N. 433 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 maggio 1995
N. 433 Ordinanza emessa il 22 maggio 1995 dal commissario per la liquidazione degli usi civici della Toscana, Lazio ed Umbria nel procedimento civile vertente tra comune di Barbarano Romano e Cocchi Filippo ed altro Usi civici - Autonomia del procedimento amministrativo diretto a chiarire il regime dei beni oggetto di uso civico rispetto al processo giurisdizionale in via principale avente la stessa finalita' - Mancata previsione della sospensione del procedimento amministrativo in attesa dell'esito di quello giurisdizionale come previsto per il processo giurisdizionale incidentale - Incidenza sul diritto di difesa, sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. nonche' di indipendenza ed autonomia dei giudici speciali. (Legge 16 giugno 1927, n. 1766, art. 29; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 66). (Cost., artt. 24, 97, 104 e 108).(GU n.30 del 19-7-1995 )
IL COMMISSARIO PER LA LIQUIDAZIONE DEGLI USI CIVICI A scioglimento della riserva implicitamente presa all'udienza del 29 marzo 1995, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa demaniale avente per oggetto: accertamento qualitas soli, pendente tra: attore/ricorrente: comune di Barbarano Romano; sede o residenza: casa comunale; difensore/i: nessuno; domicilio eletto: nessuno; domicilio legale, la segreteria del commissariato; procura alle liti: nessuna, c o n t r o parte convenuta: Cocchi Filippo, nato a Roma il 12 febbraio 1929 e Cocchi Giuseppe, nato a Roma il 21 aprile 1938; sede o residenza: via Torrevecchia, 127, Roma, il primo; via dei Faggella 4, Roma, il secondo; difensore/i: avv. Rocco Rocco Pellegrino del foro di Napoli e avv. Gianfranco Graziani di Roma; domicilio eletto: p.le Clodio, 14, Roma, c/o lo studio legale Graziani; procura alle liti: in calce alla memoria di costituzione 20 aprile 1994. MOTIVAZIONE 1. - Con ricorso depositato in segreteria il 10 dicembre 1993, il sindaco pro-tempore del comune di Barbarano Romano chiedeva a questo giudice di accertare la natura giuridica dei terreni, attualmente nel possesso di tali Cocchi Filippo e Cocchi Giuseppe, siti in quel territorio comunale e segnati a catasto al f. 3, partt. 108 e 606, della complessiva superficie di mq 33.120. Iscritto il ricorso a ruolo, lo scrivente commissario disponeva procedersi al richiesto accertamento, ordinando la comparizione personale delle parti per l'udienza del 23 aprile 1994; quivi, i due fratelli Cocchi si costituivano depositando fascicolo con comparsa e documenti. Va preliminarmente osservato che la domanda introduttiva fa riferimento alla delibera di autorizzazione 20 novembre 1993, n. 400 della giunta municipale, dove, tuttavia, le terre oggetto del contendere sono indicate con dati catastali diversi da quelli del ricorso. Tale differenza e' indubbiamente da imputare ad un errore materiale, come risulta anche dal fatto che il ricorso, iscritto al protocollo del comune di Barbarano al n. 3885 del 23 novembre 1993, e' firmato dalla stessa persona (il sig. Giulio Menghini), che tre giorni prima aveva presieduto in qualita' di sindaco la giunta comunale deliberante; e, se pure tale sottoscrizione non e' stata autenticata dal difensore o dal segretario comunale, per il concorso delle sottolineate circostanze nessun dubbio puo' sussistere sulla identita' del ricorrente. L'accertata provenienza del ricorso e la dichiarata intenzione dell'amministrazione di limitare la domanda alle terre, che i signori Cocchi effettivamente possiedono, consentono di escludere ogni dubbio anche sull'oggetto del contendere, che va definitivamente identificato - in base alle stesse dichiarazioni di parti convenute - nei terreni iscritti a catasto al f. 3, partt. 59, 60 e 108 (cfr. memoria di costituzione del 23 aprile 1994). Non vi e' dunque quella incertezza assoluta o insanabile sulle persone o sui terreni oggetto del contendere, che, secondo il disposto dell'art. 31, comma 4, della legge 16 giugno 1927, n. 1766, puo' determinare la nullita' del procedimento. Nel costituirsi in giudizio, i signori Cocchi, dopo aver fatto le dovute precisazioni in ordine alla errata indicazione dei terreni controversi, preferivano affrontare la causa nel merito, adducendo a proprio favore, nell'ordine, la certificazione rilasciata il 12 dicembre 1988 dall'allora assessore regionale agli usi civici Pietro Federico; altra certificazione, di natura urbanistica, rilasciata dallo stesso sindaco di Barbarano Romano il 6 febbraio 1990; documentazione di carattere storico, attestante il regime cui le terre in questione erano soggette nel corso dello scorso secolo e sotto il precedente ordinamento. Soprattutto da quest'ultima documentazione, parti convenute traggono la conclusione che le terre in questione fanno parte, dall'origine, del patrimonio privato (o disponibile) del comune di Barbarano e che, in ogni caso, la servitu' civica di pascolo, su di esse in precedenza eventualmente gravante, e' stata oggetto di antica e completa affrancazione. Su tali conclusioni, formulate fin dal 20 aprile 1994, non si costituiva alcun contraddittorio, poiche' il comune di Barabarano, pur debitamente informato della vicenda processuale, restava assente; di conseguenza, il commissario disponeva la comparizione personale del sindaco pro-tempore, sig. Giulio Menghini, per l'udienza del 14 dicembre 1994. E' a questa udienza che la controversia prende il suo orientamento definitivo; oltre ai signori Cocchi, compaiono, infatti, il sindaco Menghini e tale sig. Luigi Ranucci, nominato dalla regione Lazio istruttore perito per le terre di Barbarano. Mentre il Menghini nulla deduceva nel merito, quest'ultimo chiariva che i lavori di sistemazione demaniale, a lui affidati, erano in via di completamento e che comunque egli avrebbe depositato il proprio elaborato entro i successivi tre mesi - almeno per stralcio. In effetti, all'udienza del 29 marzo 1995, il Ranucci depositava "relazione riguardante lo stato giuridico delle terre del comune di Barbarano, site in localita Macchia Cesata, concesse in affitto novantanovennale, con l'obbligo di miglioria, ai cittadini di Barbarano Romano nell'anno 1894" - cioe' uno stralcio della generale relazione di verifica, a lui commissionata dall'amministrazione regionale Lazio per il territorio del comune citato. Tra le terre prese in considerazione dal Ranucci sono anche quelle censite in catasto al f. 3, partt. 59, 60 e 108, nel possesso dei signori Cocchi; a parere del perito demaniale, queste terre - come le altre site in localita' Macchia Cesata - si debbono considerare terre di natura allodiale (patrimoniale), in quanto con la decisione della giunta d'arbitri di Viterbo del 24-27 giugno 1894 si evince che il terreno e' stato affrancato dalle servitu' civiche. Inoltre, nella relazione del perito istruttore geometra Ginnasi, nominato con decreto commissariale del 13 dicembre 1933, consegnata a codesto commissariato in data 6 febbraio 1935 ( ..), si rileva che le terre in oggetto sono libere da usi civici. La seconda conclusione e' contenuta nella prima, ma nelle intenzioni del perito Ranucci, dovrebbe confermarla per l'ipotesi che non fosse condivisa la sua interpretazione della decisione della giunta d'arbitri, che omologo' l'affrancazione. Di fronte a tali conclusioni, parti convenute non concludevano nel merito, ma rilevavano la contemporanea pendenza, in sede giurisdizionale e in sede amministrativa, di "due procedimenti paralleli, entrambi tendenti ad accertare la qualitas soli delle (stesse) terre ( ..)" e, dunque, l'esistenza, in proposito, di un conflitto di attribuzioni tra il commissariato agli usi civici di Roma e la regione Lazio; piu' ancora, l'esistenza di un dubbio di legittimita' costituzionale della vigente disciplina, nella parte in cui non assicura, sul piano sostanziale, una efficace tutela giudiziaria ai diritti di carattere immobiliare, privati e collettivi, a rilievo anche paesaggistico, implicati nella vicenda (artt. 3, 9, e 24 della Costituzione), ne', sul piano strumentale, la necessaria indipendenza dell'azione giudiziaria (art. 104 e 108 della Costituzione) per rapporto all'imparzialita' e alla correttezza dell'azione amministrativa (art. 97 della Costituzione). 2. - La questione e' analoga, ma non identica, o quella prospettata dallo scrivente commissario, incidenter tantum, con ordinanza 27 marzo 1995, nel procedimento demaniale pendente tra il comune di Sutri e tali Trasatti (n. 57/9z3 r.g.). Con tale provvedimento, a proposito del rapporto e dell'articolazione reciproca delle contemporanee procedure di accertamento e liquidazione dei diritti collettivi, promosse in sede amministrativa e in sede giurisdizionale, osservava tra l'altro il giudicante: Nello schema originario della legge 16 giugno 1927, n. 1766, il commissario, quale organo titolare insieme dei poteri amministrativi e dei poteri giudiziari, poteva regolarne l'esercizio in modo da evitare sovrapposizioni e conflitti. In pratica, egli promuoveva d'ufficio, in sede amministrativa, il procedimento per la liquidazione dei diritti civici relativi ad un intero comune o ad un intero comprensorio, a tale scopo incaricando un istruttore per la formazione di un adeguato progetto. Il progetto, contenente sia le informazioni di carattere storico sugli usi civici da liquidare, sia le proposte per la loro liquidazione in natura o in denaro, veniva depositato presso la segreteria del comune o dell'associazione agraria territorialmente competenti; dell'avvenuto deposito, il comune o l'associazione davano poi avviso a ciascun interessato, sia mediante bando da affiggersi all'albo pretorio, sia mediante biglietto in carta libera, da notificare personalmente. Fin dal deposito in segreteria, gli interessati avevano diritto di prendere visione del progetto di liquidazione; i privati nel possesso del terre potevano inoltre presentare opposizione al commissario entro trenta giorni da quello dell'avvenuta notifica (art. 15 r.d. 26 febbraio 1928, n. 332). Nel caso dei signori Trasatti, costoro, in perfetta osservanza di tale disciplina, avevano presentato ricorso al commissario, entro il trentesimo giorno dopo la notifica dell'avviso di deposito della relazione istruttoria predisposta in via amministrativa; ma l'azione giudiziaria in opposizione non aveva determinato il suo effetto normale, cioe' la sospensione del procedimento amministrativo opposto. Questo era proseguito, invece, fino alla conclusione, cioe' fino alla delibera con la quale il progetto di liquidazione dei diritti civici era stato accolto dalla giunta regionale Lazio, senza tener conto della interposta opposizione. Osservava ancora il commissario che, in nessun luogo, la legge fondamentale e il relativo regolamento stabiliscono esplicitamente la sospensione obbligatoria delle operazioni amministrative in pendenza del procedimento giudiziario; tale obbligo sembra peraltro implicito nella natura stessa della giurisdizione commissariale, che ha carattere prevalentemente incidentale e accessorio alle operazioni amministrative - e' destinata, cioe', a risolvere "tutte le questioni cui dia luogo lo svolgimento di quelle operazioni" (cfr. art. 29, comma 2, della legge n. 766/27), per consentire loro di proseguire e di raggiungere il proprio termine su basi di certezza e di indefettibilita', quali solo un giudicato puo' garantire. La sospensione della procedura amministrativa era in ogni caso garantita in passato dall'unicita' dell'organo deputato a procedere; quello stesso commissario, che procedeva in via amministrativa, era anche, infatti, il giudice delle controversie sorte nel corso di quel procedimento e, quando avesse ravvisato una loro intrinseca pregiudizialita', non avrebbe certo avviato questo a conclusione, senza prima decidere quelle con sentenza. In conclusione, secondo lo scrivente commissario, il trasferimento dei poteri amministrativi alle regioni ha sconvolto la disciplina previgente, non gia' perche' astrattamente non sia ancor oggi ipotizzabile la sospensione, obbligatoria o volontaria, del procedimento amministrativo di competenza regionale, in pendenza, davanti al commissario, di un procedimento giurisdizionale, avente ad oggetto questioni pregiudiziali; bensi', perche' si e' spezzata l'unicita' dell'organo procedente e non e' stata introdotta alcuna norma atta a garantire il passaggio delle necessarie informazioni da un organo all'altro. ( ..). E' un fatto che oggi, nel sistema residuato dalle trasformazioni e modificazioni della legge 16 giugno 1927, n. 1766, non esiste alcuna disposizione atta ad evitare la pendenza, contemporanea e parallela, di due distinti procedimenti, aventi carattere, l'uno, amministrativo, l'altro, giurisdizionale, destinati a sfociare in due distinte (e potenzialmente contraddittorie) decisioni sul medesimo oggetto e tra le medesime parti. Secondo il commissario, questa inattesa concorrenzialita' tra l'iniziativa amministrativa e quella giurisdizionale finisce per caricare in maniera abnorme la discrezionalita' della prima e per revocare in dubbio, a ogni passo, gli esiti della seconda; essa, dunque, puo' confliggere almeno con i principi di imparzialita' e di correttezza che debbono caratterizzare l'azione amministrativa (art. 97 della Costituzione). Rilevava, tuttavia, a tal proposito, il commissario che a prescindere dalla illegittimita' costituzionale della normativa procedimentale, nella parte in cui consente - o non previene - il formarsi contemporaneo, in sede amministrativa e in sede giudiziaria, di due decisioni contraddittorie sul medesimo oggetto, il rilevato conflitto poteva essere risolto con gli strumenti ordinari; che, in particolare, il giudice demaniale, in quanto pervenga alla sua decisione dopo quella amministrativa, (puo') esaminare questa nel merito e disapplicarla, riaffermando il diritto soggettivo violato, ove essa sia affetta da un qualche vizio rilevante; rimanendo da essa vincolato ( ..), quando trovi quella delibera immune da ogni vizio di legittimita'. 3. - La lunga citazione era necessaria per intendere la diversa fattispecie e i diversi principi, sostanziali e processuali, implicati nella vicenda che vede protagonisti il comune di Barbarano Romano contro i signori Cocchi. 3.1. - Una prima differenza attiene al fatto che la giurisdizione commissariale e' stata, nel caso di specie, attivata dal comune di Barbarano non in opposizione agli accertamenti amministrativi, ma in via principale, prima e senza che la regione esercitasse i poteri di accertamento, che in proposito le spettano per legge. E' pacifico che il comune, quale ente rappresentativo della popolazione titolare del (preteso) diritto, sia legittimato ad agire, anche in via principale, per il suo accertamento davanti al commissario (cfr. C. cost. 8 febbraio 1995, sent. 46, par. 4). L'oggetto della contesa giudiziaria e' stabilito in questo caso senza alcun riferimento alle questioni cui potrebbe dar luogo lo svolgimento delle operazioni amministrative (cfr. art. 29, comma 2, della legge n. 1766/1927); queste ultime, d'altra parte, potrebbero in ipotesi iniziare, proseguire e raggiungere il proprio termine, senza alcun riferimento alle questioni poste dalle parti in sede giudiziaria. Nel caso in cui l'azione di accertamento demaniale sia esercitata in via principale, ben difficilmente si puo' dunque ipotizzare per l'organo regionale un obbligo tassativo e generale di sospendere l'esercizio dei paralleli poteri amministrativi o delle relative operazioni. 3.2. - In primo approccio, dunque, quando la giurisdizione commissariale sia attivata in via principale, parrebbe da escludersi ogni sorta di pregiudizialita' obbligatoria tra la decisione giurisdizionale e le operazioni amministrative di accertamento e sistemazione demaniale. Cio' che non e' obbligatorio a priori e in generale potrebbe, tuttavia, rivelarsi, in concreto, opportuno e necessario; potrebbero, in altri termini, essere poste, in sede giurisdizionale, questioni che - procedendo le operazioni amministrative - si porranno anche in questa sede. Tale evenienza non e' soltanto possibile, ma quanto mai probabile, attesa l'identita' materiale e formale delle indagini da espletare nei due procedimenti, entrambi, per ipotesi, relativi ad un identico territorio, entrambi intesi a chiarire il regime giuridico cui esso era sottoposto nei passati ordinamenti e destinati, pertanto, a valersi delle medesime fonti di prova. La medesima probabilita' sussiste anche quando - come accade nella specie - l'oggetto materiale delle indagini coincida solo parzialmente. La storia patrimoniale e fondiaria di un determinato sito, infatti, procede per insiemi piu' o meno grandi, ma in nessun caso puo' assumere significato normativo alle dimensioni degli attuali possessi catastali; al contrario, la storia dei singoli possessi fa parte di quella di piu' vasti comprensori, solo in epoche recenti oggetto di frazionamenti a loro volta significativi. E' dunque al livello delle ipotesi storiografiche piu' generali che si puo' porre e di regola si pone un problema di identita' o di continenza tra le questioni trattate nella sede giudiziaria e quelle trattate nella sede amministrativa; ma, quando esso effettivamente si ponga, sembra doversi riconoscere, se non la necessita', almeno la possibilita' della sospensione dell'uno o dell'altro procedimento. 3.3. - Anche quando la giurisdizione commissariale sia attivata in via principale, sembra dunque legittimo ipotizzare, se non una pregiudizialita' obbligatoria, almeno una sorta di pregiudizialita' facoltativa tra la decisione giurisdizionale e le parallele operazioni amministrative di accertamento. Ci si puo' chiedere a questo punto quale sia, alla luce della vigente disciplina, il procedimento suscettibile di sospensione in attesa che, nell'altro, siano decise le questioni pregiudiziali; e in assenza di una specifica previsione di legge, per rispondere a tal quesito bisogna far riferimento ai principi generali. Questi ci mostrano due procedimenti perfettamente autonomi e non comunicanti, sia per quanto attiene all'esercizio del potere di iniziativa, sia per quanto attiene alla determinazione dell'oggetto delle rispettive indagini, sia per quanto attiene alla scelta e all'assunzione dei mezzi di prova. Tale autonomia presenta soltanto un'eccezione, al giudice essendo riconosciuto il potere di disapplicare il provvedimento amministrativo che egli riconosca viziato per incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere, nelle varie articolazioni che questi vizi di legittimita' presentano secondo la dottrina e la giurisprudenza, quando cio' sia necessario per la tutela dei diritti affidati alla sua giurisdizione. Il reciproco non e' invece neppure ipotizzabile; non e' in altri termini ipotizzabile che la pubblica amministrazione dichiari la nullita' o disapplichi la decisione giurisdizionale, da qualunque vizio affetta, divenuta o meno irreformabile, per far luogo ad un provvedimento di diverso contenuto in ordine ai diritti oggetto dell'indagine. Le considerazioni teste' svolte appaiono decisive per la soluzione del nostro problema. In altri termini, stante la maggior resistenza della decisione giudiziaria, che appare in grado di prevalere presto o tardi su quella amministrativa, e' auspicabile che sia il procedimento amministrativo a subire sospensione in attesa della formazione di un giudicato formale sulle questioni pregiudiziali trattate nell'altra sede. 3.4. - Questa conclusione, da tenersi per valida in caso di esercizio della giurisdizione in via principale, e' analoga a quella prevista dallo stesso legislatore per il caso di esercizio della giurisdizione in via incidentale - quando, come sappiamo, sono sottoposte all'esame del commissario-giudice "tutte le questioni cui dia luogo lo svolgimento (delle operazioni amministrative)" (cfr. art. 29, comma 2, della legge n. 1766/1927), per consentir loro di proseguire sulla base di una decisione irreformabile. Sappiamo d'altra parte che, oggi, anche in questo diverso caso, essendosi spezzata l'unicita' dell'organo procedente, la sospensione del procedimento amministrativo e' una remota e improbabile eventualita'; dal procedimento tra il comune di Barbarano e i signori Cocchi, apprendiamo inoltre, per facta concludentia, che, venuta in qualche modo a conoscenza della pendenza di un procedimento giurisdizionale promosso in via principale dal comune interessato, la regione, nonche' sospendere le indagini amministrative gia' in corso, puo' giungere a promuoverne di nuove, del medesimo oggetto, in sede amministrativa e ad offrirne i risultati al giudicante come materiale probatorio, con cio' stesso proponendo al commissario di evitare ogni ulteriore indagine in sede giurisdizionale e di adeguarsi ai risultati di quelle amministrative. Non basta. Dal contenuto stesso della relazione Ranucci emerge che l'accertamento richiesto dal comune di Barbarano era stato gia' effettuato sia, in sede giudiziaria, dalla giunta d'arbitri di Viterbo con sentenza 24-27 giugno 1894, sia, in sede amministrativa, dal perito istruttore Ginnasi, con relazione del 6 febbraio 1935, disposta dal commissario agli usi civici nel dicembre del 1933. A ben guardare, dunque, come la sospensione del procedimento amministrativo e' tutt'al piu' consigliata, non imposta dalla contemporanea pendenza di quello giudiziario del medesimo oggetto, cosi' la formazione di un giudicato formale (ovvero l'esistenza di una qualche forma di equivalente preclusione; cfr. art. 15, commi 4 e 5 del r.d. 26 febbraio 1928, n. 332) non e' in grado di impedire il nuovo, reiterato esercizio dei poteri amministrativi di accertamento da parte della stessa regione. In tale contesto, si puo' pensare che l'accertamento giurisdizionale richiesto dal comune di Barbarano nel presente procedimento sia destinato a non diventare mai definitivo e irreformabile. Sia che il giudicante si adegui alle conclusioni ermeneutiche raggiunte dal perito Ranucci, sia che se ne discosti, dichiarando la sussistenza di quei diritti civici che il Ranucci ha negato, nulla impedirebbe infatti alla regione competente di disporre ed effettuare in futuro, nuovi accertamenti, di segno eguale od opposto, nulla vieterebbe, in particolare, che, pur senza disapplicare formalmente la decisione giurisdizionale dello scrivente, la regione vada nel merito di contrario avviso con nuove, ricorsive verifiche. 3.5. - Quest'ultima, sconvolgente possibilita' (di quotidiana occorrenza; cfr. anche l'ordinanza di cui sopra a par. 2) non riguarda piu' soltanto la problematica dei rapporti tra procedimento pregiudiziale (giudiziario) e procedimento pregiudicato (amministrativo), ma quella dell'efficacia preclusiva del giudicato in ordine all'esercizio dei poteri di accertamento amministrativo, in subjecta materia. Sotto il primo profilo, le opinioni esposte del giudicante offrono una traccia non vincolante e suggeriscono, non impongono, una soluzione interpretativa, gia' peraltro normativamente imposta nella disciplina dei rapporti tra l'accertamento amministrativo e l'accertamento giudiziario incidentale; suggeriscono, non impongono, l'individuazione di appropriate sanzioni endoprocessuali per il caso in cui, in presenza di questioni pregiudiziali, trattate in sede giurisdizionale, non si provveda in ogni caso a sospendere la promozione o la prosecuzione del procedimento amministrativo fino alla formazione del giudicato su di esse. Entro questi limiti, la questione prospettata configura soltanto un conflitto positivo di attribuzioni; ove adita dall'organo legittimato a porre la questione, la Corte dovrebbe dire, infatti, se sia prevista dal sistema una disciplina preventiva delle diverse attribuzioni, che valga ad evitare quel conflitto, ovvero se non resti al giudicante alternativa diversa dalla successiva disapplicazione del parallelo provvedimento amministrativo, in qualche modo per ipotesi viziato. Sotto il secondo profilo, si possono e si debbono prospettare, invece, rilevanti problemi di conformita' ai principi costituzionali della disciplina in tal modo ricostruita ed eventualmente integrata. Se al giudicato sulle questioni demaniali non fosse riconosciuta, infatti, efficacia vincolante anche nei confronti dell'organo regionale, competente in via amministrativa, la tutela giudiziaria dei diritti collettivi (e di quelli connessi a carattere civilistico) potrebbe essere reiteratamente frustrata mediante indagini amministrative del medesimo contenuto e dunque non sarebbe mai assicurata, con quel carattere di definitivita' che pur le spetta; in tal caso, inoltre, finirebbe per essere frustrata l'indipendenza funzionale del magistrato, le cui decisioni potrebbero venire accantonate, senza neppure essere esaminate nel merito, per far posto alle opinioni, assai meno garantite e comunque sempre soggette ad eventuale disapplicazione, di un organo amministrativo discrezionale. Per evitare le conseguenze di carattere sostanziale di tale situazione e la connessa lesione dell'art. 24, comma 1, della Costituzione, bisogna dunque riconoscere al giudicato in materia demaniale efficacia presclusiva all'esercizio dei poteri di accertamento, che non siano mai stati esercitati in sede amministrativa, ovvero efficacia interruttiva del procedimento amministrativo di accertamento che sia gia' stato promosso. Tale efficacia e' altresi' necessaria, sul piano strumentale, per garantire la necessaria indipendenza dell'azione giudiziaria (artt. 104 e 108 della Costituzione), altrimenti suscettibile di essere contestata ad ogni passo da un'iniziativa amministrativa della massima discrezionalita' e dunque molto piu' suscettibile di diventar strumento di interessi di parte (art. 97 della Costituzione). 4. - Sia consentita un'ulteriore, importante considerazione in ordine al giudicato e alla sua efficacia nei confronti della amministrazione regionale. Quest'ultima non puo' essere assimilata ad un qualsiasi terzo interessato, rimasto estraneo alla controversia giudiziaria avente ad oggetto l'accertamento dei diritti civici; innanzitutto, infatti, l'amministrazione regionale avrebbe potuto, volendo, intervenirvi in sostituzione e nell'interesse degli originari (art. 10 della legge 10 luglio 1930, n. 1078), in secondo luogo e soprattutto l'amministrazione regionale non e' portatrice di interessi propri, in contrasto con quelli oggetto della controversia, ma, essa stessa, del potere di procedere ad accertamenti analoghi a quelli giudiziari, sia pure con diversa efficacia formale. Nessun interesse o diritto sostanziale risulterebbe violato se essa fosse obbligata a prender atto che nessuna ulteriore indagine e' per il fututo necessaria, perche' l'accertamento e' stato gia' effettuato in sede giurisdizionale e in maniera irreformabile; che, in altri termini, l'esercizio dei poteri a lei affidati e' divenuto inutile perche' concorrenti (o prevalenti) poteri sono stati gia' altrove esercitati. Una simile conseguenza e' probabilmente implicita nel sistema, come dimostra la regola della sospensione obbligatoria del procedimento amministrativo, valida per il caso dell'accertamento giudiziario incidentale; regola, che si comprende e si giustifica soltanto se al giudicato sia riconosciuta, in questa materia, efficacia vincolante non solo tra le parti, ma anche nei confronti dell'organo che procede o puo' procedere in sede amministrativa. Una simile soluzione, oltre ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali, impedirebbe la moltiplicazione strumentale degli accertamenti amministrativi e, senza escluderli, ricondurrebbe i relativi poteri regionali al solo caso in cui, per un determinato comune o per un determinato comprensorio, non si sia mai in precedenza provveduto. 5. - Della rilevanza della sollevata questione non si puo' dubitare, sol che si consideri che - nel caso di specie - a) l'istruttoria amministrativa e' arrivata ad una sua parziale conclusione e che, addirittura, b) si pretende di imporne i risultati al giudicante, producendo in giudizio la relazione peritale redatta per incarico della regione. Quest'ultimo profilo puo' essere affrontato e risolto alla stregua del comune diritto processuale, che non permette la formazione delle prove fuori del procedimento; sotto il primo, invece, il riesame della normativa vigente e' indispensabile per assicurare anche ai diritti oggetto del presente procedimento quella tutela definitiva, che e' carattere intrinseco della giurisdizione e che, altrimenti, potrebbe in ogni tempo essere negata dall'amministrazione regionale anche con riferimento alla sentenza, destinata a concluderlo. Del resto, anche se l'accertamento amministrativo fosse configurato come una sorta di pregiudiziale, in mancanza della quale non sarebbe possibile il ricorso alla giurisdizione commissariale, al commissario, adito in via principale, sarebbe comunque interdetta ogni decisione sul merito; anche in tal caso, inoltre, non potrebbe essere evitato il problema dell'efficacia preclusiva, sul nuovo procedimento amministrativo, dei pregressi giudicati o dei pregressi accertamenti amministrativi non opposti. Infine, e piu' radicalmente, poiche' l'accertamento amministrativo non e' assistito dalle connotozioni di stretta legalita', che solo convengono alla tutela dei diritti soggettivi, e poiche' d'altra parte esiste un giudice indubbiamente competente, anche in via principale, a conoscere di quei diritti, ci si puo' chiedere il senso di tale concorrente attribuzione. Essa contrasta, come si e' visto, con gli artt. 24/1, 97/1, 104/1 e 108/2 della Costituzione; ove questa prospettiva fosse fondata, non solo andrebbe riaffermata l'esclusiva competenza commissariale a conoscere del merito, ma dovrebbe altresi' dichiararsi la radicale illegittimita' degli accertamenti disposti ed effettuati in via amministrativa dalla regione Lazio per il comune di Barbarano Romano. Sotto tutti questi profili, appare confermata la rilevanza della prospettata questione. 6. - Va da ultimo esaminata la domanda di regolamentazione provvisoria dei possessi, prospettata da parti convenute nell'ultima memoria difensiva. Questi possono essere loro mantenuti, anche nelle more del presente processo, con tutte le facolta' previste dalla normativa civilistica, finanziaria ed urbanistica vigente; in particolare, non e' necessario imporre ai fratelli Cocchi il divieto di edificare, se l'edificazione sia consentita dalle ordinarie regole urbanistiche ed essi abbiano conseguita la necessaria concessione edilizia. Manca infatti allo stato ogni prova che le terre site in loc. Macchia Cesata di Barbarano Romano siano mai appartenute a quel demanio civico ed e' improbabile che su di esse gravino ancora dei diritti civici particolari; in ogni caso, a garanzia della liquidazione di questi ultimi, e' sufficiente far divieto ai Cocchi di alienare il terreno e il costruendo edificio fino alla conclusione del presente giudizio (art. 30 della legge n. 1766/1927).
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, e 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, sollevata, ai sensi di motivazione, in rapporto agli artt. 24/1, 97/1, 104/1 e 108/2 della Costituzione; Poiche' il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle sollevate questioni, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospende il giudizio in corso e ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri; Dispone infine che del presente provvedimento sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Nelle more del procedimento mantiene a parti convenute il possesso del terreno controverso, anche con facolta' di edificarvi secondo le ordinarie regole urbanistiche, ma fa loro divieto di ogni alienazione fino alla sentenza definitiva, a garanzia del pagamento dell'eventuale corrispettivo di liquidazione e delle spese del giudizio. Roma, addi' 22 maggio 1995 Il commissario agli usi civici: CARLETTI 95C0882