N. 19 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 12 giugno 1995
N. 19 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 12 giugno 1995 (del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli) Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (giudizio per) - Obbligo del p.m., riguardo ai cosiddetti "collaboratori di giustizia" di trasmettere al Ministro dell'interno e, tramite lo stesso, alla commissione, di cui al secondo comma del d.-l. n. 8/1991 (convertito in legge n. 82/1991), e, nell'ipotesi di cui all'art. 4 del regolamento impugnato, al capo della Polizia, il "verbale delle dichiarazioni preliminari alla collaborazione o il verbale di informazione ai fini delle indagini" - Attribuzione al Procuratore nazionale antimafia del potere di formulare un parere per l'approvazione del programma di protezione - Previsione di ipotesi che possano giustificare o imporre la revoca del programma di protezione - Invasione della sfera di competenza del potere giudiziario ed interferenza nell'attivita' giudiziaria in generale, nonche', in particolare, con i poteri spettanti all'a.g. in tema di liberta' personale - Riferimenti all'ordinanza n. 16/1979 e alla sentenza n. 114/1979 della Corte costituzionale. (Decreto dei Ministri degli interni e di grazia e giustizia del 24 novembre 1994, n. 687, artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 8). (Cost., artt. 13, 101, ultimo comma, 104, primo comma, 108 e 112).(GU n.28 del 5-7-1995 )
Ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sollevato dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli nei confronti dei Ministri dell'interno e di grazia e giustizia, con riferimento al decreto n. 687 emanato di concerto il 24 novembre 1994 (artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 8) e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 294 del 17 dicembre 1994), per violazione degli artt. 13, 101, ultimo comma, 104, primo comma, 108 e 112 della Costituzione e delle altre norme primarie indicate nella parte motiva. L'art. 10, terzo comma, del d.-l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito con modificazioni nella legge 15 marzo 1991, n. 82, recita testualmente: "Le misure di protezione e di assistenza a favore delle persone ammesse allo speciale programma di protezione di cui al primo comma, nonche' i criteri di formulazione del programma medesimo e le modalita' di attuazione, sono stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, sentiti il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica e la Commissione centrale di cui al secondo comma. Non si applica l'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400". In attuazione - con un articolato che si ritiene illegittimo - di tale norma, nella Gazzetta Ufficiale n. 294 del 17 dicembre 1994 e' stato emanato il decreto 24 novembre 1994, n. 687, di concerto ed, a firma congiunta dei Ministri di cui sopra (per cui formalmente appare un decreto interministeriale), la cui intitolazione (regolamento recante norme dirette ad individuare i criteri di formulazione del programma di protezione di coloro che collaborano con la giustizia e le relative modalita' di attuazione), di per se' dovrebbe servire ad individuare il contenuto e, nel contempo, i limiti del decreto stesso. Tuttavia, talune disposizioni del regolamento, in particolare quelle contenute negli artt. 1, 2, 3, 4, 5 ed 8, ad avviso di questa Procura incidono nella sfera delle attribuzioni del pubblico ministero quali a lui riconosciute dalla Carta costituzionale, e violano gli artt. 13, 101, secondo comma, 104, 108 e 112 di tale Carta, sia sotto l'aspetto di interferenze e condizionamenti frapposti all'indipendenza ed autonomia della magistratura e all'esercizio dell'attivita' giudiziaria, sia sotto quello della violazione di norme primarie, come quelle delle preleggi (art. 4), dell'ordinamento giudiziario per le quali e' fatta espressa riserva di legge dall'art. 108 della Costituzione, e del codice processuale penale, alcuni articoli del quale sono state modificati o derogati da tale regolamento. Per tali ragioni, ritiene il ricorrente che, nella specie, legittimato a denunciare il conflitto sia proprio il pubblico ministero, organo competente, nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, a dichiarare la volonta' del potere (c.d. diffuso) cui appartiene. Non ignora il deducente le determinazioni assunte al riguardo da codesta ecc.ma Corte ed, in particolare, le considerazioni contenute nell'ordinanza n. 16 del 10 maggio 1979. Tuttavia, proprio successive pronunzie della Corte stessa e gli approfonditi rilievi di qualificata dottrina autorizzano a ritenere fondatamente che ormai la legittimazione a sollevare conflitto, in una riconsiderazione dell'indirizzo assunto, possa e debba essere riconosciuta anche al rappresentante del p.m., quantomeno ove vengano denunciate violazioni degli artt. 112 o 108 della Costituzione. Se, infatti, la giurisdizionalita' appare il presupposto, come ritenuto in linea generale da codesta Corte, per sollevare questioni incidentali di costituzionalita', richiedendosi, nello stesso tempo, la necessita' che il soggetto che le deduce abbia il potere di emettere provvedimenti decisori, non puo' tuttavia inferirsi - ad avviso di quest'ufficio - che tale considerazione (a parte la concezione del tipo di "potere" riconosciuto all'organo requirente) investa tutta l'attivita' del p.m., la quale si presenta, sotto molteplici aspetti, con caratteri squisitamente propri autonomi e decisori; e, tanto piu', ove la denuncia di conflitto concerna l'invasione di sfere attribuite costituzionalmente al p.m. Non puo' essere del resto tralasciato che, proprio secondo la Corte costituzionale, anche il p.m. e' una "autorita' giudiziaria" (sent. n. 114 del 6 agosto 1979) e che alcune decisioni della medesima Corte hanno rilevato la incostituzionalita' di norme di legge che violavano i poteri riconosciuti al p.m. dalla Carta costituzionale; senza contare poi che la funzione requirente (art. 112 della Costituzione) e' ricompresa tra le attribuzioni riferibili al potere giudiziario (v. anche l'art. 107, quarto comma, della Costituzione). Infine, come si e' giustamente osservato, potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario sono soltanto locuzioni ellittiche che individuano in via puramente tendenziale il contenuto dei poteri concretamente attribuiti. Quanto ai lamentati profili di invasione della sfera di attribuzioni del p.m., sottolinea il ricorrente che sfuggono ad una logica esclusivamente attuativa le disposizioni dell'art. 2 (e 4) del regolamento che prevedono e prescrivono: 1) l'indicazione dei principali fatti criminosi sui quali il soggetto proposto sta rendendo le dichiarazioni e i motivi per i quali essi sono ritenute attendibili e importanti per le indagini o per il giudizio, ecc.; 2) la precisazione circa la risultanza di "elementi che confermano l'attendibilita' delle dichiarazioni acquisite", ecc.; 3) l'allegazione alla proposta del verbale delle dichiarazioni preliminari alla collaborazione, con l'indicazione tra l'altro, quantomeno sommaria, dei dati utili per la ricostruzione dei fatti di maggiore gravita' ed allarme sociale di cui e' a conoscenza il collaboratore, oltre che alla individuazione e alla cattura dei loro autori; 4) per le ipotesi di dichiarante non indagato, il verbale di informazioni ai fini delle indagini. Tali disposizioni appaiono violare l'art. 112 della Costituzione in relazione agli artt. 73 e 74 dell'ord. giud. (ove si riconosce che il p.m. "promuove la repressione dei reati") ed agli artt. 358 e 326 del codice processuale penale. Se il p.m. puo' raccogliere le dichiarazioni rese dalla persona sottoposta ad indagini, dall'imputato o dal collaborante non imputato o indagato solo con le formalita' previste dal codice di procedura penale, la sua attivita' - ex artt. 358 e 326 del c.p.p. - e' finalizzata alle determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale; e' di tutta evidenza, allora, che imporre al p.m. di raccogliere dichiarazioni a fini diversi e di portarle a conoscenza di un organo amministrativo, appare lesivo delle sue attribuzioni quali demandate dalla Costituzione e dalla legge, ed in aperta violazione dell'art. 112 della Costituzione. Peraltro, quanto alla indicazione dei "motivi per i quali" le dichiarazioni "sono ritenute attendibili e importanti per le indagini o per il giudizio" e' una valutazione esclusiva del p.m. ed attinente esclusivamente all'attivita' giudiziaria, per cui non e' suscettibile di spiegazioni all'organo amministrativo, che, dal canto suo, deve solo stabilire le misure di protezione e di assistenza, i criteri di formulazione del programma e le sue modalita' di attuazione (art. 10 della legge n. 82/1991), e non giudicare se il collaboratore sia attendibile e quale importanza abbia per le indagini o per il giudizio. Inoltre, la prescritta trasmissione di copia del verbale di dichiarazioni preliminari alla Commissione si traduce in una indebita, poiche' introdotta con norma secondaria, compressione della potesta' del p.m. di disporre la segretazione di atti di indagine. Ne' appare possibile superare tale profilo di contrasto, ritenendo il presupposto dell'esercizio del potere di cui al terzo comma, lett. a), dell'art. 329 del c.p.p. (la ritenuta necessita' per la prosecuzione delle indagini) coincidente con quelli della riserva di trasmissione (le specifiche ed eccezionali esigenze di inopportunita') di cui alla prima parte del secondo comma dell'art. 2 del d.m. n. 687/1994, e cio' in ragione della obiettiva diversita' semantica delle diverse formule normative, sia in considerazione della diversita' di efficacia temporale dell'esercizio dell'uno e dell'altro potere del p.m. (potendo la segretazione protrarsi fino alla chiusura delle indagini preliminari e valendo invece la previsione regolamentare anzidetta soltanto a ritardare la "immediata" trasmissione della dichiarazione d'intenti all'organo amministrativo), sia, infine, perche' la norma di cui al terzo comma, dell'art. 2, esige che in ogni caso la proposta menzioni il contenuto del verbale di dichiarazioni preliminari (l'avvenuta acquisizione del quale si deve attestare anche al fine della proposta o del parere di attivazione dei provvedimenti urgenti del Capo della polizia di cui all'art. 11 della legge n. 82/1991: cfr. art. 4, secondo comma, del reg.). E' pur vero che l'art. 118 del c.p.p. (e in materia di stupefacenti l'art. 102 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), svincolando il p.m. dall'obbligo del segreto, dispone che il Ministro dell'interno direttamente o a mezzo di persone appositamente delegate puo' ottenere dall'autorita' giudiziaria competente copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto; in ogni caso, pero', alla facolta' del Ministro non corrisponde un obbligo di trasmissione da parte dell'a.g. tanto che essa puo' rigettare la richiesta con decreto motivato (e in materia di stupefacenti procrastinarne la trasmissione). A tal proposito, altri motivi di conflitto sorgono dal secondo comma dell'art. 1 circa l'utilizzazione degli atti e delle informazioni trasmesse ex art. 118 del c.p.p.: utilizzazione ottenuta violando tale norma, che prevede la trasmissione da parte dell'a.g. al Ministro dell'interno, e non alla commissione, che ottiene cosi' gli atti e le informazioni per via trasversa, non sussistendo altra norma primaria che consenta cio'. Lo stesso dicasi per l'art. 102 sopra citato e per l'art. 1-quinquies del d.-l. 6 settembre 1982, n. 629, conv. in legge 12 ottobre 1982, n. 726. In tutti tali casi si ravvisano le gia' illustrate interferenze nell'attivita' giudiziaria. In definitiva - si ribadisce - nel sistema stabilito dal regolamento avviene non solo che la commissione (ed il Capo della polizia nel caso di cui all'art. 4) possono utilizzare atti e informazioni trasmessi dall'a.g. ex art. 118 del c.p.p. (art. 1, terzo comma, del reg.), ma, che essa ha il diritto di ricevere il "verbale delle dichiarazioni preliminari alla collaborazione" o il "verbale di informazione ai fini della indagini" (art. 2, secondo e terzo comma, del reg.): questa disciplina (e la conseguente utilizzazione che dei verbali potra' fare detta commissione) convince ancor piu' che l'obbligo imposto in questo modo al p.m. e non finalizzato all'esercizio dell'azione penale, viola l'art. 112 della Costituzione. Ad analoga conclusione si giunge relativamente agli artt. 1, 3 e 4 del d.m.; l'invasione della sfera di attribuzione appare questa volta correlarsi al potere e alle prerogative previste dall'art. 108 della Costituzione in relazione agli artt. 70, 70- bis e 76- bis dell'ordinamento giuridico, con riferimento all'art. 371- bis del codice di procedura penale. Attribuendo la formulazione di un parere al procuratore nazionale antimafia nell'iter per l'approvazione del programma di protezione si incide sulle leggi di ordinamento giudiziario richiamate espressamente nella norma costituzionale, atteso che il predetto art. 371-bis, tra le funzioni ed i poteri del procuratore nazionale non prevede assolutamente tal genere di pareri. Ne' potrebbe rilevarsi che la legge sui collaboratori non poteva, dal canto suo, prevederli, essendo anteriore (15 marzo 1991) a quella istitutiva della procura nazionale (20 gennaio 1992). Intanto, questo e' un dato di fatto che non puo' essere superato con un regolamento. In secondo luogo, allorquando si istitui' detta Procura, il legislatore non ritenne di provvedere in tal senso. In terzo luogo, ubi voluit il legislatore lo fece, ed esattamente integrando l'art. 13- bis della legge 15 marzo 1991, n. 82, col prevedere (art. 13 del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356) il parere del procuratore generale d'intesa con il procuratore nazionale per i reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, del c.p.p., limitatamente ai detenuti per espiazione di pena ed agli internati per l'esecuzione di misure di sicurezza per cui sia richiesta in via d'urgenza la custodia in luoghi diversi dagli istituti penitenziari, in attesa della definizione dello speciale programma di protezione. Ne discende quindi, a contrario, che il parere introdotto dal regolamento non era proprio voluto dalla legge. E tale parere presuppone l'utilizzazione di atti (l'art. 3 indica espressamente notizie, informazioni e dati) che vengono forniti alla d.n.a. per finalita' ben diverse dalla trasmissione ad organi amministrativi, ove, come in concreto e' qui accaduto, detta d.n.a. non richieda copie di verbali di interrogatorio esplicitamente per la formulazione del parere. Anche l'art. 5 del regolamento incorre in censure dello stesso tipo di quelle precedenti, questa volta riflettenti attribuzioni riservate al p.m. dagli artt. 101 e 104 della Costituzione. Nel prevedere le ipotesi che possono giustificare o imporre la revoca del programma (cessazione dell'esposizione a pericolo - art. 5, terzo comma, violazione da parte del collaborante delle prescrizioni del programma - art. 5, quinto comma) e l'iter procedimentale da seguire (prevedendo ancora una volta la partecipazione del procuratore nazionale antimafia) specifica l'art. 5, quarto comma, che, nella valutazione sull'attualita' e sulla gravita' del pericolo, la commissione tiene conto del tempo trascorso dall'inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e che la valutazione delle dichiarazioni deve essere svolta con riferimento alla loro utilizzabilita' nei giudizi e tenendo conto delle indicazioni offerte dalle autorita' giudiziarie competenti in ordine alle verifiche compiute sulla attendibilita' delle dichiarazioni medesime. Ebbene, ad avviso del ricorrente proprio quest'ultima disciplina sovrappone valutazioni attinenti al pericolo incombente sul collaboratore di giustizia e valutazioni attinenti alla utilizzazione processuale delle sue dichiarazioni (riconosciute ancora una volta dalla Corte costituzionale di esclusiva attribuzione dell'autorita' giudiziaria, cfr. sentenza Corte costituzionale n. 357/1994), le prime sole rientranti nella competenza della commissione, come definita dalla legge e in violazione delle norme costituzionali ricordate. Infine, quanto all'art. 8 del regolamento, nell'ambito del procedimento per l'applicazione della custodia extracarceraria, da un lato attraverso l'intervento del d.a.p. con il suo parere e dall'altro attraverso l'obbligo di costante rivalutazione delle condizioni eccezionali di sicurezza che determinarono la detenzione extracarceraria, appaiono interferenze con i poteri dell'autorita' giudiziaria in tema di liberta' personale, garantiti dall'art. 13 della Costituzione. Esulano naturalmente dalla presente denuncia di conflitto problematiche diverse che investono la discrezionale valutazione della Commissione circa il programma di protezione da predisporre; per completezza va tuttavia sottolineato che indirettamente valutazioni di un organo amministrativo interferiscono sulla funzione inquirente del p.m. condizionando l'esercizio dell'azione penale, posto che, a seconda del grado di protezione assicurato, il collaborante si determinera', a sua volta, a fornire elementi che potranno portare ad un piu' o meno proficuo risultato investigativo. Ancora, va ricordata la diffidenza ormai acquisita in larghi strati verso i collaboratori di giustizia, e che si sostanzia in norme tendenti a delegittimarne l'apporto nella lotta alla criminalita' organizzata, ed in norma tendenti ad un piu' penetrante, e per alcuni aspetti fuorviante, controllo delle loro dichiarazioni. Ed appaiono altresi' meritevoli di ogni considerazione le conseguenze cui potrebbe portare una non puntuale applicazione da parte del p.m. della normativa predisposta dal regolamento, specie con riferimento ad obblighi e a comportamenti che anzitutto la legge fondamentale e poi il vigente sistema normativa gli fanno divieto di tenere. Le considerazioni fin qui svolte permettono di concludere che attraverso le anzidette norme del regolamento sono state violate attribuzioni costituzionalmente riconosciute al p.m. ed all'autorita' giudiziaria nel suo complesso.
P. Q. M. Visti gli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87; Denuncia nei sensi indicati nella parte motiva il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, con riferimento ai Ministri degli interni e di grazia e giustizia relativamente al decreto n. 687 del 24 novembre 1994, emanato di concerto tra loro; Chiede che la ecc.ma Corte costituzionale, ritenuto ammissibile il conflitto, voglia annullare gli artt. 1, 2, 3, 4, 5 ed 8 del d.m. cit. perche' in conflitto con gli artt. 13, 101, 104, 108 e 112 della Costituzione e con le altre norme indicate nella parte motiva; Il presente ricorso viene sottoscritto in dieci esemplari originali; Dispone che gli stessi vengano trasmessi all'U.N.E.P. di Roma per la notificazione a mezzo ufficiale giudiziario ai signori: Presidente del Consiglio dei Ministri, pro-tempore; Presidente del Senato della Repubblica pro-tempore; Presidente della Camera dei deputati pro-tempore; Ministro degli interni pro-tempore; Ministro di grazia e giustizia pro-tempore. Manda alla segreteria per gli adempimenti. Napoli, addi' 11 aprile 1995 Il procuratore della Repubblica: CORDOVA 95C0779