N. 228 SENTENZA 2 - 6 giugno 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Fallimento  -  Sentenza  di  fallimento  - Effetti - Opponibilita' al
 terzo in buona fede che abbia contrattato con o per il fallito,  dopo
 il  fallimento  ma  prima della affissione della relativa pronunzia -
 Non pertinenza del riferimento all'art. 24 della Costituzione  -  Non
 fondatezza.
 
 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 42, 44 e 17).
 
 (Cost., art. 24).
(GU n.25 del 14-6-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici:  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
 MENGONI, prof. Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
 VASSALLI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
 Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   44,   in
 relazione  all'art.  42,  del  regio  decreto  16  marzo 1942, n. 267
 (Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
 dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
 amministrativa) promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1994 dal
 Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la  curatela
 del  Fallimento della "3E s.p.a." e la Banca Agricola milanese s.p.a.
 iscritta al n. 427 del registro ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  30, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visti l'atto di costituzione della Banca Agricola  milanese  s.p.a
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice  relatore
 Renato Granata;
    Uditi l'avv. Massimo Luciani per la Banca Agricola Milanese s.p.a.
 e  l'Avvocato  dello  Stato  Sergio  Laporta  per  il  Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    In un giudizio civile tra la curatela  del  Fallimento  della  "3E
 s.p.a."   e  la  Banca  Agricola  Milanese  s.p.a.  -  nel  quale  si
 controverteva sull'efficacia di pagamenti effettuati dalla  convenuta
 per  conto della "3E", sua correntista, dopo la sentenza dichiarativa
 di fallimento ma prima della sua affissione  ex  art.  17  del  regio
 decreto  del  1942, n. 267 - il Tribunale di Milano adito, ritenutane
 la rilevanza e la non manifesta infondatezza in riferimento  all'art.
 24  della  Costituzione,  ha sollevato, con ordinanza del 17 febbraio
 1994,  questione  incidentale  di  legittimita'  dell'art.   44,   in
 relazione  all'art.  42,  del  regio  decreto  n. 267 del 1942 (legge
 fallimentare) "nella parte, in cui non e' previsto  che  gli  effetti
 del  fallimento  rispetto  ai  terzi decorrano dall'affissione, salvo
 prova contraria della conoscenza da parte del terzo della sentenza di
 fallimento".
    Secondo  il  giudice  a  quo,  la  normativa  denunciata  -  nella
 consolidata  interpretazione giurisprudenziale costituente il diritto
 vivente, secondo cui gli atti compiuti dal fallito ed i pagamenti  da
 lui,  o  per conto di lui, eseguiti dopo la pubblicazione (attraverso
 il deposito in cancelleria) della sentenza dichiarativa di fallimento
 sono immediatamente inefficaci  nei  confronti  dei  creditori  anche
 prima dell'affissione (alla porta esterna del Tribunale) ai sensi del
 citato   art.  17  della  legge  fallimentare,  e  senza  che  rilevi
 l'eventuale buona fede dei terzi - comporterebbe, in danno di questi,
 una sostanziale privazione del diritto della difesa "che vive proprio
 nella esclusione di una responsabilita' senza colpa". Dal che appunto
 l'ipotizzato vulnus all'art. 24 della Costituzione.
    Nel giudizio innanzi alla Corte si e' costituita la Banca Agricola
 Milanese,   svolgendo   considerazioni  adesive  a  quelle  contenute
 nell'ordinanza di  rinvio  ed,  in  particolare,  sostenendo  che  la
 pertinenza del parametro costituzionale, ivi richiamato, risulterebbe
 confermata  dalle  recenti  sentenze della Corte nn. 32, 47 e 110 del
 1995, nelle quali questioni analoghe,  a  quella  odierna,  sarebbero
 state esaminate in relazione al citato art.  24.
    In  senso  opposto  ha  concluso  l'Avvocatura  dello  Stato,  per
 l'intervenuto Presidente del Consiglio dei  ministri,  escludendo  la
 fondatezza  della proposta impugnativa, in considerazione soprattutto
 della "non conferenza del richiamo all'art. 24 Cost.", non venendo in
 questo caso in gioco l'esercizio della tutela giurisdizionale.
                        Considerato in diritto
    Il  Tribunale  di  Milano  dubita  che  l'art.  44   della   legge
 fallimentare,   che  fa  decorrere  gli  effetti  della  sentenza  di
 fallimento, di cui al  precedente  art.  42,  dalla  data  della  sua
 pubblicazione,  contrasti  con  l'art.  24  della Costituzione, nella
 parte in cui considera tali effetti  opponibili  anche  al  terzo  di
 buona  fede,  che  abbia  contrattato  con (o per) il fallito dopo il
 fallimento, ma prima della affissione della correlativa pronunzia  ai
 sensi dell'art. 17 della stessa legge.
    La  questione  cosi'  prospettata  non  e'  fondata,  per  la  non
 pertinenza del riferimento all'art. 24  Cost.,  cosi'  come  eccepito
 dall'Avvocatura dello Stato.
    Occorre,   invero,   distinguere   tra   i   profili   processuali
 dell'esecuzione concorsuale - in relazione ai quali la  conoscenza  o
 la  conoscibilita'  della sentenza, o di altro connesso provvedimento
 decisorio della procedura, assumono rilievo ai fini della correlativa
 impugnazione -  e  profili,  invece,  sostanziali,  come  quelli  che
 vengono   nella   specie   in   considerazione   per  quanto  attiene
 all'automatismo degli effetti  del  fallimento  con  aggancio  ad  un
 momento temporale unico.
    I  profili  processuali  della disciplina fallimentare coinvolgono
 all'evidenza il  diritto  della  difesa;  e  ad  essi  hanno  appunto
 (direttamente  o  per taluni aspetti) riguardo la sentenza n. 110 del
 1995 (sul dies a quo del termine per l'azione revocatoria, ex art. 67
 legge fallimentare) e l'ordinanza n. 32 del 1995 (sulla posizione dei
 crediti anteriori  all'amministrazione  controllata,  ai  fini  della
 formazione  dello  stato passivo, nel fallimento conseguente, e della
 correlativa opponibilita'), richiamate dalla Banca come precedenti in
 relazione all'art. 24 della Costituzione (mentre  nella  sentenza  n.
 47/1995,  pure essa a tal fine richiamata dalla parte, la censura per
 violazione del diritto di difesa risulta viceversa assorbita).
    Diversamente, nel caso  di  specie,  l'art.  24  non  puo'  essere
 invocato,  perche'  il  combinato contesto delle norme denunciate non
 attiene al regime delle impugnazioni della sentenza di fallimento, ma
 al momento di produzione di taluni suoi effetti, che  il  legislatore
 ha   inteso   ricollegare,  con  immediatezza  ed  unita'  temporale,
 direttamente alla pubblicazione, con il deposito in cancelleria  (che
 segna   la   prima   esteriorizzazione   di  quella  pronunzia  quale
 espressione   di   imperativita'   giurisdizionale,  suscettibile  di
 potenziale conoscenza): cosi' individuando - sul piano sostanziale  -
 e   con  esercizio  di  discrezionalita'  legislativa,  il  punto  di
 equilibrio tra le contrapposte  istanze  di  garanzia  dei  creditori
 (contro  atti  che  ne  alterino  la  par  condicio  a  ridosso della
 pronuncia di fallimento)  e  di  tutela  dei  terzi  coinvolti  nella
 procedura, in modo che volutamente prescinde dalle ulteriori forme di
 pubblicita'  previste, ad altri fini, dall'art. 17. Il coinvolgimento
 di detta ultima disposizione nell'odierna impugnativa - che concerne,
 si ripete, la dimensione  temporale  degli  effetti  sostanziali  del
 fallimento  -  e'  quindi, a sua volta, fuori luogo; ne' puo' valere,
 come si pretenderebbe, ad agganciare il parametro dell'art. 24 Cost.,
 per la dimostrata arbitrarieta' di una  siffatta  contaminazione  tra
 effetti sostanziali e profili processuali del fallimento.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 42, 44 e 17 del regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267
 (Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
 dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
 amministrativa)   sollevata,   in   riferimento   all'art.  24  della
 Costituzione, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 6 giugno 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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