N. 17 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 8 giugno 1995
N. 17 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria l'8 giugno 1995 (del Consiglio superiore della magistratura) Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (giudizio per) - Ordine al C.S.M. su ricorso del dott. Mario Cozzi, di conferire, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione di detta decisione, l'ufficio di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Napoli allo stesso dott. Cozzi e nomina, in caso di inutile decorso del termine, quale commissario ad acta del vice presidente del C.S.M. - Esercizio non consentito da parte del Consiglio di Stato di giurisdizione di merito in assenza di espressa previsione di legge con conseguente lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite del C.S.M. in ordine alla nomina dei magistrati agli uffici direttivi - Alterazione del funzionamento dell'organizzazione interna del C.S.M., atteso che il vice presidente svolge esclusivamente competenze delegate o connesse all'attivita' di sostituzione del presidente - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 168/1963, 44/1968 e 379/1992. (Decisione del 27 dicembre 1994, n. 1074, del Consiglio di Stato - sezione IV di Roma). (Cost., artt. 104 e 105, in relazione alla legge 24 marzo 1958, n. 195, artt. 11 e 17, modificato dalla legge 12 aprile 1990, n. 74).(GU n.28 del 5-7-1995 )
Ricorre il Consiglio superiore della magistratura, in persona del vice presidente prof. Piero Alberto Capotosti, a cio' autorizzato con delibera 16 febbraio 1995, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del presente atto, dal prof. avv. Federico Sorrentino, presso il cui studio in Roma, lungotevere delle Navi, 30, elegge domicilio, contro il Consiglio di Stato, sezione IV, in persona del suo presidente ed, ove occorra, del presidente del Consiglio di Stato, per la risoluzione del conflitto tra poteri dello Stato determinato dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 27 dicembre 1994, n. 1074, con la quale, in accoglimento di un ricorso del dott. Mario Cozzi, si e' intimato al Consiglio superiore della magistratura di conferire, nel termine di 60 giorni dalla notificazione della stessa pronuncia, l'ufficio di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Napoli allo stesso dott. Cozzi, nominando, in caso di inutile decorso del termine, commissario ad acta il vice presidente del Consiglio medesimo. F A T T O 1. - In conformita' alla decisione del plenum del Consiglio superiore della magistratura, assunta in data 21 aprile 1989, il dott. Augusto Coppola veniva nominato procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Napoli con d.P.R. 15 maggio 1989. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso straordinario al Capo dello Stato il dott. Mattia Del Franco. Il ricorso veniva accolto con d.P.R. 31 gennaio 1991. Il Consiglio superiore della magistratura, preso atto della decisione sul predetto ricorso, procedeva ad una nuova volutazione dei candidati, tra i quali il dott. Mario Cozzi, e disponeva, nella seduta del 27 marzo 1991, di conferire l'ufficio a concorso al dott. Augusto Coppola, che veniva quindi nominato con decreto del Presidente della Repubblica. Tale provvedimento non veniva impugnato da alcuno. Peraltro il dott. Mario Cozzi, che era stato pretermesso in entrambe le procedure, in quella annullata in sede straordinaria e in quella esperita a seguito di tale annullamento, aveva impugnato dinanzi al t.a.r. del Lazio il primo decreto (d.P.R. 15 maggio 1989). Il ricorso veniva rigettato con sentenza 25 febbraio 1991, n. 211 della I sezione. L'appello veniva pero' accolto con decisione della IV sezione del Consiglio di Stato, 20 maggio 1993, n. 545, con conseguente (inutile) annullamento del d.P.R. 15 maggio 1989, gia' annullato in sede straordinaria con d.P.R. 31 gennaio 1991. Nelle more del giudizio, decedeva, in data 22 ottobre 1992, il dott. Coppola. Veniva percio' bandito un ulteriore concorso per la copertura del posto resosi cosi' vacante; questo si concludeva con la delibera 19 maggio 1993 di conferimento del posto al dott. Gambarota, che veniva nominato con d.P.R. del 15 giugno 1993. La decisione del C.S.M. di conferimento del posto al dott. Gambarota precedeva, dunque, la pronuncia del Consiglio di Stato, pur se a questa era successivo il decreto presidenziale di nomina. Peraltro, senza attendere l'esito di altre due impugnative da lui proposte contro l'apertura della procedura concorsuale a seguito del decesso del dott. Coppola e contro la conseguente nomina del dott. Gambarota, il dott. Cozzi, previa rituale diffida e messa in mora, nuovamente adiva la IV sezione del Consiglio di Stato per l'esecuzione della decisione n. 545/1993. Il Consiglio, dopo una prima decisione interlocutoria, ha pronunciato la decisione 24 dicembre 1994, n. 1074, con la quale direttamente ha ordinato all'"Amministrazione" (cioe' al C.S.M.) di provvedere entro sessanta giorni al conferimento al dott. Mario Cozzi dell'ufficio di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Napoli, ed ha nominato, per l'ipotesi di inutile decorso di tale termine, commissario ad acta il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura. Contro questa pronuncia il C.S.M. ha gia' proposto ricorso per cassazione sotto il profilo che essa eccede la giurisdizione del giudice amministrativo. Essa e' altresi' invasiva delle attribuzioni costituzionali del C.S.M. come si confida di dimostrare attraverso le seguenti considerazioni in D I R I T T O Sull'ammissibilita' del ricorso. 2. - La Corte ha gia', con la sentenza n. 379/1992, ammesso la legittimazione del C.S.M. ad essere parte nei conflitti riguardanti le sue attribuzioni circa la preposizione dei magistrati agli uffici direttivi (art. 105 della Costituzione). In base a consolidata giurisprudenza della Corte e', poi, del tutto pacifico che i singoli uffici giurisdizionali sono legittimati ad essere parti nei conflitti tra poteri dello Stato. Per quanto riguarda, in particolare, il Consiglio di Stato non si puo' negare che esso, non solo come giurisdizione speciale (art. 103 della Costituzione), ma anche come organo ausiliario (art. 100 della Costituzione; cfr. sentenza n. 406/1989 della Corte costituzionale), sia configurabile come potere dello Stato, di cui la singola sezione e' organo competente a dichiarare definitivamente la volonta'. Nessun ostacolo sembra dunque sussistere all'ammissibilita', sotto il profilo soggettivo, del ricorso. Per quanto riguarda quello oggettivo, va detto che il C.S.M. rivendica, con il presente atto, l'integrita' delle proprie attribuzioni costituzionali ex artt. 104 e 105 della Costituzione, lese dall'ordine del giudice amministrativo di nominare il dott. Cozzi all'ufficio di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Napoli, rimovendo l'attuale titolare, ed ancor piu' dal provvedimento con il quale il suo vice presidente e' stato nominato commissario ad acta, che manifestamente incide sulla sua struttura organizzativa. Il conflitto assume quindi, per un verso, il connotato tradizionale della vindicatio potestatis e, per altro verso, il carattere di conflitto da menomazione. I. - Violazione dell'art. 105 Cost. in relazione agli artt. 11 e 17 della legge n. 195/1958 (come modificato dalla legge n. 74/1990). 3. - La nomina dei magistrati agli uffici direttivi e', secondo quanto la Corte ha chiarito nella sua giurisprudenza (sentenze nn. 168/1963 e 379/1992), di competenza del C.S.M. in base all'art. 105 della Costituzione, pur se al relativo procedimento partecipa, nella forma del concerto, il Ministro per la grazia e la giustizia. La circostanza che i decreti del Presidente della Repubblica, attraverso i quali gli atti del Consiglio vengono esternati, siano sottoposti al controllo di legittimita' del giudice amministrativo, in base al richiamato art. 17 della legge n. 195/1958, non contrasta col carattere costituzionale delle attribuzioni del Consiglio, ma rappresenta il punto di equilibrio tra l'indipendenza dell'organo e la garanzia dei diritti e degli interessi legittimi dei magistrati. Ma dall'impugnabilita' dinanzi al giudice amministrativo dei decreti presidenziali attraverso i quali viene espressa la volonta' del C.S.M. prevista dal ricordato art. 17, non discende in modo automatico la sottoposizione dell'attivita' del Consiglio alla giurisdizione di merito del medesimo giudice. Con la decisione che ha dato luogo al conflitto il Consiglio di Stato, adito in sede di ottemperanza ai sensi dell'art. 27, n. 4, del t.u. 1924, ha infatti emesso una pronuncia di merito con la quale ha ordinato al C.S.M. di nominare il dott. Cozzi all'ufficio direttivo in questione ed ha nominato, per il caso di inottemperanza nel termine, il vice presidente dello stesso C.S.M. commissario ad acta. 4. - La non sottoponibilita' del Consiglio superiore della magistratura alla giurisdizione di merito di un altro potere dello Stato risulta innanzitutto dalla posizione che a quest'organismo riconosce la costituzione, in considerazione della quale il legislatore del 1958 ha previsto lo schermo del decreto presidenziale o ministeriale, onde consentire l'impugnazione dei provvedimenti attinenti allo status dei magistrati, ed ha esplicitamente limitato alla legittimita' il controllo giurisdizionale su detti provvedimenti. Ora e' pacifico che detta posizione e' strumentale ad assicurare, ai sensi degli artt. 104, primo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, i valori primari dell'indipendenza e dell'imparzialita' della magistratura. Solo una magistratura che si autogoverni, infatti, puo' essere veramente indipendente e solo una magistratura indipendente puo' essere veramente imparziale. Ma se quella posizione non comporta, come si e' gia' detto, che gli atti C.S.M. si sottraggano al sindacato giurisdizionale, essa esclude che questo sindacato venga compiuto in forme tali da mettere in pericolo il principio dell'autogoverno (e conseguentemente quelli dell'indipendenza e dell'imparzialita') della magistratura. Di questo ha avuto consapevolezza il legislatore, che nell'art. 17, secondo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, ha disposto che avverso i provvedimenti riguardanti i magistrati "e' ammesso ricorso in primo grado al tribunale amministrativo regionale del Lazio per motivi di legittimita'" e che "contro la decisione di prima istanza e' ammessa l'impugnazione al Consiglio di Stato" (cosi' nel testo di cui all'art. 4 della legge n. 74/1990). Il riferimento esplicito ai "motivi di legittimita'", come pure il mancato richiamo dell'unica ipotesi di giurisdizione di merito configurabile (ossia il giudizio d'ottemperanza), e' invero significativo della considerazione che il legislatore del 1958-90 ha fatto del ruolo e della posizione istituzionale del C.S.M. Non va, infatti, dimenticato che, come ebbe a sottolineare la Corte nelle sentenze nn. 168/1963 e 44/1968, la previsione del primo comma dell'art. 17 della legge n. 195/1958 - secondo la quale "tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformita' delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro; ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro per la grazia e la giustizia" - ha rappresentato il punto di equilibrio tra due opposte esigenze: da un lato quella di assicurare l'indipendenza dell'organo, dall'altra quella di consentire, attraverso la forma amministrativa dei decreti, il controllo finanziario e giurisdizionale su provvedimenti sostanzialmente amministrativi, onde non privare i magistrati della relativa tutela. "Se si muova dalla considerazione - affermava la Corte nella sentenza n. 44/1968 -, che non sembra contestabile, secondo cui la sottoposizione delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura ad un controllo di stretta legittimita' da parte di un organo appartenente al potere giurisdizionale non sia, di per se', tale da condurre necessariamente a vanificare o comunque ad attenuare l'efficacia della funzione garantista cui esse adempiono, la questione si riduce ad accertare la fondatezza dell'ostacolo che il diritto positivo, secondo la difesa del Ministero, oppone all'esercizio del sindacato sugli atti in parola da parte della giurisdizione cui l'art. 113 affida la tutela dei diritti ed interessi legittimi. L'ostacolo eccepito e' quello fatto derivare dalla parte dell'articolo predetto che limita agli atti della pubblica amministrazione la tutela medesima, e che, messo in relazione con i precedenti artt. 102 e 103, deve intendersi circoscritto solo agli interventi della giurisdizione amministrativa .. ( ..) La difficolta' che all'applicazione nella specie dei citati articoli della Costituzione oppone il carattere rivestito dal Consiglio superiore della magistratura, cioe' di organo che, pure espletando funzioni solamente di indole amministrativa, non e' parte della pubblica amministrazione ( ..), non puo' essere superata attraverso l'asserzione, contenuta in alcune decisioni del Consiglio di Stato, del carattere preparatorio da assegnare all'attivita' di detto organo rispetto a quella esplicita con l'emanazione dei decreti previsti dall'art. 17, i quali quindi, secondo detta tesi, dovrebbero considerarsi costitutivi degli effetti giuridici riguardanti i magistrati che ne sono destinatari. Infatti l'opinione riferita e' contrastata dalla chiara dizione degli artt. 105, 106, 107 e 110 della Costituzione, i quali attribuiscono proprio alla sola competenza del Consiglio superiore della magistratura tutti i provvedimenti di stato comunque riguardanti i magistrati, secondo poi e' specificato dall'art. 10 e successivi della legge n. 195/1958, emessa in attuazione del precetto costituzionale, che fanno riferimento ai poteri 'deliberanti' dell'organo medesimo". Sicche', concludeva la Corte, richiamando la sua precedente sentenza n. 168/1963, i decreti del Presidente della Repubblica o del Ministro assumono la funzione di conferire alle decisioni dell'organo deliberante la forma che, "sulla base dei principi fondamentali del sistema, e' prescritta per i provvedimenti aventi indole sostanzialmente amministrativa", e cio' al fine di consentirne la sottoposizione "alle varie specie di sindacato destinate ad assicurarne il contenimento nell'ambito dell'ordine legale". 5. - Da quanto sopra discende la considerazione che, se il legislatore del 1958 ha ritenuto necessario rivestire di forma amministrativa le deliberazioni del C.S.M. onde permetterne la sottoposizione al controllo giurisdizionale ("di stretta legittimita'") del Consiglio di Stato, esso non puo' avere consentito che lo stesso C.S.M. sia sottoposto alla giurisdizione di merito del giudice amministrativo, sino a comportarne l'assoggettamento agli ordini ed ai poteri sostitutivi di tale giudice. Ora, se e' vero che il giudizio di ottemperanza e' un giudizio di merito, in quanto consente al giudice valutazioni ampiamente discrezionali sui modi e sui limiti dell'esecuzione delle proprie decisioni e di esercitare anche poteri sostitutivi dell'amministrazione, esso non potra' esercitarsi che con riferimento ad attivita', non solo sostanzialmente (come quelle di competenza del C.S.M.), ma anche formalmente amministrative. D'altro canto il giudizio di ottemperanza nacque proprio dall'esigenza di evitare di sottoporre la pubblica amministrazione al potere giudiziario, anche ove fosse in giuoco l'esecuzione di sentenze passate in cosa giudicata, affidando al giudice amministrativo, a quella piu' omogeneo, il relativo giudizio. Tale esigenza, che ha indotto il legislatore a sottrarre alla giurisdizione ordinaria la tutela esecutiva degli stessi diritti soggettivi attribuiti alla sua cognizione, deve, a piu' forte ragione, valere nel caso inverso, in cui si tratta di assicurare l'indipendenza dell'organo di autogoverno della Magistratura ordinaria dalla valutazione discrezionale e dagli ordini di un diverso potere dello Stato. E, come e' vietato al giudice ordinario emettere ordini di fare nei confronti della pubblica amministrazione, cosi' e' vietato a quello amministrativo sostituire la propria valutazione discrezionale a quella del Consiglio (che pubblica amministrazione non e'), impartirgli ordini e sostituirsi ad esso, direttamente o per il tramite di un commissario. La riflessione dottrinale sull'esecuzione del giudicato ha invero messo in luce che il potere del giudice amministrativo di giudicare nel merito si ricollega alla sua posizione di appartenenza all'Amministrazione come istituzione. Ma, ove a quest'appartenenza non si possa far riferimento, per l'esistenza di una sfera di attribuzioni costituzionalmente protetta (art. 105) e per l'esistenza tra le delibere del C.S.M. e il giudizio amministrativo del filtro rappresentato dal decreto presidenziale o ministeriale di cui quelle delibere sono vestite, non puo' il giudice amministrativo, nell'esercizio di poteri di merito che non gli competono, superare quel filtro, ne' emanare ordini nei confronti dell'organo di autogoverno ne' disporre la sua sostituzione. 6. - Le considerazioni che precedono inducono dunque a ritenere che, oltre che per ragioni letterali anche per ragioni sistematiche, collegate alla posizione costituzionale del C.S.M., il legislatore del 1958 abbia escluso ogni giurisdizione di merito del Consiglio di Stato e del T.A.R. sulle deliberazioni del C.S.M. La tutela giurisdizionale che la legge affida su di esse al giudice amministrativo, circoscritta com'e' all'atto presidenziale o ministeriale con cui le delibere sono esternate, non potra' dunque estendersi al giudizio di ottemperanza. Ne' si dica che in tal modo viene eliminata la tutela giurisdizionale che lo stesso art. 17 della legge n. 195 assicura ai magistrati e di cui l'esecuzione sarebbe lo sbocco necessario. In primo luogo l'obiezione proverebbe troppo, in quanto essa tende a ridurre alla sola fase esecutiva la tutela giurisdizionale, mentre esistono molti altri settori in cui alla fase di cognizione non segue ne' puo' seguire quella di esecuzione (basti pensare alle sentenze di mero accertamento o alle decisioni della Corte sui conflitti di attribuzione). In secondo luogo non appare pensabile ne' giustificabile che proprio il C.S.M. voglia sottrarsi all'esecuzione delle decisioni del giudice amministrativo, frustrando i diritti e gli interessi legittimi dei magistrati di cui esso e' rappresentativo. Infine va detto che, essendo la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti del C.S.M. configurata come giudizio di annullamento, la realizzazione delle pretese dei magistrati interessati gia' avviene con l'eliminazione, eventualmente previa sospensione, dell'atto lesivo e la restituzione all'organo deliberante del potere discrezionale di eseguire la pronuncia del giudice amministrativo. Ma, proprio in un caso come questo, in cui, come si e' detto in narrativa, il Consiglio di Stato ha inutilmente annullato un atto gia' venuto meno, ed in cui e' stato coinvolto nella decisione di ottemperanza un soggetto estraneo al giudizio di cognizione (il dott. Gambarota, che era stato nominato sul posto cui aspirava il dott. Cozzi a seguito di una diversa e successiva procedura concorsuale), la realizzazione della pretesa del ricorrente abbisognava di valutazioni non solo di legittimita' ma anche di merito che solo il C.S.M. poteva effettuare e che invece con la decisione in epigrafe il Consiglio di Stato gli ha sottratto. II. - Violazione dell'art. 104 della Costituzione. 7. - Le considerazioni sviluppate nel precedente motivo inducono a censurare anche la statuizione con la quale il giudice amministrativo ha nominato il vice presidente del C.S.M. commissario ad acta. Le garanzie dell'indipendenza del C.S.M., come impediscono che esso possa essere soggetto al giudizio discrezionale di altro potere dello Stato, cosi', a piu' forte ragione, escludono che il suo vice presidente sia trasformato in organo del giudice amministrativo. Se, infatti, si accede alla giurisprudenza ormai dominante secondo cui il commissario ad acta e' organo del giudice che lo nomina (Cons. giust. amm. reg. sic., 25 febbraio 1981 n. 1; Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 1982 n. 860; Ad. plen., 14 luglio 1978 n. 23, etc.), non solo il giudice amministrativo si e' ingerito nell'esercizio d'una competenza costituzionalmente garantita al C.S.M., ma esso ha altresi' preteso di farne uno strumento della propria azione, cosi' ledendo il potere organizzativo dello stesso C.S.M. Ancor piu' lesiva della posizione del C.S.M. e' poi la scelta del vice presidente del C.S.M. quale commissario ad acta. In tal modo il giudice ha addirittura alterato il funzionamento dell'organizzazione interna del Consiglio, cancellandone quello spazio di autonomia organizzativa che e' essenziale per qualunque organo superiorem non recognoscens. Non e' dato comprendere, del resto, per quale ragione il prescelto non sia stato il presidente, ma il vice presidente del C.S.M., atteso che solo al primo la legge attribuisce competenze e poteri puntuali, mentre il secondo e' titolare quasi esclusivamente di competenze delegate o connesse all'attivita' di sostituzione del presidente. Se ad essere nominato commissario non e' stato il presidente, e' stato dunque - evidentemente - perche' allo stesso giudice amministrativo e' parso assurdo conferire un simile mandato ... al Presidente della Repubblica| Ma se il vice presidente puo' (in teoria) provvedere all'esecuzione della pronuncia del giudice, e' solo ed esclusivamente perche' agisce in sostituzione del primo. Fra la nomina a commissario del presidente o del vice presidente non v'e' dunque alcuna differenza, se non per la diversita' della persona fisica titolare della carica. Dal punto di vista oggettivo, pero', l'ufficio e' uno, e non ha alcun rilievo che le competenze dell'ufficio siano esercitate dal presidente o dal vice presidente. In buona sostanza: la conseguenza aberrante che il giudice amministrativo ha preteso di evitare nominando commissario il vice presidente e non il presidente del Consiglio Superiore della magistratura si e' comunque, inevitabilmente, verificata.
P. Q. M. Si chiede che la Corte: dichiari che non spetta al Consiglio di Stato alcun potere di emettere ordini nei confronti del C.S.M. ne' disporre la nomina di un commissario ad acta; dichiari che non spetta al Consiglio di Stato nominare commissario ad acta il vice presidente del C.S.M.; annulli per conseguenza la decisione indicata in epigrafe. Roma, addi' 8 aprile 1995 Prof. avv. Federico SORRENTINO 95C0738