N. 333 SENTENZA 12 - 20 luglio 1995

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione.
 
 Agricoltura   e   foreste  -  Regione  Toscana  -  Regione  Veneto  -
 Classificazione dei vini in rapporto alla  loro  origine  -  Presunta
 limitazione  dell'attivita' regionale nel settore della viticoltura e
 quindi della programmazione dell'agricoltura - Richiamo alla sentenza
 n. 171/1971 della Corte - Esigenze di  unitarieta'  della  disciplina
 della  materia - Spettanza allo Stato definire il procedimento per il
 riconoscimento della denominazione di  origine  dei  vini  -  Mancato
 adeguamento  ai  pareri delle competenti commissioni della Camera dei
 deputati e del Senato - Omissione inidonea di per  se'  a  ledere  la
 sfera  riservata  alle competenze regionali - Indeducibilita' in sede
 di conflitto di attribuzione tra Stato e regione - Inammissibilita'.
 
(GU n.33 del 9-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
    VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
    Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi promossi con ricorsi della Regione Veneto e della Regione
 Toscana,   notificati  il  3  e  il  5  agosto  1994,  depositati  in
 Cancelleria il 6 e il 12 agosto 1994, per conflitti  di  attribuzione
 sorti  a  seguito  del  d.P.R.  20  aprile  1994, n. 348 (Regolamento
 recante   disciplina   del   procedimento   di   riconoscimento    di
 denominazione  di  origine  dei vini), ed iscritti ai nn. 26 e 28 del
 registro conflitti 1994;
    Visti gli atti di costituzione del Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice relatore
 Riccardo Chieppa;
    Uditi gli avvocati Mario Ammassari per la  Regione  Veneto,  Fabio
 Lorenzoni  per  la  Regione  Toscana  e l'avvocato dello Stato Sergio
 Laporta per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso notificato il 3 agosto 1994, la Regione Veneto ha
 sollevato conflitto di attribuzione  nei  confronti  dello  Stato  in
 relazione al d.P.R. 20 aprile 1994, n. 348, pubblicato nella Gazzetta
 Ufficiale n. 13 dell'8 giugno 1994, emanato sulla scorta dell'art. 2,
 settimo  comma,  della  legge 24 dicembre 1993, n. 537, e cioe', come
 regolamento delegato.
    Ad avviso della ricorrente, l'atto impugnato  avrebbe  espropriato
 la   regione   di   quel   ruolo  partecipativo  ai  procedimenti  di
 riconoscimento di  vini  che  sia  la  legislazione,  sia  la  prassi
 attuativa le avevano, in passato, attribuito.
    Si  osserva, al riguardo, nel ricorso che la disciplina originaria
 della materia risale al d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930, poi modificato
 dalla legge 11 maggio 1966, n. 302. A seguito del trasferimento  alle
 regioni  delle funzioni nella materia dell'agricoltura, come definita
 dall'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, avendo queste  ereditato  le
 competenze  dell'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura, che in
 precedenza riceveva le domande  di  riconoscimento  di  denominazione
 d'origine  dei  vini,  e  provvedeva  alla relativa istruttoria, tali
 funzioni sono state svolte dagli uffici  regionali  dell'agricoltura.
 Detti   uffici,   dopo   avere   istruito  le  predette  domande,  le
 sottoponevano   all'esame   di   un   apposito   Comitato   regionale
 interprofessionale   per  un  parere  e,  poi,  le  trasmettevano  al
 Ministero (prima  dell'agricoltura  e  delle  foreste,  quindi  delle
 risorse   agricole,   alimentari   e  forestali),  cui  competeva  la
 classificazione dei vini in rapporto alla loro origine.
    In questo solco si inserisce la legge 10 febbraio  1992,  n.  164,
 che, in molti passaggi della disciplina, prevede il coordinamento del
 Ministero   con   le  regioni  interessate,  tra  l'altro  attraverso
 l'istituzione  del  Comitato   nazionale   per   la   tutela   e   la
 valorizzazione  delle  denominazioni  di  origine  dei vini, composto
 anche  da  rappresentanti  regionali,  nonche'  l'emanazione  di   un
 regolamento  ministeriale,  sentita  la  Conferenza  permanente per i
 rapporti tra Stato, regioni e province autonome, per disciplinare  il
 contenuto  delle  domande  e la procedura per il riconoscimento delle
 denominazioni, l'approvazione e la modifica dei relativi disciplinari
 di produzione, nonche' le modalita' e  i  termini  di  presentazione;
 regolamento non emanato, ma predisposto dal Ministero nel senso della
 conservazione delle procedure gia' in atto.
    La  cooperazione,  cosi' riconosciuta dalla legge n. 164 del 1992,
 sarebbe stata, invece, secondo la ricorrente, sostanzialmente esclusa
 dal regolamento impugnato, attraverso l'accentramento  in  capo  allo
 Stato, ex art. 2, primo comma, delle funzioni relative alla ricezione
 delle  domande  di  riconoscimento,  che  devono essere presentate al
 Comitato nazionale di cui all'art. 17 della citata legge n.  164  del
 1992,  e  la estromissione, ex art. 4, della regione dal procedimento
 in questione. Infatti le disposizioni in cui si prevede  l'intervento
 regionale  -  salvo  quelle di cui agli artt. 4 e 6 del d.P.R. n. 930
 del 1963,  relative  alle  procedure  di  riconoscimento  -  pur  non
 abrogate,  sarebbero,  tuttavia,  vanificate  con  la  esclusione del
 passaggio di ogni domanda attraverso la regione.
    Nel  ricorso  si  lamenta,  pertanto,  che  siffatto  regolamento,
 limitando  l'attivita'  regionale  nel  settore  della  viticoltura e
 quindi della programmazione dell'agricoltura, e violando il principio
 di leale cooperazione tra Stato e regione, si porrebbe  in  contrasto
 con  gli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione al d.P.R. 15
 gennaio 1972, n. 11, agli artt. 66 e successivi del d.P.R. 24  luglio
 1977,  n.  616,  alla  legge  10  febbraio 1992, n. 164, al d.P.R. 12
 luglio 1963, n. 930, come modificato dalla legge 11 maggio  1966,  n.
 302,  artt.  4  e  6,  e alla legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 2,
 commi 7, 8 e 9, nonche' in relazione agli artt. 12 e 17  della  legge
 23  agosto 1988, n. 400. Riguardo alle norme, da ultimo citate, della
 legge n. 400 del 1988, la regione contesta la  legittimita'  dell'uso
 del  regolamento  delegato in funzione di abrogazione di disposizioni
 legislative ex art. 17, secondo comma,  della  detta  legge,  in  una
 materia  caratterizzata  dalla  riserva  di  legge,  quale quella dei
 rapporti tra Stato e regioni.
    In   ogni   caso,   poi,  tale  regolamento  contravverrebbe  alle
 disposizioni di cui all'art. 12 della legge  n.  400  del  1988,  che
 prevede   la   consultazione   della   Conferenza   per   i  rapporti
 Stato-regioni in ordine al  contenuto  del  regolamento  stesso.  Del
 pari,  e'  stata  eliminata  l'audizione  della  Conferenza  prevista
 dall'art. 12 della legge n. 164 del 1992, e cio' allo scopo,  secondo
 la regione ricorrente, di accentrare ogni potere, senza coordinare la
 nuova  normativa - che accentra la sola procedura di riconoscimento -
 con le disposizioni non abrogate della legge n.  164  del  1992,  che
 danno  ripetutamente  spazio alla consultazione delle regioni. In tal
 modo,  il  regolamento  contenuto  nel  decreto   impugnato   avrebbe
 irrazionalmente   posto   un   "cuneo  del  tutto  arbitrario"  nella
 continuita' delle competenze regionali, violandole per quanto attiene
 alla fase preparatoria e di iniziativa degli atti della procedura  in
 questione,  attraverso  la estromissione delle regioni dall'attivita'
 di  raccolta,  istruzione  e  valutazione  delle   domande   per   il
 riconoscimento delle denominazioni di origine dei vini.
    2. - Si e' costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha concluso per la reiezione del ricorso,  osservando  che
 la  nuova  disciplina  regolamentare  ha  conferito direttamente alle
 regioni la legittimazione all'iniziativa del procedimento  e  diritto
 di  voto alle sedute del Comitato nazionale concernenti denominazioni
 d'origine,  assicurando  loro  una  possibilita'  di   tutela   degli
 interessi locali in materia d'agricoltura ben piu' concreta di quanto
 non consentisse nella previgente disciplina l'assolvimento di compiti
 di  mera  ricezione  delle domande di riconoscimento e della relativa
 documentazione.
    Ne' potrebbe riconoscersi alcun fondamento alla  asserita  riserva
 di   legge  che  precluderebbe  la  modifica  con  regolamento  della
 disciplina previgente, trattandosi, in questo  caso,  di  materia  di
 competenza  statale,  siccome  attinente,  ex  art.  71, primo comma,
 lettera d), del d.P.R. n.  616  del  1977,  alla  "disciplina  ed  al
 controllo  di  qualita'"  nonche' alla "certificazione varietale" dei
 prodotti agricoli.
    Ancora, non potrebbe, secondo l'Avvocatura, assumersi a motivo  di
 illegittimita'  dell'atto,  la  omessa  menzione,  nel  preambolo del
 decreto impugnato, dell'audizione della Conferenza permanente  per  i
 rapporti tra lo Stato e le regioni, in quanto comunque questa sarebbe
 stata sentita, come si potrebbe desumere dal richiamo all'intervenuto
 parere del Consiglio di Stato.
    Ne'   potrebbe   essere  tacciata  di  irrazionalita'  la  mancata
 abrogazione, da parte del regolamento  impugnato,  di  una  serie  di
 altre  attribuzioni  consultive,  previste in capo alle regioni dalla
 legge n. 164 del 1992, rispondendo una siffatta conservazione al piu'
 stretto coinvolgimento di interessi locali  nelle  procedure  per  le
 quali il parere regionale e' previsto.
    3.  -  Analogo  conflitto  di  attribuzione e' stato sollevato, in
 riferimento agli artt. 117 e 118 della  Costituzione,  dalla  Regione
 Toscana,  con ricorso notificato il 5 agosto 1994, affidato a censure
 analoghe a quelle  gia'  riferite.  La  regione  ricorrente  precisa,
 inoltre,  che, per dare attuazione all'art. 12 della legge n. 164 del
 1992, il Ministero delle risorse  agricole  aveva  redatto  un  primo
 schema  di regolamento, che prevedeva il ricevimento delle domande di
 riconoscimento da parte delle regioni  ed  il  rilascio  del  parere,
 mentre una seconda ipotesi che era stata predisposta dal Dipartimento
 della  funzione pubblica, nell'ambito delle misure di semplificazione
 delle procedure amministrative di  cui  all'art.  2,  settimo  comma,
 della  legge  24  dicembre  1993,  n. 537, sopprimeva ogni competenza
 regionale nella fase istruttoria.  Il  parere  del  Presidente  della
 Regione   Toscana   era  stato  favorevole,  in  sede  di  Conferenza
 Stato-regioni, sul presupposto che esso si riferisse solo alla  prima
 bozza.
    Pertanto,  il  decreto  impugnato,  ad  avviso  della  ricorrente,
 avrebbe dovuto dare atto della mancanza di tale parere favorevole,  e
 specificare  le  ragioni  che  inducevano il Governo a disattendere i
 rilievi delle regioni.
    Un ulteriore profilo di lesione delle competenze  regionali  viene
 ravvisato  nella  circostanza  che  il  decreto impugnato non avrebbe
 tenuto conto dei pareri espressi dalle competenti  commissioni  della
 Camera  e  del  Senato,  favorevoli  a  condizione  che nella stesura
 definitiva si recepissero i principi normativi contenuti nello schema
 di  regolamento  elaborato  dal  Ministero  delle  risorse  agricole,
 alimentari e forestali.
    La  regione  ricorrente  ha,  altresi', lamentato che il d.P.R. n.
 348, prevedendo che le domande  di  riconoscimento  siano  presentate
 direttamente   al   Comitato  nazionale  anziche'  alle  regioni,  ed
 escludendo  il   parere   regionale   in   ordine   al   decreto   di
 riconoscimento,  avrebbe  sostituito  al  raccordo procedimentale tra
 Stato e regioni un raccordo organizzativo che garantisce la  presenza
 delle  regioni mediante rappresentanze di tipo collettivo all'interno
 del Comitato nazionale, inadeguate a dar voce  alle  singole  regioni
 (anche se il numero e' stato elevato da tre a sei membri per tutte le
 regioni  e  province  autonome) e, tra l'altro, prive di collegamento
 con l'organizzazione costituzionale regionale.
    Tale  sistema  relegherebbe  in  una   posizione   secondaria   le
 competenze regionali in materia di agricoltura, violando il principio
 costituzionale di cooperazione tra Stato e regioni.
    4. - Anche nel secondo giudizio si e' costituito il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  con  il patrocinio dell'Avvocatura generale
 dello  Stato  che,  riproposte  le  argomentazioni  gia'  riferite  a
 confutazione  del  ricorso  della  Regione  Veneto, ha osservato, con
 riguardo alle specifiche censure mosse dalla  sola  Regione  Toscana,
 che l'equivoco in cui era incorso il Presidente di questa regione non
 toglie  che  la  Conferenza si fosse pronunciata in argomento, e che,
 per altro verso, i pareri  delle  competenti  Commissioni  permanenti
 della  Camera  e del Senato non potrebbero intendersi sostanzialmente
 disattesi, una volta che nessun rilievo in proposito appare formulato
 dal Consiglio di Stato.
    5. - Nell'imminenza dell'udienza, e' stata depositata una  memoria
 nell'interesse  della  Regione  Veneto,  con  la quale si insiste per
 l'annullamento del regolamento impugnato, alla luce del  rilievo  che
 l'esigenza di semplificazione cui si ispira la legge n. 537 del 1993,
 che  dell'atto  in  questione costituisce il fondamento, non potrebbe
 incidere sul riparto delle competenze tra Stato e regioni. Questo, si
 osserva nella memoria, e' stato ridefinito dall'art. 1 della legge  4
 dicembre  1993,  n.  491,  che sembra aver superato anche il disposto
 degli  artt.  da 66 a 77 del d.P.R. n. 616 del 1977, e che, comunque,
 ha definitivamente riaffermato  la  protezione  costituzionale  delle
 regioni  in  materia  di  agricoltura,  ed  ha  reso  obbligatoria la
 collaborazione tra  Stato  e  regioni  anche  per  l'esercizio  delle
 competenze  residuate  al  nuovo  Ministero, con la conseguenza della
 necessita'   dell'attivazione,   da   parte   dello   Stato,    della
 partecipazione regionale anche in tali settori (art. 1, quarto comma,
 della legge n. 491 del 1993).
    Il  decreto  impugnato sarebbe, in definitiva, illegittimo sia per
 essere stato emanato  al  di  fuori  di  ogni  coordinamento  con  la
 Conferenza Stato - regioni, sia per avere estromesso le regioni dalla
 fase  istruttoria  e  consultiva della procedura di riconoscimento di
 denominazione d'origine dei vini.
                        Considerato in diritto
    1. - Le Regioni Veneto e Toscana hanno sollevato,  sulla  base  di
 argomentazioni  in larga parte coincidenti, conflitto di attribuzione
 nei confronti dello Stato, in relazione al d.P.R. 20 aprile 1994,  n.
 348.
    I  giudizi  possono essere riuniti e decisi con un'unica pronuncia
 per la evidente connessione oggettiva dei ricorsi in  relazione  alla
 coincidenza   del   provvedimento   impugnato   e  dei  parametri  di
 costituzionalita' invocati.
    Il nucleo essenziale delle censure rivolte  dalle  ricorrenti  nei
 confronti  dell'impugnato  decreto - emanato, in attuazione dell'art.
 2, settimo comma, della legge  24  dicembre  1993,  n.  537,  per  la
 regolamentazione,  ai  sensi dell'art. 17, secondo comma, della legge
 23 agosto 1988,  n.  400,  di  uno  dei  procedimenti  amministrativi
 indicati  nell'elenco  n.  4,  allegato  alla stessa legge n. 537, e,
 quindi, da qualificarsi come regolamento delegato -  puo'  ricondursi
 alla denunciata compressione di competenze regionali e violazione del
 principio  di  leale  cooperazione tra Stato e regioni, e, quindi, al
 vulnus agli artt. 117 e  118  della  Costituzione  ed  alle  connesse
 disposizioni di legge (d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930, come modificato
 dalla  legge  11  maggio 1966, n. 302, artt. 4 e 6; d.P.R. 15 gennaio
 1972, n. 11; d.P.R.  24 luglio 1977, n. 616, artt.  66-77;  legge  10
 febbraio 1992, n. 164) per avere il decreto in questione disciplinato
 compiuta  mente,  in  nome  di  una  esigenza  di semplificazione, il
 procedimento per il riconoscimento  di  denominazione  d'origine  dei
 vini,  estromettendone la regione, nonostante la interferenza di tale
 disciplina  con  la  generale  competenza  regionale  nella   materia
 dell'agricoltura  ed  in  assenza della acquisizione del parere della
 Conferenza per i rapporti Stato-regioni.
    La Regione Toscana censura, altresi', l'adozione  del  regolamento
 in  contrasto con il parere delle competenti Commissioni della Camera
 e del Senato.
    Nella memoria depositata nell'imminenza dell'udienza,  la  Regione
 Veneto  ha,  poi,  ipotizzato  che  la  ridefinizione, con intento di
 generalita' e completezza, delle competenze trasferite  alle  regioni
 in materia di agricoltura, operata dall'art. 1 della legge 4 dicembre
 1993,  n.  491,  abbia superato le disposizioni del d.P.R. n. 616 del
 1977, relative alla demarcazione dei settori  di  competenza  statale
 nella materia de qua.
    Da  parte di entrambe le regioni ricorrenti si contesta, altresi',
 il ricorso allo  strumento  del  regolamento  delegato  ex  art.  17,
 secondo comma, della legge n. 400 del 1988 in funzione di abrogazione
 di  disposizioni  legislative  in  una  materia  caratterizzata dalla
 riserva di legge, quale quella dei rapporti tra Stato e regioni.
    2.  -  La  valutazione  della  censura  attinente  alla  lamentata
 esorbitanza  dello  Stato  dalla  sfera  delle proprie attribuzioni e
 pretermissione  delle  regioni  dalla  disciplina  del   procedimento
 diretto  al  riconoscimento  della  denominazione  d'origine dei vini
 richiede una preliminare ricognizione della normativa di settore.
    La disciplina della tutela della denominazione d'origine dei mosti
 e dei vini, dettata, in  attuazione  della  legge  di  delega  del  3
 febbraio  1963,  n.  116,  dal  d.P.R.  12  luglio  1963, n. 930, poi
 modificato  dalla  legge  11  maggio  1966,  n.  302,  si  articolava
 originariamente  in una complessa procedura che prevedeva (art. 6) la
 presentazione delle domande di riconoscimento delle denominazioni  di
 origine  "controllata"  e  "controllata  e  garantita",  munita della
 richiesta     documentazione,     all'Ispettorato     compartimentale
 dell'agricoltura  competente  per territorio. Detto ispettorato, dopo
 aver istruito la domanda  e  previo  parere  del  Comitato  regionale
 dell'agricoltura  di cui all'art. 5 del d.P.R. 10 luglio 1955, n. 987
 - integrato, ai sensi dell'art. 3 della legge 2 giugno 1961, n.  454,
 da  tecnici esperti nei problemi dello sviluppo agricolo designati da
 enti e da organizzazioni economiche sindacali operanti nella  regione
 -  la  trasmetteva  al  Ministero dell'agricoltura e delle foreste. A
 cura dello stesso dicastero, veniva, quindi, acquisito il parere  del
 Comitato  nazionale  per  la  tutela  delle denominazioni di origine,
 previsto dall'art. 17  dello  stesso  d.P.R.  n.  930  del  1963.  Il
 riconoscimento  veniva, infine, effettuato con decreto del Presidente
 della Repubblica su proposta del Ministro  dell'agricoltura  e  delle
 foreste,  di concerto con quello dell'industria e del commercio (art.
 4, terzo comma).
    A  seguito  del  trasferimento  dallo  Stato  alle  regioni  delle
 funzioni amministrative nella materia dell'agricoltura, come definita
 dall'art.  66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, gli uffici regionali
 dell'agricoltura, che, in virtu' del  predetto  trasferimento,  erano
 subentrati  agli  Ispettorati compartimentali dell'agricoltura, se ne
 sono assunti i compiti anche con  riferimento  alla  ricezione  delle
 domande  di  riconoscimento  della denominazione di origine dei vini,
 ferma restando in capo allo  Stato,  ai  sensi  dell'art.  71,  primo
 comma,  lettera  d),  del  citato  d.P.R.,  la competenza quanto alla
 disciplina e al controllo di qualita',  nonche'  alla  certificazione
 varietale dei prodotti agricoli.
    La successiva legge 10 febbraio 1992, n. 164, ha ridisciplinato la
 materia,   affidando   -   per  quanto  piu'  specificamente  attiene
 all'oggetto del presente giudizio - ad un regolamento,  da  emanarsi,
 ai  sensi  dell'art.  17, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n.
 400, da parte del Ministro dell'agricoltura e delle foreste,  sentita
 la  Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra Stato e regioni, la
 determinazione del contenuto delle domande e del procedimento per  il
 riconoscimento delle denominazioni di origine.
    Tale  procedimento  risulta,  peraltro,  per  effetto dell'art. 2,
 settimo comma, della legge 24 dicembre 1993,  n.  537,  inserito  tra
 quelli  di  cui all'elenco n. 4, allegato alla legge stessa, rimessi,
 per   esigenze   di   semplificazione    ed    accelerazione,    alla
 regolamentazione  governativa  delegata,  ex  art. 17, secondo comma,
 della predetta legge n. 400 del 1988.
    Sulla scorta di tale  previsione  legislativa,  e'  stato  emanato
 l'impugnato  d.P.R.  n.  348  del  1994, che elimina la fase iniziale
 della procedura originariamente prevista, abrogando, all'art.  5,  la
 disposizione  di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 930 del 1963, e facendo
 obbligo ai soggetti abilitati  alla  proposizione  della  domanda  di
 riconoscimento  -  e  cioe',  consorzi volontari di tutela e consigli
 interprofessionali, rispettivamente previsti  dagli  artt.  19  e  20
 della  legge  n.  164 del 1992, nonche' regioni o province autonome o
 organizzazioni di categoria che rappresentino gli  interessati  (art.
 2)  -  di  presentare tale istanza direttamente al Comitato nazionale
 per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni  di  origine  e
 delle  indicazioni  geografiche  tipiche  dei  vini,  che,  ai  sensi
 dell'art. 17, primo  comma,  della  legge  n.  164  del  1992,  aveva
 sostituito quello di cui all'art. 17 del d.P.R. n. 930 del 1963.
    A  norma  dell'art.  4  del  d.P.R.  n.  348  del  1994, lo stesso
 Comitato, compiuta, a  cura  della  sua  sezione  interprofessionale,
 l'istruttoria,  provvede al riconoscimento, con decreto del dirigente
 responsabile del procedimento, di talche' anche la fase finale  della
 procedura  appare,  in  armonia  con le finalita' cui essa si ispira,
 improntata ad una maggiore  snellezza,  con  l'abrogazione  (art.  5)
 dell'art. 4 del d.P.R. n. 930 del 1963.
    3.  -  Cosi'  ricostruita la vicenda normativa del procedimento di
 riconoscimento di denominazione di origine  dei  vini,  una  prima  e
 generale  considerazione  s'impone,  secondo la quale e' indubitabile
 che la materia de qua appartiene alla competenza statale.
    Questa  Corte,   investita   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale  del  d.P.R.  n.  930  del  1963 (sospettato di essere
 lesivo delle competenze regionali), con la sentenza n. 171  del  1971
 osservo'  che  la  tutela della denominazione di origine dei vini non
 puo' essere disposta che in modo unitario sul piano nazionale,  anche
 in   considerazione   dei   riflessi   che   essa  ha  sul  commercio
 internazionale, ed avuto riguardo alla complessita'  degli  interessi
 connessi  alla  produzione  e distribuzione di vini pregiati, tali da
 indurre ad escludere che la materia sia completamente  ricompresa  in
 quella propria dell'agricoltura, di competenza regionale.
   Tali  affermazioni,  ed  il  conseguente,  stabilizzato assetto dei
 poteri in questione non appaiono smentiti dal d.P.R. n. 616 del 1977,
 che, all'art. 71, primo comma, lettera  d),  indico'  tra  i  settori
 residuati  alla competenza statale nella materia dell'agricoltura "la
 disciplina e il  controllo  di  qualita'  nonche'  la  certificazione
 varietale dei prodotti agricoli".
    Ne'  puo'  ritenersi,  come  adombra  la  Regione  Veneto,  che il
 generale riordino delle competenze regionali  e  statali  in  materia
 agricola,  operato, a seguito di referendum abrogativo, dalla legge 4
 dicembre 1993, n. 491, che ha soppresso il Ministero dell'agricoltura
 e  delle  foreste  ed  istituito  quello  delle   risorse   agricole,
 alimentari e forestali, abbia superato l'assetto delineato dal d.P.R.
 n. 616 del 1977.
    La  citata  legge n. 491 del 1993, infatti, se all'art. 1, secondo
 comma, ricostruisce  il  complesso  delle  funzioni  attribuite  alle
 regioni  in  materia  agricola  in  termini  di  competenza generale,
 riconosce, tuttavia, una diretta responsabilita'  statale  in  larghi
 settori,   con   particolare   riferimento  alla  elaborazione  delle
 politiche nazionali  ed  alla  partecipazione  alla  elaborazione  di
 quelle comunitarie (art. 2).
    A  riprova  del  riconoscimento  delle  esigenze di unitarieta' di
 disciplina, l'art. 6, secondo comma, lettera a), della predetta legge
 indica,  tra  i  criteri  cui  dovra'  attenersi  il  Governo   nella
 emanazione  dei  regolamenti  per  la organizzazione degli uffici del
 nuovo dicastero, quello dell'affidamento  ad  un  servizio  nazionale
 delle  funzioni  di  tutela  delle  indicazioni  geografiche  e della
 denominazione di origine e attestazione di  specialita'  relative  ai
 prodotti   agroalimentari.   Ed   il   successivo   regolamento   per
 l'organizzazione degli uffici del Ministero, approvato con d.P.R.  15
 marzo  1994,  n.  197,  all'art.  5, primo comma, lettera i), pone la
 tutela  delle  denominazioni  di  origine  tra  le  competenze  della
 Direzione   generale   delle  politiche  agricole  e  agroindustriali
 nazionali.
    4. - Confermata, in tal modo, la permanenza in capo allo Stato  di
 potesta'  nello specifico settore, va, peraltro, rilevata la indubbia
 connessione  di  tali  potesta'  con  l'esercizio   di   attribuzioni
 costituzionalmente   affidate  alle  regioni.  Pertanto,  l'esigenza,
 ritenuta preminente, di fornire allo Stato  gli  strumenti  necessari
 per il perseguimento di una disciplina di carattere unitario in vista
 del  generale  interesse  nazionale,  va raccordata con la necessaria
 previsione  di  momenti  di  cooperazione  tra  Stato  e  regione  in
 attuazione del principio costituzionale di leale collaborazione.
    Sotto  tale  profilo, nessuna censura puo' muoversi al regolamento
 in questione.
    Esso, nell'eliminare quella funzione, in precedenza  svolta  dalle
 regioni - peraltro, come rilevato dalla difesa dello Stato, meramente
 istruttoria,  in  quanto sostanzialmente risolventesi nella ricezione
 delle domande e della relativa  documentazione  di  corredo  -  lungi
 dall'estromettere  le  regioni  dalla partecipazione al procedimento,
 finisce per attribuire ad esse, abilitandole alla proposizione  delle
 domande  di riconoscimento di denominazione di origine dei vini sullo
 stesso  piano  di  organismi  consortili  e  di   organizzazioni   di
 categoria,  un  ruolo  sicuramente  piu'  attivo ed incisivo a tutela
 degli  interessi  agricoli  locali.  Tanto  piu'  ove  si   consideri
 globalmente   una  serie  di  modifiche,  apportate  alla  disciplina
 previgente  dallo  stesso  regolamento,   intese   ad   inserire   le
 valutazioni  regionali  anche  nella  fase  di iniziativa e in quella
 decisoria dei procedimenti di cui  si  tratta.  Basti,  al  riguardo,
 considerare  che il regolamento impugnato, all'art. 2, attribuisce la
 legittimazione a presentare la domanda di riconoscimento alle regioni
 e alle province autonome oltre che ai consorzi volontari  di  tutela,
 ai  consigli  interprofessionali  e alle organizzazioni di categoria;
 all'art. 5, eleva da tre a sei il  numero  dei  membri  del  comitato
 nazionale  di  cui all'art. 17 della legge n. 164 del 1992 designati,
 in rappresentanza delle regioni  e  delle  province  autonome,  dalla
 Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
 Province  autonome  di   Trento   e   Bolzano.   Detto   regolamento,
 soprattutto,  riconosce,  all'art.  5,  secondo  comma, il diritto di
 voto, negato dall'art. 17, sesto comma, della stessa legge n. 164, al
 rappresentante della regione interessata, ammesso alla partecipazione
 alle riunioni del comitato aventi ad oggetto questioni attinenti alle
 denominazioni di origine.
    In  tal  modo  la  regione,  sia sulla base del combinato disposto
 dell'art. 4 del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 348  e  dell'art.  7  della
 legge  7 agosto 1990, n. 241, sia attraverso la necessaria preventiva
 comunicazione dell'ordine del giorno delle adunanze del  comitato  di
 cui all'art. 17 anzidetto, e' posta in grado di conoscere l'avvio del
 procedimento e di parteciparvi con ogni apporto collaborativo.
    Il   significato   e  la  portata  di  tali  innovazioni  appaiono
 assolutamente univoci nel senso  di  un  ampliamento,  e  non  di  un
 ridimensionamento,  della partecipazione regionale al procedimento in
 questione.
    5. - Quanto alle censure di forma  che  le  ricorrenti  pongono  a
 fondamento  dei  conflitti rispettivamente sollevati, l'essere stato,
 cioe', il regolamento emanato in assenza della previa audizione della
 Conferenza permanente per i rapporti  tra  lo  Stato  e  le  regioni,
 prevista  dall'art.  12  della legge n. 164 del 1992, ed in contrasto
 con i pareri delle competenti Commissioni della Camera e del  Senato,
 la  prima  di  esse  e'  priva  di pregio; in ordine alla seconda, il
 conflitto e' inammissibile.
   5.1. - Con riferimento al primo dei rilievi, la Corte  osserva  che
 la   regolamentazione   del   procedimento  di  riconoscimento  della
 denominazione di origine dei vini ad opera  del  d.P.R.  n.  348  del
 1994,  oggi  impugnato,  non  e' avvenuta ai sensi dell'art. 12 della
 legge n. 164, ma dell'art. 2, settimo comma, della legge n.  537  del
 1993,  nel  quadro della semplificazione e accelerazione di una serie
 di procedimenti  amministrativi,  elencati  nella  stessa  legge,  da
 disciplinare  con  regolamenti governativi ex art. 17, secondo comma,
 della legge n. 400 del 1988, dei cui schemi non e'  previsto  l'esame
 da  parte  della  predetta  Conferenza, trattandosi, nella specie, di
 regolamenti delegati su materia di competenza statale.  E'  pur  vero
 che  la  stessa  legge  n.  400 del 1988, all'art. 12, nell'istituire
 detta Conferenza, attribuisce in via  generale  ad  essa  compiti  di
 informazione, consultazione e raccordo in relazione agli indirizzi di
 politica   generale   suscettibili   di  incidere  nelle  materie  di
 competenza regionale (con esclusione di quelli relativi alla politica
 estera, difesa e sicurezza nazionale, alla giustizia). Nella  specie,
 peraltro,  non  si  tratta,  per  le  ragioni innanzi evidenziate, di
 materia  trasferita  o   comunque   rientrante   nelle   attribuzioni
 regionali. Del resto, proprio dalla citata disposizione emerge che la
 consultazione  della Conferenza e' prevista per l'adozione di criteri
 generali relativi alle funzioni statali di indirizzo e coordinamento,
 e non in relazione all'adozione di ogni singolo atto (sentenza n. 263
 del 1992). Nel caso di specie, poi, la Conferenza  permanente  per  i
 rapporti  tra  lo  Stato  e  le regioni e' stata investita nella fase
 preparatoria del regolamento, ed e' stata posta in grado di esprimere
 il proprio avviso sulla specifica materia nell'ambito di applicazione
 dei principi di leale collaborazione tra Stato e regione.  Questo  e'
 sufficiente   ad  escludere  ogni  profilo  di  lesione  della  sfera
 regionale.
    5.2. - Per quanto riguarda il mancato adeguamento ai pareri  delle
 competenti  Commissioni  della  Camera e del Senato, il ricorso della
 Regione Toscana e', per tale profilo,  inammissibile,  in  quanto  la
 lamentata  omissione  non e', comunque, idonea di per se' a ledere la
 sfera riservata alle competenze regionali, e pertanto non puo' essere
 dedotta  in  questa  sede  di  conflitto  di attribuzione tra Stato e
 regioni.
    6. - Infondati sono, infine, i  ricorsi  per  quanto  riguarda  la
 pretesa  violazione,  da  parte  del  regolamento  denunciato, di una
 riserva di legge, che, per quanto attiene alla materia  tra  Stato  e
 regioni,   impedirebbe   l'abrogazione  di  disposizioni  legislative
 attraverso uno strumento normativo di rango inferiore.
    E' sufficiente, al riguardo, rilevare che un siffatto principio e'
 configurabile solo con riferimento a  materie  di  diretta  spettanza
 regionale  (sentenza n. 465 del 1991), che i regolamenti governativi,
 compresi quelli delegati, non sono legittimati a disciplinare per  la
 naturale distribuzione delle competenze normative tra Stato e regioni
 desumibile  dall'art.  117  della  Costituzione. Ma vertendosi, nella
 fattispecie, in  materia  di  competenza  statale,  nessun  argomento
 dedotto  porta  ad  escludere che una fonte normativa, come quella in
 esame,  caratterizzata   dalla   speciale   efficacia   propria   dei
 regolamenti  cosiddetti  delegati,  autorizzata  a  disciplinare  una
 specifica materia da una legge della  Repubblica  (nella  specie,  la
 legge  n.  537  del  1993)  con previsione di abrogazione delle norme
 vigenti con effetto dall'entrata in vigore di  quelle  regolamentari,
 possa  avere  forza  innovativa dell'ordine legislativo preesistente,
 purche' in materia non coperta da  riserva  assoluta  di  legge.  Del
 resto,   l'effetto   abrogante,   in  tali  ipotesi,  e'  pur  sempre
 riconducibile  alla  stessa  fonte  legislativa  che   autorizza   la
 delegificazione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti  i  giudizi,  dichiara  che  spetta allo Stato definire il
 procedimento per il riconoscimento della denominazione di origine dei
 vini;
    Dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione nei  confronti
 dello   Stato   in  relazione  al  d.P.R.  20  aprile  1994,  n.  348
 (Regolamento recante disciplina del procedimento di riconoscimento di
 denominazione di  origine  dei  vini),  nella  parte  concernente  il
 mancato  adeguamento  ai  pareri  delle  competenti Commissioni della
 Camera dei deputati e del  Senato  della  Repubblica,  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt.  117 e 118 della Costituzione, dalla Regione
 Toscana con il ricorso in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                         Il redattore: CHIEPPA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0936