N. 320 SENTENZA 28 giugno - 13 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Mezzogiorno  -  Provvedimenti  per  il  -   Sgravi   contributivi   e
 fiscalizzazione  degli  oneri sociali - Rimborso di somme a favore di
 imprese operanti nel Mezzogiorno - Effetti della sentenza della Corte
 costituzionale   n.   261/1991   -   Criteri   di   rateizzazione   -
 Giustificazione  della  discrezionalita'  legislativa  in  materia di
 scelte di politica economica - Non fondatezza.
 
 (D.-L. 22 marzo 1993, n. 71, art. 1, n. 3,  convertito  in  legge  20
 maggio 1993, n. 151).
 
 (Cost., artt. 3, 23, 24, 41, 53, 97 e 113).
 
(GU n.33 del 9-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  1,  n.  3,  del
 decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71 (Disposizioni in materia di sgravi
 contributivi   nel  Mezzogiorno  e  di  fiscalizzazione  degli  oneri
 sociali), convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, promossi con le
 seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 10 novembre 1993 dal Pretore di Bari  nel
 procedimento   civile   vertente   tra   la   Gestione  commissariale
 governativa per le Ferrovie del Sud-Est e servizi  automobilistici  e
 l'INPS  iscritta  al  n. 370 del registro ordinanze 1994 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  26,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1994;
      2)  ordinanza  emessa il 10 ottobre 1994 dal Pretore di Avellino
 nel procedimento civile vertente tra l'Azienda Trasporti Irpini (ATI)
 e l'INPS iscritta al n. 734 del registro ordinanze 1994 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  51,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di costituzione dell'INPS e dell'ATI,  nonche'  gli
 atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 30 maggio 1995 il Giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
    Uditi  gli  avvocati  Vittorio Benevento e Lucio Valerio Moscarini
 per l'ATI, Fabio Fonzo per l'INPS e l'Avvocato dello  Stato  Giuseppe
 Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un giudizio civile vertente tra la Gestione
 commissariale governativa per  le  Ferrovie  del  Sud-Est  e  servizi
 automobilistici e l'INPS, il Pretore di Bari, con ordinanza emessa il
 10  novembre  1993,  pervenuta  alla Corte costituzionale il 1 giugno
 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  41,  97  e  113
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 3 della legge 20 maggio 1993, n. 151 (recte: art. 1, n.  3,
 del  decreto-legge  22  marzo 1993, n. 71 "Disposizioni in materia di
 sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di fiscalizzazione degli  oneri
 sociali", convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151), nella parte in
 cui  prevede  che  il  rimborso delle somme dovute a titolo di sgravi
 degli oneri sociali in favore delle imprese operanti nel  Mezzogiorno
 a  seguito  della sentenza della Corte costituzionale n. 261 del 1991
 e' effettuato dall'INPS, previa presentazione di  domanda,  in  dieci
 rate  annuali di pari importo, senza alcun aggravio per rivalutazione
 e interessi e senza la possibilita' di  compensare  con  le  suddette
 somme i debiti dell'imprenditore nei confronti dell'Istituto.
    Osserva  il giudice a quo che la norma impugnata violerebbe l'art.
 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: in primo luogo perche'
 attribuisce all'INPS una posizione di privilegio rispetto agli  altri
 debitori,  tenuti al pagamento della rivalutazione e degli interessi;
 in  secondo  luogo perche' discrimina le aziende che si giovano della
 sentenza  n.  261  del  1991  rispetto  a  quelle  che  hanno  potuto
 beneficiare degli sgravi fin dall'inizio.
    Sussisterebbe  altresi'  la  violazione degli artt. 24 e 113 della
 Costituzione dal momento che, per effetto della norma denunciata,  il
 cittadino  viene  privato  della  potesta'  di  chiedere la tutela in
 giudizio delle sue posizioni di diritto soggettivo  scaturenti  dalla
 citata  sentenza  n. 261 del 1991; inoltre, discriminante apparirebbe
 l'avere subordinato l'esercizio del diritto alla presentazione di una
 domanda all'Istituto volta ad ottenere la  restituzione  delle  somme
 dovute.  Anche l'art. 97 della Costituzione sarebbe violato, sotto il
 profilo dell'obbligo di imparzialita' della pubblica amministrazione,
 a causa della lunghissima rateizzazione prevista unitamente alla  non
 consentita   possibilita'   di  opporre  in  compensazione  i  debiti
 dell'imprenditore; infine,  la  norma  sarebbe  in  contrasto  con  i
 principi sanciti dall'art. 41 della Costituzione.
    2.   -  Nel  giudizio  avanti  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituito l'INPS concludendo per la non fondatezza della questione.
    La  difesa  dell'INPS,  nel  riportarsi  a  quanto  gia'   dedotto
 nell'analogo  giudizio  incidentale  di  legittimita'  costituzionale
 sollevato dal Pretore di Crotone, ha in particolare osservato che  e'
 erroneo  parificare  la  pretesa delle aziende che hanno diritto agli
 sgravi a seguito della sentenza n.  261  del  1991  a  quella  di  un
 normale  creditore, dovendo tenersi conto della natura dello sgravio,
 che ha funzione incentivante e di sostegno delle aziende che  operano
 nel  Mezzogiorno,  funzione  questa,  che non puo' essere assolta dal
 riconoscimento ex tunc del diritto agli sgravi.
    3. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 insistendo  per  la  manifesta  infondatezza   della   questione,   e
 riportandosi  a  quanto dedotto nell'analogo giudizio di legittimita'
 costituzionale sollevato dal Pretore di Crotone.
    4. - Analoga questione e' stata sollevata dal Pretore di  Avellino
 con  ordinanza emessa il 10 ottobre 1994 nel corso di un procedimento
 civile vertente tra ATI e INPS.
    Rileva il giudice a quo che l'art. 1, comma 3,  del  decreto-legge
 22  marzo  1993,  n.  71, convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151,
 nella parte in cui prevede che le somme dovute dall'INPS a titolo  di
 sgravi degli oneri sociali per effetto della sentenza n. 261 del 1991
 della  Corte  costituzionale,  sono  rimborsate in dieci rate annuali
 senza alcun aggravio per  rivalutazione  ed  interessi,  si  pone  in
 contrasto  con  gli  artt.  3,  23 e 53 della Costituzione, in quanto
 "produce un irragionevole pregiudizio nei confronti del soggetto  che
 ha  indebitamente  pagato  e  si trova a subire la decurtazione della
 rivalutazione ed interessi  che  pure  costituiscono  componenti  del
 complesso credito previdenziale".
    5.  -  Nel giudizio relativo all'ordinanza del Pretore di Avellino
 si sono costituiti sia l'INPS che la parte privata.
    La difesa dell'INPS ha osservato  che  la  questione  dovrebbe  in
 primo  luogo essere ritenuta inammissibile, sia in quanto l'ordinanza
 di rimessione difetta  di  motivazione  in  punto  di  non  manifesta
 infondatezza  della questione, sia perche' analoga questione e' stata
 gia' dichiarata inammissibile dalla Corte con la sentenza n. 362  del
 1994.
    Nel merito la questione sarebbe infondata, in quanto la disciplina
 della cui legittimita' si dubita e' di per se' transitoria e limitata
 nel  tempo e come tale perfettamente legittima sotto il profilo della
 costituzionalita', atteso che,  secondo  la  costante  giurisprudenza
 della   Corte,  lo  stesso  fluire  del  tempo  costituisce  elemento
 differenziatore;  a  tal   proposito   sarebbe   invero   sufficiente
 considerare che le aziende interessate al rimborso hanno impostato il
 loro   esercizio   finanziario   senza   fare   affidamento  su  tale
 sopravvenienza attiva. Ne' sarebbe  possibile  imputare  all'INPS  il
 ritardo  nel  conseguimento  del  beneficio  dal  momento  che, se la
 normativa consentiva fin dall'origine di avvalersi dello sgravio e le
 imprese non se  ne  sono  avvalse,  non  possono  ora  pretendere  la
 rivalutazione e gli interessi, tanto piu' che non sussiste un diritto
 costituzionalmente  protetto  alla  rivalutazione  ed  agli interessi
 quali  "componenti  del   complesso   credito   previdenziale".   Non
 pertinente  sarebbe infine il denunciato contrasto con gli artt. 23 e
 53 della Costituzione.
    La difesa dell'ATI ha insistito per l'accoglimento della questione
 rilevando che la norma denunciata non solo si pone in  contrasto  con
 l'art.  3  della Costituzione, ma finisce con il mortificare, ed anzi
 con l'obliterare quelle finalita' indicate dalla Corte costituzionale
 nella richiamata sentenza, disattendendo altresi'  "il  principio  di
 equo  concorso  alla  spesa pubblica imponendo al privato, leso da un
 atto illegittimo della pubblica  amministrazione,  un  sacrificio  in
 evidente contrasto con gli artt. 23 e 53 della Costituzione".
    6.  -  Anche  in  tale  giudizio  e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale   dello   Stato,   concludendo   per   l'inammissibilita'  o
 l'infondatezza della questione. La  questione  sarebbe  inammissibile
 sia  per  carenza  di  adeguata motivazione in punto di non manifesta
 infondatezza, sia per il fatto che in base alla sentenza n.  362  del
 1994,   gli   sgravi   contributivi   riguardano   solo  le  "imprese
 industriali" operanti nel Mezzogiorno.
    Nel merito, ha osservato la difesa erariale, la  norma  denunciata
 rientra  nell'ambito  di  una  scelta  discrezionale del legislatore,
 ampiamente giustificata dalla  posizione  di  vantaggio  nella  quale
 vengono  a  trovarsi  le  aziende  per  una sopravvenienza attiva non
 prevista nei bilanci degli esercizi pregressi.
    Inconferente,   ancorche'   del   tutto   carente   di   qualsiasi
 motivazione, sarebbe, infine, la asserita violazione degli artt. 23 e
 53 della Costituzione riferendosi tali norme alla materia tributaria,
 estranea alla fattispecie in argomento.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  questione  sottoposta  all'esame  di questa Corte e' se
 l'art. 1, n. 3, del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71  (Disposizioni
 in   materia   di   sgravi   contributivi   nel   Mezzogiorno   e  di
 fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in legge  20  maggio
 1993,  n.  151,  nella  parte  in  cui  prevede  che  le somme dovute
 dall'INPS a titolo di sgravi contributivi per effetto della  sentenza
 della   Corte   costituzionale  n.  261  del  1991  siano  rimborsate
 ratealmente in 10 anni senza oneri per  l'Istituto  di  rivalutazione
 monetaria ed interessi e senza la possibilita' di compensazione con i
 debiti  dell'imprenditore  nei confronti dell'INPS, sia in contrasto:
 a)  con  l'art.  3 della Costituzione per l'ingiustificato privilegio
 accordato  all'INPS  rispetto  ad  ogni  altro  debitore  e  per   la
 discriminazione  in danno delle imprese aventi titolo al rimborso per
 effetto  della  citata  sentenza  rispetto   a   quelle   che   hanno
 originariamente  e regolarmente fruito dello sgravio in questione; b)
 con gli artt. 24 e 113 della Costituzione  perche'  la  non  completa
 reintegrazione  patrimoniale,  conseguente alla prevista modalita' di
 rimborso, comporta  l'impossibilita'  di  ottenere  esaustiva  tutela
 giurisdizionale;   c)   con  l'art.  41  della  Costituzione  per  la
 limitazione della propria liberta' di  iniziativa  economica  che  le
 imprese,  come  sopra  discriminate,  sono costrette a subire; d) con
 l'art. 97 della Costituzione perche' il privilegio accordato all'INPS
 si risolve in un fattore ostacolante rispetto  al  perseguimento  dei
 fini  di  imparzialita'  e  buon andamento dell'azione amministrativa
 dell'Istituto; e) con gli artt. 23 e 53 della Costituzione.
    2. - I due giudizi vanno  riuniti  e  decisi  con  unica  sentenza
 avendo  ad  oggetto sostanzialmente la stessa questione, ancorche' in
 ordine a parametri costituzionali non del tutto coincidenti.
    3. - Sia la difesa dell'INPS che quella dello Stato hanno  dedotto
 preliminarmente    l'inammissibilita'   delle   questioni   sollevate
 sostenendo che l'ordinanza del Pretore di Bari difetta di motivazione
 in punto di rilevanza, non essendosi il giudice a quo espresso  sulla
 qualificazione  industriale  delle  imprese  interessate agli sgravi,
 mentre quella del Pretore di Avellino  appare  del  tutto  immotivata
 sotto  il  profilo  della  non manifesta infondatezza della sollevata
 questione di incostituzionalita'.
    Tali eccezioni vanno disattese, sia considerando che il  carattere
 di industrialita' delle imprese richiedenti il rimborso - presupposto
 essenziale  della  pretesa  (v.  sentenze di questa Corte nn. 362 del
 1994 e 261 del 1991) - costituisce la  premessa  delle  ordinanze  di
 rimessione  che  impostano la loro motivazione partendo proprio dalla
 prima delle sentenze ora ricordate, sia perche', se pur concisamente,
 l'ordinanza del Pretore di Avellino non manca  di  osservare  che  la
 norma  impugnata  "produce un irragionevole pregiudizio nei confronti
 del soggetto che ha indebitamente pagato  e  si  trova  a  subire  la
 decurtazione   della   rivalutazione   e   degli  interessi  che  pur
 costituiscono componenti del compresso credito previdenziale".
    4. - Nel merito la questione e' infondata con riferimento a  tutti
 gli invocati parametri costituzionali.
    Per   sgombrare   subito  il  campo  dalle  censure  sollevate  in
 riferimento ai parametri meno conferenti alla sollevata questione, e'
 appena il caso di osservare che, con riguardo agli  artt.  24  e  113
 della   Costituzione,  le  esigenze  di  tutela  giurisdizionale  non
 appaiono violate dal momento che la norma denunziata non  attiene  ai
 limiti  processuali  di  detta  tutela;  che la denunziata violazione
 degli artt. 23 e 53  della  Costituzione  si  appalesa  immotivata  e
 comunque  infondata  poiche'  i  richiamati  principi  costituzionali
 riguardano la diversa materia tributaria;  che,  infine,  per  essere
 ritenuto  sussistente  il  contrasto  con  gli  artt.  41  e 97 della
 Costituzione e' necessario verificare se le scelte discrezionali  del
 legislatore  nel modulare gli incentivi alle diverse imprese, tenendo
 conto  delle  risorse  dei  pubblici  bilanci,  siano  state  o  meno
 irragionevolmente esercitate.
    5.   -   L'esame  della  questione  va  dunque  concentrato  sulla
 denunziata violazione dell'art. 3 della Costituzione, sia perche'  la
 norma  impugnata sarebbe viziata da irragionevolezza, sia soprattutto
 perche' essa determinerebbe una doppia disparita' di trattamento: tra
 la posizione dell'INPS rispetto a tutti gli altri debitori, e tra  le
 imprese che hanno potuto pienamente beneficiare degli sgravi e quelle
 cui e' dovuta la restituzione dei contributi indebitamente pagati.
    Nell'argomentare le rispettive tesi, le parti costituite in questo
 giudizio  hanno  diffusamente  esaminato il problema sotto molteplici
 aspetti:  a)  se  al  predetto  rimborso  da  parte  dell'INPS  debba
 applicarsi la normativa relativa agli altri indebiti oggettivi; b) se
 allo   stesso   possa   riconoscersi  natura  previdenziale,  con  la
 conseguenziale disciplina su rivalutazione  e  interessi;  c)  se  il
 diritto  alla rivalutazione e agli interessi debba intendersi effetto
 connaturale a qualsiasi debito e quindi anche a quello in oggetto; d)
 se alle imprese richiedenti non spettino gli sgravi in discussione in
 quanto le aziende di trasporto non avrebbero  carattere  industriale;
 e) se, godendo le imprese in questione del beneficio del "ripiano", a
 carico  dello  Stato,  dei  disavanzi  degli  esercizi  economici, la
 eventuale restituzione dei contributi a titolo  di  sgravi  aumentata
 della rivalutazione e degli interessi non si traduca in una ulteriore
 sopravvenienza attiva.
    6.  -  Questa Corte ritiene che gli accennati aspetti del problema
 risultano assorbiti da  altre  considerazioni  piu'  pertinenti  alla
 presente fattispecie in cui si ravvisa una posizione privilegiata che
 la  norma  riconoscerebbe  all'INPS  ed  alle  imprese che hanno gia'
 beneficiato pienamente degli sgravi contributivi.
    Il principio costituzionale  della  parita'  di  trattamento  puo'
 ritenersi   violato   solo   quando   il   legislatore  tratta  senza
 giustificazione in modo diverso  situazioni  omogenee;  nel  caso  di
 specie,  tuttavia,  e' ravvisabile una disomogeneita' con riguardo ad
 entrambe le posizioni prospettate.
    In casi nei quali, in esecuzione di sentenze di questa  Corte,  il
 legislatore  ha  apprestato  la  disponibilita'  di  mezzi  economici
 necessari, tenendo anche conto dell'ampiezza dell'onere richiesto, e'
 stata ritenuta giustificata l'osservanza di particolari  modalita'  e
 ragionevoli   limiti,  nonche'  la  gradualita'  corrispondente  alle
 esigenze di reperimento delle risorse finanziarie (sentenze nn. 103 e
 99 del 1995, 243 del 1993).
    7. - Nella specie, il legislatore, nelle sue discrezionali  scelte
 di  politica economica, aveva emanato norme di favore per determinate
 imprese sgravandole dall'onere di  corrispondere  contributi  sociali
 per  incentivare  la  produzione e sviluppare l'occupazione. Le altre
 imprese  escluse  dal  beneficio  provvidero  a  realizzare  i   loro
 programmi   di   produzione   ripartendo   costi   e  ricavi  secondo
 l'impostazione dei rispettivi bilanci. La successiva estensione degli
 stessi benefici a queste imprese, conseguente alla  sentenza  n.  261
 del  1991,  si differenzia da quella situazione originaria poiche' il
 rimborso a distanza di tempo dei contributi gia' versati non consegue
 piu' quelle stesse finalita' sociali che  giustificavano  lo  sgravio
 contestuale  allo  sviluppo  della  produzione  ed  al corrispondente
 livello occupazionale.
    La sopravvenuta legge n. 151 del 1993 ha disciplinato gli  effetti
 derivanti  dalla  pronuncia della Corte costituzionale tenendo conto,
 per un verso, dell'esigenza di ristabilire un certo equilibrio fra le
 imprese, e, per altro verso, della mutata logica di erogazione  delle
 nuove  provvidenze,  non  essendo  piu'  possibile  "ora  per allora"
 incentivare produzione e occupazione. In questa diversa  prospettiva,
 e  considerate  anche  le  accennate  esigenze  di  reperimento delle
 necessarie risorse finanziarie, il legislatore  ha  giustificatamente
 previsto  limiti e gradualita' nella concessione di tali sopravvenute
 erogazioni.
    8.  -  Se,  pertanto,  non  si  ravvisa  la  lamentata  violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione  nella  previsione del rimborso dei
 contributi "senza alcun  aggravio  per  rivalutazione  e  interessi",
 parimenti  deve  ritenersi  -  per  gli  stessi motivi gia' esposti -
 giustificato che detti rimborsi avvengano  con  ulteriori  limiti,  e
 cioe' in modo rateizzato e senza possibilita' di compensazione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, n. 3, del  decreto-legge  22
 marzo 1993, n. 71 (Disposizioni in materia di sgravi contributivi nel
 Mezzogiorno  e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in
 legge 20 maggio 1993, n. 151, sollevata, in  riferimento  agli  artt.
 3,  23, 24, 41, 53, 97 e 113 della Costituzione dal Pretore di Bari e
 dal Pretore di Avellino con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0899