N. 337 ORDINANZA 12 - 20 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pena   -   Condannato   all'ergastolo   -   Istituto  del  condono  -
 Inapplicabilita'  -  Ammissibilita'  alle  misure  alternative  della
 semiliberta'  e  della  liberazione  condizionale - Limiti previsti -
 Criteri di determinazione - Difetto  di  rilevanza  -  Richiamo  alla
 giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione in materia di divieto di
 estensione  dell'indulto  alla  pena   dell'ergastolo   -   Manifesta
 inammissibilita' - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P., art. 176, terzo comma; legge 26 luglio 1975, n. 354, art.  50,
 quinto comma).
 
 (Cost., artt. 3, primo e secondo comma, e 27, terzo comma).
 
(GU n.33 del 9-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  50,  quinto
 comma,  della  legge  26  luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
 penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
 della  liberta')  e  dell'art.  176,  terzo comma, del codice penale,
 promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio  1995  dal  Tribunale  di
 sorveglianza   di   Firenze  nel  procedimento  di  sorveglianza  nei
 confronti  di  Misso  Giovanni,  iscritta  al  n.  189  del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  14  giugno  1995  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
    Ritenuto  che  nel  corso  del procedimento promosso su istanza di
 ammissione  alla   semiliberta'   di   Misso   Giovanni,   condannato
 all'ergastolo   che   assumeva   doversi  computare  nel  termine  di
 espiazione minimo previsto dalla legge  (venti  anni)  una  quota  di
 condono pari a due anni di reclusione in forza del d.P.R. 22 dicembre
 1990,  n.  394, il Tribunale di sorveglianza di Firenze, rilevato che
 "l'assetto  normativo  e  la  conseguente  costante   giurisprudenza"
 escludono   l'applicabilita'  dell'istituto  del  condono  alla  pena
 dell'ergastolo e che tale inapplicabilita' coinvolge "anche i termini
 di  ammissibilita'  alle  due  misure alternative rappresentate dalla
 semiliberta' e dalla liberazione condizionale", ha, con ordinanza del
 26 gennaio 1995, sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  27,  terzo
 comma,  e  3, primo e secondo comma, della Costituzione, questione di
 legittimita' degli artt. 50, quinto  comma,  della  legge  26  luglio
 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
 delle  misure  privative  e  limitative della liberta'), e 176, terzo
 comma, del codice penale, "in quanto non  riconoscono  alcun  effetto
 alla  intervenuta  concessione dell'indulto o di analoghi benefici ai
 fini della ammissibilita', rispettivamente, alla semiliberta' e  alla
 liberazione condizionale del condannato all'ergastolo";
      che,  in  punto  di  rilevanza,  il  giudice  a  quo,  dopo aver
 rammentato che la Corte costituzionale,  con  ordinanza  n.  369  del
 1994,  ha dichiarato inammissibile un'identica questione, non essendo
 stati specificati ne' i titoli dei reati ne'  i  decreti  di  indulto
 astrattamente  applicabili,  precisa che il Misso e' stato condannato
 alla pena dell'ergastolo per  i  reati  di  concorso  in  omicidio  e
 tentato  omicidio  aggravati,  evasione, porto e detenzione di armi e
 furto aggravato, reati non ostativi all'applicazione dell'indulto  di
 cui al d.P.R. n. 394 del 1990, il quale non prevede limitazioni sotto
 il profilo oggettivo;
      che,   inoltre,   l'interessato   ha  scontato  sedici  anni  di
 reclusione ed ha conseguito sino ad oggi oltre due anni di  riduzione
 di  pena  a titolo di liberazione anticipata, con la conseguenza che,
 qualora   si   dovesse   ritenere   ingiustificata   la    esclusione
 dall'indulto,  quanto  meno ai fini del raggiungimento dei venti anni
 indicato dall'art. 50 della legge  n.  354  del  1975,  il  beneficio
 sarebbe per lui conseguibile;
      che,  in  punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo,
 premesso essere dato ormai acquisito che la  pena  dell'ergastolo  e'
 stata   ritenuta  compatibile  con  l'art.  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione, soltanto  in  virtu'  dell'applicabilita'  ad  essa  di
 meccanismi   alternativi  di  espiazione,  ed  in  particolare  della
 semiliberta' e  della  liberazione  condizionale,  ditalche'  sarebbe
 ormai   improprio   considerare  l'ergastolo  come  una  pena  "senza
 termine", trattandosi  invece,  alla  stregua  della  sua  evoluzione
 normativa, di una pena "a termine incerto", rileva che, mentre per le
 pene  detentive temporanee, ai fini del computo del periodo minimo di
 detenzione per la concedibilita' dei suddetti benefici,  deve  essere
 detratta  la parte di pena condonata, cio' non e' consentito, invece,
 ai medesimi fini, per  la  pena  dell'ergastolo,  una  diversita'  di
 regime irragionevole, oltre tutto, considerando che della liberazione
 anticipata,  che  e' un altro istituto incidente sulla determinazione
 del periodo minimo di pena espiata, e' fatta applicazione  anche  per
 l'ergastolo,  a  norma dell'art. 54, quarto comma, della legge n. 354
 del 1975;
      che  non  sussisterebbe,   dunque,   "una   ragione   logica   e
 costituzionalmente tale, per l'esistenza di un meccanismo diverso per
 quanto  concerne il condono", un istituto di rilevanza costituzionale
 in quanto espressamente richiamato dall'art. 79  della  Costituzione,
 dal   quale  si  evince,  peraltro,  come  l'unico  limite  alla  sua
 applicabilita' riguarda la  data  del  commesso  reato  cui  potrebbe
 astrattamente riferirsi;
      che,  non  essendo  la pena dell'ergastolo pena "senza termine",
 non sussisterebbe alcun ragionevole motivo  perche'  il  condono  non
 debba  essere  computato  al  fine  di  raggiungere anticipatamente i
 limiti previsti dalla legge  per  l'ammissibilita'  a  quelle  misure
 alternative   che   progressivamente  conducono  all'estinguibilita',
 ritenuto requisito irrinunciabile  di  qualsivoglia  pena  detentiva,
 tanto  piu' che taluni reati vengono puniti alternativamente con pena
 temporanea o con l'ergastolo a seconda del "giuoco logico e giuridico
 delle  circostanze",  cosicche'  la  differenza  che  intercorre  tra
 condannati per uno stesso reato e' soltanto quella della durata della
 pena:  donde la violazione dell'art. 3 della Costituzione, anche alla
 luce delle "scelte  succedutesi  nel  tempo  in  materia  di  diritto
 penitenziario";
      che  sarebbe,  ancora,  violato  l'art.  27,  terzo comma, della
 Costituzione,  perche',  una   volta   soddisfatta,   attraverso   il
 ravvedimento   del   reo,   la   finalita'  rieducativa  della  pena,
 costringere il condannato a subire il  regime  inframurario  a  causa
 dell'esclusione dal computo della pena espiata di condoni applicabili
 alla  generalita'  dei  detenuti  equivarrebbe  ad  infliggergli  una
 sofferenza gratuita, e, dunque, un trattamento contrario al senso  di
 umanita';
      che  nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  deducendo,  anzitutto,  che  la questione, nella parte in cui
 coinvolge la liberazione condizionale, e' da  ritenere  inammissibile
 per  difetto  di rilevanza, vertendosi in un procedimento in cui deve
 decidersi circa la concedibilita' della semiliberta', la sola  misura
 per la quale il condannato ha presentato istanza;
      che,  per  il resto, l'art. 50, quinto comma, della legge n. 354
 del 1975, non contiene la previsione della inapplicabilita', ai  fini
 del  computo dei limiti temporali per l'ammissione alla semiliberta',
 dei   benefici   clemenziali,   discendendo   cio'   solo   da    una
 interpretazione  giurisprudenziale,  contrastata, con vari argomenti,
 dal giudice a quo;
      e che, essendosi dunque  quest'ultimo  limitato  a  prospettare,
 nella  sostanza,  dubbi  interpretativi,  la  questione, anche per la
 parte relativa  all'art.  50  della  legge  n.  354  del  1975,  deve
 ritenersi inammissibile;
    Considerato  che  la questione incentrata sull'art. 176 del codice
 penale e' - come esattamente ha dedotto l'Avvocatura  generale  dello
 Stato - priva di rilevanza, risultando il procedimento promosso nella
 specie al fine di conseguire il beneficio della semiliberta';
      che la questione avente ad oggetto la legittimita' dell'art. 50,
 quinto comma, della legge n. 354 del 1975, e', invece, manifestamente
 infondata,   dovendo   la  pena  dell'ergastolo,  nonostante  il  suo
 inquadramento nell'attuale tessuto  normativo  abbia,  a  determinati
 fini,  provocato  il  venir  meno  della  rigorosa  caratteristica di
 perpetuita' che "all'epoca dell'emanazione del codice  la  connotava"
 (v.  sentenza  n.  168  del  1994),  considerarsi  comunque  una pena
 perpetua tanto da non ammettere "scomputi"  che  non  incidano  sulla
 natura stessa della pena" (v. sentenza n. 270
 del 1993);
      che  cio'  sta  a  significare  che  se,  a taluni fini, la pena
 dell'ergastolo puo' assumere  i  caratteri  della  temporaneita'  nel
 quadro di quelle misure premiali che anticipano il reinserimento come
 effetto  del  sicuro  ravvedimento del condannato, da comprovarsi dal
 giudice sulla base non  solo  della  buona  condotta  tenuta  durante
 l'espiazione    della    pena,   bensi',   soprattutto,   della   sua
 partecipazione rieducativa (v., ancora, sentenza n.  168  del  1994),
 non   e'   possibile   detrarre   dalla   pena   inflitta  la  misura
 corrispondente all'indulto perche', altrimenti, si inciderebbe  sulla
 natura  stessa  della  pena  quale irrogata in sede di cognizione con
 inevitabili riverberi non solo sulla misura ma sulla  qualita'  della
 pena stessa;
      che, del resto, la giurisprudenza della Corte di cassazione, con
 una    costante   linea   interpretativa   fondata   sull'ineludibile
 presupposto della  perpetuita'  della  pena  dell'ergastolo  nel  suo
 momento  applicativo  -  donde l'infondatezza della seconda eccezione
 avanzata dall'Avvocatura generale dello Stato, non potendo, certo, la
 questione  proposta  profilarsi  in  termini  di   un   mero   dubbio
 ermeneutico    -    ha   coerentemente   ravvisato   una   ontologica
 incompatibilita' tra l'ergastolo e l'istituto del condono  "parziale"
 poiche'  la durata complessiva della pena essendo stabilita fino alla
 morte del reo non e' determinabile a priori, con la  conseguenza  che
 essa  puo'  essere  condonata  "in  tutto" oppure essere commutata in
 un'altra specie di pena stabilita dalla legge;
      che, dunque, ai fini dell'accesso alla liberazione  condizionale
 e  delle  misure alternative alla detenzione l'ergastolo non puo' mai
 essere considerato una pena temporanea;
      che, proprio in forza di tali princip/', la Corte di  cassazione
 ha  affermato  che  l'art.  1 del d.P.R 22 dicembre 1990, n. 394, non
 consente di estendere l'indulto alla pena  dell'ergastolo,  ribadendo
 come  se e' vero che l'ergastolo, al pari delle altre pene detentive,
 permette il ricorso agli istituti della liberazione  anticipata  cio'
 non  si  e'  verificato per l'introduzione di un principio derogativo
 all'inscindibilita'  dell'ergastolo,  essendosi  solo  introdotta  la
 regola  che  dopo un certo periodo di detenzione, anche il condannato
 all'ergastolo puo' fruire di quei benefici se ha dato prova,  con  la
 sua  condotta,  di ravvedimento ovvero ha dimostrato attivo interesse
 all'opera  di  rieducazione,  requisiti  entrambi  da  cui  l'indulto
 prescinde   completamente,   cosi'   ulteriormente   comprovando   la
 conformita'  delle  norme  denunciate   i   precetti   costituzionali
 invocati.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  176, terzo comma, del codice
 penale, sollevata, in riferimento  agli  artt.  3,  primo  e  secondo
 comma,  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,  dal Tribunale di
 sorveglianza di Firenze con l'ordinanza in epigrafe;
    Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 50, quinto  comma,  della  legge  26  luglio
 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
 delle  misure  privative  e limitative della liberta'), sollevata, in
 riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 27,  terzo  comma,
 della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  sorveglianza di Firenze con
 l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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