N. 257 ORDINANZA 13 - 16 giugno 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Pretore - Reato di truffa aggravata a  danno  dello
 Stato - Competenza - Criteri per l'attribuzione - Insussistenza della
 violazione   dei   principi   e  criteri  direttivi  della  delega  -
 Ragionevolezza   della   soluzione   adottata    nell'ambito    della
 semplificazione  del  processo  -  Insussistenza della violazione del
 principio del giudice naturale precostituito  per  legge  nonche'  di
 quello di difesa - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., art. 7, secondo comma, lett. m)).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 25, 76, 97, primo comma).
 
(GU n.26 del 21-6-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  7,  comma  2,
 lettera  m),  del  codice di procedura penale, promosso con ordinanza
 emessa il 26 ottobre 1994 dal  Pretore  di  Milano  nel  procedimento
 penale  a  carico  di  Anna  Denti,  iscritta  al  n. 52 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 17 maggio 1995 il Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
    Ritenuto che con ordinanza emessa il 26 ottobre 1994, nel corso di
 un procedimento penale nei confronti di Anna Denti, citata a giudizio
 con l'imputazione di  truffa  aggravata  ai  danni  dello  Stato,  il
 Pretore  di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25,
 76 e 97, primo comma, della Costituzione, questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  7,  comma  2,  lettera  m),  del codice di
 procedura penale;
      che  la  disposizione  denunciata  stabilisce  la competenza del
 pretore per giudicare del delitto di truffa  aggravata,  compresa  la
 truffa  ai  danni  dello  Stato,  punibile con la reclusione da uno a
 cinque anni e con la multa da lire seicentomila a tre  milioni  (art.
 640, secondo comma, del codice penale);
      che  il  giudice  rimettente considera il reato di truffa di non
 facile indagine e ritiene che  sia  attribuito  alla  competenza  del
 pretore   solo  seguendo  il  criterio  della  quantita'  della  pena
 edittale,  sicche'  a  maggior  ragione  la  truffa   aggravata,   in
 precedenza  non  attribuita alla competenza del pretore, non potrebbe
 essere ritenuta di rapida  e  facile  indagine,  mentre  si  dovrebbe
 considerare  che  tale  delitto  e'  spesso collegato con altri reati
 contro la pubblica amministrazione, di competenza del tribunale;
      che,  ad  avviso  del  giudice   rimettente,   la   disposizione
 denunciata  sarebbe  in  contrasto con vari parametri costituzionali:
 con l'art. 76, essendo indeterminati i principi e  criteri  direttivi
 della  legge  di delegazione (direttiva n. 12 di cui all'art. 2 della
 legge 16 febbraio 1987, n. 81),  se  interpretata  in  senso  diverso
 dalla  attribuzione  della competenza in base alla ricognizione della
 situazione legislativa gia' esistente; con l'art. 25, per la  mancata
 corretta  predeterminazione  del  giudice naturale; con l'art. 3, per
 l'irragionevole disparita' di trattamento tra cittadini;  con  l'art.
 24,  per la compressione del diritto di difesa, mancando nel giudizio
 dinanzi al pretore l'udienza preliminare; con l'art. 97, primo comma,
 essendo stata la competenza del  pretore  estesa  in  modo  eccessivo
 rispetto  alle  strutture ed alle capacita' operative di tale ufficio
 giudiziario ed in modo incompatibile con  l'obiettivo  della  massima
 semplificazione del processo, fissato dalla legge delega;
      che nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
 generale dello Stato, che ha concluso per  la  non  fondatezza  della
 questione.
    Considerato che l'art. 7 del codice di procedura penale stabilisce
 la  competenza  del  pretore  in  attuazione  della  direttiva  n. 12
 dell'art. 2 della legge di delegazione n. 81  del  1987,  laddove  si
 prevede  l'attribuzione alla cognizione per materia di quel giudice -
 sulla base della pena edittale e della qualita' del reato - di  tutte
 le  contravvenzioni  e  dei  delitti  punibili  con la multa o con la
 reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, nonche' di altri
 delitti da indicare specificamente;
      che la discrezionalita' del legislatore delegato  e'  delimitata
 dalle particolari previsioni della norma delegante, dal complesso dei
 criteri  direttivi  impartiti  e  dalle  ragioni e finalita' generali
 della delega. Quanto alla ripartizione della competenza  per  materia
 nel  processo  penale, il legislatore delegante ha tenuto conto della
 linea  di  tendenza  volta  ad  aumentare  il  numero  dei  reati  di
 competenza del pretore, considerando che nel nuovo processo e' venuto
 meno  l'ostacolo  costituito  dal  cumulo,  nel pretore stesso, delle
 funzioni requirenti e giudicanti, sicche' il criterio generale  della
 semplificazione  ha  consentito  di  ricorrere  ragionevolmente  alla
 snellezza e celerita' del processo pretorile per reati  in  relazione
 ai quali le indagini non siano con esso incompatibili;
      che,  peraltro,  la  soluzione  adottata  dall'art.  7, comma 2,
 lettera m), del codice di procedura penale per  la  truffa  aggravata
 non   eccede   i   principi   e   criteri   direttivi  della  delega.
 Nell'attribuire al  pretore,  gia'  competente  secondo  il  criterio
 quantitativo  della  pena  per  il  reato  di truffa (art. 640, primo
 comma, del codice penale), anche la competenza in ordine  all'ipotesi
 di  truffa aggravata (art. 640, secondo comma, del codice penale) non
 irragionevolmente e' stata  considerata  prevalente,  ai  fini  della
 semplificazione   del   processo,   l'attrazione   della   competenza
 nell'ambito di quella gia' prevista per il reato base;
      che non risulta violato l'art. 25 della  Costituzione,  giacche'
 il  principio  del  giudice naturale precostituito per legge richiede
 che la competenza degli organi giurisdizionali sia  predeterminata  e
 sottratta    ad   ogni   possibilita'   di   arbitrio   mediante   la
 precostituzione per legge del giudice in base a  criteri  fissati  in
 anticipo  e  non  in vista di singole controversie, mentre non assume
 rilievo la presunta maggiore o minore idoneita' o qualificazione  che
 possa  essere  rivendicata  ovvero  riconosciuta  all'uno o all'altro
 organo della giurisdizione (sentenza n. 460 del  1994;  ordinanza  n.
 130 del 1995);
      che  l'attribuzione  alla  cognizione  del  pretore,  anziche' a
 quella del  tribunale,  del  delitto  di  truffa  aggravata  previsto
 dall'art.  640,  secondo comma, del codice penale non e' in contrasto
 con l'art. 24 della Costituzione, giacche' la difesa si svolge  e  si
 sviluppa   in   un   complesso   di   presenze   attive  ed  efficaci
 dell'imputato, che lo accompagnano in ogni stato e fase del processo,
 qualunque  sia  il  giudice  chiamato  a  decidere   in   base   alla
 ripartizione delle competenze (sentenza n. 72 del 1976);
      che,  inoltre,  nessuna  violazione  del  diritto  di  difesa e'
 determinata dalla mancanza dell'udienza preliminare nel  procedimento
 dinanzi   al   pretore,   essendo  tra  l'altro  comunque  consentita
 l'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilita',  ai
 sensi  dell'art.  129 del codice di procedura penale (ordinanza n. 22
 del 1995);
      che non e' violato il  principio  di  eguaglianza,  non  essendo
 irragionevole  la  determinazione della competenza dei diversi organi
 di giurisdizione, operata dal legislatore nell'ambito di  valutazioni
 di natura politica;
      che,  infine,  con  riferimento  all'art. 97, primo comma, della
 Costituzione, secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte  il
 principio  del  buon  andamento  della  pubblica amministrazione, pur
 potendo  riferirsi  anche  agli  organi  dell'amministrazione   della
 giustizia,    attiene    esclusivamente    alle   leggi   concernenti
 l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento  sotto
 l'aspetto  amministrativo,  mentre e' del tutto estraneo alla materia
 dell'esercizio della funzione giurisdizionale nel suo  complesso  (da
 ultimo  ordinanze n. 39 del 1995 e n. 275 del 1994; sentenze n. 428 e
 n. 376 del 1993) e quindi ai criteri di ripartizione delle competenze
 tra organi giudiziari;
      che,   pertanto,   la   questione   deve    essere    dichiarata
 manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 7,  comma  2,  lettera  m),  del  codice  di
 procedura  penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 76
 e 97, primo comma, della Costituzione,  dal  Pretore  di  Milano  con
 l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                        Il redattore: MIRABELLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 giugno 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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