N. 40 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 luglio 1995

                                 N. 40
 Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 13 luglio 1995 (della provincia autonoma di Bolzano)
 Agricoltura  -  Attuazione  degli  artt.  8 e 9 regolamento C.E.E. n.
 2092/91 in materia di produzione agricola agro-alimentare con  metodo
 biologico  -  Disciplina  analitica  del  controllo su tali attivita'
 nonche' degli organismi ad esso preposti e del controllo sui medesimi
 - Indebita invasione della sfera di competenza provinciale in materia
 di regolamentazione e promozione dell'agricoltura biologica  e  della
 produzione  integrata,  gia'  disciplinata  con  legge provinciale 30
 aprile 1991, n. 12 - Violazione del principio di leale collaborazione
 per la mancata previa intesa con la provincia di Bolzano - Eccesso di
 delega.
 (D.-Lgs. 17 marzo 1995, n. 220, artt. 1, 2, 3 primo e terzo comma; 4,
 secondo, terzo e quarto comma; 5, primo comma;  6,  secondo  e  terzo
 comma; 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma);
 (Cost.,  art.  76, statuto Trentino-Alto Adige, art. 8, n. 21 art. 9,
 n. 3 e art. 16).
(GU n.31 del 26-7-1995 )
    Ricorso della  provincia  autonoma  di  Bolzano,  in  persona  del
 presidente  della  giunta  provinciale  p.t.  dott.  Luis Durnwalder,
 giusta deliberazione  della  giunta  n.  3371  del  26  giugno  1995,
 rappresentata  e difesa - in virtu' di procura speciale del 26 giugno
 1995, rogata dal vice segretario generale della giunta avv.  Giovanni
 Salghetti  Drioli  (rep.    n.  17591) - dagli avv.ti proff.ri Sergio
 Panunzio e Roland Riz., e  presso  il  primo  di  essi  elettivamente
 domiciliata  in  Roma, piazza Borghese n. 3, contro la Presidenza del
 Consiglo dei Ministri, in persona del  Presidente  del  Consiglio  in
 carica,  per  la  dichiarazione  di  incostituzionalita'  del decreto
 legislativo 17 marzo 1995, n. 220, recante "Attuazione degli artt.  8
 e  9 del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di produzione agricola
 ed agro-alimentare con metodo biologico", nel suo  complesso,  e  con
 particolare  riferimento  agli artt. 1, 2, 3, commi primo e terzo; 4,
 commi secondo, terzo e quarto; 5, comma primo;  6,  commi  secondo  e
 terzo; 8, commi primo e quinto.
                               F A T T O
    1. - La provincia autonoma di Bolzano ha competenze legislative ed
 amministrative  esclusive in materia di "agricoltura", ai sensi degli
 artt. 8, n. 21, e 16, primo comma,  dello  Statuto  speciale  per  il
 Trentino-Alto  Adige  (nonche'  competenze  concorrenti in materia di
 "commercio" ai sensi dell'art. 9, n. 3. Tali  competenze  sono  nella
 piena   disponibilita'   della   provincia,  anche  a  seguito  della
 emanazione delle relative norme d'attuazione dello statuto, contenute
 soprattutto nel d.P.R. 23 marzo 1974, n.  279  (Norme  di  attuazione
 statuto  della  regione  T.-A.A.  in  materia  di  minime  proprieta'
 colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste); e  poi  anche  dal
 d.P.R.  19  novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione T.-A.A. ed
 alle province autonome di Trento e  Bolzano  delle  disposizioni  del
 d.P.R  24  luglio 1977, n. 616). Merita anche di essere ricordato, in
 particolare che l'art. 6 del d.P.R. n. 526/1987 ha  riconosciuto  che
 spetta  alla  stessa  provincia; nelle materie di competenza propria,
 "di  provvedere  all'attuazione  dei  regolamenti   della   comunita'
 economica europea, ove questi richiedono una normazione integrativa o
 un'attivita' amministrativa di esecuzione".
    La  provincia  autonoma  di  Bolzano  ha  ampiamente esercitato le
 suddette competenze, stabilendo una organica  disciplina  legislativa
 in  materia  di  agricoltura.  Una  disciplina  che  spesso  ha anche
 anticipato taluni interventi del legislatore nazionale e della stessa
 Comunita' economica europea.
    Quest'ultimo e' il caso, fra gli altri, della disciplina stabilita
 dalla legge provinciale 30 aprile 1991, n. 12, recante "Norme per  la
 regolamentazione  e  promozione  dell'agricoltura  biologica  e della
 produzione  integrata".  In  particolare  per  quanto   riguarda   la
 "agricoltura  biologica  (consistente  -  secondo  l'art.  1, secondo
 comma, della legge provinciale - nella "produzione, trasformazione  e
 commercializzazione  di  prodotti  agricoli,  per i quali sussiste la
 garanzia  di  essere  stati  ottenuti  senza  l'impiego  di  prodotti
 chimico-sintetici",  la  legge provinciale ha stabilito i requisiti e
 le tecniche agricolo-biologiche che debbono  essere  impiegati  dalle
 aziende  agricole  di  produzione  o  di  trasformazione perche' esse
 possano considerarsi come aziende "biologiche" (artt. 2, 3 e  4);  ha
 istituito  una  "Commissione provinciale per l'agricoltura biologica"
 che ha il compito di garantire la  funzionalita'  tecnico-scientifica
 ed operativa degli interventi previsti dalla legge (art. 5), e che in
 particolare ha il compito di stabilire le disposizioni sull'uso delle
 sostanze  consentite (art. 3, secondo comma), di stabilire i prodotti
 agricoli per i quali puo' essere concesso il marchio  di  protezione,
 di decidere sulle iscrizioni e cancellazioni delle aziende biologiche
 in  appositi  albi,  ecc. (art. 6); ha appunto istituito l'albo delle
 aziende agricole biologiche e quello delle aziende di  trasformazione
 biologica,  disciplinando  i  requisiti  e le procedure di iscrizione
 (art. 7), e gli obblighi che incombono sulle aziende  iscritte  (art.
 8);   ha  disciplinato  il  rilascio  e  l'utilizzo  del  marchio  di
 protezione ("prodotto biologico controllato")  che  -  a  determinate
 condizioni  e  previ  controlli  -  puo'  essere  utilizzato sui loro
 prodotti dalle aziende iscritte negli albi  (art.  14);  ha  disposto
 finanziamenti  ed incentivi di vario genere a favore dell'agricoltura
 biologica (art. 26).
    2. - Successivamente alla entrata in vigore della  suddetta  legge
 provinciale  n.  12/1991,  la  CEE  e'  intervenuta in materia con il
 regolamento n. 2092/91 del Consiglio, del  24  giugno  1991,  che  ha
 dettato  norme  in  ordine  "al  metodo  di  produzione  biologico di
 prodotti agricoli e alla indicazione  di  tale  metodo  sui  prodotti
 agricoli e sulle derrate alimentari".
    Con  tale  regolamento  la CEE - avendo fra l'altro considerato la
 sempre maggiore  richiesta  da  parte  dei  consumatori  di  prodotti
 agricoli e derrate alimentari ottenuti con metodi biologici, il fatto
 che  a  seguito  di cio' vengano immessi sul mercato prodotti recanti
 indicazioni che informano l'acquirente o lo inducono a  ritenere  che
 essi  sono  stati  ottenuti con metodi biologici o senza l'impiego di
 prodotti  chimici  di  sintesi,  che  alcuni  Stati  membri hanno gia
 introdotto  disposizioni  regolamentari   e   controlli   concernenti
 l'utilizzazione  di  tali  indicazioni,  che  e' necessario un quadro
 normativo comunitario in materia di produzione di etichettatura e  di
 controllo  anche  per  garantire  la  concorrenza, che debbono essere
 stabiliti  nell'interesse  dei  produttori  e  degli  acquirenti  dei
 prodotti  che  recano indicazione concernenti il metodo di produzione
 biologico dei principi minimi che devono essere soddisfatti affinche'
 i prodotti possono  essere  presentati  con  tali  indicazioni  -  ha
 stabilito  cosa si debba intendere per metodo di produzione biologico
 (art. 6) e quali sono i prodotti cui il  regolamento  e'  applicabile
 (artt.  1  e  2),  ha disciplinato le condizioni e le modalita' delle
 etichettature e pubblicita' dei prodotti che facciano riferimento  al
 metodo  di produzione biologico (artt. 5 e 10), e, fra le altre cose,
 ha in  particolare  disciplinato  i  controlli  sugli  operatori  che
 producono,  preparano  od  importano  da  un  paese  terzo i prodotti
 agricoli  biologici  (artt.  8  e  9).  A  quest'ultimo  riguardo  il
 regolamento   prevede  in  particolare  la  notifica  delle  suddette
 attivita' da parte degli operatori alle autorita' competenti ed  agli
 organismi designati degli Stati membri (art. 8, n. 1 e 2); stabilisce
 che gli Stati membri debbono instaurare un sistema di controllo sugli
 operatori  che  deve  essere  gestita  "da  una  o  piu' autorita' di
 controllo designate e/o da organismi privati riconosciuti" (art. 9 n.
 1); che tale sistema di controllo deve comprendere almeno  le  misure
 di  controllo e precauzionali indicate nell'allegato terzo (art. 9 n.
 3); e che per l'attuazione di un sistema  di  controllo  affidato  ad
 organismi  privati  gli  Stati  membri debbono designare un'autorita'
 incaricata del riconoscimento e della sorveglianza di tali  organismi
 (art. 9, n. 4).
    Per  quanto  riguarda  ancora  in particolare gli artt. 8 e 9, sul
 sistema di controllo, l'art. 16, n. 2, del Regolamento stabiliva  che
 "Gli Stati membri mettono in applicazione gli articoli 8 e 9 entro il
 termine  di  9  mesi  a decorrere dall'entrata in vigore del presente
 regolamento".
    3. -  Poiche'  non  spetta  allo  Stato,  ma  esclusivamente  alla
 provincia  autonoma  di Bolzano, nelle materie di propria competenza,
 di provvedere all'attuazione dei  regolamenti  della  CEE,  nel  caso
 questi   abbisognino   dell'emanazione   di  un'ulteriore  normazione
 integrativa, o di un'attivita' amministrativa di esecuzione  (secondo
 quanto  espressamente  stabilito  dal  citato  art.  6  del d.P.R. n.
 526/87), non puo' esservi dubbio sul fatto che  spetta  appunto  alla
 Provincia     (in    quanto    autorita'    competente    all'interno
 dell'ordinamento italiano) il compito di "mettere  in  applicazione",
 ai  sensi dell'art. 16, secondo comma, del regolamento CEE n. 2092/91
 le norme sul sistema di controllo contenute negli artt.  8  e  9  del
 medesimo regolamento. E' cio' che la provincia autonoma di Bolzano si
 e' gia' accinta a fare, in particolare mediante la predisposizione di
 un  disegno  di legge regionale recante nuove norme sulla agricoltura
 biologica, adeguate al regolamento  CEE  n.  2092/91,  e  dirette  ad
 abrogare  e  sostituire  parte  della  vigente  legge  provinciale n.
 12/1991 (il testo del  disegno  di  legge,  che  si  depositera',  e'
 attualmente all'esame della giunta provinciale).
    E'  pero' accaduto che, sulla Gazzetta Ufficiale del 5 luglio u.s.
 sia stato pubblicato il decreto legislativo 17 marzo  1995,  n.  220,
 emanato  in  base  all'art.  42  della legge 22 febbraio 1994, n. 146
 (legge comunitaria 1993), recante delega al Governo per  l'attuazione
 delle  disposizioni  di  cui  agli artt. 8 e 9 del regolamento CEE n.
 2092/91.
    Tale decreto legislativo contiene  una  analitica  disciplina  del
 controllo  sulle  attivita' di produzione agricola ed agro-alimentare
 con metodo biologico, nonche' degli organismi ad esso preposti e  del
 controllo sui medesimi.
    Si  tratta di una disciplina assai minuziosa, volta a disciplinare
 anche nei dettagli ogni aspetto della materia.  Una  disciplina  che,
 per  cio'  che  soprattutto  rileva  ai  fini  del  presente atto, e'
 inequivocabilmente rivolta anche alle province autonome di  Trento  e
 Bolzano  (che  infatti  sono  espressamente  richiamate  in  numerose
 disposizioni: per es. artt. 2, secondo  comma;  4,  secondo  e  terzo
 comma;  5,  primo  comma; 6, primo comma; ecc.); e si pone anche come
 disciplina legislativa  direttamente  applicabile  all'interno  degli
 ordinamenti  provinciali  (dunque  con  caratteri divergenti rispetto
 anche allo schema dei rapporti fra legislazione statale e provinciale
 stabilito dalle norme d'attuazione contenute nell'art. 2 del  decreto
 legislativo 16 marzo 1992, n. 266).
    Ma  tale  decreto legislativo, nel suo complesso e con riferimento
 alle disposizioni  indicate  in  epigrafe  e  che  passeremo  ora  ad
 esaminare,  e'  gravemente lesivo delle competenze costituzionalmente
 spettanti alla provincia autonoma di Bolzano, che pertanto lo impugna
 per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    1. - Violazione delle competenze  costituzionali  della  provincia
 autonoma  di  Bolzano  di  cui agli artt. 8, n. 21, 9 n. 3, 16, primo
 comma, dello statuto speciale Trentino-Alto Adige (d.P.R.  31  agosto
 1972,  n.  670)  e relative norme d'attuazione (spec. d.P.R. 22 marzo
 1974, n. 279, art. 6 d.P.R.  19  novembre  1987,n.  526,  ed  art.  2
 decreto  legislativo 16 marzo 1992, n. 266). Violazione del principio
 di leale collaborazione.
    Il decreto legislativo impugnato e' complessivamente lesivo  delle
 competenze  provinciali  indicate in epigrafe perche' il suo impianto
 complessivo e' inficiato da un vizio di fondo.  Poiche'  spetta  alla
 provincia  provvedere all'attuazione dei regolamenti comunitari nelle
 materie di competenza propria (art. 6 d.P.R. n. 526/1987), lo  spazio
 per  un  intervento  dello Stato in materia e estremamente ridotto, e
 comunque non puo' validamente fuoriuscire  dai  seguenti  binari.  Se
 (come  sembra  essere)  la  disciplina del regolamento comunitario e'
 sufficientemente dettagliata, si' da non abbisognare di una ulteriore
 disciplina  legislativa  interna,  allora   spetta   alla   provincia
 ricorrente  provvedere  all'attivita' amministrativa di esecuzione, e
 lo Stato potra' legittimamente  intervenire  solo  mediante  atti  di
 indirizzo  e coordinamento (purche' questi siano adottati nelle forme
 ed in presenza dei presupposti prescritti per tali atti: si  richiama
 al  riguardo  la  precedente  sentenza  di  codesta  ecc.ma  Corte n.
 278/1993). Oppure, nel  caso  in  cui  la  disciplina  stabilita  dal
 regolamento  comunitario  richieda  per qualche aspetto una ulteriore
 normazione di diritto interno (da parte  delle  autorita'  competenti
 secondo  l'ordinamento  degli  Stati  membri), egualmente spetterebbe
 alla provincia ricorrente il compito di provvedere  a  legiferare  in
 materia,  ed  in  tal caso lo Stato (in base al richiamato art. 2 del
 decreto legislativo n. 266/92) potrebbe stabilire solo i "principi  e
 norme  costituenti limiti indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto
 speciale", cui successivamente  la  legislazione  provinciale  dovra'
 essere "adeguata".
    Ma  nel caso in questione lo Stato ha agito diversamente. Esso non
 ha emanato un atto di indirizzo e coordinamento, ne' si e' limitato a
 stabilire una disciplina legislativa di  principio  per  indirizzare,
 nei  limiti  richiesti  dalla  disciplina  comunitaria, la successiva
 legislazione provinciale. Ha invece dettato esso stesso una analitica
 ed  esaustiva  disciplina  legislativa  della  materia,  direttamente
 applicabile  anche  nell'ordinamento  della  provincia  ricorrente  e
 togliendo praticamente ogni spazio di  intervento  ulteriore  per  la
 legge  provinciale.  Sotto  il  profilo  ora  esaminato,  il  decreto
 legislativo  impugnato  e  dunque  nel  suo  complesso  lesivo  delle
 competenze  provinciali, e quindi incostituzionale nella parte in cui
 pretenda di essere applicabile anche alla provincia ricorrente.
    1.2. - Il decreto legislativo  impugnato  e'  pero'  lesivo  delle
 competenze   provinciali  anche  sotto  un  ulteriore  profilo,  piu'
 strettamente collegato  al  modo  in  cui  esso  ha  disciplinato  la
 materia, ed allo specifico contenuto di sue singole disposizioni.
    Il  decreto impugnato, infatti, e informato a principi di assoluto
 centralismo: attribuisce in pratica esclusivamente al Ministero delle
 risorse agricole ogni  potere  rilevante  in  materia,  relegando  la
 provincia  in  un  ruolo  assolutamente  secondario e subordinato; un
 ruolo comunque incompatibile  con  il  fatto  che  nella  materia  in
 questione  la  provincia  e'  titolare  di una competenza addirittura
 esclusiva.
    A   questo   punto,   dunque,   occorre   passare   ad   esaminare
 analiticamente   quelle   disposizioni  del  decreto  legislativo  in
 questione  che  risultano  essere  piu'   gravemente   lesive   delle
 competenze  della  provincia  ricorrente,  e che con il presente atto
 vengono quindi singolarmente impugnate.
    In tal senso la prima disposizione che viene in evidenza e che  si
 impugna, e' quella contenuta nell'art. 1.
    L'art. 1 del decreto legislativo impugnato individua nel Ministero
 delle  risorse  agricole,  alimentari  e  forestali l'unica autorita'
 italiana preposta al controllo, oltre  che  al  coordinamento,  delle
 attivita'     amministrative     e    tecnicoscientifiche    inerenti
 l'applicazione del regolamento CEE n. 2092/91.
    Il controllo sulle attivita' in questione inerisce certamente alle
 funzioni  amministrative  esclusive  appartenenti   alla   provincia.
 L'avocazione  al  Ministero  della  generalita'  dei  poteri  e delle
 responsabilita' in ordine al controllo e'  dunque  certamente  lesivo
 delle competenze provinciali.
    Ne'  tale  avocazione  potrebbe  ritenersi  imposta o giustificata
 dalla disciplina comunitaria. Questa, come sempre in tali  casi,  non
 puo'    che   rinviare   all'ordine   delle   competenze   quale   e'
 costituzionalmente stabilito all'interno dell'ordinamento degli Stati
 membri.
    Ed infatti  l'art.  9,  n.  1,  del  regolamento  CEE  n.  2092/91
 espressamente  stabilisce  che i singoli Stati "instaurano un sistema
 di controllo gestito da una o piu' autorita' di  controllo  designate
 e/o  da  organismi privati riconosciuti ..". Con una formula, dunque,
 che consente di tenere conto dei diversi regimi di competenze vigenti
 all'interno  degli  ordinamenti  degli  Stati  membri; e che nel caso
 dell'Italia, dunque, consente che il controllo  sia  gestito  da  una
 pluralita'  di  autorita'  di  controllo, fra cui appunto non possono
 mancare le province autonome di Trento e di Bolzano,  essendo  queste
 titolari in materia di competenze esclusive.
    1.3. - Artt. 2 e 3, commi primo e terzo.
    Per  motivi  di  ordine  logico e di chiarezza espositiva conviene
 partire dall'art. 3 del decreto legislativo impugnato.
    L'art. 3  attribuisce  in  esclusiva  al  Ministro  delle  risorse
 agricole,  alimentari  e  forestali  il  potere  di  autorizzare  gli
 organismi  (privati)  che  intendono  svolgere  il  controllo   sulle
 attivita'   della   produzione   agricola,   della   preparazione   e
 dell'importazione di prodotti ottenuti secondo il  metodo  biologico.
 Le  relative istanze debbono essere presentate solo al Ministro (art.
 3, primo comma), e solo ad esso spetta di provvedere su di esse (art.
 3, terzo comma), previo parere di un altro  organo  dello  Stato:  il
 Comitato di valutazione degli organismi di controllo ex art. 2.
    A  sua volta l'art. 2 del decreto legislativo n. 220/95 istituisce
 e disciplina appunto il "Comitato di valutazione degli  organismi  di
 controllo  ",  cui in particolare e' affidato in esclusiva il compito
 di esprimere pareri  in  merito  all'adozione  dei  provvedimenti  di
 autorizzazione  degli organismi di controllo ex art. 3. Tale comitato
 e' uno organo statale,  i  cui  9  membri  sono  tutti  nominati  dal
 Ministro  delle  risorse agricole, e sono in prevalenza (sei su nove)
 funzionari ministeriali (art. 2, secondo comma), e di cui  presidente
 e  segretario  sono nominati tra i rappresentanti del Ministero delle
 risorse agricole. Regioni e province autonome hanno in tale  comitato
 una  voce  assai limitata: il terzo comma dell'art. 2 prevede infatti
 che l'organo e integrato di volta  in  volta  con  un  rappresentante
 della   regione   o   provincia   autonoma   in  cui  il  richiedente
 l'autorizzazione  ha  dichiarato  di  essere  presente  con   proprie
 strutture.
    Anche   tale   disciplina,   per   il  suo  carattere  rigidamente
 accentratore, risulta lesiva delle competenze esclusive spettanti  in
 materia  alla  provincia  ricorrente,  fra  cui  e' compreso anche il
 potere  di  autorizzare  gli  organismi  privati  di  controllo   che
 intendono operare nel suo territorio.
    Si  osservi che l'accentramento di tale potere nelle sole mani del
 Ministero delle risorse agricole non  puo'  ritenersi  necessitato  o
 giustificato  dal  fatto  che (ai sensi dell'art. 3, terzo comma) gli
 organismi autorizzati possono  esercitare  la  propria  attivita'  su
 tutto  il  territorio  nazionale.  Infatti  anche quest'ultima e' una
 scelta fatta dal legislatore delegato che non trova alcun  fondamento
 nella  disciplina  comunitaria.  Nulla  impediva  di riconoscere agli
 organismi una competenza territorialmente limitata ad una  regione  o
 provincia   autonoma   (comunque  non  estesa  all'intero  territorio
 nazionale) e cosi' lasciare alla provincia ricorrente  il  potere  di
 autorizzare gli organismi operanti nel suo territorio.
    La  lesione  della  competenza della provincia ricorrente non puo'
 neppure ritenersi esclusa per il  fatto  che  un  suo  rappresentante
 partecipa  al Comitato ex art. 2 quando si tratta di esprimere pareri
 su richieste di autorizzazione che la interessano (o per il fatto che
 tre  dei nove membri del Comitato sono designati dalla Conferenza dei
 presidenti delle regioni e province autonome, di cui all'art.  4  del
 decreto legislativo 16 dicembre 1989, n. 418). Anzi, a tale proposito
 la  disciplina  in  questione  appare incostituzionale anche sotto un
 ulteriore profilo: quella della violazione  del  principio  di  leale
 collaborazione   che  comunque  presiede  ai  rapporti  fra  Stato  e
 provincia autonoma  nelle  materie  in  cui  vi  sia  concorso  delle
 competenze e responsabilita' dei due enti.
    Tale principio risulta infatti violato, in primo luogo, perche' il
 Comitato   fornisce  un  semplice  parere  non  vincolante,  restando
 integralmente al Ministero il potere di decidere sulla  richiesta  di
 autorizzazione.  Se  anche  si trattasse di un parere della provincia
 cio' non basterebbe  ad  evitare  la  lesione  della  sua  competenza
 esclusiva in materia (secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte:
 sent. n. 517/87).
    Ma  nel  caso in questione il parere non e' della provincia, ma di
 un organo collegiale dello  Stato  nel  quale  la  provincia  ha  una
 limitatissima rappresentanza.
    Ne   risulta   percio'   violato   anche  il  principio  di  leale
 collaborazione (il che non  sarebbe  se,  per  esempio,  fosse  stata
 prevista  una intesa fra Stato e provincia), e comunque confermata la
 incostituzionalita' della disciplina stabilita (oltre  che  dall'art.
 2) anche dall'art. 3 del decreto legislativo impugnato.
    1.4. - Art. 4, commi secondo, terzo e quarto.
    L'art. 4 contiene la disciplina della vigilanza sugli organismi di
 controllo,  una  disciplina  che  mantiene  quelle caratteristiche di
 esasperato accentramento gia' viste in relazione agli artt. 2 e 3.
    Il  secondo  comma  dell'art.  4  afferma  che  la  vigilanza  "e'
 esercitata   dal  Ministero  delle  risorse  agricole,  alimentari  e
 forestali e dalle  regioni  e  province  autonome  per  le  strutture
 ricadenti nel territorio di propria competenza".
    In  realta',  anche qui il ruolo delle regioni e province autonome
 piu' nominale che  reale,  ed  il  potere  di  vigilanza,  nella  sua
 sostanza, resta ben saldo nelle sole mani del Ministero.
    Infatti, l'unica misura sanzionatoria prevista nei confronti degli
 organismi  di  controllo  vigilati  e'  la revoca dell'autorizzazione
 (commi tre, quattro e cinque dell'art. 4), ma il potere  di  disporre
 la  revoca  e'  attribuito  dal  decreto  delegato  impugnato solo al
 Ministro, anche qui sentito il parere del Comitato di valutazione  ex
 art.  2  (art.  4,  sesto comma). Alle regioni e province autonome e'
 riconosciuto (oltre alla gia' esaminata partecipazione  al  Comitato)
 solo   un   potere   di   "proposta"   al   Ministro   della   revoca
 dell'autorizzazione (proposta, ovviamente, non vincolante e  che  non
 preclude  la possibilita' che il Ministro proceda autonomamente, pure
 in mancanza di una proposta).
    E' chiaro, dunque, come la disciplina dell'art. 4 abbia attribuito
 un ruolo assolutamente preponderato al Ministro anche  per  cio'  che
 concerne  la  vigilanza  ed il potere di revoca delle autorizzazioni,
 relegando la provincia ricorrente in un ruolo  del  tutto  secondario
 (l'eventuale  proposta  di  revoca),  assolutamente  insufficiente ad
 evitare la lesione delle sue competenze  esclusive  in  materia,  che
 ovviamente  ricomprendono  anche  la  vigilanza  sugli  organismi  di
 controllo operanti nel suo territorio.
    Anche  qui,  inoltre,  si  deve  lamentare  pure la violazione del
 principio di leale collaborazione, il cui rispetto avrebbe comportato
 che almeno il decreto delegato stabilisse anche per  l'esercizio  del
 potere  ministeriale di revoca il raggiungimento di una previa intesa
 con la provincia ricorrente.
    1.5. - Art. 5, primo comma.
    Anche l'art. 5 manifesta quel carattere di eccessivo accentramento
 che caratterizza tutta la disciplina del decreto delegato  impugnato.
 Tale  articolo  (al primo comma) stabilisce infatti che gli organismi
 di controllo debbono trasmettere annualmente  sia  al  Ministero  che
 alle  regioni  e  province autonome interessate il "piano" sulla base
 del  quale  intendono  fare  i   controlli   previsti   dalle   norme
 comunitarie.  Esso,  pero',  riconosce  solo  al  Ministro  (sia pure
 d'intesa con la regione o provincia autonoma interessata)  in  potere
 di  formulare  in  ordine al piano "rilievi ed osservazioni" che sono
 vincolanti  nei  confronti  dell'organismo  di  controllo,  il  quale
 infatti  -  come dice la disposizione impugnata - dovra' tenere conto
 "delle modifiche eventualmente apportate su richiesta del Ministero".
    Il fatto che, dunque, solo il Ministero (e non anche la  provincia
 ricorrente  che  vanta  in  materia  una  competenza esclusiva) possa
 richiedere ed imporre modifiche al  piano  costituisce  una  evidente
 lesione    delle    competenze    provinciali    e    determina    la
 incostituzionalita', per questa  parte,  della  disciplina  contenuta
 nell'art. 4 del decreto legislativo impugnato.
    1.6. - Art. 6, secondo e terzo comma.
    In  base  al  secondo comma dell'art. 6 gli operatori che svolgono
 attivita' di importazione (ed in base al  terzo  comma  nel  caso  di
 importazioni  relative  a  prodotti provenienti da paesi terzi non in
 regime di equivalenza) sono tenuti ad inviare  la  notifica  di  tale
 attivita'  solo  al  Ministero  delle  risorse agricole, alimentari e
 forestali (copia della notifica e' trasmessa anche  all'organismo  di
 controllo autorizzato cui l'operatore fa riferimento).
    Anche  tale  disciplina e' lesiva delle competenze provinciali, ed
 incostituzionale, perche' stabilisce che la notifica venga  fatta  al
 Ministro,  anziche'  alla  provincia  autonoma  di Bolzano (quando si
 tratti di importatori che operano nel suo territorio).
    Comunque la disposizione impugnata avrebbe dovuto almeno prevedere
 che la notifica andasse fatta anche alla Provincia ricorrente.
    1.7. - Art. 8, commi primo, secondo, terzo, quarto e quinto.
    L'art. 8 del decreto legislativo impugnato  stabilisce,  al  primo
 comma,  che le regioni e le province autonome debbono stabilire degli
 elenchi di operatori  dell'agricoltura  biologica,  distinti  in  tre
 sezioni:  "produttori  agricoli",  "preparatori"  e "raccoglitori dei
 prodotti spontanei". Nei commi successivi  l'art.  8  stabilisce  una
 minuziosa  disciplina  di  tali  elenchi e sezioni, dell'accesso agli
 elenchi ed impone alle regioni e  province  autonome  di  trasmettere
 annualmente   al   Ministero   gli   elenchi  stessi  ed  i  relativi
 aggiornamenti.
    La disciplina legislativa sulla organizzazione  degli  elenchi  in
 questione  rientra,  evidentemente,  nella competenza esclusiva della
 Provincia ricorrente. Gia' la vigente legge  provinciale  n.  12/1991
 aveva   istituito  e  disciplinato  l'albo  delle  "aziende  agricole
 biologiche" e l'albo  delle  "aziende  di  trasformazione  biologica"
 (art.  7  ss.);  ed  il  disegno di legge provinciale gia' citato, in
 corso  di  approvazione,  prevede  anch'esso  (art.  7 ss.) una nuova
 disciplina dell'albo provinciale delle aziende  biologiche,  conforme
 al  regolamento  CEE  n. 2092/91, articolato in tre distinte sezioni:
 "aziende  agricole  in  conversione  biologica",  "aziende   agricole
 biologiche",  ed  "aziende di trasformazione biologica" (oltre che la
 diversa articolazione dell'albo vi sono  anche  ulteriori  differenze
 fra   la  disciplina  del  disegno  di  legge  provinciale  e  quella
 impugnata).
    Trattandosi,  dunque,   di   materia   di   esclusiva   competenza
 provinciale  l'art. 8 non puo' imporre alla provincia di istituire ed
 organizzare gli elenchi secondo un  modello  che  lo  stesso  art.  8
 stabilisce   in  modo  rigido  e  dettagliato.  Un  modello  che  non
 corrisponde ad alcuna norma del regolamento  comunitario,  che  possa
 valere e giustificare tale imposizione.
    La  disciplina  dell'art. 8 ed il vincolo che con essa si vorrebbe
 imporre  alla  potesta'  legislativa  provinciale  non  sono  neppure
 giustificati  dal  fatto che il successivo art. 9 istituisce l'elenco
 nazionale degli operatori dell'agricoltura biologica, del quale fanno
 parte  anche  gli  operatori  iscritti  negli  elenchi  regionali   e
 provinciali.   Infatti  l'istituzione  di  un  elenco  nazionale  (di
 competenza dello Stato) non comporta certo che lo Stato  acquisti  la
 competenza a disciplinare anche gli elenchi regionali e provinciali.
    Lo  Stato puo' benissimo prevedere la iscrizione anche nell'elenco
 nazionale  degli  operatori  iscritti  nell'elenco  della   Provincia
 ricorrente,  ma  spetta  solo a quest'ultima di disciplinare l'elenco
 provinciale (ed essendo questo pubblico non si giustifica neppure,  a
 ben   vedere,  quel  particolare  obbligo  di  comunicazione  annuale
 dell'elenco stabilito dal quarto comma dell'art. 8).
    2. - Violazione delle competenze provinciali  di  cui  alle  norme
 statutarie  e  d'attuazione  gia'  indicate,  anche  in  relazione al
 mancato rispetto dell'art.  76  della  Costituzione.  Violazione  del
 principio di leale collaborazione.
    L'art.  42  della  citata  legge  22  febbraio  1994,  n. 146, nel
 delegare al Governo il potere di emanare le norme per dare attuazione
 agli artt. 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91, aveva  stabilito  al
 secondo  comma,  lettera  a),  fra  i  principi  e  criteri direttivi
 vincolanti per il Governo ai sensi dell'art. 76 Cost.,  quello  della
 "individuazione dell'autorita' di controllo, d'intesa con le regioni,
 per  le  attivita'  amministrative  e  tecnico  scientifiche inerenti
 l'applicazione dei regolamenti comunitari". In relazione  a  cio'  si
 deve  dedurre un ulteriore profilo di incostituzionalita' dell'art. 1
 del decreto legislativo impugnato.
    L'art. 1 del decreto legislativo n.  220/1995,  come  gia'  si  e'
 visto,  ha  stabilito  che  il  Ministero  delle  risorse agricole e'
 l'unica autorita' preposta al controllo delle attivita' relative alla
 applicazione della disciplina comunitaria in materia  di  agricoltura
 biologica:  con cio' violando le competenze spettanti in tale materia
 alla Provincia ricorrente. Ma la legge di delega aveva  stabilito  al
 riguardo  un  criterio direttivo costituzionalmente vincolante per il
 Governo:  l'individuazione  delle  autorita'  di   controllo   andava
 comunque  fatta  dal Governo d'intesa con le regioni, e quindi (se il
 Governo ritiene che il decreto delegato riguarda  anche  le  province
 autonome) d'intesa anche con la provincia ricorrente.
    Ma tale intesa non c'e' stata, ne' e' stata richiesta dal Governo.
    Pertanto   le  competenze  della  provincia  ricorrente  risultano
 violante anche  per  il  mancato  rispetto  dei  principi  e  criteri
 direttivi della delega e dell'art. 76 Cost.
    Si  puo'  peraltro  aggiungere  che,  se  anche  non  fosse  stata
 richiesta  dalla  legge  di  delegazione,  l'intesa   sarebbe   stata
 necessaria  gia'  in  base al solo principio di leale collaborazione.
 Posto che la provincia ricorrente ha competenze esclusive in materia,
 lo Stato non poteva designare  un'unica  autorita'  di  controllo  di
 livello  nazionale  (escludendo  autorita' di controllo a livello lo-
 cale: regionale e provinciale)  se  non  ricercando  previamente  una
 intesa  con  la provincia, il che non e' avvenuto. Pertanto, l'art. 1
 del decreto legislativo impugnato e',  anche  sotto  questo  profilo,
 lesivo delle competenze provinciali ed incostituzionale.
                               P. Q. M.
    Voglia     l'ecc.ma    Corte    costituzionale    dichiarare    la
 incostituzionalita' - nella parte in cui esso sia  applicabile  anche
 alla provincia autonoma di Bolzano - del decreto legislativo 17 marzo
 1995,  n.  220,  in  toto,  e  comunque  in relazione alle specifiche
 disposizioni indicate in epigrafe.
      Roma, addi' 5 luglio 1995
          Prof. avv. Sergio PANUNZIO - Prof. avv. Roland RIZ
 
 95C0924