N. 314 SENTENZA 28 giugno - 12 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati in genere - Oltraggio - Minimo edittale della pena  -  Presunta
 inadeguatezza  - Discrezionalita' legislativa - Inconferente richiamo
 al trattamento  sanzionatorio  previsto  dall'art.  610  del  c.p.  -
 Richiamo  alla giurisprudenza della Corte (v. sentenza n. 341/1994) -
 Non fondatezza.
 
 (C.P., art. 336).
 
 (Cost., artt. 3, 27, terzo comma, e 97).
 
(GU n.33 del 9-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare   MIRABELLI,   prof.   Fernando
    SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
    Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 336 del  codice
 penale promosso con ordinanza emessa l'8 febbraio 1995 dal Pretore di
 Venezia,  Sezione  distaccata  di Chioggia, nei procedimenti penali a
 carico di Fortuna Mario ed altro, iscritta al  n.  201  del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  14  giugno  1995  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Pretore di Venezia - Sezione distaccata di Chioggia, ha
 sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e  97  della
 Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 336
 del codice penale nella parte in cui prevede come minimo edittale  la
 pena di mesi sei di reclusione.
    Il giudice a quo si limita a richiamare i principi affermati dalla
 Corte  nella  sentenza  n.  341 del 1994 in tema di oltraggio e, dopo
 aver indicato a raffronto la fattispecie prevista dall'art.  610  del
 codice  penale,  priva  di  minimo edittale, osserva che "la violenza
 privata sta alla violenza o minaccia  a  pubblico  ufficiale  proprio
 come l'ingiuria sta all'oltraggio". In conclusione, rileva il giudice
 a quo, la previsione dell'indicato minimo edittale determinerebbe "un
 irragionevole  bilanciamento tra la tutela dell'amministrazione e del
 pubblico ufficiale e il valore della liberta' personale".
    2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Osserva
 l'Avvocatura  che  il  trattamento  sanzionatorio   investe   un'area
 riservata   alla  discrezionalita'  del  legislatore,  sia  pure  nel
 rispetto del limite  della  ragionevolezza.  L'art.  336  del  codice
 penale  si  sottrarrebbe,  dunque, alle dedotte censure in quanto "la
 tutela differenziata della pubblica  amministrazione  corrisponde  ad
 una  necessita'  insopprimibile  dello Stato democratico". Neppure e'
 corretto  evocare  a  raffronto  il  diverso   trattamento   previsto
 dall'art.  610  del codice penale, considerata la diversita' dei beni
 giuridici  protetti,  mentre  per  cio'  che  concerne   la   dedotta
 violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, il richiamo
 si  rivela  improprio  giacche' l'invocato parametro va riferito alla
 sola fase di esecuzione della pena.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Pretore  di  Venezia  - Sezione distaccata di Chioggia,
 impugna, per contrasto con gli artt. 3, 27, terzo comma, e  97  della
 Costituzione,  l'art.  336  del  codice  penale,  nella  parte in cui
 prevede come minimo edittale la pena di mesi sei di reclusione.
    A parere del remittente varrebbero infatti integralmente, anche in
 relazione alla fattispecie oggetto di impugnativa, le  considerazioni
 poste  a  fondamento  della  sentenza  n.  341 del 1994, con la quale
 questa  Corte  ebbe  a  dichiarare  l'illegittimita'   costituzionale
 dell'art.  341,  primo  comma,  del codice penale, nella parte in cui
 prevedeva il medesimo minimo edittale. Cosi' come, opina il giudice a
 quo, fu in quell'occasione operato un raffronto  tra  il  delitto  di
 oltraggio  a  pubblico  ufficiale  e  quello di ingiuria, a identiche
 conclusioni dovrebbe pervenirsi comparando fra  loro  la  fattispecie
 prevista  dall'art.  336  del  codice penale e il delitto di violenza
 privata di cui all'art. 610 dello stesso codice.
    2. - La questione e' infondata,  dal  momento  che  nessuna  delle
 considerazioni  svolte nella richiamata sentenza n. 341 del 1994 puo'
 ritenersi pertinente alla  fattispecie  ora  sottoposta  a  scrutinio
 della  Corte.  Gia'  l'art.  187 del codice penale del 1889, infatti,
 prevedeva, in luogo delle blande sanzioni stabilite per il  reato  di
 oltraggio,  la  pena  minima  di  tre mesi di reclusione per chiunque
 avesse usato violenza o minaccia verso  un  pubblico  ufficiale  "per
 costringerlo a fare o ad omettere un atto del suo ufficio", cosicche'
 non  potrebbe  in alcun modo sostenersi che la sanzione stabilita nel
 minimo dalla norma oggetto di censura abbia  rappresentato,  come  la
 pena  minima prevista per l'oltraggio, un unicum, generato dal codice
 penale del 1930", quale  "prodotto  della  concezione  autoritaria  e
 sacrale  dei  rapporti  tra  pubblici ufficiali e cittadini tipica di
 quell'epoca storica e discendente  dalla  matrice  ideologica  allora
 dominante".  V'e'  anzi da osservare, a tal proposito, che vale nella
 specie l'esatto reciproco di  quanto  il  giudice  a  quo  mostra  di
 ritenere,  giacche'  ove venisse accolto il petitum inteso a caducare
 il minimo edittalmente previsto dall'art. 336 del codice  penale,  si
 assimilerebbe,   sotto   questo   aspetto,  il  relativo  trattamento
 sanzionatorio a quello ora stabilito per il delitto di oltraggio,  in
 aperto  contrasto,  come  si  e'  visto,  con  la  stessa  tradizione
 codicistica, doverosamente attenta a rimarcare la  maggior  lesivita'
 che  presenta una sia pur "minima" violenza o minaccia ad un pubblico
 ufficiale rispetto ad una parimenti "minima" offesa al  suo  onore  o
 prestigio.
    D'altra  parte,  questa Corte, nel porre a raffronto la disciplina
 prevista dall'art. 196 del codice penale militare di pace con  quella
 stabilita  dall'art.  336 del codice penale ordinario, non ha mancato
 di rilevare come in quest'ultima ipotesi fosse "previsto un  elemento
 teleologico  di consistente gravita' - che qualifica il comportamento
 dell'autore - diretto a costringere il soggetto passivo del  reato  a
 compiere  un  atto  contrario  ai propri doveri o ad omettere un atto
 d'ufficio" (v. sentenza n. 405 del 1994): un  elemento,  questo,  del
 tutto  estraneo  alla  fattispecie  prevista dall'art. 610 del codice
 penale, evocata dal remittente quale termine di comparazione, e  che,
 pertanto,   adeguatamente   giustifica   il   differente  trattamento
 sanzionatorio.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 336 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt.
 3, 27, terzo comma, e 97 della Costituzione, dal Pretore di Venezia -
 Sezione distaccata di Chioggia, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 12 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0893