N. 433 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 maggio 1995

                                N. 433
 Ordinanza  emessa  il  22  maggio  1995  dal   commissario   per   la
 liquidazione  degli  usi  civici  della  Toscana, Lazio ed Umbria nel
 procedimento civile vertente tra comune di Barbarano Romano e  Cocchi
 Filippo ed altro
 Usi civici - Autonomia del procedimento amministrativo diretto a
    chiarire  il  regime  dei  beni  oggetto di uso civico rispetto al
    processo  giurisdizionale  in  via  principale  avente  la  stessa
    finalita'  - Mancata previsione della sospensione del procedimento
    amministrativo in attesa dell'esito di quello giurisdizionale come
    previsto per il processo giurisdizionale incidentale  -  Incidenza
    sul  diritto  di  difesa,  sui  principi  di  imparzialita' e buon
    andamento della p.a. nonche'  di  indipendenza  ed  autonomia  dei
    giudici speciali.
 (Legge 16 giugno 1927, n. 1766, art. 29; d.P.R. 24 luglio 1977, n.
    616, art. 66).
 (Cost., artt. 24, 97, 104 e 108).
(GU n.30 del 19-7-1995 )
          IL COMMISSARIO PER LA LIQUIDAZIONE DEGLI USI CIVICI
   A  scioglimento  della riserva implicitamente presa all'udienza del
 29 marzo 1995, ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa
 demaniale  avente  per  oggetto: accertamento qualitas soli, pendente
 tra:
      attore/ricorrente: comune di Barbarano Romano; sede o residenza:
 casa  comunale;  difensore/i:  nessuno;  domicilio  eletto:  nessuno;
 domicilio legale, la segreteria del commissariato; procura alle liti:
 nessuna,
                              c o n t r o
      parte convenuta: Cocchi Filippo, nato a Roma il 12 febbraio 1929
 e  Cocchi  Giuseppe, nato a Roma il 21 aprile 1938; sede o residenza:
 via Torrevecchia, 127, Roma, il primo; via dei Faggella 4,  Roma,  il
 secondo;  difensore/i: avv. Rocco Rocco Pellegrino del foro di Napoli
 e avv. Gianfranco Graziani di Roma; domicilio  eletto:  p.le  Clodio,
 14,  Roma, c/o lo studio legale Graziani; procura alle liti: in calce
 alla memoria di costituzione 20 aprile 1994.
                              MOTIVAZIONE
    1. - Con ricorso depositato in segreteria il 10 dicembre 1993,  il
 sindaco  pro-tempore del comune di Barbarano Romano chiedeva a questo
 giudice di accertare la natura giuridica dei terreni, attualmente nel
 possesso di tali Cocchi Filippo  e  Cocchi  Giuseppe,  siti  in  quel
 territorio  comunale  e  segnati a catasto al f. 3, partt. 108 e 606,
 della complessiva superficie di mq 33.120.
    Iscritto il ricorso a ruolo, lo  scrivente  commissario  disponeva
 procedersi  al  richiesto  accertamento,  ordinando  la  comparizione
 personale delle parti per l'udienza del 23 aprile 1994; quivi, i  due
 fratelli  Cocchi si costituivano depositando fascicolo con comparsa e
 documenti.  Va preliminarmente osservato che la domanda  introduttiva
 fa  riferimento  alla delibera di autorizzazione 20 novembre 1993, n.
 400 della giunta municipale, dove, tuttavia,  le  terre  oggetto  del
 contendere  sono  indicate  con  dati catastali diversi da quelli del
 ricorso.  Tale differenza e' indubbiamente da imputare ad  un  errore
 materiale,  come  risulta anche dal fatto che il ricorso, iscritto al
 protocollo del comune di Barbarano al n. 3885 del 23  novembre  1993,
 e'  firmato  dalla  stessa persona (il sig. Giulio Menghini), che tre
 giorni prima aveva  presieduto  in  qualita'  di  sindaco  la  giunta
 comunale  deliberante;  e,  se  pure tale sottoscrizione non e' stata
 autenticata dal difensore o dal segretario comunale, per il  concorso
 delle  sottolineate  circostanze  nessun dubbio puo' sussistere sulla
 identita' del ricorrente.  L'accertata provenienza del ricorso  e  la
 dichiarata  intenzione  dell'amministrazione  di  limitare la domanda
 alle  terre,  che  i  signori   Cocchi   effettivamente   possiedono,
 consentono   di   escludere   ogni   dubbio  anche  sull'oggetto  del
 contendere, che va definitivamente identificato - in base alle stesse
 dichiarazioni di parti convenute - nei terreni iscritti a catasto  al
 f.  3,  partt.  59,  60  e 108 (cfr.   memoria di costituzione del 23
 aprile 1994).
    Non vi e' dunque quella incertezza  assoluta  o  insanabile  sulle
 persone  o  sui  terreni  oggetto  del  contendere,  che,  secondo il
 disposto dell'art. 31, comma 4, della legge 16 giugno 1927, n.  1766,
 puo'  determinare  la  nullita' del procedimento.  Nel costituirsi in
 giudizio, i signori Cocchi, dopo aver fatto le dovute precisazioni in
 ordine alla errata indicazione dei terreni  controversi,  preferivano
 affrontare   la   causa  nel  merito,  adducendo  a  proprio  favore,
 nell'ordine,  la  certificazione  rilasciata  il  12  dicembre   1988
 dall'allora  assessore  regionale  agli  usi  civici Pietro Federico;
 altra certificazione, di natura urbanistica, rilasciata dallo  stesso
 sindaco  di  Barbarano  Romano  il 6 febbraio 1990; documentazione di
 carattere storico, attestante il regime cui  le  terre  in  questione
 erano  soggette  nel  corso dello scorso secolo e sotto il precedente
 ordinamento.    Soprattutto  da  quest'ultima  documentazione,  parti
 convenute  traggono  la  conclusione  che le terre in questione fanno
 parte, dall'origine,  del  patrimonio  privato  (o  disponibile)  del
 comune  di  Barbarano  e  che,  in  ogni  caso, la servitu' civica di
 pascolo, su di esse in precedenza eventualmente  gravante,  e'  stata
 oggetto di antica e completa affrancazione.
    Su  tali  conclusioni,  formulate  fin  dal 20 aprile 1994, non si
 costituiva alcun contraddittorio, poiche' il  comune  di  Barabarano,
 pur debitamente informato della vicenda processuale, restava assente;
 di  conseguenza,  il  commissario disponeva la comparizione personale
 del sindaco pro-tempore, sig. Giulio Menghini, per l'udienza  del  14
 dicembre 1994.  E' a questa udienza che la controversia prende il suo
 orientamento definitivo; oltre ai signori Cocchi, compaiono, infatti,
 il sindaco Menghini e tale sig. Luigi Ranucci, nominato dalla regione
 Lazio  istruttore  perito  per  le  terre  di  Barbarano.   Mentre il
 Menghini nulla deduceva  nel  merito,  quest'ultimo  chiariva  che  i
 lavori  di  sistemazione  demaniale,  a lui affidati, erano in via di
 completamento e che  comunque  egli  avrebbe  depositato  il  proprio
 elaborato entro i successivi tre mesi - almeno per stralcio.
    In  effetti,  all'udienza del 29 marzo 1995, il Ranucci depositava
 "relazione riguardante lo stato giuridico delle terre del  comune  di
 Barbarano,  site  in  localita  Macchia  Cesata,  concesse in affitto
 novantanovennale,  con  l'obbligo  di  miglioria,  ai  cittadini   di
 Barbarano  Romano nell'anno 1894" - cioe' uno stralcio della generale
 relazione  di  verifica,  a  lui  commissionata  dall'amministrazione
 regionale Lazio per il territorio del comune citato.
    Tra le terre prese in considerazione dal Ranucci sono anche quelle
 censite  in  catasto  al  f. 3, partt. 59, 60 e 108, nel possesso dei
 signori Cocchi; a parere del perito demaniale, queste terre - come le
 altre site in localita' Macchia Cesata - si debbono considerare terre
 di natura allodiale (patrimoniale), in quanto con la decisione  della
 giunta  d'arbitri  di  Viterbo del 24-27 giugno 1894 si evince che il
 terreno e' stato affrancato dalle servitu'  civiche.  Inoltre,  nella
 relazione  del  perito  istruttore  geometra  Ginnasi,  nominato  con
 decreto commissariale del 13  dicembre  1933,  consegnata  a  codesto
 commissariato  in  data 6 febbraio 1935 ( ..), si rileva che le terre
 in oggetto sono libere da usi civici.
    La   seconda  conclusione  e'  contenuta  nella  prima,  ma  nelle
 intenzioni del perito Ranucci, dovrebbe confermarla per l'ipotesi che
 non fosse condivisa la  sua  interpretazione  della  decisione  della
 giunta d'arbitri, che omologo' l'affrancazione.
    Di fronte a tali conclusioni, parti convenute non concludevano nel
 merito,   ma   rilevavano   la   contemporanea   pendenza,   in  sede
 giurisdizionale  e  in  sede  amministrativa,  di  "due  procedimenti
 paralleli,  entrambi  tendenti  ad  accertare  la qualitas soli delle
 (stesse) terre ( ..)" e, dunque, l'esistenza,  in  proposito,  di  un
 conflitto  di  attribuzioni  tra  il commissariato agli usi civici di
 Roma e la regione Lazio; piu' ancora, l'esistenza  di  un  dubbio  di
 legittimita'  costituzionale della vigente disciplina, nella parte in
 cui  non  assicura,  sul  piano  sostanziale,  una  efficace   tutela
 giudiziaria   ai   diritti   di   carattere  immobiliare,  privati  e
 collettivi, a rilievo anche paesaggistico,  implicati  nella  vicenda
 (artt. 3, 9, e 24 della Costituzione), ne', sul piano strumentale, la
 necessaria indipendenza dell'azione giudiziaria (art. 104 e 108 della
 Costituzione)  per  rapporto  all'imparzialita'  e  alla  correttezza
 dell'azione amministrativa (art. 97 della Costituzione).
    2.  -  La  questione  e'  analoga,  ma  non  identica,  o   quella
 prospettata  dallo  scrivente  commissario,  incidenter  tantum,  con
 ordinanza 27 marzo 1995, nel procedimento demaniale pendente  tra  il
 comune di Sutri e tali Trasatti (n. 57/9z3 r.g.).
    Con    tale    provvedimento,   a   proposito   del   rapporto   e
 dell'articolazione  reciproca  delle   contemporanee   procedure   di
 accertamento  e liquidazione dei diritti collettivi, promosse in sede
 amministrativa e in sede giurisdizionale, osservava  tra  l'altro  il
 giudicante:  Nello  schema  originario della legge 16 giugno 1927, n.
 1766, il  commissario,  quale  organo  titolare  insieme  dei  poteri
 amministrativi  e dei poteri giudiziari, poteva regolarne l'esercizio
 in modo da evitare sovrapposizioni  e  conflitti.  In  pratica,  egli
 promuoveva  d'ufficio, in sede amministrativa, il procedimento per la
 liquidazione dei diritti civici relativi ad un intero comune o ad  un
 intero  comprensorio,  a  tale scopo incaricando un istruttore per la
 formazione di un adeguato progetto. Il progetto,  contenente  sia  le
 informazioni  di carattere storico sugli usi civici da liquidare, sia
 le proposte per la loro liquidazione in natura o  in  denaro,  veniva
 depositato  presso  la  segreteria  del  comune  o  dell'associazione
 agraria  territorialmente  competenti;  dell'avvenuto  deposito,   il
 comune  o l'associazione davano poi avviso a ciascun interessato, sia
 mediante  bando  da  affiggersi  all'albo  pretorio,   sia   mediante
 biglietto  in  carta  libera,  da  notificare  personalmente. Fin dal
 deposito in segreteria, gli interessati avevano diritto  di  prendere
 visione  del  progetto  di  liquidazione;  i privati nel possesso del
 terre potevano inoltre presentare opposizione  al  commissario  entro
 trenta  giorni  da  quello  dell'avvenuta  notifica  (art. 15 r.d. 26
 febbraio 1928, n. 332).
    Nel caso dei signori Trasatti, costoro, in perfetta osservanza  di
 tale  disciplina, avevano presentato ricorso al commissario, entro il
 trentesimo giorno dopo la  notifica  dell'avviso  di  deposito  della
 relazione  istruttoria predisposta in via amministrativa; ma l'azione
 giudiziaria in opposizione  non  aveva  determinato  il  suo  effetto
 normale,   cioe'   la  sospensione  del  procedimento  amministrativo
 opposto.  Questo era proseguito, invece, fino alla conclusione, cioe'
 fino alla delibera con la  quale  il  progetto  di  liquidazione  dei
 diritti  civici era stato accolto dalla giunta regionale Lazio, senza
 tener conto della interposta opposizione.
    Osservava ancora il commissario che, in  nessun  luogo,  la  legge
 fondamentale e il relativo regolamento stabiliscono esplicitamente la
 sospensione  obbligatoria delle operazioni amministrative in pendenza
 del procedimento giudiziario; tale obbligo sembra peraltro  implicito
 nella   natura  stessa  della  giurisdizione  commissariale,  che  ha
 carattere prevalentemente incidentale e  accessorio  alle  operazioni
 amministrative - e' destinata, cioe', a risolvere "tutte le questioni
 cui  dia  luogo  lo  svolgimento di quelle operazioni" (cfr. art. 29,
 comma 2, della legge n. 766/27), per consentire loro di proseguire  e
 di   raggiungere  il  proprio  termine  su  basi  di  certezza  e  di
 indefettibilita', quali solo un giudicato puo' garantire.
    La sospensione della procedura amministrativa  era  in  ogni  caso
 garantita  in passato dall'unicita' dell'organo deputato a procedere;
 quello stesso commissario, che procedeva in via  amministrativa,  era
 anche, infatti, il giudice delle controversie sorte nel corso di quel
 procedimento   e,   quando   avesse  ravvisato  una  loro  intrinseca
 pregiudizialita', non avrebbe certo  avviato  questo  a  conclusione,
 senza prima decidere quelle con sentenza.
    In conclusione, secondo lo scrivente commissario, il trasferimento
 dei  poteri  amministrativi  alle  regioni ha sconvolto la disciplina
 previgente,  non  gia'  perche'  astrattamente  non  sia  ancor  oggi
 ipotizzabile   la   sospensione,   obbligatoria   o  volontaria,  del
 procedimento amministrativo di  competenza  regionale,  in  pendenza,
 davanti al commissario, di un procedimento giurisdizionale, avente ad
 oggetto  questioni  pregiudiziali;  bensi',  perche'  si  e' spezzata
 l'unicita' dell'organo procedente e non e'  stata  introdotta  alcuna
 norma  atta a garantire il passaggio delle necessarie informazioni da
 un organo all'altro. (  ..).  E'  un  fatto  che  oggi,  nel  sistema
 residuato  dalle trasformazioni e modificazioni della legge 16 giugno
 1927, n. 1766, non esiste alcuna  disposizione  atta  ad  evitare  la
 pendenza,  contemporanea  e  parallela, di due distinti procedimenti,
 aventi carattere, l'uno,  amministrativo,  l'altro,  giurisdizionale,
 destinati    a   sfociare   in   due   distinte   (e   potenzialmente
 contraddittorie) decisioni sul medesimo oggetto  e  tra  le  medesime
 parti.
    Secondo  il  commissario,  questa  inattesa  concorrenzialita' tra
 l'iniziativa amministrativa  e  quella  giurisdizionale  finisce  per
 caricare  in  maniera  abnorme  la discrezionalita' della prima e per
 revocare in dubbio, a ogni passo,  gli  esiti  della  seconda;  essa,
 dunque,  puo' confliggere almeno con i principi di imparzialita' e di
 correttezza che debbono caratterizzare l'azione amministrativa  (art.
 97  della  Costituzione).    Rilevava,  tuttavia, a tal proposito, il
 commissario che a  prescindere  dalla  illegittimita'  costituzionale
 della  normativa  procedimentale, nella parte in cui consente - o non
 previene - il formarsi contemporaneo, in  sede  amministrativa  e  in
 sede  giudiziaria,  di  due  decisioni  contraddittorie  sul medesimo
 oggetto,  il  rilevato  conflitto  poteva  essere  risolto  con   gli
 strumenti  ordinari;  che,  in  particolare, il giudice demaniale, in
 quanto pervenga alla sua decisione dopo quella amministrativa, (puo')
 esaminare questa nel merito e disapplicarla, riaffermando il  diritto
 soggettivo  violato,  ove  essa  sia  affetta  da  un  qualche  vizio
 rilevante; rimanendo da essa vincolato (  ..),  quando  trovi  quella
 delibera immune da ogni vizio di legittimita'.
    3.  -  La  lunga citazione era necessaria per intendere la diversa
 fattispecie  e  i  diversi  principi,  sostanziali   e   processuali,
 implicati  nella vicenda che vede protagonisti il comune di Barbarano
 Romano contro i signori Cocchi.
    3.1. - Una prima differenza attiene al fatto che la  giurisdizione
 commissariale  e'  stata,  nel caso di specie, attivata dal comune di
 Barbarano non in opposizione agli accertamenti amministrativi, ma  in
 via  principale, prima e senza che la regione esercitasse i poteri di
 accertamento, che in proposito le spettano per legge.    E'  pacifico
 che  il comune, quale ente rappresentativo della popolazione titolare
 del (preteso)  diritto,  sia  legittimato  ad  agire,  anche  in  via
 principale,  per  il suo accertamento davanti al commissario (cfr. C.
 cost. 8 febbraio 1995, sent. 46, par. 4).   L'oggetto  della  contesa
 giudiziaria  e' stabilito in questo caso senza alcun riferimento alle
 questioni cui potrebbe dar  luogo  lo  svolgimento  delle  operazioni
 amministrative  (cfr.  art.  29,  comma 2, della legge n. 1766/1927);
 queste  ultime,  d'altra  parte,  potrebbero  in  ipotesi   iniziare,
 proseguire  e raggiungere il proprio termine, senza alcun riferimento
 alle questioni poste dalle parti in sede giudiziaria.
    Nel caso in cui l'azione di accertamento demaniale sia  esercitata
 in  via  principale,  ben difficilmente si puo' dunque ipotizzare per
 l'organo regionale un obbligo  tassativo  e  generale  di  sospendere
 l'esercizio  dei  paralleli  poteri  amministrativi  o delle relative
 operazioni.
    3.2.  -  In  primo  approccio,  dunque,  quando  la  giurisdizione
 commissariale  sia attivata in via principale, parrebbe da escludersi
 ogni  sorta  di  pregiudizialita'  obbligatoria  tra   la   decisione
 giurisdizionale  e  le  operazioni  amministrative  di accertamento e
 sistemazione demaniale.
    Cio' che non e' obbligatorio a  priori  e  in  generale  potrebbe,
 tuttavia, rivelarsi, in concreto, opportuno e necessario; potrebbero,
 in  altri  termini,  essere poste, in sede giurisdizionale, questioni
 che - procedendo le operazioni amministrative - si porranno anche  in
 questa sede.
    Tale evenienza non e' soltanto possibile, ma quanto mai probabile,
 attesa  l'identita'  materiale  e formale delle indagini da espletare
 nei due procedimenti, entrambi, per ipotesi, relativi ad un  identico
 territorio,  entrambi  intesi a chiarire il regime giuridico cui esso
 era sottoposto nei  passati  ordinamenti  e  destinati,  pertanto,  a
 valersi  delle  medesime  fonti  di prova.   La medesima probabilita'
 sussiste  anche  quando  -  come  accade  nella  specie  -  l'oggetto
 materiale  delle  indagini  coincida  solo  parzialmente.  La  storia
 patrimoniale e fondiaria di un determinato sito, infatti, procede per
 insiemi  piu'  o  meno  grandi,  ma  in  nessun  caso  puo'  assumere
 significato   normativo   alle   dimensioni  degli  attuali  possessi
 catastali; al contrario, la storia dei singoli possessi fa  parte  di
 quella  di  piu' vasti comprensori, solo in epoche recenti oggetto di
 frazionamenti a loro volta significativi.  E' dunque al livello delle
 ipotesi storiografiche piu' generali che si puo' porre e di regola si
 pone un problema di  identita'  o  di  continenza  tra  le  questioni
 trattate   nella  sede  giudiziaria  e  quelle  trattate  nella  sede
 amministrativa;  ma,  quando  esso  effettivamente  si  ponga, sembra
 doversi riconoscere, se non la  necessita',  almeno  la  possibilita'
 della sospensione dell'uno o dell'altro procedimento.
    3.3. - Anche quando la giurisdizione commissariale sia attivata in
 via  principale,  sembra  dunque  legittimo  ipotizzare,  se  non una
 pregiudizialita' obbligatoria, almeno una sorta  di  pregiudizialita'
 facoltativa   tra   la   decisione  giurisdizionale  e  le  parallele
 operazioni amministrative di accertamento.
    Ci si puo' chiedere a questo punto  quale  sia,  alla  luce  della
 vigente  disciplina,  il  procedimento suscettibile di sospensione in
 attesa che, nell'altro, siano decise le questioni pregiudiziali; e in
 assenza di una specifica previsione di legge, per  rispondere  a  tal
 quesito  bisogna  far  riferimento  ai principi generali.   Questi ci
 mostrano due procedimenti perfettamente autonomi e  non  comunicanti,
 sia  per  quanto  attiene all'esercizio del potere di iniziativa, sia
 per quanto attiene alla determinazione dell'oggetto delle  rispettive
 indagini,  sia  per  quanto  attiene alla scelta e all'assunzione dei
 mezzi di prova. Tale autonomia  presenta  soltanto  un'eccezione,  al
 giudice   essendo   riconosciuto   il   potere   di  disapplicare  il
 provvedimento  amministrativo  che   egli   riconosca   viziato   per
 incompetenza,  violazione  di  legge o eccesso di potere, nelle varie
 articolazioni che questi vizi di legittimita' presentano  secondo  la
 dottrina  e  la  giurisprudenza,  quando  cio'  sia necessario per la
 tutela dei diritti affidati alla sua giurisdizione.  Il reciproco non
 e' invece neppure ipotizzabile; non e' in altri termini  ipotizzabile
 che la pubblica amministrazione dichiari la nullita' o disapplichi la
 decisione  giurisdizionale,  da  qualunque  vizio affetta, divenuta o
 meno irreformabile, per far luogo  ad  un  provvedimento  di  diverso
 contenuto   in   ordine   ai  diritti  oggetto  dell'indagine.     Le
 considerazioni teste' svolte appaiono decisive per la  soluzione  del
 nostro problema. In altri termini, stante la maggior resistenza della
 decisione  giudiziaria,  che  appare  in  grado di prevalere presto o
 tardi  su  quella  amministrativa,  e'   auspicabile   che   sia   il
 procedimento  amministrativo  a  subire  sospensione  in attesa della
 formazione di un  giudicato  formale  sulle  questioni  pregiudiziali
 trattate nell'altra sede.
    3.4.  -  Questa  conclusione,  da  tenersi  per  valida in caso di
 esercizio della giurisdizione in via principale, e' analoga a  quella
 prevista  dallo  stesso  legislatore  per  il caso di esercizio della
 giurisdizione in  via  incidentale  -  quando,  come  sappiamo,  sono
 sottoposte  all'esame del commissario-giudice "tutte le questioni cui
 dia luogo lo svolgimento  (delle  operazioni  amministrative)"  (cfr.
 art.  29,  comma  2, della legge n. 1766/1927), per consentir loro di
 proseguire sulla base  di  una  decisione  irreformabile.    Sappiamo
 d'altra  parte  che,  oggi,  anche  in questo diverso caso, essendosi
 spezzata  l'unicita'  dell'organo  procedente,  la  sospensione   del
 procedimento amministrativo e' una remota e improbabile eventualita';
 dal  procedimento  tra  il  comune  di  Barbarano e i signori Cocchi,
 apprendiamo inoltre, per facta concludentia, che, venuta  in  qualche
 modo  a  conoscenza della pendenza di un procedimento giurisdizionale
 promosso in  via  principale  dal  comune  interessato,  la  regione,
 nonche'  sospendere  le  indagini  amministrative gia' in corso, puo'
 giungere a promuoverne  di  nuove,  del  medesimo  oggetto,  in  sede
 amministrativa e ad offrirne i risultati al giudicante come materiale
 probatorio, con cio' stesso proponendo al commissario di evitare ogni
 ulteriore   indagine  in  sede  giurisdizionale  e  di  adeguarsi  ai
 risultati di quelle amministrative.
    Non basta. Dal contenuto stesso della relazione Ranucci emerge che
 l'accertamento richiesto dal  comune  di  Barbarano  era  stato  gia'
 effettuato  sia,  in  sede  giudiziaria,  dalla  giunta  d'arbitri di
 Viterbo con sentenza 24-27 giugno 1894, sia, in sede  amministrativa,
 dal  perito  istruttore  Ginnasi,  con relazione del 6 febbraio 1935,
 disposta dal commissario agli usi civici nel dicembre del  1933.    A
 ben   guardare,   dunque,   come   la  sospensione  del  procedimento
 amministrativo  e'  tutt'al  piu'  consigliata,  non  imposta   dalla
 contemporanea  pendenza  di  quello giudiziario del medesimo oggetto,
 cosi' la formazione di un giudicato formale  (ovvero  l'esistenza  di
 una qualche forma di equivalente preclusione; cfr. art. 15, commi 4 e
 5  del  r.d. 26 febbraio 1928, n. 332) non e' in grado di impedire il
 nuovo, reiterato esercizio dei poteri amministrativi di  accertamento
 da parte della stessa regione.  In tale contesto, si puo' pensare che
 l'accertamento  giurisdizionale richiesto dal comune di Barbarano nel
 presente procedimento sia destinato a non diventare mai definitivo  e
 irreformabile.  Sia  che  il  giudicante  si  adegui alle conclusioni
 ermeneutiche raggiunte dal perito Ranucci, sia che  se  ne  discosti,
 dichiarando  la  sussistenza di quei diritti civici che il Ranucci ha
 negato, nulla impedirebbe infatti alla regione competente di disporre
 ed effettuare in futuro,  nuovi  accertamenti,  di  segno  eguale  od
 opposto,   nulla   vieterebbe,   in   particolare,   che,  pur  senza
 disapplicare   formalmente   la   decisione   giurisdizionale   dello
 scrivente,  la regione vada nel merito di contrario avviso con nuove,
 ricorsive verifiche.
    3.5. -  Quest'ultima,  sconvolgente  possibilita'  (di  quotidiana
 occorrenza;  cfr.  anche  l'ordinanza  di  cui  sopra  a  par. 2) non
 riguarda piu' soltanto la problematica dei rapporti tra  procedimento
 pregiudiziale     (giudiziario)     e    procedimento    pregiudicato
 (amministrativo), ma quella dell'efficacia preclusiva  del  giudicato
 in ordine all'esercizio dei poteri di accertamento amministrativo, in
 subjecta  materia.    Sotto il primo profilo, le opinioni esposte del
 giudicante offrono una traccia non  vincolante  e  suggeriscono,  non
 impongono, una soluzione interpretativa, gia' peraltro normativamente
 imposta    nella   disciplina   dei   rapporti   tra   l'accertamento
 amministrativo    e    l'accertamento    giudiziario     incidentale;
 suggeriscono, non impongono, l'individuazione di appropriate sanzioni
 endoprocessuali  per  il  caso  in  cui,  in  presenza  di  questioni
 pregiudiziali, trattate in sede giurisdizionale, non si  provveda  in
 ogni   caso   a  sospendere  la  promozione  o  la  prosecuzione  del
 procedimento amministrativo fino alla formazione del giudicato su  di
 esse.    Entro  questi  limiti,  la  questione  prospettata configura
 soltanto un conflitto positivo di attribuzioni; ove adita dall'organo
 legittimato a porre la questione, la Corte dovrebbe dire, infatti, se
 sia prevista dal sistema  una  disciplina  preventiva  delle  diverse
 attribuzioni,  che  valga  ad  evitare  quel conflitto, ovvero se non
 resti   al   giudicante   alternativa   diversa   dalla    successiva
 disapplicazione   del   parallelo  provvedimento  amministrativo,  in
 qualche modo per ipotesi viziato.    Sotto  il  secondo  profilo,  si
 possono  e  si  debbono  prospettare,  invece,  rilevanti problemi di
 conformita' ai principi costituzionali della disciplina in  tal  modo
 ricostruita  ed  eventualmente  integrata.    Se  al  giudicato sulle
 questioni  demaniali  non  fosse  riconosciuta,  infatti,   efficacia
 vincolante  anche  nei confronti dell'organo regionale, competente in
 via amministrativa, la tutela giudiziaria dei diritti  collettivi  (e
 di   quelli   connessi   a  carattere  civilistico)  potrebbe  essere
 reiteratamente  frustrata  mediante   indagini   amministrative   del
 medesimo  contenuto  e  dunque  non  sarebbe mai assicurata, con quel
 carattere di definitivita' che pur le spetta; in tal  caso,  inoltre,
 finirebbe   per   essere   frustrata  l'indipendenza  funzionale  del
 magistrato, le cui decisioni  potrebbero  venire  accantonate,  senza
 neppure  essere  esaminate  nel  merito, per far posto alle opinioni,
 assai  meno  garantite  e  comunque  sempre  soggette  ad   eventuale
 disapplicazione,  di  un  organo  amministrativo discrezionale.   Per
 evitare le conseguenze di carattere sostanziale di tale situazione  e
 la  connessa  lesione  dell'art.  24,  comma  1,  della Costituzione,
 bisogna  dunque  riconoscere  al  giudicato  in   materia   demaniale
 efficacia  presclusiva  all'esercizio dei poteri di accertamento, che
 non  siano  mai  stati  esercitati  in  sede  amministrativa,  ovvero
 efficacia    interruttiva    del   procedimento   amministrativo   di
 accertamento che sia gia' stato promosso. Tale efficacia e'  altresi'
 necessaria,  sul  piano  strumentale,  per  garantire  la  necessaria
 indipendenza  dell'azione  giudiziaria  (artt.    104  e  108   della
 Costituzione),  altrimenti  suscettibile di essere contestata ad ogni
 passo da un'iniziativa amministrativa della massima  discrezionalita'
 e  dunque  molto piu' suscettibile di diventar strumento di interessi
 di parte (art. 97 della Costituzione).
    4. - Sia consentita  un'ulteriore,  importante  considerazione  in
 ordine  al  giudicato  e  alla  sua  efficacia  nei  confronti  della
 amministrazione regionale.  Quest'ultima non puo'  essere  assimilata
 ad un qualsiasi terzo interessato, rimasto estraneo alla controversia
 giudiziaria  avente  ad  oggetto  l'accertamento  dei diritti civici;
 innanzitutto, infatti, l'amministrazione  regionale  avrebbe  potuto,
 volendo,   intervenirvi   in   sostituzione  e  nell'interesse  degli
 originari (art. 10 della legge 10 luglio 1930, n. 1078),  in  secondo
 luogo  e soprattutto l'amministrazione regionale non e' portatrice di
 interessi propri, in contrasto con quelli oggetto della controversia,
 ma, essa stessa, del potere di procedere ad accertamenti  analoghi  a
 quelli  giudiziari,  sia  pure con diversa efficacia formale.  Nessun
 interesse o diritto sostanziale risulterebbe violato  se  essa  fosse
 obbligata  a  prender  atto  che nessuna ulteriore indagine e' per il
 fututo necessaria, perche' l'accertamento e' stato gia' effettuato in
 sede giurisdizionale  e  in  maniera  irreformabile;  che,  in  altri
 termini,  l'esercizio  dei  poteri a lei affidati e' divenuto inutile
 perche' concorrenti (o prevalenti) poteri  sono  stati  gia'  altrove
 esercitati.
    Una  simile  conseguenza  e'  probabilmente implicita nel sistema,
 come  dimostra  la  regola   della   sospensione   obbligatoria   del
 procedimento  amministrativo,  valida  per  il caso dell'accertamento
 giudiziario incidentale; regola, che si  comprende  e  si  giustifica
 soltanto  se  al  giudicato  sia  riconosciuta,  in  questa  materia,
 efficacia vincolante non solo tra le parti, ma  anche  nei  confronti
 dell'organo che procede o puo' procedere in sede amministrativa.  Una
 simile  soluzione,  oltre  ad  assicurare  il  rispetto  dei principi
 costituzionali,  impedirebbe  la  moltiplicazione  strumentale  degli
 accertamenti  amministrativi  e,  senza  escluderli,  ricondurrebbe i
 relativi poteri regionali al solo caso in  cui,  per  un  determinato
 comune  o  per  un  determinato  comprensorio,  non  si  sia  mai  in
 precedenza provveduto.
    5. -  Della  rilevanza  della  sollevata  questione  non  si  puo'
 dubitare,  sol  che  si  consideri  che  -  nel  caso  di specie - a)
 l'istruttoria  amministrativa  e'  arrivata  ad  una   sua   parziale
 conclusione e che, addirittura, b) si pretende di imporne i risultati
 al  giudicante,  producendo in giudizio la relazione peritale redatta
 per  incarico  della  regione.    Quest'ultimo  profilo  puo'  essere
 affrontato e risolto alla stregua del comune diritto processuale, che
 non  permette la formazione delle prove fuori del procedimento; sotto
 il  primo,  invece,   il   riesame   della   normativa   vigente   e'
 indispensabile  per  assicurare anche ai diritti oggetto del presente
 procedimento quella tutela definitiva, che  e'  carattere  intrinseco
 della  giurisdizione e che, altrimenti, potrebbe in ogni tempo essere
 negata dall'amministrazione  regionale  anche  con  riferimento  alla
 sentenza,   destinata   a   concluderlo.      Del   resto,  anche  se
 l'accertamento amministrativo fosse configurato  come  una  sorta  di
 pregiudiziale,  in  mancanza  della  quale  non  sarebbe possibile il
 ricorso alla giurisdizione commissariale, al  commissario,  adito  in
 via  principale,  sarebbe  comunque  interdetta  ogni  decisione  sul
 merito; anche in tal caso, inoltre, non potrebbe  essere  evitato  il
 problema    dell'efficacia   preclusiva,   sul   nuovo   procedimento
 amministrativo, dei pregressi giudicati o dei pregressi  accertamenti
 amministrativi  non  opposti.    Infine, e piu' radicalmente, poiche'
 l'accertamento amministrativo non e' assistito dalle connotozioni  di
 stretta  legalita',  che  solo  convengono  alla  tutela  dei diritti
 soggettivi, e poiche' d'altra parte esiste un  giudice  indubbiamente
 competente,  anche in via principale, a conoscere di quei diritti, ci
 si puo' chiedere il senso  di  tale  concorrente  attribuzione.  Essa
 contrasta,  come si e' visto, con gli artt. 24/1, 97/1, 104/1 e 108/2
 della Costituzione; ove questa prospettiva fosse  fondata,  non  solo
 andrebbe riaffermata l'esclusiva competenza commissariale a conoscere
 del   merito,   ma   dovrebbe   altresi'   dichiararsi   la  radicale
 illegittimita' degli  accertamenti  disposti  ed  effettuati  in  via
 amministrativa dalla regione Lazio per il comune di Barbarano Romano.
    Sotto  tutti  questi profili, appare confermata la rilevanza della
 prospettata questione.
    6. -  Va  da  ultimo  esaminata  la  domanda  di  regolamentazione
 provvisoria  dei possessi, prospettata da parti convenute nell'ultima
 memoria difensiva.
    Questi  possono  essere  loro  mantenuti,  anche  nelle  more  del
 presente  processo,  con  tutte  le facolta' previste dalla normativa
 civilistica, finanziaria ed urbanistica vigente; in particolare,  non
 e'  necessario imporre ai fratelli Cocchi il divieto di edificare, se
 l'edificazione sia consentita dalle ordinarie regole urbanistiche  ed
 essi abbiano conseguita la necessaria concessione edilizia.
    Manca  infatti  allo  stato  ogni  prova che le terre site in loc.
 Macchia Cesata di Barbarano  Romano  siano  mai  appartenute  a  quel
 demanio  civico  ed  e' improbabile che su di esse gravino ancora dei
 diritti  civici  particolari;  in  ogni  caso,   a   garanzia   della
 liquidazione  di  questi ultimi, e' sufficiente far divieto ai Cocchi
 di alienare il terreno e il costruendo edificio fino alla conclusione
 del presente giudizio (art. 30 della legge n. 1766/1927).
                               P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 29 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, e 66
 del   d.P.R.   24  luglio  1977,  n.  616,  sollevata,  ai  sensi  di
 motivazione, in rapporto agli artt. 24/1, 97/1, 104/1 e  108/2  della
 Costituzione;
    Poiche'  il  giudizio  non  puo' essere definito indipendentemente
 dalla risoluzione  delle  sollevate  questioni,  dispone  l'immediata
 trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  sospende  il
 giudizio in corso e ordina che a cura della  segreteria  la  presente
 ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in causa e al Presidente del
 Consiglio dei Ministri;
    Dispone  infine  che   del   presente   provvedimento   sia   data
 comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
    Nelle more del procedimento mantiene a parti convenute il possesso
 del  terreno controverso, anche con facolta' di edificarvi secondo le
 ordinarie regole urbanistiche, ma fa loro divieto di ogni alienazione
 fino   alla   sentenza   definitiva,   a   garanzia   del   pagamento
 dell'eventuale  corrispettivo  di  liquidazione  e  delle  spese  del
 giudizio.
      Roma, addi' 22 maggio 1995
               Il commissario agli usi civici: CARLETTI
 
 95C0882