N. 41 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 luglio 1995

                                 N. 41
 Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 15 luglio 1995 (della provincia autonoma di Trento)
 Agricoltura  -  Attuazione  degli  artt.  8 e 9 regolamento C.E.E. n.
 2092/91 in materia di produzione agricola agroalimentare  con  metodo
 biologico  -  Disciplina  analitica  del  controllo su tali attivita'
 nonche' degli organismi ad esso preposti e del controllo sui medesimi
 - Indebita invasione della sfera di competenza provinciale in materia
 di regolamentazione e promozione dell'agricoltura biologica  e  della
 produzione  integrata,  gia'  disciplinata  con  legge provinciale 10
 giugno 1991, n. 13 - Violazione del principio di leale collaborazione
 - Eccesso di delega.
 (D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 220, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 10);
 (Cost., art. 76; statuto Trentino-Alto Adige art. 8, n. 21, 9, n.  3,
 e 16).
(GU n.31 del 26-7-1995 )
   Ricorso   della  Provincia  Autonoma  di  Trento,  in  persona  del
 Presidente  della   Giunta   Provinciale   dott.   Carlo   Andreotti,
 autorizzato  con  deliberazione  della  Giunta provinciale n. 7288 in
 data 23 giugno  1995,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.ti  prof.
 Valerio  Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso
 quest'ultimo in Roma, L.go della Gancia 1, come da mandato speciale a
 rogito del notaio dott. Pierluigi Mott di Trento in  data  27  giugno
 1995,  n.  60995  di  rep.,  contro  il  Presidente del Consiglio dei
 Ministri  pro-tempore  per   la   dichiarazione   di   illegittimita'
 costituzionale  degli  artt.,  1,  2,  3,  4,  5, 7, 8, 9 e 10, e dei
 relativi allegati, del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 220, pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 129 del  5  giugno  1995,  e
 recante  "attuazione  degli  articoli  8  e  9 del regolamento CEE n.
 2092/91 in materia di  produzione  agricola  ed  agro-alimentare  con
 metodo biologico.
                               F A T T O
    Il  regolamento  CEE  n.  2029/91 del 24 giugno 1991 disciplina il
 "metodo  di  produzione  biologico  di  prodotti   agricoli"   e   la
 "indicazione  di  tale  metodo  sui prodotti agricoli e sulle derrate
 alimentari".
    Esso stabilisce le  condizioni  alle  quali  i  prodotti  agricoli
 vegetali  non  trasformati  e  i prodotti destinati all'alimentazione
 umana composti essenzialmente  da  ingredienti  di  origine  vegetale
 possono  recare  indicazioni  concernenti  il  "metodo  di produzione
 biologico" da cui provengono. A tal fine fissa le  norme  da  seguire
 nella  produzione  (artt. 6 e 7); prescrive che gli operatori i quali
 producono o preparano i prodotti ai  fini  della  commercializzazione
 devono notificare tale attivita' all'autorita' competente dello Stato
 membro  e  assoggettare  la  loro  azienda  a  controlli,  gestiti da
 autorita' designate dallo Stato o da organismi privati,  riconosciuti
 ad  opera  di  un'autorita'  designata  dallo  Stato membro (art. 9);
 stabilisce che infine  gli  Stati  membri  non  possono,  per  motivi
 concernenti l'etichettatura, il metodo di produzione o la indicazione
 dello  stesso, vietare o limitare la commercializzazione dei prodotti
 che sono conformi alle disposizioni  del  regolamento  medesimo  (art
 12).
    Con  decreto del Ministro dell'Agricoltura 23 maggio 1992, n. 338,
 era stato dettato per l'applicazione delle diposizioni  del  predetto
 regolamento  CEE, un regolamento, il quale identificava nel Ministero
 dell'Agricoltura l'autorita' nazionale competente per gli adempimenti
 amministrativi previsti dalla normativa. Tale  regolamento  e'  stato
 pero'  annullato  da  questa  Corte,  su  ricorso  di  alcune regioni
 ordinarie, con la sentenza n.  278  del  1993,  in  quanto  privo  di
 fondamento legislativo.
    Successivamente  l'art.  42  della  legge  comunitaria per il 1993
 (legge 22 febbraio 1994, n. 146) ha incluso  gli  artt.  8  e  9  del
 regolamento  CEE n. 2029/91 fra le disposizioni per la cui attuazione
 il Governo era delegato a dettare norme  legislative,  nel  rispetto,
 oltre  che  dei  criteri  e dei principi direttivi generali stabiliti
 dall'art. 2 della stessa legge, di quelli  piu'  specifici  enunciati
 nel secondo comma del medesimo art. 42.
    Sulla  base  di  tali  deleghe e' stato emanato il d.lgs. 17 marzo
 1995, n. 220.
    Tale   decreto    legislativo    contiene    pero'    disposizioni
 costituzionalmente   illegittime   e   lesive   dell'autonomia  della
 Provincia ricorrente, e dunque  viene  impugnato  da  questa  per  le
 seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    1. - Violazione del termine della delega.
    Il  decreto  legislativo  impugnato  e'  stato emanato il 17 marzo
 1995, ma pubblicato solo il 5  giugno  successivo,  quando  ormai  il
 termine  della  delega, di un anno dall'entrata in vigore della legge
 delegante n. 146 del 1994 (avvenuta il 19 marzo 1994) era  largamente
 scaduto.
    Benche'  la  giurisprudenza  di questa Corte abbia ammesso che per
 l'osservanza del termine della delega sia sufficiente che prima della
 scadenza il decreto venga emanato, anche se non  pubblicato,  e'  ben
 noto  come  questa conclusione sia messa in discussione da autorevole
 dottrina, la quale rileva in particolare che "in tal modo si viene  a
 creare,  fra l'emanazione e la pubblicazione dei decreti legislativi,
 un intervallo di  durata  imprevedibile,  dal  quale  il  Governo  e'
 naturalmente  tentato  di  trarre  profitto: fingendo il rispetto del
 termine della delegazione, la' dove - in sostanza - si travalicano  i
 limiti di tempo previsti dalla Camera, e talvolta si altera la stessa
 serie  procedimentale  di  formazione delle leggi delegate" (PALADIN,
 Commento all'art. 76, in Commentario della  Costituzione  a  cura  di
 G.BRANCA,  La formazione delle leggi, tomo, II, Bologna-Roma 1979, p.
 25, e ivi, nota 2 a p.  24,  25,  altri  riferimenti).  Si  noti  che
 l'intervallo  fra  emanazione  e  pubblicazione,  che un tempo poteva
 essere utilizzato ai fini dell'esercizio del controllo preventivo  di
 legittimita' della Corte dei conti sul decreto delegato (PALADIN, op.
 cit., p. 25), oggi tanto meno si giustifica, dopo che l'art. 16 della
 legge  n. 400 del 1988 ha sottratto i decreti legislativi delegati al
 controllo della Corte dei conti.
    Gia'  sotto  questo  assorbente  profilo  il  decreto  legislativo
 impugnato  si  presenta  come  illegittimo per violazione dell'art 76
 della Costituzione, violazione che ridonda in lesione  dell'autonomia
 provinciale  dal momento che la scadenza del termine produce, come e'
 pacifico, il venir meno del potere  sulla  cui  base  il  Governo  ha
 emanato l'atto contestato.
    2. - Violazione dei criteri della delega.
    Il  decreto impugnato attribuisce numerose funzioni amministrative
 al  Ministero  delle  risorse  agricole,  alimentari   e   forestali:
 individua  in detto Ministero l'autorita' preposta al controllo ed al
 coordinamento delle attivita' amministrative  e  tecnico-scientifiche
 inerenti  all'applicazione  del  regolamento  comunitario  (art.  1);
 attribuisce al Ministero il potere di autorizzare gli  organismi  che
 intendono   svolgere  il  controllo  sulle  attivita'  di  produzione
 agricola e di preparazione dei prodotti ottenuti  secondo  il  metodo
 dell'agricoltura  biologica  (art.  3)  nonche' il potere di revocare
 l'autorizzazione (art. 4, sesto comma); attribuisce la  vigilanza  su
 tali  organismi  al  Ministero,  oltre  che  alle  regioni e province
 autonome  per  le  strutture  ricadenti  sul  territorio  di  propria
 competenza   (art.   4,   secondo  comma);  individua  nel  Ministero
 l'autorita'  competente  a  ricevere  il   piano-tipo   annuale   dei
 controlli, e a formulare (sia pure d'intesa con le regioni e le prov-
 ince  autonome interessate), i rilievi e le osservazioni cui l'organo
 di controllo deve adeguarsi (art. 5); prevede che presso il Ministero
 siano istituiti l'elenco nazionale degli  operatori  dell'agricoltura
 biologica  e  l'elenco  degli organi di controllo autorizzati (art 9,
 primo e terzo comma); attribuisce al Ministro il potere di  procedere
 alla  modifica  e  alla  integrazione  degli allegati al decreto, che
 specificano il contenuto delle  domande  di  autorizzazione  e  della
 documentazione  relativa  (allegato  I),  i  requisiti  tecnici degli
 organismi di controllo e dei  loro  amministratori  e  rappresentanti
 (all.  II),  gli obblighi degli organismi di controllo (all. III), il
 contenuto dei modelli di certificazione a seguito delle ispezioni  da
 parte  degli  organi  di controllo (all. IV); i modelli da utilizzare
 per le notifiche delle attivita' di produzione, i  programmi  annuali
 di produzione, le relazioni di ispezione e i registri aziendali (all.
 V).
    Ora, fra i criteri della delega, stabiliti dall'art. 2 della legge
 n. 146 del 1994, richiamato dall'art. 42, secondo comma, viene qui in
 rilievo  quello  di cui alla lettera b, secondo cui "nelle materie di
 competenza delle regioni a statuto ordinario e speciale e delle prov-
 ince autonome di Trento e  Bolzano  saranno  osservati  l'articolo  9
 della  legge  9  marzo  1989,  n. 86, e l'articolo 6, primo comma del
 decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1977, n. 616".
    Tali norme, com'e' noto, prevedono fra l'altro che  spettano  alle
 regioni   (e  dunque  anche  alle  province  autonome)  "le  funzioni
 amministrative  relative  all'applicazione  dei   regolamenti   della
 comunita'  economica europea" (art. 6, primo comma, d.P.R. n. 616 del
 1977), e che "le regioni a statuto speciale e le province autonome di
 Trento e di Bolzano, nelle materie di competenza  esclusiva,  possono
 dare  immediata attuazione alle direttive comunitarie" (art. 9, primo
 comma, legge n. 86 el 1989).
    Le norme del decreto impugnato,  che  attribuiscono  al  Ministero
 funzioni  amministrative  - in materia che e' di competenza esclusiva
 della provincia autonoma - appaiono dunque in contrasto con i criteri
 della delega.
    Parimenti appare in contrasto con i criteri della delega l'art.  2
 del decreto legislativo impugnato, che istituisce presso il Ministero
 il   "comitato   di   valutazione   degli  organismi  di  controllo",
 stabilendone la composizione con membri  in  assoluta  prevalenza  di
 designazione  di  vari  Ministeri  (secondo comma). Infatti l'art. 2,
 lett. a), della legge n.  146  del  1994  (richiamato  dall'art.  42,
 secondo   comma)  stabilisce  che  "le  amministrazioni  direttamente
 interessate provvederanno all'attuazione dei decreti legislativi  con
 le ordinarie strutture amministrative".
   Piu'  in  particolare,  poi, l'art. 1 del decreto impugnato viola i
 criteri della delega la' dove individua  nel  Ministero  "l'autorita'
 preposta  al  controllo".  Infatti l'art. 42, secondo comma, lett. a)
 della legge n. 146 del 1994 stabilisce che il decreto delegato  debba
 provvedere alla "individuazione dell'autorita' di controllo, d'intesa
 con   le   Regioni,   per  le  attivita'  amministrative  e  tecnico-
 scientifiche inerenti l'applicazione dei regolamenti comunitari".
    L'intesa  dunque  deve  essere  raggiunta   sulla   individuazione
 dell'autorita' di controllo, e non basta che le Regioni e le Province
 autonome  vengano ammesse a partecipare in qualche modo (in posizione
 peraltro secondaria e subordinata) alla pianificazione dell'attivita'
 di controllo, come fa l'art. 5 del decreto. Viceversa l'art. 1  opera
 unilateralmente   la   individuazione   dell'autorita'   preposta  al
 controllo, avendo solo ottenuto un generico parere  della  conferenza
 Stato-Regioni  sullo  schema  di  decreto,  al  di fuori di qualsiasi
 meccanismo di intesa.
    La violazione dei criteri della delega comporta il  contrasto  del
 decreto   impugnato  con  l'art.  76  della  Costituzione,  contrasto
 ridondante in lesione dell'autonomia della Provincia ricorrente.
    3. - Violazione delle competenze della Provincia.
    Diverse  disposizioni  del  decreto   impugnato   ledono   inoltre
 direttamente  le  competenze della Provincia ricorrente. Esse infatti
 dispongono in materia di  produzione  agricola,  che  e'  materia  di
 competenza   legislativa  primaria  e  di  competenza  amministrativa
 esclusiva della ricorrente ai sensi dell'art. 8, n. 21 e dell'art. 16
 dello statuto (oltre che di competenza concorrente della  stessa,  ai
 sensi  dell'art.  9,  n.  3  dello  statuto,  per  quanto riguarda il
 "commercio"),  nonche'  delle  relative  norme di attuazione. Tra cui
 queste ultime va richiamata in particolare quella di cui  all'art.  6
 del  d.P.R.  19 novembre 1987, n. 526, ai cui sensi spetta alle Prov-
 ince, nelle materie ad esse  attribuite  dallo  statuto,  "provvedere
 all'attuazione  dei regolamenti della Comunita' economica europea ove
 questi  richiedano  una   normazione   integrativa   o   un'attivita'
 amministrativa di esecuzione".
    Infatti, come si e' accennato:
      a)  l'art.  1  del  decreto  individua nel Ministero l'autorita'
 preposta  al  controllo   ed   al   coordinamento   delle   attivita'
 amministrative  e  tecnico-scientifiche inerenti l'applicazione della
 regolamentazione comunitaria;
      b) l'art. 2 istituisce un apposito comitato di valutazione degli
 organismi di controllo;
      c) l'art. 3 prevede che gli organismi i quali intendano svolgere
 il controllo  sulle  attivita'  della  produzione  agricola  e  della
 preparazione  di prodotti ottenuti secondo il metodo dell'agricoltura
 biologica  devono  essere  autorizzati  dal  Ministero,  sentito   il
 comitato  di  cui  all'art. 2. Si noti che gli organismi di controllo
 autorizzati possono esercitare  le  proprie  attivita'  su  tutto  il
 territorio  nazionale  (art.  3,  terzo  comma); e che per di piu' si
 prevede tra i requisiti  per  ottenere  l'autorizzazione  quello  che
 l'organismo  abbia  una  "struttura  organizzativa  in almeno quattro
 Regioni o Province autonome",  il  che  automaticamente  esclude  che
 possano  esservi  organismi  di  controllo  autorizzati  a  base solo
 provinciale, ammettendosi solo  organismi  a  carattere  nazionale  o
 comunque pluriregionale (all. II, parte I n. 6);
      d)  la  vigilanza  sugli organismi di controllo e' attribuita al
 Ministero ed insieme  alle  Regioni  e  Province  autonome  (art.  4,
 secondo  comma),  ma  queste  ultime,  nel  caso  in  cui  emerga che
 l'organismo non ha piu' i requisiti, possono solo proporre la  revoca
 dell'autorizzazione,  che  e' pronunciata - anche con riguardo ad una
 sola delle strutture - dal Ministro (art. 4, terzo,  quarto  e  sesto
 comma);
      e)  i  piani-tipo  per  l'attivita'  di controllo sono trasmessi
 dagli  organismi  di  controllo  alle  Regioni  e  Province  autonome
 interessate  e  al Ministero: ma solo quest'ultimo, sia pure d'intesa
 con le  Regioni  e  Province  autonome  interessate,  puo'  formulare
 rilievi  ed  osservazioni,  cui  l'organismo  deve adeguarsi (art. 5,
 primo comma): onde la Provincia non potrebbe  -  senza  l'adesione  e
 l'iniziativa del Ministero - ottenere modifiche ai piani medesimi. Si
 aggiunga  che  le certificazioni del controllo eseguito devono essere
 effettuate secondo le norme e i modelli  minuziosamente  disciplinati
 dall'allegato IV del decreto;
      f)  anche  la notifica dell'inizio dell'attivita' da parte degli
 operatori, pur effettuata alla Regione o alla Provincia  autonoma  in
 cui  e'  ubicata  l'azienda,  deve  avvenire  con le modalita' di cui
 all'art. 6, primo comma, del decreto e secondo il  modello  stabilito
 nell'allegato V, punto 1, del decreto;
      g)   parimenti   devono   essere  utilizzati  i  moduli  di  cui
 all'allegato  V  per  la  formulazione  del  programma   annuale   di
 produzione,  delle  relazioni  di  ispezione,  dei registri aziendali
 (art. 7);
      h)  l'art.  8  del  decreto  prevede  l'elenco  regionale  degli
 operatori,  ma  disciplinandone  la  formazione  e  la   suddivisione
 (secondo  e terzo comma); l'art. 9 prevede altresi' elenchi nazionali
 degli operatori e degli organismi di controllo;
      i) infine l'art. 10 demanda al Ministro il potere di  modificare
 e  integrare  gli  allegati  al  decreto,  i quali, come si e' visto,
 disciplinano  minuziosamente  le  attivita'   amministrative   e   di
 ispezione e stabiliscono, addirittura, la relativa modulistica.
    E'  palese dunque che la Provincia autonoma e' ridotta al rango di
 semplice esecutrice di talune attivita'  amministrative,  interamente
 guidate  e  disciplinate  dal  Ministero:  con  violazione  delle sue
 competenze statutariamente attribuite alla Provincia medesima.
    Si consideri che la Provincia  ricorrente  ha  gia'  dettato,  con
 legge  provinciale  10  giugno  1991,  n. 13, le "norme in materia di
 agricoltura  biologica",   in   perfetta   conformita'   alle   norme
 comunitarie,   disciplinando   tra   l'altro   la   formazione  delle
 associazioni dei produttori (art. 5) cui e' demandato lo  svolgimento
 dei  controlli  (art.  13),  nonche'  la  formazione  dell'albo delle
 aziende biologiche (art. 7).
    Il decreto impugnato viene dunque a sovrapporsi alla  legislazione
 provinciale vigente.
    D'altra  parte  esso  riferisce le proprie disposizioni anche alle
 Province autonome (cfr. artt. 4, 5, 6,  8);  e  dunque  -  salvo  che
 potesse  interpretarsi  nel  senso  che  esso  non  sia  direttamente
 applicabile nella Provincia, ma imponga solo un ipotetico obbligo  di
 adeguamento  - esso appare in contrasto anche con l'art. 2 del d.lgs.
 16 marzo 1992,  n.  266.  Peraltro  anche  un  ipotetico  obbligo  di
 adeguamento non avrebbe fondamento statutario poiche', trattandosi di
 materia    di   competenza   primaria   della   Provincia,   non   ne
 sussisterebbero i presupposti, dato che il regolamento comunitario si
 applica  direttamente  anche  nella  Provincia,  e  la   legislazione
 provinciale  e'  perfettamente  adeguata  alle  norme  comunitarie (e
 dunque  le  relative  esigenze   unitarie   sono   gia'   interamente
 soddisfatte);  e  che  le  ulteriori  norme  dettate  dal decreto non
 possono certo configurarsi come norme di "riforma economico-sociale".
                               P. Q. M.
    La Provincia ricorrente chiede che la Corte voglia  dichiarare  la
 illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 10
 del  d.lgs.  17  marzo  1995, n. 220, meglio indicato in epigrafe, in
 relazione all'art. 8, n. 21, all'art. 9, n. 3, e  all'art.  16  dello
 statuto speciale di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e alle rela-
 tive  norme  di  attuazione,  con particolare riguardo all'art. 6 del
 d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 e all'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992
 n. 266, nonche'  in  relazione  all'art.  76  della  Costituzione  in
 riferimento all'art. 2, lett. a e b, e all'art. 42, comma 2, lett. a,
 della  legge 22 febbraio 1994, n. 146, all'art. 9 della legge 9 marzo
 1989, n. 86 e all'art. 6, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977,  n.
 616.
      Roma, 4 luglio 1995
            Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA
 
 95C0935