N. 445 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 1995
N. 445 Ordinanza emessa il 19 aprile 1995 dal pretore di Varese nel procedimento penale a carico di Ferraresi Bruno Reato in genere - Possesso ingiustificato di valori - Irragionevole riferimento allo stato sociale attuale del soggetto precedentemente condannato - Lamentata indeterminatezza della norma per il riferimento al termine generico di "cose" nella spe- cie: banconote angolane - Prospettata lesione del diritto di difesa in caso di "mancata giustificazione reale e immediata". Pena - Possesso ingiustificato di valori - Trattamento sanzionatorio - Misura - Previsione di una pena minima edittale di mesi tre di arresto - Lamentata eccessivita' - Irragionevolezza rispetto ai delitti contro il patrimonio. (C.P., art. 708). (Cost., artt. 3, 24 e 25).(GU n.35 del 23-8-1995 )
IL PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza (art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87), procedimento n. 281/95 r.g. (6036/91 r.g.n.r.) nei confronti di Ferraresi Bruno, per il resto di cui all'art. 708 c.pen. 1. - A seguito di decreto di citazione a giudizio dell'8 settembre 1994 si e' svolto il dibattimento nel processo a carico di Bruno Ferraresi, imputato della contravvenzione di cui all'art. 708 c.pen.; il Ferraresi, gia' condannato per il reato di emissione di assegno senza provvista, e' stato colto in possesso di valuta angolana nella quantita' di 477.500 kwanzas: il pubblico ministero ipotizza trattarsi di "denaro .. data la qualita', non confacente al suo stato di disoccupato" del quale non e' stata giustificata la provenienza. Alla luce dell'accertamento del fatto nel corso dell'istruttoria dibattimentale e della sua qualificazione giuridica, il giudizio in corso non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 708 c.pen. 2. - L'art. 708 c.pen. punisce con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno chi, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, e' colto in possesso di denaro o di oggetti di valore, o di altre cose non confacenti al suo stato e dei quali non giustifichi la provenienza. L'analisi della fattispecie incriminatrice porta ad evidenziare i seguenti elementi: a) le condizioni personali del soggetto, che, con il richiamo all'art. 707 c.pen. ed a seguito della sentenza 19 luglio 1968, n. 110, della Corte costituzionale, si individuano nella condizione di condannato per taluni qualificati reati; b) il possesso di: b1) denaro; b2) oggetti di valore; b3) altre cose; c) l'incongruenza di quanto posseduto rispetto allo stato del soggetto, inteso, per costante lettura giurisprudenziale, come sua condizione economica, sociale, professionale; d) la mancata giustificazione della provenienza di quanto posseduto. 3. Nell'art. 708 c.pen. si configura un c.d. reato di sospetto. Questo tipo di incriminazione, tipico della legislazione degli stati italiani preunitari, ed in quella sede inteso a rafforzare l'attivita' di polizia, e' stata in epoca recente di nuovo utilizzata, in particolare con l'art. 12-quiquies del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (e succes- sive modificazioni), oggetto di intervento della Corte, che con sentenza n. 48 del 17 febbraio 1994 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del secondo comma dell'articolo. La tecnica normativa non puo' essere censurata sotto il profilo (invocato da una parte della dottrina e da precedenti remittenti) della asserita mancanza di condotta: infatti, il reato ha come presupposto necessario una condotta di cui il possesso attuale e' conseguenza (in tal senso si e' gia' espressa la Corte con sentenza 2 febbraio 1971, n. 14); nella fattispecie in esame e' ravvisabile una condotta comprensiva dell'atto di acquisizione delle cose oggetto materiale del reato e del loro consapevole possesso; e' inoltre indubitabile che l'ordinamento penale possa e debba ingerirsi nella circolazione dei beni ed impedire che le attivita' economiche diano adito a traffici illeciti. Per contro, e' proprio nella individuazione dell'oggetto materiale del reato che emerge, ad avviso di questo giudice, il contrasto dell'art. 708 c.pen. con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. L'oggetto di illecito possesso si qualifica, nella struttura della norma censurata, sulla base di un dato intrinseco (l'essere denaro, oggetto di valore o altra cosa) e di due dati estrinseci, logicamente graduati: l'essere non confacente allo stato del soggetto e, verificata tale condizione, l'essere di provenienza non giustificata. Orbene, i termini "denaro" e "oggetti di valore" pur recando in se' un certo grado inevitabile di elasticita', rinviano a dati naturalistici e di esperienza che rendono i concetti sufficientemente definiti e soddisfano il principio di tassativita' della fattispecie. Laddove invece la norma parla di "cose", solo apparentemente individua in via preventiva l'oggetto materiale del reato, la cui configurazione viene invece rinviata alla sola valutazione della congruita' delle "cose" rispetto allo "stato" del soggetto, posto che l'area semantica della parola "cosa", per come si configura nell'ambito giuridico, copre ogni entita' fisica del mondo esteriore diversa dall'uomo. Il difetto assoluto di tassativita' della norma sotto questo particolare profilo, oltre a porsi, ad avviso di questo giudice, in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, genera un contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione per motivi affini a quelli esaminati nella sentenza 19 luglio 1968, n. 110, declaratoria di illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 708 c.pen.: infatti si amplifica la portata incriminatrice della norma incentrandola esclusivamente ed irragionevolmente sullo stato sociale attuale del soggetto precedentemente condannato. Nel processo da cui trae origine la presente ordinanza e' ben percepibile il contrasto segnalato. L'imputato nel settembre 1991 venne colto in possesso di 477.500 kwanzas angolani: il controvalore era all'epoca di circa ventisettemila lire; al momento del giudizio, sulla base del corso della valuta angolana contro dollaro (680.000 kwanzas per un dollaro) la somma posseduta e' pari a circa milleduecento lire italiane. Il pubblico ministero ha formulato l'imputazione con riferimento solo apparente all'elemento "denaro": si parla invece nel decreto di citazione a giudizio di "denaro . data la qualita'" (e non, puramente, di "somma di denaro") non confacente allo stato di disoccupazione dell'imputato. Si tratta, dunque, di stabilire - sulla base di un'imputazione correttamente formulata alla luce dell'art. 708 c.pen. - se le "cose" individuate come un certo numero di banconote angolane possano essere lecitamente possedute da un disoccupato. L'effetto dell'indeterminatezza della norma sotto il profilo segnalato e' quello di assegnare ad essa - a differenza di quanto accade per altre consimili, prima fra tutte l'art. 707 c.pen - non una funzione di prevenzione mediante anticipazione della soglia di tutela, ma funzione repressiva sussidiaria e generica di reati altrimenti non provati, ottenuta mediante il difetto di tassativita'. 4. - Sotto altro profilo l'art. 708 c.pen. pare confliggere con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Il diritto di difesa, dichiarato dalla Costituzione inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, implica il necessario recepimento in ambito processuale e sostanziale del principio nemo tenetur se detegere; nessun apporto attivo obbligatorio puo' essere richiesto non solo a chi ha gia' assunto la qualita' di imputato, ma anche a chi in conseguenza di un proprio comportamento o dichiarazione possa assumere la qualita' di indagato. Non si puo', cioe', obbligare un cittadino a fornire all'autorita' giudiziaria la notizia della commissione da parte sua di un reato. Nella sentenza 19 novembre 1992, n. 464, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 708 c.pen. si fa richiamo alla precedente sentenza 2 febbraio 1971, n. 14, e, implicitamente, alla prevalente giurisprudenza di legittimita' in ordine al problema della natura della giustificazione dall'art. 708. Non affrontato nella piu' recente sentenza della Corte, e' invece il problema del momento in cui la giustificazione andrebbe fornita. Si afferma in giurisprudenza che la norma incriminatrice esigerebbe non piu' che una "attendibile e circostanziata spiegazione"; la Corte (ord. n. 65 del 15 aprile 1981) ha escluso che si esiga la prova della legittimita' della provenienza delle cose possedute prendendosi invece una attendibile e circostanziata spiegazione di tale provenienza. Ora, se si vuole attribuire senso alla norma censurata, anche in relazione al problema di individuazione del momento consumativo del reato, si deve ritenere che: a) la giustificazione del possesso deve essere corrispondente alla realta', e non soltanto plausibile: e, costituendo elemento del reato, dovra' essere oggetto di puntuale accertamento da parte del giudice, mentre tocchera' all'accusa dimostrare non la mancata formulazione di una qualsivoglia giustificazione, bensi' la mancanza di una giustificazione corrispondente alla realta' del fatto acquisitivo che fonda il possesso incriminato; richiedere solo una "spiegazione sufficientemente convincente" la cui valutazione rientra nel discrezionale apprezzamento del giudice di merito (cosi' Cass., VI 28 ottobre 1992, Ceron) equivale a scegliere di punire solo chi non sia grado di fornire "una" giustificazione e non chiunque non abbia "la" giustificazione del possesso; b) la giustificazione del possesso deve essere contestuale al momento in cui il soggetto venga "colto" e' cioe' sottoposto al controllo dal quale emerge la sua disponibilita' della cosa, del denaro o dell'oggetto di valore; o si ritiene che il reato si consumi con il mancato soddisfacimento della prima richiesta esplicita di giustificazione del possesso, oppure bisogna ammettere che la spiegazione possa utilmente intervenire in un momento successivo e con cio' si trasla il momento consumativo del reato ad un non precisato ultimo momento utile per l'integrazione di questo elemento (mancanza di giustificazione), che addirittura, in difetto di un dato normativo di riferimento, potrebbe coincidere con la sentenza di primo grado. Ma se e' vero che l'integrazione della fattispecie richiede una mancata giustificazione reale e immediata, simmetricamente si verifichera' che, ogniqualvolta l'origine delle cose, del denaro o degli oggetti di valore sia illecita, la persona sottoposta a controllo evitera' di dover rispondere della contravvenzione di cui all'art. 708 c.pen. soltanto dichiarando l'avvenuta commissione da parte propria o di altri di un diverso reato. Non sembra che si possa evitare l'emergere, in questa situazione, di un conflitto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Certamente si puo' affermare che la pretesa ad una immediata spiegazione nasce in un momento anteriore a quello giudiziale, e cioe' quando il soggetto e' sottoposto a controllo e non ha ancora assunto la qualita' di imputato: ma la portata del principio nemo tenetur se detegere e con esso dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione non puo' essere confinata nel dato formalistico che fa coincidere il "procedimento" giurisdizionale indicato nella norma costituzionale con la fase del giudizio. Il principio vale anche per la fase delle indagini, ed era gia' sancito dal codice di procedura penale abrogato, nell'art. 78, terzo comma: e non puo' non valere anche per il momento in cui il pubblico ministero o la polizia giudiziaria "prendono notizia dei reati", cosi' come previsto dall'art. 330 c.p.p.: deve ritenersi escluso che la notizia di reato possa provenire da una coazione indiretta del reo, attraverso la minaccia della realizzazione da parte sua di altro reato. D'altro canto, il meccanismo indotto dall'art. 708 viola l'art. 3 della Costituzione perche' costruisce un irragionevole obbligo di denuncia (indirettamente sanzionato) in capo al soggetto colto in possesso di quanto detto, al di fuori delle ipotesi espressamente previste e legato non alla gravita' del reato da denunciare o ad altro dato obiettivo, ma all'occasionalita' del controllo subito. 5. - Infine, attesa la possibilita', ammessa dalla Corte, di graduare le questioni sottoposte al vaglio di legittimita' costituzionale, si ritiene di dover segnalare - subordinatamente alle questioni principali relative agli art. 25, secondo comma, 3 e 24, secondo comma, della Costituzione - il contrasto dell'art. 708 c.pen. con l'art. 3 della Costituzione sotto un ulteriore profilo. Non ignora il pretore remittente che la Corte ha piu' volte avuto occasione di ripetere che l'esercizio della discrezionalita' del legislatore nello stabilire la qualita' e la misura della pena non puo' essere censurato nel giudizio di legittimita' costituzionale (in tal senso la Corte si e' espressa circa altro reato di sospetto - art. 707 c.pen. - con ordinanza n. 270 del 6 dicembre 1984; valga tuttavia il richiamo a diversa decisione della Corte, sempre in tema di reato di sospetto, con la quale e' stata dichiarata la parziale illegittimita' costituzionale dell'art. 90, primo comma, c.p.m.p.: sentenza 16 febbraio 1989, n. 49). Pare peraltro irragionevole, nella norma oggetto della presente ordinanza, la determinazione di un minimo edittale di pena (mesi tre di arresto) a fronte di delitti contro il patrimonio rispetto, ai quali la contravvenzione in questione non puo' che essere considerata un minus per i quali, mediante il giudizio di valenza delle circostanze (e' quanto accade per il furto) o mediante la qualificazione stessa del fatto (per la ricettazione di particolare tenuita') e' possibile il reale adeguamento della pena alla concreta gravita' del fatto applicandola a partire dai minimi assoluti di legge.
P. Q. M. Visto l'art. 23, terzo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuto che il giudizio in corso non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 708 c.pen. in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma; 25, secondo comma, della Costituzione; Dispone la trasmissine degli atti del presente processo alla Corte costituzionale sospendendo il giudizio in corso; Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al pubblico ministero, all'imputato, al Presidente del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione della stessa al Presidente della Cam- era dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Varese, addi' 19 aprile 1995 Il pretore: BATTARINO 95C0915