore.
    Con  decisione interlocutoria non definitiva n. 2/95 depositata in
 pari data, la  Sezione  ha  respinto  l'istanza  di  sospensione  del
 giudizio  ed  ha dichiarato non prescritto il diritto al risarcimento
 del danno azionato dal procuratore regionale respingendo le  relative
 eccezioni dei convenuti.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    In  relazione  alla  eccezione  di incostituzionalita' dedotta dal
 procuratore regionale con la "nota integrativa" esposta in fatto,  il
 collegio  ritiene - ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della legge
 11 marzo 1953, n. 87 - di dover preliminarmente vagliare la rilevanza
 della prospettata eccezione ai  fini  della  decisione  del  giudizio
 teste' incardinato presso la sezione giurisdizionale per la Campania.
    La rilevanza ai fini del decidere va riguardata sotto tre profili.
    Un   primo  profilo  attiene  alle  eccezioni  di  prescrizione  -
 preliminari al merito - sollevate da entrambe le difese; se, infatti,
 tali eccezioni fossero risultate fondate, nessun rilievo  assumerebbe
 la  denuncia di illegittimita' costituzionale dedotta dal procuratore
 regionale  poiche'  la   norma   sospettata   di   violazione   della
 Costituzione,  riguardando  il vero e proprio merito della causa, non
 potrebbe comunque  trovare  applicazione  in  quanto  il  diritto  al
 risarcimento del danno risulterebbe prescritto.
    Il   collegio,   quindi,   esaminate   le   dedotte  eccezioni  di
 prescrizione, le ha rigettate  con  la  sentenza  interlocutoria  non
 definitiva  n. ??? che in pari data e' stata depositata di guisa che,
 sotto questo profilo, la questione proposta appare rilevante.
    Sotto altro aspetto, il collegio ritiene  che  il  giudizio  sulla
 rilevanza  debba investire l'accertamento della circostanza, prevista
 dal   comma   6-bis   in   questione,   riguardante    il    rapporto
 dipendenti-popolazione  del  comune  di  Montecorvino Rovella poiche'
 l'applicabilita' della suddetta norma e' espressamente limitata "agli
 enti locali, ancorche' dissestati, i cui organici,  per  effetto  dei
 provvedimenti    di    cui    sopra,    non   superino   i   rapporti
 dipendenti-popolazione previsti dal comma 14  del  presente  articolo
 cosi' come modificato dall'art. 2 del d.-l. 27 agosto 1994, n. 515".
    Appare,   infatti,   evidente  che  se  tale  rapporto  risultasse
 superiore a quello previsto, la norma non troverebbe  applicazione  e
 nessuna  questione  di  costituzionalita'  potrebbe,  quindi, trovare
 ingresso.
    Orbene, dalla nota n. 14749 del 2  dicembre  1994  del  comune  di
 Montecorvino  Rovella  si  evince  che tale comune non ha superato il
 suddetto rapporto poiche' "attualmente risultano in  servizio  n.  78
 dipendenti a fronte di 10.825 abitanti".
    Infatti,  ai  sensi  dell'art. 2 del d.-l. 27 agosto 1994, n. 515,
 convertito in legge 28 ottobre 1994, n. 596,  che  ha  modificato  il
 comma  quattordicesimo  dell'art.  3 della legge 24 dicembre 1993, n.
 537, il rapporto medio dipendenti-popolazione per i comuni con fascia
 demografica da 10.000 a 59.000 abitanti (tra i  quali  va  ricompreso
 quello  di Montecorvino Rovella) non deve superare 1/95, di guisa che
 l'esistenza di n. 78 dipendenti su 10.825 abitanti e'  senz'altro  al
 di sotto della percentuale prevista dalla legge.
    Poiche'  anche  il  p.m.  d'udienza  ha  chiarito che il comune di
 Montecorvino Rovella non ha mai superato tale rapporto,  il  collegio
 ritiene che, sotto tale specifico profilo, ricorrono le condizioni di
 applicabilita'  della  norma  sospettata di incostituzionalita' ed e'
 quindi rilevante ai fini del decidere la dedotta questione.
    Resta da esaminare l'ultimo dei profili di rilevanza  che,  a  sua
 volta,  presenta due aspetti: un primo aspetto riguardante il quesito
 se la norma in questione, cosi' come formulata,  possa  prestarsi  ad
 una  interpretazione  di  salvezza  dei  soli profili di legittimita'
 senza toccare la illeceita' dei comportamenti posti a base degli atti
 deliberativi poiche', in tale ultima eventualita', ne deriverebbe una
 sostanziale irrilevanza ai fini  di  una  pronuncia  di  condanna  al
 risarcimento  del relativo danno; un secondo aspetto che attiene alla
 portata retrattiva o meno della norma poiche', ove si propendesse per
 una efficacia ex nunc della  disposta  salvezza,  essa  non  potrebbe
 riguardare i casi pregressi e comunque i giudizi in corso.
    Partendo  da  quest'ultimo  aspetto,  ritiene  il  collegio che la
 formulazione della norma: "i provvedimenti deliberativi. . . adottati
 prima del 31 agosto 1993. . . . . sono validi ed afficaci" non  lasci
 dubbi sulla voluntas legis.
    Innanzitutto,  appare improprio parlare di "sanatoria" poiche' con
 quest'ultimo termine la dottrina individua un atto amministrativo che
 interviene  successivamente  per  integrare   un   elemento   carente
 dell'atto   originario,   cosi'   come   neanche  si  tratta  di  una
 "interpretazione autentica" del legislatore che si e' solo limitato a
 dichiarare validi ed efficaci atti che  evidentemente  non  lo  erano
 perche' posti in essere "in modo difforme" dal d.P.R. n. 347/1983.
    Cio'  premesso,  ritiene  il collegio che il legislatore ha voluto
 sancire una postuma intangibilita' e inoppugnabilita'  di  tali  atti
 illegittimi  e  che,  essendosi  fatto  riferimento,  oltre  che alla
 efficacia, anche alla "validita'" degli  atti  deliberativi  ".  .  .
 adottati  prima del 31 agosto 1993. . .", si sia voluto sottolineare,
 anche e soprattuto, il momento genetico degli atti stessi  conferendo
 loro  una  intangibilita'  ab  initio,  sia  pure con evidente fictio
 iuris; diversamente opinando, la norma in questione non avrebbe senso
 in quanto  rimarrebbe  frustrato  proprio  lo  scopo  perseguito  dal
 legislatore.
    Pertanto,  poiche', in tesi, la norma denunciata e' applicabile al
 caso di specie,  anche  sotto  questo  aspetto  la  questione  appare
 rilevante.
    Da  ultimo,  il  collegio  sofferma  la  propria  attenzione sugli
 effetti del comma 6-bis per  valutarne  la  estensione  o  meno  alla
 responsabilita'   dei   pubblici  amministratori  che  adottarono  le
 delibere  illegittime  poiche',  solo  nella  negativa,  la  proposta
 questione diverrebbe rilevante.
    Il  procuratore  regionale,  sostenendo  in  via principale la non
 estensione della norma alla responsabilita'  per  danno  dei  singoli
 amministratori, si e' richiamato a precedenti giurisprudenziali della
 Corte dei conti attinenti la interpretazione dell'art. 28 della legge
 31  maggio  1990,  n.  128,  recante  anch'esso  una "salvezza" degli
 inquadramenti stabiliti nei ruoli  amministrativi  regionali  operati
 dagli amministratori delle u.s.s.l. o degli enti ex ospedalieri.
    Giova al riguardo ricordare che la giurisprudenza contabile citata
 dal procuratore regionale (ss.rr. n. 757/A del 2 aprile 1992; sez. II
 n.  316/91;  sez.  II  n.  214/94)  ha si escluso che la norma di cui
 all'art.   28   citato   possa   considerarsi   estesa   anche   alla
 responsabilita',   ma  solo  perche'  la  norma  stessa,  cosi'  come
 formulata, era diretta ad impegnare il Governo  e  rivedere  entro  i
 termini   stabiliti   le   situazioni   che   avevano  dato  luogo  a
 contestazioni configurandosi cosi', piu' che come una sanatoria, alla
 stregua di una "moratoria" (in tal senso, cfr. sez. I, n. 276/1991).
    Puo' aggiungersi  che  proprio  la  giurisprudenza  della  Sezione
 Giurisdizionale   per   la   Campania   ha   chiarito   al   riguardo
 dell'interpretazione dell'art. 28 in questione e  dell'art.  116  del
 d.P.R.  n.  270/1987  che  non  si  versa  in  ipotesi  di  sanatoria
 legislativa della illegittimita' dei provvedimenti di inquadramento e
 delle connesse responsabilita', bensi' solo di un impegno, di cui  e'
 destinatario  il  Governo, ad intervenire per eliminare sperequazioni
 (cfr. sez. Campania n. 16, 17 e 18, tutte del 1993).
    E' evidente, dunque, che la diversa formulazione del  comma  6-bis
 in  questione  -  che  non  ha  per  destinatario il Governo e sana i
 provvedimenti deliberativi  adottati  disponendone  la  validita'  ed
 efficacia  -  non  consente  di giovarsi della cennata giurisprudenza
 stante, appunto, il diverso contesto normativo.
    Osserva ancora il collegio che altra norma,  alquanto  analoga  al
 comma  6-bis,  fu  introdotta  nell'ordinamento  con  l'art. 2, comma
 terzo, della legge 7 luglio 1980, n. 299, che ha convertito il  d.-l.
 7   maggio   1980,  n.  153,  recante  la  disposizione  per  cui  "i
 provvedimenti deliberativi riguardanti il trattamento  del  personale
 che  abbiano  previsto".  .  .  .  profili  professionali  o  operato
 inquadramenti. . . . . in  modo  difforme  da  quanto  stabilito  dal
 d.P.R. 1 giugno 1979, n. 91, sono validi ed efficaci fino all'entrata
 in vigore dell'A.N.U.L. relativo al triennio 1 marzo 1979-28 febbraio
 1982".
    La giurisprudenza contabile che ando' formandosi su tale norma non
 fu unanime.
    A  fronte  di  una  pronuncia  che  escludeva  la estensione della
 "sanatoria" alla responsabilita'  degli  amministratori  che  avevano
 adottato  le  delibere  illegittime  (cfr. Corte dei conti sez. I, 18
 gennaio 1984, n. 15), si e' invece ritenuto  che  il  citato  art.  2
 d.-l. n. 153 avesse effetto di sanatoria che, in quanto espressamente
 riferita  non  solo  alle situazioni di fatto createsi ma agli stessi
 provvedimenti ritenuti validi ed efficaci, non  puo'  non  estendersi
 anche  ai  comportamenti di coloro, che tali provvedimenti adottarono
 (cfr. sul punto Corte dei conti sez. II, n. 92/85 del 9 maggio 1985).
    A prescindere da tale  diversita'  di  indirizzo  deve,  comunque,
 rilevarsi   che   anche  nel  su  ricordato  caso  la  dizione  della
 "sanatoria" operata con la  legge  n.  299/1980,  benche'  analoga  a
 quella   di   cui   al   comma   6-bis,  e'  tuttavia  formalmente  e
 sostanzialmente differente da quest'ultima,  sia  per  i  riferimenti
 temporali contenuti nel citato art. 2 (. . . "validi ed efficaci fino
 all'entrata in vigore dell'ANUL"), sia perche' veniva allora previsto
 l'obbligo  per  gli  enti locali di adeguare i provvedimenti adottati
 operando i relativi conguagli a  carico  o  a  favore  del  personale
 interessato;    motivo,    quest'ultimo,   che   aveva   indotto   la
 giurisprudenza contabile ad escludere  l'estensione  della  sanatoria
 alla responsabilita' degli amministratori.
    Al  contrario,  la  norma  di  cui  al  comma  6-bis,  cosi'  come
 formulata, non contiene alcun limite finale temporale  degli  effetti
 sananti,  ne'  individua  destinatari  di  sorta  (Governo  e p.a. in
 genere), ne' autorizza conguagli di alcun tipo, bensi'  si  limita  a
 sancire   in  modo  netto  la  validita'  e  l'efficacia  degli  atti
 deliberativi adottati prima del 31 agosto 1993, di guisa che  il  suo
 tenore  letterale  depone  piuttosto  per  una esclusione anche della
 responsabilita' degli amministratori che tali delibere adottarono  in
 quanto   trattasi   di  un  effetto  (la  risarcibilita'  del  danno)
 strettamente connesso ed interdipendente con la legittimita'  o  meno
 degli   atti   adottati,   pur   se   riferibile   immediatamente  ai
 comportamenti personali degli autori degli atti stessi.
    Consegue che se la norma in questione fosse ritenuta priva di ogni
 sospetto  di  costituzionalita',  essa  troverebbe  applicazione  nel
 giudizio  de  quo  e  quindi,  anche  sotto questo ultimo aspetto, la
 proposta questione di legittimita' costituzionale  diviene  rilevante
 ai fini del decidere.
   Il   collegio,  pertanto,  vagliata  la  rilevanza  e  passando  ad
 esaminare i  denunciati  profili  di  illegittimita'  costituzionale,
 ritiene  non  manifestamente  infondati alcuni di quelli proposti dal
 procuratore regionale  -  sia  pure  in  una  prospettazione  diversa
 relativamente alla subordinazione di taluni profili rispetto ad altri
 -  con riferimento agli artt. 97 e 3 della Costituzione, e ne solleva
 ex officio altri con riferimento agli artt. 81, quarto comma,  e  128
 della Costituzione.
    Ritiene  innanzitutto  il collegio che la norma di cui al comma 6-
 bis  sembra  confliggere  con  l'art.  97  della  Costituzione  e  in
 particolare  con  il principio di buon andamento dell'amministrazione
 (primo comma) e di  corretta  organizzazione  degli  uffici  (secondo
 comma),   soprattutto   se  posto  in  relazione  con  il  canone  di
 ragionevolezza.
    Il giudice delle leggi ha insegnato  con  costante  giurisprudenza
 che  il  buon andamento e la corretta organizzazione degli uffici, in
 quanto  interessi  costituzionalmente  protetti,  si  estendono  alla
 disciplina  del pubblico impiego poiche' questa ultima e' strumentale
 rispetto alle finalita' istituzionali assegnate agli uffici in cui si
 articola la p.a. (cfr. Corte cost. 7 aprile 1981, n. 52 e Corte cost.
 5 maggio 1980, n. 68), chiarendo altresi' che l'art. 97, comma primo,
 Cost.   non  si  riferisce  esclusivamente  alla  fase  organizzativa
 iniziale della p.a. ma ne investe il funzionamento nel suo  complesso
 (cfr. Corte cost. 10 marzo 1966, n. 22).
    Piu' in particolare, la Corte costituzionale ha anche ritenuto che
 il   limite   della  discrezionalita'  nell'adottare,  da  parte  del
 legislatore, le procedure per la costituzione del rapporto  d'impiego
 pubblico   e  la  progressione  in  carriera,  risiede  nel  valutare
 congruamente e razionalmente l'attivita' del dipendente si da  trarne
 utili  elementi perche' egli possa ben svolgere le funzioni superiori
 (cfr. Corte cost. 7 aprile 1983, n.  81),  cosi'  come  parimenti  e'
 stato  chiarito  che  proprio  l'arbitrarieta'  e la irragionevolezza
 della norma puo' comportare la  violazione  del  principio  del  buon
 andamento di cui all'art. 97, comma primo, Cost. (cfr. Corte cost. 30
 gennaio 1980, n. 10 e Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 16).
    Nel  senso,  poi,  che  il  principio  del  buon  andamento di cui
 all'art. 97, primo comma, Cost. si riferisce ai pubblici uffici e  al
 rapporto  di  pubblico  impiego  si  e'  espressa  anche  la  S.C. di
 Cassazione (cfr. Cass. S.V. 21 ottobre 1983, n. 6179).
    Questo insegnamento consolidato e' ben presente  al  collegio  che
 ritiene  i  principi  del buon andamento e di corretta organizzazione
 degli uffici pubblici un cardine dello stato di diritto.
    Non puo' non considerarsi al riguardo come  il  rispetto  di  tale
 fondamentale   principio   postuli  che  gli  uffici  pubblici  siano
 organizzati secondo criteri di professionalita' del personale che  vi
 e'  preposto,  con  la  conseguenza  che  i  dipendenti devono venire
 inquadrati secondo i precisi parametri previsti  dalla  legge  o  dai
 decreti  presidenziali  ricettivi degli accordi nazionali di settore,
 recanti i relativi  profili  professioali  e  qualifiche  funzionali,
 essendo  rimessa  alla  sola  fonte  legislativa  la  valutazione dei
 requisiti e delle condizioni  per  il  conseguimento,  da  parte  del
 dipendente  pubblico,  delle  qualifiche spettanti di guisa che venga
 garantito lo svolgimento dei servizi e delle  funzioni  pubbliche  da
 parte di idoneo personale.
    Non  par  dubbio,  quindi,  che  qualunque  stravolgimento di tali
 principi e criteri (inquadramenti contra legem)  ha  per  effetto  la
 preposizione  di  personale  inidoneo a funzioni che avrebbero dovute
 essere svolte da altri agenti pubblici idonei, con evidenti  riflessi
 negativi  sul  servizio  pubblico e sulla stessa utilitas pubblica di
 cui tutti i cittadini hanno diritto di fruire; in una sola parola, si
 realizza  una  scorretta  organizzazione  dei  pubblici  uffici   con
 conseguente cattivo andamento della pubblica amministrazione.
    Ove,   come   nel   caso   in  esame,  il  legislatore  intervenga
 normativamente per rendere intangibile tali atti illegittimi,  appare
 fondato  il sospetto, ad avviso del collegio remittente, che una tale
 norma (comma 6-bis,) cosi' come formulata, vulneri  profondamente  il
 principio  di  buon  andamento  poiche'  ha  l'effetto di consolidare
 quella cattiva organizzazione degli uffici pubblici di cui innanzi si
 e' detto.
    Non si intravede, infatti, nel disposto di cui al comma  6-bis  in
 questione alcuna ragionevole giustificazione di tale "consolidamento"
 se  non  quella - del tutto arbitraria - di voler rendere intangibili
 gli atti deliberativi  illegittimi  privilegiando  immotivatamente  i
 beneficiari  degli  inquadramenti  con  piu'  alte  e  non consentite
 qualifiche funzionali.
    La  norma  di cui al comma 6-bis appare viappiu' irragionevole ove
 si pensi che confligge anche con gli stessi  criteri  ispiratari  del
 pubblico impiego: "l'efficienza", la "economicita'", la "speditezza",
 la  "rispondenza  al  pubblico interesse" (cfr. artt. 1, punto 1 a, e
 art. 4 del d.P.R. n.  29  del  3  febbraio  1993)  che  sono  elevati
 addirittura  a  "principi fondamentali", ai sensi dell'art. 117 della
 Costituzione, dall'art. 1, punto 3, del d.P.R. n. 29/1993 e che  sono
 specificamente richiamati anche nell'art. 1 della legge n. 241/1990.
    Sotto  quest'ultimo  particolare  aspetto,  viene  in  rilievo  il
 contrasto con  il  secondo  comma  dell'art.  97  della  Costituzione
 poiche'  il consolidamento degli effetti di illegittimi inquadramenti
 stravolge   quelle   "sfere    di    competenza,    attribuzioni    e
 responsabilita'"  dei  funzionari  previste  e  tutelate  proprio dal
 secondo comma dell'art. 97.
    Non puo' sfuggire inoltre un ulteriore aspetto  di  contrasto  con
 l'art.   97   suddetto  posto  in  relazione  con  l'art.  128  della
 Costituzione ove si consideri che l'art. 1, punto 3,  della  legge  8
 giugno  1990,  n.  142  dispone  che  "ai  sensi  dell'art. 128 della
 Costituzione"  le  leggi  della  Repubblica  non  possono  introdurre
 deroghe  ai  principi  della  presente legge se non mediante espresse
 modificazioni delle sue disposizioni"  e  che  proprio  la  legge  n.
 142/1990, all'art. 51, eleva a canone guida dell'organizzazione degli
 uffici  e  del  personale  i  principi  di  "professionalita'"  e  di
 "responsabilita'"  e,  per  i  dirigenti,  quello   di   "correttezza
 amministrativa"  e  di  "efficienza  della  gestione" non risultando,
 d'altro  canto,  che  il  comma  6-bis  abbia  inteso  specificamente
 derogare a questi principi.
    Concludendo  sul  punto,  opina il collegio che la norma di cui al
 comma 6-bis, per il  suo  contenuto  di  immotivata  e  privilegiante
 salvezza  di  atti illegittimi, vulneri profondamente il principio di
 corretta organizzazione degli uffici pubblici secondo  i  criteri  di
 professionalita'  ed  efficienza  e impedisce il buon andamento della
 pubblica amministrazione ponendosi in contrasto con l'art. 97,  primo
 e  secondo  comma,  della  Costituzione, posto anche in relazione con
 l'art.  128  della  Costituzione  e  con  il  generale  principio  di
 ragionevolezza che incombe al legislatore.
    Sotto diverso profilo, il comma 6-bis sembra confliggere con altro
 fondamentale  precetto costituzionale; tale norma contrasta, infatti,
 anche con il  disposto  di  cui  all'art.  81,  quarto  comma,  della
 Costituzione a termine del quale "ogni altra legge che comporti nuove
 o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte".
    Rileva  in  proposito  il  collegio che la norma in questione, pur
 conferendo legalita' ad inquadramenti illegittimi, non prevede alcuna
 copertura  finanziaria  per  i  maggiori  oneri  che  inevitabilmente
 derivano  e  deriveranno dai maggiori livelli retributivi connessi ai
 piu'    favorevoli    profili    professionali    o     inquadramenti
 illegittimamente deliberati.
    Infatti,  ne'  la legge di conversione n. 596 del 28 ottobre 1994,
 ne' il d.-l. 27  agosto  1994,  n.  515  recano  norme  di  copertura
 finanziaria  del comma 6-bis poiche' all'art. 9 del d.-l. n. 515/1994
 si provvede alla previsione di  copertura  mediante  riduzione  degli
 stanziamenti  solo  relativamente  agli oneri per la attuazione degli
 artt. 1, 4 e 7 dello stesso decreto-legge,  mentre  il  comma  6-bis,
 com'e' noto, e' stato introdotto con l'allegato previsto dall'art. 1,
 punto  1,  della stessa legge di conversione che integra l'art. 2 del
 citato decreto-legge.
    Viene anche in rilievo la circostanza che se per il  passato  tali
 maggiori  oneri  (derivanti  dagli  illegittimi  inquadramenti) - che
 avevano trovato solo formale copertura nel ricorso  all'indebitamento
 pubblico  -  erano  ancora  sub  indice  in  quanto  potevano  essere
 accertate   le   connesse   responsabilita',   per   il   futuro   la
 illegittimita'  degli  atti non potra' piu' essere accertata di guisa
 che, ove dovesse ritenersi che anche la  responsabilita'  di  chi  ha
 adottato   i   provvedimenti   non   potesse  essere  perseguita,  il
 risarcimento del danno derivante alle finanze degli enti locali e, in
 ultima analisi, al bilancio dello  Stato  non  potrebbe  piu'  essere
 conseguito,  di  guisa  che,  in  assenza di altre forme di copertura
 finanziaria,  anche  quest'ultima   (il   risarcimento   del   danno)
 rimarrebbe preclusa.
    A  ben  vedere  infatti  -  in  difetto  della previsione di altre
 entrate  o  di  minori  spese  -  solo  il  risarcimento  del   danno
 rappresenterebbe  la copertura finanziaria della disposta "sanatoria"
 poiche'  per  far  fronte  agli  inevitabili  oneri  sugli   esercizi
 finanziari  futuri  soltanto  il  ristoro  patrimoniale  derivante da
 pronunce di condanna dei responsabili potrebbe assolvere, anche se in
 modo forse parziale, la  fondamentale  funzione  di  copertura  delle
 "maggiori   spese"   imposta   dall'art.   81,   quarto  comma  della
 Costituzione, sopratutto ove  si  consideri  che  la  responsabilita'
 degli  amministratori  degli enti locali, previsti dall'art. 58 della
 legge n. 142/1990, e' principio generale che non puo' essere derogato
 ai sensi dell'art. 128 della Costituzione (v. art. 1, punto 3,  della
 legge n. 142/1990).
    D'altronde,  e' insegnamento della Corte costituzionale che l'art.
 81 della Costituzione riguarda anche gli esercizi successivi a quello
 nel quale ha inizio una spesa che si protragga nel tempo di guisa che
 l'obbligo della  copertura  deve  essere  osservato  dal  legislatore
 ordinario  anche nei confronti di spese nuove o maggiori che la legge
 prevede siano inserite negli  stati  di  previsione  della  spesa  di
 esercizi  futuri  (cfr.  Corte  costituzionale 10 gennaio 1966 n. 1 e
 Corte costituzionale 17 aprile 1968, n. 22).
    Ora, poiche' non par dubbio che le maggiori spese derivanti  dalle
 piu'  favorevoli  posizioni  di  status  derivanti  dagli illegittimi
 inquadramenti adottati si riflettono anche sugli esercizi futuri,  ne
 consegue  che la norma di cui al comma 6-bis contrasta con l'art. 81,
 quarto comma, della Costituzione in quanto  non  e'  prevista  alcuna
 nuova  o  maggiore  entrata  o  minore  spesa  con la quale sopperire
 all'onere  finanziario  che  ne  deriva  per  la  finanza   pubblica;
 comunque,  il  comma 6-bis appare illegittimo quantomeno nella misura
 in cui non  prevede  la  risarcibilita'  del  danno  da  parte  degli
 amministratori  che  hanno  adottato  gli  atti deliberativi, a causa
 dell'evidente ristoro patrimoniale che deriverebbe  all'erario  dalle
 pronunce di condanna e che offrirebbe copertura alla relativa spesa.
    Da  ultimo,  il  comma 6-bis sembra confliggere anche con l'art. 3
 della Costituzione.
    Sotto un primo profilo, perche'  numerosi  dipendenti  all'interno
 della  stessa amministrazione, con differenti requisiti professionali
 e correttamente inquadrati, vedrebbero parificata la  loro  posizione
 di  status  a  quella  di  quanti, beneficiando degli effetti sananti
 derivanti   dal   comma  6-bis,  ricoprirebbero  eguale  posizione  e
 qualifica pur senza averne (avuto) i titoli; poi, perche' -  ma  tale
 prospettazione e' del tutto subordinata a tutti i profili sin qui ora
 enunciati  -  non si intravede alcuna plausibile ragione per la quale
 il comma 6-bis debba riguardare solo gli inquadramenti dei dipendenti
 degli enti locali e non anche quelli dei dipendenti rientranti  negli
 altri comparti del pubblico impiego (Stato, Parastato, Enti pubblici,
 Sanita').
    Tutto   cio'   premesso,  il  collegio  ritiene  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la esposta  questione  di  costituzionalita'
 sotto  i  profili  enunciati  e  nella prospettazione di cui in parte
 motiva.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  articoli  134  della  Costituzione,  1,  della   legge
 costituzionale  9  febbraio  1948, e 23 della legge costituzionale 11
 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita' costituzionale relativa al comma 6-bis dell'art. 3 della
 legge  24 dicembre 1993, n. 537, introdotto ed approvato con legge 28
 ottobre 1994 n. 596 recante conversione con modificazioni  del  d.-l.
 27  agosto  1994 n. 515; con riferimento all'art. 97, primo e secondo
 comma, e 128 della Costituzione; con riferimento all'art. 81,  quarto
 comma, della Costituzione, gradatamente anche per la parte in cui non
 prevede la risarcibilita' del danno da parte degli amministratori che
 hanno  adottato  gli  atti  deliberativi;  con riferimento all'art. 3
 della Costituzione nella  gradata  prospettazione  di  cui  in  parte
 motiva;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa, al procuratore generale  della  Corte
 dei   conti,   al   procuratore   regionale   presso  questa  sezione
 giurisdizionale regionale, al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 sia inoltre comunicata ai Presidenti del Senato  della  Repubblica  e
 della Camera dei Deputati.
      Cosi'  disposto  in  Napoli,  nella  camera  di  consiglio del 7
 dicembre 1994
                        Il presidente: COVELLI
                                    L'estensore: MARTUCCI DI SCARFIZZI
 95C0726