N. 311 SENTENZA 28 giugno - 12 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Dipendenti della Camera di commercio di
 Roma - Rivalutazione del fondo di previdenza - Indennita' integrativa
 speciale e altri  emolumenti  quiescibili  accessori  allo  stipendio
 tabellare  -  Esclusione  -  Intervento  di  legge di interpretazione
 autentica  con   effetto   retroattivo   sussistendo   un   contrasto
 giurisprudenziale  in  materia  -  Ragionevolezza  - Discrezionalita'
 legislativa esercitata nei limiti costituzionali e con  finalita'  di
 razionalizzazione del sistema pensionistico - Non fondatezza.
 
 (D.-L.   18  gennario  1993,  n.  8,  art.  12,  quindicesimo  comma,
 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n.
 68).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 38, 53, 101, 102 e 104).
 
(GU n.33 del 9-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12,  comma  15,
 del  decreto-legge  18  gennaio  1993,  n. 8 (Disposizioni urgenti in
 materia di finanza derivata e di contabilita' pubblica),  convertito,
 con  modificazioni,  nella  legge  19 marzo 1993, n. 68, promosso con
 ordinanza emessa l'11 novembre 1993 dal Consiglio di  Stato,  sezione
 VI  giurisdizionale,  sul ricorso proposto da Paleologo Vera ed altra
 contro la Camera di Commercio, Industria, Artigianato  e  Agricoltura
 (C.C.I.A.A.)  di Roma, iscritta al n. 492 del registro ordinanze 1994
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  37,  prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti  gli atti di costituzione di Paleologo Vera ed altra e della
 C.C.I.A.A. di Roma nonche' l'atto di intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1995 il Giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
    Uditi  gli avvocati Francesco d'Audino per Paleologo Vera ed altra
 e Alessandro Nigro per la C.C.I.A.A. di Roma e l'Avvocato dello Stato
 Claudio Linda per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio di appello avverso la  sentenza  del
 T.A.R.  Lazio  n.  677  del  1991,  che aveva negato il diritto delle
 ricorrenti, dipendenti  della  Camera  di  Commercio  di  Roma,  alla
 rivalutazione del fondo di previdenza a norma dell'art. 1 della legge
 7  febbraio  1951,  n.  72,  il  Consiglio  di  Stato  -  sezione  VI
 giurisdizionale -,  con  ordinanza  emessa  l'11  novembre  1993,  ma
 pervenuta  alla Corte costituzionale il 18 luglio 1994, ha sollevato,
 in riferimento agli artt. 3,  24,  38,  53,  101,  102  e  104  della
 Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12,
 comma 15, del decreto-legge  18  gennaio  1993,  n.  8  (Disposizioni
 urgenti  in  materia di finanza derivata e di contabilita' pubblica),
 convertito nella legge 19 marzo 1993, n. 68, nella parte in cui,  nel
 prevedere  che  l'indennita' integrativa speciale, nonche' ogni altro
 emolumento accessorio quiescibile e' incluso nei fondi di  previdenza
 a  capitalizzazione, stabilisce che non e' dovuta la rivalutazione di
 cui all'art. 1 della legge n. 72 del 1951.
    A parere del giudice a quo, la norma impugnata,  d'interpretazione
 autentica, modifica con effetto retroattivo, ed in senso peggiorativo
 per  gli  interessati,  il disposto dell'art. 1 della legge n. 72 del
 1951 incidendo sulla definizione delle controversie in corso mediante
 la sovrapposizione  d'imperio  di  una  interpretazione  della  norma
 opposta   a   quella   risultante   da   un   consolidato   indirizzo
 giurisprudenziale; la norma si porrebbe cosi'  in  contrasto  con  il
 principio  della certezza dei rapporti giuridici e con quello secondo
 cui al potere giudiziario deve essere  riconosciuta  la  facolta'  di
 interpretare la legge.
    Anche  gli  artt.  3  e 38 della Costituzione sarebbero violati in
 quanto  si  realizzerebbe  una  disparita'  di  trattamento   tra   i
 dipendenti  che  hanno  goduto  della  rivalutazione  sulla  base dei
 principi affermati dalla giurisprudenza e quelli che, in forza  della
 nuova disposizione, si vedono rivalutare solo lo stipendio tabellare;
 infine, anche a voler considerare che la norma in questione sia stata
 dettata  dalla  esigenza della contrazione della spesa pubblica, tale
 esigenza  non  potrebbe  porsi  a  carico  di  determinati  soggetti,
 piuttosto  che  sulla generalita' degli interessati, senza incorrersi
 nella violazione del disposto di cui all'art. 53 della Costituzione.
    2. - Nel  giudizio  avanti  a  questa  Corte  si  sono  costituite
 entrambe le parti private.
    In  particolare,  la  difesa  delle  ricorrenti  ha  insistito per
 l'accoglimento  della  sollevata   questione   di   costituzionalita'
 richiamando  le  considerazioni  svolte  nelle memorie depositate nel
 giudizio avanti al Consiglio di Stato.
    La difesa della Camera di Commercio, Industria  e  Artigianato  di
 Roma  ha  concluso  per  la  manifesta  infondatezza  della questione
 rilevando, preliminarmente, che i presupposti su cui  si  fondano  le
 censure  di  incostituzionalita'  sono  errati:  la  norma impugnata,
 infatti, non avrebbe avuto l'effetto di capovolgere un consolidato  e
 contrario  indirizzo giurisprudenziale, ma anzi si sarebbe limitata a
 fornire una interpretazione autentica dell'art. 1 della legge  n.  72
 del   1951  confermando  le  precedenti  pronunce  giurisprudenziali.
 Pertanto, non potendo dirsi costituita  in  capo  ai  dipendenti  del
 predetto  organo  alcuna aspettativa in ordine all'attribuzione della
 rivalutazione  delle  indennita'  accessorie,  non  potrebbe   essere
 ritenuta sussistente la violazione degli artt. 3, 24, 101 e 102 della
 Costituzione. Ne', infine, potrebbero dirsi violati gli artt. 38 e 53
 della  Costituzione  in  quanto,  con riguardo al primo dei parametri
 invocati,  e'  sufficiente  osservare  che  la  norma  si  limita  ad
 escludere  dalla  rivalutazione  alcune  indennita'  accessorie  allo
 stipendio, mentre, in ordine al secondo, la scelta di non  rivalutare
 le  indennita'  accessorie va vista in termini di mancata concessione
 di un incremento  del  trattamento  previdenziale  in  considerazione
 dello stato dei bilanci camerali.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 concludendo per la manifesta infondatezza della questione.
    Ha  in particolare osservato la difesa erariale, che rientra nella
 discrezionalita' del potere legislativo  intervenire  a  disciplinare
 situazioni   normative   "oggetto   di   particolare  giurisprudenza,
 rilevando   altresi'   che   secondo   l'orientamento   della   Corte
 costituzionale  non si ha disparita' di trattamento quando questa "e'
 il risultato di difformi orientamenti giurisprudenziali o legislativi
 o della successione di leggi nel frattempo", tanto piu' quando,  come
 nel  caso,  il  legislatore  e'  intervenuto  disciplinando  in  modo
 uniforme tutte le situazioni giuridiche analoghe.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Consiglio di Stato ritiene rilevante e non  manifestamente
 infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12,
 comma 15, del decreto-legge  18  gennaio  1993,  n.  8  (Disposizioni
 urgenti  in  materia di finanza derivata e di contabilita' pubblica),
 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n.
 68, nella parte in  cui,  con  norma  di  interpretazione  autentica,
 esclude  dalla  rivalutazione di cui all'art. 1 della legge n. 72 del
 1951, l'indennita' integrativa  speciale  ed  ogni  altro  emolumento
 quiescibile  accessorio allo stipendio tabellare inclusi nei fondi di
 previdenza o capitalizzazione, affermando che esso sia in contrasto:
       a) con gli artt. 24, 101,  102  e  104  della  Costituzione  in
 quanto  impone  una interpretazione dell'art. 1 della legge n. 72 del
 1951 di segno contrario  a  quella  risultante  dalla  giurisprudenza
 consolidata,   cosi'   invadendo   la   sfera   riservata  al  potere
 giudiziario,    con    conseguente    compressione    della    tutela
 giurisdizionale;
       b)  con  gli  artt. 3 e 38 della Costituzione in quanto produce
 un'ingiustificata disparita'  di  trattamento  tra  i  dipendenti  in
 favore dei quali la rivalutazione prevista dall'art. 1 della legge n.
 72  del  1951  e' stata concessa sulla base dei principi affermati in
 giurisprudenza e quelli che in  forza  della  nuova  disposizione  si
 vedranno rivalutare solo lo stipendio tabellare;
       c)  con  l'art.  53  della  Costituzione  in quanto pone solo a
 carico di determinati soggetti l'esigenza di contrazione della  spesa
 pubblica  in  funzione del riequilibrio finanziario dei bilanci degli
 enti pubblici.
    2. - Le questioni sono infondate.
    Riguardo al primo profilo, a parere del giudice a  quo,  la  norma
 impugnata,   d'interpretazione   autentica,   modifica   con  effetto
 retroattivo,  ed  in  senso  peggiorativo  per  gli  interessati,  il
 disposto  dell'art.  1  della  legge  n.  72 del 1951 incidendo sulla
 definizione delle controversie in corso mediante  la  sovrapposizione
 d'imperio  di  una  interpretazione  della  norma  opposta  a  quella
 risultante da un consolidato indirizzo giurisprudenziale; la norma si
 porrebbe cosi' in contrasto  con  il  principio  della  certezza  dei
 rapporti  giuridici  e  con  quello secondo cui al potere giudiziario
 deve essere riconosciuta la facolta' di interpretare la legge.
    In  proposito   va   anzitutto   osservato   che   la   legge   di
 interpretazione  autentica  deve  rispondere  alla funzione che le e'
 propria: quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di
 imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col  tenore
 letterale,   sia   al   fine   di   eliminare   eventuali  incertezze
 interpretative (sentenze nn. 163 del 1991 e 413 del  1988),  sia  per
 rimediare  ad  interpretazioni  giurisprudenziali  divergenti  con la
 linea di politica del diritto perseguita  dal  legislatore  (sentenze
 nn.  397  e  6  del  1994;  424 e 402 del 1993; 455 e 454 del 1992 ed
 altre).
    Nella specie, questi principi risultano rispettati poiche'  ci  si
 trovava  appunto nell'ipotesi di un contrasto giurisprudenziale sorto
 sulla questione della spettanza o  meno  della  rivalutazione  estesa
 anche  agli emolumenti accessori alla retribuzione stipendiale, ed il
 legislatore ha inteso risolvere tale contrasto  imponendo  una  delle
 possibili interpretazioni.
    3.  -  La riconosciuta natura effettivamente interpretativa di una
 legge non  e'  sufficiente  ad  escludere  che  la  stessa  determini
 violazioni   costituzionali.   Invero,   la   sovrana   volonta'  del
 legislatore nell'emanare dette leggi incontra una serie di limiti che
 questa  Corte  ha  da  tempo  individuato,  e  che   attengono   alla
 salvaguardia,  oltre  che  di  norme  costituzionali, di fondamentali
 valori di civilta' giuridica posti a  tutela  dei  destinatari  della
 norma  e  dello  stesso  ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il
 rispetto del principio generale di  ragionevolezza  che  ridonda  nel
 divieto   di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di  trattamento
 (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 424 e 283 del 1993; 440  del  1992  e
 429  del  1993);  la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei
 soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto  (sentenze
 nn.  397  e  6  del  1994; 429 del 1993; 822 del 1988), e il rispetto
 delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
    L'ordinanza di rimessione si  duole  della  violazione  di  questi
 principi,  ma infondatamente. Anzitutto, il potere di interpretazione
 di una legge non e' riservato dalla Costituzione in via esclusiva  al
 giudice,  ne'  tantomeno  e'  sottratto alla potesta' normativa degli
 organi legislativi: le due attivita' operano infatti relativamente  a
 piani  diversi,  in  quanto  mentre l'interpretazione del legislatore
 interviene sul piano generale ed astratto del significato delle fonti
 normative, quella  del  giudice  opera  sul  piano  particolare  come
 premessa   per  l'applicazione  concreta  della  norma  alla  singola
 fattispecie sottoposta al suo esame.
    4. - Inoltre, ad avviso del Consiglio di Stato la norma denunziata
 violerebbe anche gli artt. 3 e 38 della  Costituzione  in  quanto  si
 realizzerebbe  una  disparita'  di  trattamento  tra i dipendenti che
 hanno goduto della rivalutazione sulla base  dei  principi  affermati
 dalla giurisprudenza e quelli che, in forza della nuova disposizione,
 si vedono rivalutare solo lo stipendio tabellare.
    Anche tale censura va disattesa poiche' questa Corte ha piu' volte
 ribadito  - da ultimo anche con la sentenza n. 237 del 1994 - che non
 puo' contrastare con il principio  di  uguaglianza  un  differenziato
 trattamento  applicato  alla  stessa  categoria  di  soggetti,  ma in
 momenti diversi  nel  tempo,  perche'  lo  stesso  fluire  di  questo
 costituisce di per se' un elemento diversificatore.
    Ed e' stato altresi' piu' volte affermato il principio secondo cui
 la   determinazione   della  base  retributiva,  utile  ai  fini  del
 trattamento  di  quiescenza,  appartiene  alla  discrezionalita'  del
 legislatore  cui  spetta  il  potere di disporre circa la misura e le
 modalita' di tale trattamento. Tale  discrezionalita'  risulta  usata
 nel  caso  di  specie  entro  i  limiti consentiti, introducendosi un
 elemento di razionalizzazione del sistema pensionistico (v. ordinanze
 nn. 111 del 1991 e 402 del 1990, sentenza n. 531 del 1988 ed altre).
    5. - Quanto, infine, all'ultimo profilo di censura, relativo  alla
 violazione  dell'art. 53 della Costituzione, e' sufficiente osservare
 in proposito che questa norma riguarda la  materia  tributaria,  alla
 quale  e'  estranea  quella  previdenziale,  oggetto  della  presente
 controversia.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  12,  comma  15,  del  decreto-legge  18 gennaio 1993, n. 8
 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di   finanza   derivata   e   di
 contabilita' pubblica), convertito in legge, con modificazioni, dalla
 legge  19  marzo 1993, n. 68, sollevata, in riferimento agli artt. 3,
 24, 38, 53, 101, 102 e 104 della Costituzione dal Consiglio di Stato,
 sezione VI giurisdizionale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 12 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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