N. 284 SENTENZA 15 - 29 giugno 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Pena - Pene detentive brevi - Sanzioni sostitutive - Inapplicabilita'
 ai  reati  militari  -  Ingiustificata  disparita' di trattamento fra
 imputati  militari  e  imputati  comuni  lesiva  del   principio   di
 eguaglianza  -  Illegittimita' costituzionale parziale - Assorbimento
 degli altri profili  di  incostituzionalita'  dedotti  -  Riserva  al
 legislatore   del  compito  di  adeguare  il  regime  delle  sanzioni
 sostitutive alle peculiari finalita' rieducative della pena  militare
 e  al  particolare  status  del  condannato  - Richiamo a sentenza n.
 287/1987.
 
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 53).
 
 (Cost., artt. 3 e 27, terzo comma)
 
(GU n.28 del 5-7-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 53  della  legge
 24  novembre  1981,  n.  689  (Modifiche  al  sistema  penale),  come
 modificato, dall'art. 5, comma 1, del decreto-legge 14  giugno  1993,
 n. 187, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n.
 296,  promossi  con ordinanze emesse il 6 luglio 1994 dal Giudice per
 le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia, il
 19 ottobre 1994 dal Giudice per le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  militare  di  Roma,  il 1 dicembre 1994 dal Giudice per le
 indagini preliminari presso il Tribunale militare di  Padova,  il  13
 dicembre   1994   dal   Tribunale   militare   di   Verona,  iscritte
 rispettivamente ai nn. 604 e 755 del registro ordinanze 1994 e nn. 75
 e  80  del  registro  ordinanze  1995  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  42, prima serie speciale, dell'anno
 1994, e nn. 1 e 8, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  5 aprile 1995 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
    1. - All'esito  del  giudizio  abbreviato  a  carico  di  Mazzocut
 Zecchin  Fabrizio, imputato di diserzione, il Giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia  ha  sollevato,
 su  eccezione della difesa, questione di legittimita', in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 53 della legge  24  novembre
 1981,  n. 689, "nella parte in cui non prevede l'applicabilita' delle
 sanzioni sostitutive ai  procedimenti  penali  instaurati  avanti  ai
 Tribunali   militari".      Richiamate  le  precedenti  decisioni  di
 inammissibilita' di questa Corte, il giudice a quo  rileva  che  "due
 eventi  normativi di significativo valore" successivi agli interventi
 della Corte  impongono  un  riesame  della  questione:  vale  a  dire
 l'entrata  in  vigore  del  nuovo  codice  di  procedura penale e del
 decreto-legge 14 giugno 1993,  n.  187,  convertito  dalla  legge  12
 agosto 1993, n. 296.  Una determinante valenza assumerebbe il secondo
 dei  due  testi  normativi  con  il quale, oltre a disporsi l'aumento
 della durata delle pene  detentive  assoggettabili  al  regime  delle
 sanzioni  sostitutive,  "si  e' consentita l'applicazione delle dette
 sanzioni" prescindendo dall'entita' della pena edittale e dall'organo
 competente a giudicare.  Il nuovo assetto non ha, peraltro, provocato
 un mutamento  della  linea  interpretativa  seguita  dalla  Corte  di
 cassazione  quanto  all'applicabilita'  delle sanzioni sostitutive ai
 reati giudicati dai tribunali militari, nonostante lo  spazio  aperto
 dalla   giurisprudenza   di   merito  inducesse  a  rimeditare  sulle
 conclusioni cui era pervenuta la sentenza n. 279 del 1987.   Piu'  in
 particolare,  il  fatto  che  il  giudice legittimato ad applicare le
 sanzioni sostitutive non sia piu' soltanto il pretore  "fa  diventare
 'normale'  la  sostituzione  delle  pene  con  le  suddette misure in
 presenza di reati punibili entro  certi  limiti  edittali",  rendendo
 cosi'  non  piu' giustificabile la sottrazione dei soggetti giudicati
 con il rito militare; tanto piu' che il  nuovo  codice  di  procedura
 penale  ha  consistentemente "avvicinato i due processi penali".  Del
 resto, la specificita' dell'ordinamento penale  militare  non  appare
 piu' consentire una simile differenza di disciplina. Infatti, mentre,
 da  un  lato,  il  richiamo alla pretesa "inammissibilita' della pena
 pecuniaria",  non  costituisce  un  dato  ontologicamente   ostativo,
 essendo  rinvenibili,  nel sistema del diritto penale militare, norme
 "che vi fanno (o  vi  hanno  fatto  espresso  riferimento  (art.  410
 C.P.M.P.;  artt.  150 e 152 D.P.R. n. 237/1964)", dall'altro lato, lo
 status di militare e la  finalita'  della  reclusione  militare,  non
 rappresentano  un  ostacolo  insuperabile  ai  fini dell'applicazione
 delle sanzioni sostitutive, potendosi profilare meccanismi  in  grado
 di  consentire  lo  svolgimento  del  "servizio militare" in costanza
 delle  sanzioni  stesse,  mentre  la  peculiarita'  della  reclusione
 militare   non   deve  necessariamente  condurre  "all'esecuzione  in
 carcere".   2. - Nel  corso  dell'udienza  preliminare  a  carico  di
 Pettinato Pier Luigi, imputato di furto militare aggravato, la difesa
 del  Pettinato  chiedeva  l'applicazione  della  pena ex art. 444 del
 codice di procedura penale, pena da sostituirsi a norma dell'art.  53
 e  seguenti  della  legge  24 novembre 1981, n. 689, nella pena della
 multa.  Il  Pubblico   ministero   negava   il   suo   consenso   per
 l'inapplicabilita'  ai  reati  militari  delle  dette  sanzioni.   Il
 Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale  militare  di
 Padova  ha  allora sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
 comma, della Costituzione, questione  di  legittimita'  dell'art.  53
 della  legge  n.  689  del 1981, come modificato dal decreto-legge 14
 giugno 1993, n. 187, "nella parte in cui esclude l'applicazione delle
 sanzioni sostitutive ai reati militari".   L'ordinanza di  rimessione
 muove  anch'essa  dal  nuovo assetto normativo derivante dal decreto-
 legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito dalla legge 12 agosto  1993,
 n. 296, segnalando che, a seguito dell'abrogazione dell'art. 54 della
 legge  n.  689  del  1981,  "non  risulta  piu'  alcun  dato ostativo
 all'applicazione delle sanzioni sostitutive da  parte  dei  Tribunali
 militari";  in  particolare  quell'ostacolo  che aveva determinato la
 Corte costituzionale a dichiarare, a  suo  tempo,  l'inammissibilita'
 della  questione.   Poiche', peraltro, il "diritto vivente" derivante
 da un costante indirizzo interpretativo della Corte di cassazione  e'
 nel  senso  dell'inapplicabilita' delle sanzioni sostitutive, sia che
 le dette misure non siano applicabili davanti ai  tribunali  militari
 sia  che  esse  non  trovino applicazione solo relativamente ai reati
 militari da chiunque commessi, il giudice a quo ravvisa nell'art.  53
 della legge n. 689 del 1981, cosi' come interpretato, contrasto con i
 parametri  costituzionali  sopra  indicati.    Ove si acceda al primo
 indirizzo interpretativo, il principio  di  eguaglianza  risulterebbe
 vulnerato perche' da un dato meramente accidentale, quale il giudizio
 instauratosi  per  effetto della connessione, deriva l'applicabilita'
 delle sanzioni sostitutive che resta, invece,  preclusa  in  mancanza
 "del  menzionato  vincolo  processuale".    Se,  poi, non operando la
 connessione, al civile, giudicato dal giudice ordinario per  concorso
 in un reato militare, venga applicata la sanzione sostitutiva, negata
 al  militare per essere lo stesso giudicato da un tribunale militare,
 la disparita' di trattamento diviene  ancor  piu'  evidente,  fino  a
 raggiungere  la sistematicita' nel caso di concorso in reato militare
 tra militare infradiciottenne e  militare  maggiorenne.    Un'analoga
 disparita' di trattamento sarebbe ravvisabile ove si segua il diverso
 indirizzo  interpretativo,  solo  considerando la categoria dei reati
 obiettivamente militari (art. 37 del codice penale militare di  pace)
 i  quali,  nei  loro elementi costitutivi, sono, in tutto o in parte,
 previsti dalla legge penale  comune.  Senza  che  il  maggior  rigore
 sanzionatorio  possa  essere  giustificato dalla qualita' di militare
 del soggetto attivo: anche un civile  puo',  infatti,  commettere  un
 reato  militare,  mentre  al  militare  "spettano  i  diritti  che la
 Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini  (art.  3  della
 legge  11  luglio  1978,  n.  382)".    L'art. 27, terzo comma, della
 Costituzione resterebbe, a sua volta, compromesso perche' negando  al
 militare - solo per la sua qualita' - l'applicabilita' delle sanzioni
 sostitutive  gli si preclude l'utilizzabilita' di un regime che ha lo
 scopo  di  rieducare  il  condannato  per  reati  comuni  di  modesta
 gravita', senza che in ogni caso sussista una situazione di effettiva
 incompatibilita'tra   status  di  militare  e  sanzioni  sostitutive.
 L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale, n. 8, prima serie speciale, del 22 febbraio
 1995.   3. - Al  termine  delle  indagini  preliminari,  il  Pubblico
 ministero  presso  il  Tribunale militare di Roma chiedeva al Giudice
 per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale  il  rinvio  a
 giudizio  di  Flore  Luciano  per il reato di cui all'art. 8, secondo
 comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sostituito  dall'art.  2
 della  legge  24  dicembre 1974, n. 695.   All'udienza preliminare il
 difensore  formulava  richiesta  di  "patteggiamento"  domandando  la
 sostituzione  della  pena richiesta con la sanzione sostitutiva della
 liberta' controllata. A tale richiesta aderiva il Pubblico ministero.
 Il giudice a quo ha, allora, sollevato,  in  riferimento  all'art.  3
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689,  "nella  parte  in
 cui  non  prevede  l'applicabilita'  delle sanzioni sostitutive per i
 reati militari".  Contesta il Giudice rimettente che alla stregua del
 nuovo assetto normativo, dal quale e' scaturito un  diverso  tipo  di
 legittimazione  quanto  all'applicabilita' delle sanzioni sostitutive
 (e' stato abrogato l'art.  54  della  legge  n.  689  del  1981,  che
 attribuiva  solo  al  pretore  il  potere  di  applicare  le sanzioni
 sostitutive),  possa  piu'  trovare  applicazione  il  decisum  della
 sentenza  costituzionale  n.   279 del 1987. Una linea interpretativa
 ingiustificatamentenon  incisa  dalle  decisioni   della   Corte   di
 cassazione  che, attestate alla pronuncia della Corte costituzionale,
 non  hanno  individuato  il   novum   scaturente   dagli   interventi
 legislativi  sull'art.  54  della  legge n.   689 del 1981.  Donde la
 violazione  del  principio  di  eguaglianza  per  la  disparita'   di
 trattamento  "tra  imputato  per  reati  comuni  e imputato per reati
 militari", una discriminazione che "puo' trovare giustificazione solo
 in esigenze specifiche, del consorzio militare e non  nell'apodittica
 affermazione  della  specialita' della materia".   4. - Nel corso del
 dibattimento a carico di De Francesco Pierpaolo, imputato di  lesioni
 personali   e  di  ingiuria,  il  Tribunale  militare  di  Verona  ha
 denunciato,   in   riferimento   all'art.   3   della   Costituzione,
 l'illegittimita' dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981,  n.  689,
 come modificato dall'art. 5 del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187,
 convertito  dalla  legge  12 agosto 1993, n. 296, "nella parte in cui
 non prevede l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive,  di  cui  al
 medesimo   articolo,  ai  procedimenti  penali  avanti  ai  Tribunali
 militari".  Il procedimento proviene dal rinvio da parte della  Corte
 di  cassazione  la  quale  aveva annullato la sentenza del giudice di
 merito che, dopo avere, sull'accordo delle parti, applicato  la  pena
 richiesta,   aveva   irrogato  la  sanzione  sostitutiva  della  pena
 pecuniaria (in sostituzione della pena  di  mesi  uno  di  reclusione
 militare). Secondo la Corte, invece, cosi' operando, il giudice a quo
 avrebbe  violato l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 - che preclude
 l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive ai reati militari - cosi'
 da  far  venir  meno  uno  dei  presupposti  della  pena  patteggiata
 costituito,  appunto,  dall'applicabilita'  anche  ai  reati militari
 delle sanzioni sostitutive.   Il Tribunale  ritiene  vulnerato  dalla
 norma  cosi'  come  interpretata  dalla  Cassazione  il  principio di
 eguaglianza,  perche'  l'imputato  di  reati  militari  si  trova  in
 posizione  deteriore  rispetto  all'imputato  di  reati  comuni,  non
 potendo utilizzare il  trattamento,  "chiaramente  piu'  vantaggioso"
 riservato  agli  imputati  del  secondo tipo, nonostante gli ostacoli
 all'applicabilita'  delle  sanzioni  sostitutive   siano   privi   di
 fondamento.  Sia  perche'  la  specificita' dell'ordinamento militare
 "non appare contrastante con l'applicazione di  una  pena  pecuniaria
 sia   perche'  reclusione  militare  e  reclusione  comune  "hanno  a
 fondamento le medesime ragioni afflittive e riabilitative", sia,  in-
 fine,  perche'  la  legge  n.  296  del  1993  "ha eliminato i limiti
 precedentemente stabiliti  circa  l'organo  che  puo'  infliggere  le
 sanzioni sostitutive".
    5.  -  In  tutti  i giudizi, ad eccezione di quello instaurato dal
 Tribunale  militare  di  Roma,  e'  intervenuto  il  Presidente   del
 Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 Generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
 inammissibile  o,  comunque, infondata.   Relativamente alla denuncia
 incentrata sull'art.  3  della  Costituzione,  l'Avvocatura  generale
 dello  Stato  sostiene che non sarebbero assolutamente venute meno le
 ragioni  preclusive  alla  pronuncia  richiesta  dalle  ordinanze  di
 rimessione;  e cio' stando alla costante linea interpretativa seguita
 dalla Corte di cassazione che ha reiteratamente rimarcato l'autonomia
 che contrassegna il sistema sanzionatorio della  giustizia  militare.
 D'altro  canto,  all'abrogazione  dell'art. 54 della legge n. 689 del
 1981 non puo' essere assegnato  un  ruolo  che  ecceda  l'ambito  del
 sistema ove esso e' destinato ad operare, senza che divenga possibile
 per questa Corte intervenire con una pronuncia additiva, non essendo,
 oltre  tutto,  contestabile la diversita' delle condizioni soggettive
 ed oggettive che presiedono  al  sistema  della  giustizia  militare,
 "prima  ancora  che  al suo apparato sanzionatorio e che si oppongono
 all'estensione di regole aventi, fra l'altro, specifica e contingente
 giustificazione, proprio di un altro  sistema  e  di  altro  apparato
 sanzionatorio".  Circa, poi, la dedotta violazione dell'art. 27 della
 Costituzione   (parametro   invocato  dal  Giudice  per  le  indagini
 preliminari presso il Tribunale  militare  di  Padova),  l'Avvocatura
 addebita  al rimettente di non avere enunciato chiaramente le ragioni
 per  cui  la  mancata sostituzione della pena detentiva farebbe venir
 meno la funzione rieducativa della pena; un'affermazione che potrebbe
 essere ritenuta valida in via di  principio  soltanto  riconducendola
 alla  diversa  tematica "della rispondenza in via generale della pena
 detentiva alla funzione di rieducazione". Cosi' da  reintrodurre  una
 questione  avente  come esclusivo punto di riferimento l'art. 3 della
 Costituzione.
                        Considerato in diritto
    1. -  Le  quattro  ordinanze  in  epigrafe  sollevano  un'identica
 questione.  I  relativi  giudizi  vanno,  quindi,  riuniti per essere
 decisi con un'unica sentenza.
    2. - Comune oggetto  di  censura  e'  l'art.  53  della  legge  24
 novembre  1981,  n.  689,  nel testo sostituito ad opera dell'art. 5,
 comma 1, del decreto-legge 14 giugno 1993, n.  187,  convertito,  con
 modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, nella parte in cui
 non  prevede  l'applicazione  delle  sanzioni  sostitutive delle pene
 detentive brevi ai reati  militari.  Per  la  verita',  talune  delle
 ordinanze  di  rimessione fanno riferimento alla mancata applicazione
 delle dette sanzioni "ai procedimenti penali  instaurati  davanti  ai
 tribunali  militari";  il  che peraltro, non modifica i termini della
 questione,  risultando  la   giurisdizione   militare   rigorosamente
 attestata  alla  cognizione  dei  reati militari commessi da soggetti
 appartenenti alle Forze armate (v. art.  103,  ultimo  comma,  ultima
 parte,  della  Costituzione).    Tutti  i  giudici a quibus lamentano
 violazione dell'art. 3 della Costituzione ora sotto il profilo  della
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra  imputati militari e
 imputati comuni ora sotto il profilo della intrinseca  irrazionalita'
 della  disciplina  denunziata.    E  cio' anche chiamando in causa le
 novazioni normative che hanno attinto l'art. 53 della  legge  n.  689
 del  1981, in forza del gia' ricordato decreto-legge n. 187 del 1993,
 convertito dalla legge n.   296 del 1993  che,  oltre  ad  elevare  i
 limiti  di pena ai fini dell'applicazione delle sanzioni sostitutive,
 hanno esteso la competenza ad irrogarle a qualsiasi giudice,  laddove
 l'art. 54 della legge n. 689 del 1981, abrogato dall'art. 5, comma 1-
 bis,  del  detto decreto-legge, consentiva la sostituzione della pena
 detentiva "quando si tratti di reati di competenza del pretore, anche
 se giudicati, per effetto della connessione, da un giudice  superiore
 o  commessi  da  persone  minori  degli  anni  diciotto".    Piu'  in
 particolare, sotto il primo profilo, si e' rilevato (v.  R.O. n.  604
 del  1994)  che,  derivando dalla novazione normativa la "normalita'"
 del  regime  delle  sanzioni  sostitutive,   l'irrazionalita'   della
 differenza  di  trattamento fra militari e civili, gia' stigmatizzata
 dalla   sentenza   n.   279   del   1987,   che   aveva    dichiarato
 l'inammissibilita' della questione, avrebbe raggiunto un livello tale
 da  non  consentire  l'ulteriore  permanenza in vita della disciplina
 denunciata; considerando, oltre tutto, che gli  interventi  additivi,
 ritenuti  allora  preclusi, sarebbero divenuti praticabili per essere
 scomparsi  molti   degli   impedimenti   che   si   opponevano   alla
 dichiarazione  di  illegittimita',  anche  perche' il nuovo codice di
 rito avrebbe "sensibilmente avvicinato i due processi  penali"  cosi'
 da  non  giustificare  una  differenziazione fondata in via esclusiva
 sullo status dell'imputato.   Due ordinanze (entrambe  del  Tribunale
 militare  di  Padova)  sostengono che l'applicabilita' delle sanzioni
 sostitutive   ai   reati   militari   scaturirebbe   dalla   semplice
 interpretazione  della legge di modifiche al sistema penale nel testo
 riformato. Un'operazione a  cui  e'  di  ostacolo  solo  il  costante
 orientamento  della  Corte  di cassazione che, pure dopo l'entrata in
 vigore del decreto-legge n.  187 del 1993, convertito dalla legge  n.
 296   del   1993,   si   e'   uniformemente   pronunciata  nel  senso
 dell'inapplicabilita' delle dette misure ai  reati  militari.  Donde,
 ancora,  una  disparita'  di  trattamento  tra  imputati  militari  e
 imputati  comuni  assolutamente  ingiustificata  per   l'assenza   di
 esigenze  specifiche del consorzio militare, la sola condizione che -
 almeno   di   regola   -   possa   far   escludere   l'illegittimita'
 costituzionale  di un trattamento differenziato ai fini penali (cosi'
 R.O. n. 755 del 1994). Un aspetto,  quello  ora  ricordato,  ritenuto
 determinante  pure  sotto  il profilo - il secondo, denunciato sempre
 con riferimento all'art. 3  della  Costituzione  -  della  intrinseca
 irrazionalita'  della  norma  censurata  (v.  R.O.  n. 604 del 1994).
 Un'ordinanza, infine (R.O. n. 75 del 1995), ritiene  vulnerato  anche
 l'art.  27,  terzo  comma, della Costituzione, in stretta connessione
 con l'affermata violazione del principio di eguaglianza;  e  cio'  in
 quanto,  una  volta che si sia riconosciuta alle sanzioni sostitutive
 la finalita' di rieducare il condannato per reati comuni  di  modesta
 gravita',  risulterebbe davvero incongruo non applicare tali sanzioni
 ai  reati  militari  connotati  da  caratteristiche   sostanzialmente
 identiche.
    3.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato,  intervenendo  per il
 Presidente del Consiglio dei ministri  in  tre  dei  quattro  giudizi
 (precisamente  quelli  introdotti  da R.O. n. 604 del 1994, n. 75 del
 1995 e n. 80 del 1995), ha  dedotto  l'inammissibilita'  (e,  in  via
 subordinata,   l'infondatezza)   della   questione,  in  quanto  gia'
 dichiarata inammissibile da questa Corte  con  sentenza  n.  279  del
 1987.  I  due "eventi normativi" evidenziati dai giudici a quibus non
 assumerebbero alcuna valenza decisiva ai fini della  soluzione  della
 questione  stessa.  Non  l'entrata  in vigore del codice di procedura
 penale, non essendo modificate le ragioni di  fondo  che,  conferendo
 autonomia  al  regime sanzionatorio della giustizia militare, rendono
 ragionevole l'applicazione di criteri piu'  rigorosi  nell'ambito  di
 esso; non il decreto-legge n. 187 del 1993, convertito dalla legge n.
 296  del  1993,  che  ha  soltanto determinato una concentrazione dei
 criteri che, all'interno del  sistema  delineato,  ed  esclusivamente
 entro di esso, presiedevano alla sostituzione della pena. Rimarrebbe,
 dunque,  immutata  l'impossibilita'  di un intervento in via additiva
 per la pluralita' di scelte discrezionali riservate,  come  tali,  al
 legislatore.      Ne',  ancora,  secondo  l'Avvocatura,  qualsivoglia
 elemento di novita' proverrebbe dal richiamo, contenuto in una  delle
 ordinanze  di  rimessione,  alla funzione rieducativa della pena, che
 potrebbe acquistare un qualche rilievo solo se  ricondotta  nell'area
 dell'art.     3  della  Costituzione,  relativamente  alla  quale  la
 specificita' del diritto penale militare  viene  a  rappresentare  un
 ostacolo insormontabile per qualsiasi decisione di accoglimento.
    4. - La questione e' fondata.
    Vanno,  anzitutto, condivise le deduzioni dell'Avvocatura generale
 dello Stato circa il rilievo delle innovazioni normative invocate dai
 giudici a quibus a dimostrazione di un assetto cosi'  strutturato  da
 consentire un intervento additivo della Corte.  Ed invero, mentre del
 tutto  generico risulta il richiamo al codice di procedura penale del
 1988,  non  sembra che l'abrogazione dell'art.  54 della legge n. 689
 del 1981 offra un  contributo  decisivo  in  grado  di  superare  gli
 ostacoli  gia'  ampiamente enucleati dalla sentenza n.  279 del 1987,
 non foss'altro perche' le  previsioni  "novellate"  risultano  sempre
 predisposte con esclusivo riferimento ai reati comuni, come - a parte
 ogni  ulteriore considerazione - univocamente emerge dal regime delle
 esclusioni oggettive di cui all'art. 60 della legge n. 689 del  1981,
 rimasto indenne da ogni intervento legislativo. Del resto, sulla base
 della stessa ratio decidendi posta a fondamento della sentenza n. 279
 del  1987,  la  Corte,  prima ancora che la disciplina delle sanzioni
 sostitutive venisse in parte riscritta dal  legislatore,  aveva,  con
 ordinanza n. 230 del 1990, gia' contestato - dichiarando la manifesta
 inammissibilita'   della   medesima  questione  -  che  la  "semplice
 "eliminazione dall'ordinamento dell'art.  54 della legge n.  689  del
 1981"   rappresentasse  "una  via  praticabile  o  costituzionalmente
 obbligata per  la  risoluzione"  del  quesito  prospettato.  Un  tale
 intervento  "ablativo",  infatti,  avrebbe  "l'effetto  di modificare
 l'intero sistema di identificazione dei reati per cui sono ammesse le
 pene sostitutive, privandolo di uno  dei  due  cardini  su  cui  l'ha
 imperniato   il   legislatore   (l'entita'  della  pena  edittale  da
 quantificarsi con riferimento alla sfera della competenza  pretorile)
 e  risolvendosi  in  una  integrale  ridefinizione della normativa in
 questione". Cosi' da rendere chiaro come non il  solo  fatto  che  le
 sanzioni sostitutive risultassero applicabili esclusivamente ai reati
 di  competenza del pretore costituisse dato ostativo ad una pronuncia
 d'illegittimita'.  Cio' e' tanto vero che nella sentenza n.  279  del
 1987   si   riscontrarono   quali   ulteriori  ostacoli  al  fine  di
 rintracciare una soluzione costituzionalmente obbligata, da un  lato,
 la  insuscettivita' di rendere applicabili le esclusioni oggettive di
 cui all'art. 60 della legge n. 689 del  1981,  dall'altro  lato,  una
 serie  di  "difficolta',  non  decisive  ma  comunque non agevolmente
 superabili", a partire "dalla non previsione di pene  pecuniarie  nel
 codice   penale   militare   di  pace,  che  renderebbe  problematica
 l'operativita' della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria", per
 finire  con  i  "particolari  contenuti  delle  altre  due   sanzioni
 sostitutive, la semi-detenzione e la liberta' controllata, non sempre
 adeguabili  allo  stato  di  militare". Se ne deve, dunque, trarre la
 conclusione che non la sola  mancata  previsione  dell'applicabilita'
 delle  sanzioni  sostitutive  ai reati militari precludesse l'effetto
 "estensivo" allora invocato ma che tale effetto  non  fosse  comunque
 raggiungibile    attraverso    una    pronuncia   di   illegittimita'
 costituzionale  per  l'impossibilita'  di  disporre  di   un   quadro
 normativo   in  grado  di  dare  regolamentazione  -  sia  pure  solo
 interlocutoriamente  -  alla   disciplina   risultante   dall'effetto
 caducatorio.     Ora  cio',  se  conferma  l'impraticabilita'  di  un
 intervento additivo, comprova pure come sia impossibile percorrere un
 itinerario interpretativo diverso da quello  seguito  dalla  costante
 giurisprudenza    di    legittimita'   anche   successivamente   agli
 "aggiustamenti" normativi piu' volte ricordati. Del che i  giudici  a
 quibus,  con  argomentazioni non sempre coincidenti e talora pure con
 enunciazioni critiche rispetto a  quello  che  puo'  dirsi  ormai  il
 "diritto  vivente",  mostrano  di essere consapevoli. A differenza di
 altri tribunali militari che hanno direttamente applicato quello che,
 nello specifico, era da loro considerato lo  ius  novum,  essi  hanno
 ritenuto  di  sollevare  questione di legittimita' proprio sulla base
 della  soluzione  ermeneutica  adottata  dalla  Corte  di  cassazione
 attestata  a  decisa  corrispondenti  a  quelli enunciati nel sistema
 antecedente alla riforma.
    5. - La permanente impossibilita' di pervenire ad un intervento di
 tipo  additivo  non  e',  pero',  di  ostacolo   alla   dichiarazione
 d'illegittimita'  costituzionale  per  contrasto  con il principio di
 eguaglianza, sotto il  profilo  della  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento  -  restando  in  tal modo assorbiti gli altri profili di
 illegittimita' denunciati - dell'art.  53  della  legge  24  novembre
 1981,  n.  689, nella parte in cui non prevede l'applicabilita' delle
 sanzioni sostitutive ai reati militari.  Gia' la sentenza n. 279  del
 1987  ebbe  ad affermare come la declaratoria di inammissibilita' cui
 era giocoforza pervenire andava  considerata  soluzione  "sicuramente
 inappagante  per  i quesiti che la giustizia propone con giustificata
 preoccupazione", richiamando "l'attenzione del legislatore sull'ormai
 indifferibile esigenza  di  dare  alla  materia  in  esame  una  piu'
 adeguata normativa".  Il fatto che, a distanza di circa otto anni, il
 legislatore non abbia ritenuto di dare alcuna regolamentazione ad una
 materia  del  cui  attuale  immodificato  assetto  questa Corte aveva
 indicato  il  grave  contenuto  discriminatorio  nei  confronti   dei
 condannati  militari  (nessuna  proposta  o disegno di legge risulta,
 infatti,  presentato)  rende   doveroso   disporre   che   una   tale
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento non abbia ulteriormente a
 protrarsi; il tutto secondo la linea gia' tracciata dalla  precedente
 pronuncia  d'inammissibilita'  attenta a rimarcare, nell'ottica della
 decisione   "manipolativa",   come   non   vi   fosse    posto    per
 quell'intervento  richiestole,  ma  che  tuttavia,  "fra le non poche
 carenze addebitabili al settore quella della mancata regolamentazione
 delle sanzioni sostitutive per le pene militari brevi non e'  ne'  la
 meno grave ne' la meno bisognosa di urgente soluzione".
    6.   -  Senonche',  ferma  restando  la  caducazione  della  norma
 censurata e la conseguente applicabilita'  anche  ai  reati  militari
 delle  sanzioni sostitutive - secondo le modalita' che verranno defi-
 nite dal legislatore e nei limiti di  pena  stabiliti  dall'art.  53,
 primo,  secondo e quarto comma, della legge n. 689 del 1981 - residua
 l'esigenza di comporre le antinomie emergenti tra il sistema  dettato
 dalla legge di modifiche al sistema penale e le particolari categorie
 di soggetti nei confronti dei quali le ulteriori norme della legge n.
 689  del  1981  devono  essere  applicate. Con la conseguenza che gli
 altri precetti della stessa legge che dettino prescrizioni in materia
 di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi saranno riferibili
 anche ai reati militari,  alla  condizione  che  esse  non  risultino
 incompatibili  con  la  posizione  soggettiva  del condannato. Rimane
 riservato   al   legislatore,   nel   rispetto   del   principio   di
 ragionevolezza  e degli altri princip/' costituzionali, il compito di
 apprestare  una  disciplina  che  adegui  il  regime  delle  sanzioni
 sostitutive  sia  alle  peculiari  finalita'  rieducative  della pena
 militare sia al particolare  status  del  condannato.  Un  intervento
 divenuto   ormai   davvero   indifferibile  anche  in  vista  di  non
 determinare, in conseguenza del vuoto normativo, una nuova disparita'
 di trattamento, questa volta  a  favore  dei  militari  e  non  certo
 addebitabile  al  decisum  della Corte. Si allude, in particolare, al
 regime delle esclusioni oggettive, relativamente ai reati che abbiano
 una  corrispondenza  teleologica  nel  codice penale militare di pace
 rispetto alle previsioni dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981  (o
 ad altre esclusioni che il legislatore, nell'esercizio del suo potere
 discrezionale,   riterra'   di  introdurre).  Sempre  nell'ottica  di
 un'effettiva rispondenza  alla  funzione  afflittiva  delle  sanzioni
 sostitutive  non  si  potra',  poi,  non tener conto di quelle che la
 sentenza n. 279 del 1987 indico'  come  condizioni  ostative  ad  una
 pronuncia   di  illegittimita'.     Cosi',  relativamente  alla  pena
 pecuniaria,  la  sua  estraneita'  al  sistema  penale  militare  (v.
 sentenza  n. 280 del 1987) pare, infatti, contraddetta pure dall'art.
 57, secondo comma, della legge n. 689 del  1981,  che  la  "considera
 sempre tale, anche se sostitutiva della pena detentiva". Quanto, poi,
 alla  semidetenzione  ed  alla liberta' controllata, sara' necessaria
 un'opera di adattamento in grado di modellare la forza afflittiva  di
 tali  sanzioni  allo  status  di militare. Si pensi - per indicare le
 incompatibilita' piu' eclatanti - al richiamo alla "residenza"  (art.
 55,  primo  comma,  art.  56,  primo  comma, numero 1), al divieto di
 detenere armi, munizioni ed esplosivi (art. 55, secondo comma, numero
 2, art. 56,  primo  comma,  numero  3,  una  problematica,  peraltro,
 analoga  a  quella  riguardante  gli appartenenti ai corpi armati non
 militarizzati), all'obbligo di presentarsi presso il  locale  ufficio
 di pubblica sicurezza (art. 56, primo comma, numero 2).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 53 della legge
 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),  nella  parte
 in  cui non prevede l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive delle
 pene detentive brevi ai reati militari, secondo i principi di cui  in
 motivazione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 29 giugno 1995.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
 95C0853