N. 339 ORDINANZA 12 - 20 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sicurezza  pubblica  -  Sistema  delle  misure  cautelari personali -
 Imputato tossicodipendente in stato di custodia cautelare in  carcere
 -  Applicazione  della  misura  dell'arresto  presso una struttura di
 recupero - Non  concedibilita'  -  Esigenza  di  delimitazione  della
 discrezionalita'  giudiziale nella scelta delle misure coercitive sul
 piano   dell'adeguatezza    -    Discrezionalita'    legislativa    -
 Ragionevolezza - Manifesta infondatezza.
 
 (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 89, quarto comma).
 
 (Cost., artt. 3, 27, secondo comma, e 32, primo comma).
 
(GU n.33 del 9-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  89,  comma  4,
 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia
 di  disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
 cura e  riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza),
 promosso  con  ordinanza  emessa l'8 febbraio 1995 dal giudice per le
 indagini preliminari presso  il  Tribunale  di  Salerno  sull'istanza
 proposta  da  Marotta  Alberico,  iscritta  al  n.  212  del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 giugno 1995 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto che il giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale   di   Salerno,   dovendo  provvedere  sulla  richiesta  di
 applicazione  della  misura  dell'arresto  presso  una  struttura  di
 recupero formulata da imputato tossicodipendente in stato di custodia
 cautelare  in  carcere,  ha  sollevato, con ordinanza dell'8 febbraio
 1995, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4,
 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia
 di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,  prevenzione,
 cura  e  riabilitazione  dei relativi stati di tossicodipendenza), in
 riferimento agli articoli 3, 27, primo (recte: secondo) comma, e  32,
 primo comma, della Costituzione;
      che  il  giudice a quo muove sia dal rilievo del titolo di reato
 contestato all'imputato, rientrante  tra  quelli  elencati  nell'art.
 275,  comma 3, del codice di procedura penale, cui la norma impugnata
 fa rinvio per escludere  l'  applicabilita'  dei  commi  1  e  2  del
 medesimo  art.  89 e dunque la concedibilita' della misura richiesta;
 sia dalla concomitante impossibilita' di modificazione  dello  status
 libertatis,   nel   caso   concreto,  sul  piano  della  prognosi  di
 pericolosita' soggettiva, che non consente di escludere le ragioni di
 cautela; premesse, queste, in base  alle  quali  la  richiesta  della
 misura alternativa dovrebbe essere rigettata;
      che il rimettente osserva che nel sistema delle misure cautelari
 personali   sono  rinvenibili  numerosi  correttivi  alla  disciplina
 generale  circa  la  scelta  della  misura  cautelare  da  applicare,
 allorche'   la  persona  da  sottoporre  ad  una  di  esse  versi  in
 determinate condizioni o qualita' personali: a norma  dell'art.  275,
 comma  4,  del  codice  di  procedura penale, sono richieste esigenze
 cautelari di "eccezionale rilevanza"  per  disporre  la  custodia  in
 carcere  di  una  persona  incinta  o che allatta la propria prole, o
 ultrasettantenne  o,  ancora,  che  si  trovi in condizioni di salute
 particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie in  stato
 di  detenzione; l'art. 286 dello stesso codice stabilisce la custodia
 in luogo di cura, anziche' in  carcere,  nell'ipotesi  di  infermita'
 totale  o  parziale  di  mente;  l'art. 286-bis, a sua volta, esclude
 l'applicazione della misura coercitiva carceraria nei riguardi  delle
 persone  affette  da  infezione  HIV  e  per  le  quali  sussista una
 condizione di incompatibilita' con lo  stato  di  detenzione;  l'art.
 299,  comma  4,  del codice, "chiude" infine questo assetto sul piano
 delle  indagini  medico-legali  finalizzate   alla   verifica   della
 compatibilita'  tra  le  condizioni  della  persona  e  la detenzione
 carceraria;
      che  comune  ragione  d'essere  di  queste  previsioni   e'   da
 ravvisare,  secondo  il  giudice rimettente, nella tutela del diritto
 alla salute, protetto in tal modo da pregiudizi  -  potenziali  o  in
 atto   -  derivanti  dalla  custodia  carceraria,  la  cui  finalita'
 cautelare pertanto risulta cedevole di fronte a situazioni soggettive
 peculiari, reputate dal legislatore prevalenti indipendentemente  dal
 titolo di reato in ordine al quale si procede;
      che,  nel  raffronto  con  la disciplina ora accennata, la norma
 impugnata, che regola - all'esito di vari  interventi  normativi  sul
 punto  -  il  sistema  delle  misure  cautelari personali quanto agli
 imputati tossicodipendenti (o  alcool-dipendenti)  e'  censurata  sia
 sotto  il  profilo della irragionevole ridotta protezione del diritto
 alla  salute  del  tossicodipendente,  rispetto   agli   altri   casi
 ricordati,  sia sotto il profilo della ingiustificata discriminazione
 che essa determinerebbe tra tossicodipendenti  imputati  di  uno  dei
 delitti  ex  art.  275,  comma  3,  del  codice di procedura penale e
 tossicodipendenti imputati di  reati  diversi  (per  i  quali  ultimi
 ritrova  piena  applicazione  il  sistema  delineato  nei commi 1 e 2
 dell'art.  89  impugnato,  ed  e'  dunque  privilegiata   la   misura
 alternativa  salvo  che  vi  siano  esigenze cautelari di eccezionale
 rilevanza);
      che ulteriore profilo di censura della norma impugnata, riferito
 ai  parametri  degli  articoli  3  e   27,   secondo   comma,   della
 Costituzione,  e' svolto dal giudice a quo nel raffronto con le norme
 che, regolando gli aspetti esecutivi della pena  inflitta  a  persone
 tossicodipendenti,  accordano  piu'  ampia  possibilita' di accesso a
 programmi di recupero (art. 90 del d.P.R. n. 309 del 1990, in tema di
 sospensione dell'esecuzione; art. 94 dello stesso d.P.R., e art.  47-
 bis della legge di ordinamento penitenziario n. 354 del 1975, in tema
 di  affidamento in prova al servizio sociale); possibilita' viceversa
 precluse al tossicodipendente imputato di un reato incluso tra quelli
 di cui all'art. 275, comma 3, del codice di procedura penale;
      che e' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che,  osservando  come  il  tossicodipendente  possa  comunque
 usufruire  delle  norme  di  esenzione  dalla custodia carceraria sia
 quando le  condizioni  soggettive  risultino  in  generale  con  essa
 incompatibili sia quando si tratti, come e' di frequente, di soggetti
 affetti  da infezione da HIV, ha concluso per una declaratoria di non
 fondatezza della questione;
    Considerato  che  la  norma impugnata - inserita nell'ambito della
 disciplina penale degli  stupefacenti  dal  decreto-legge  14  maggio
 1993, n. 139 (Disposizioni urgenti relative al trattamento di persone
 detenute  affette  da  infezione  da  HIV  e  di  tossicodipendenti),
 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 1993, n. 222, ma
 gia' in  precedenza  contenuta,  nel  suo  nucleo  precettivo,  nella
 disciplina  codicistica  (art.  275,  comma  5,  cod.  proc.  pen.) -
 costituisce, relativamente  alla  specifica  posizione  dell'imputato
 tossicodipendente,  la  riconferma della regola posta in via generale
 quanto a delimitazione della discrezionalita' giudiziale nella scelta
 delle  misure  coercitive  sul  piano   dell'adeguatezza,   allorche'
 l'imputazione  per  cui  si  procede  pervenga  a livelli di spiccata
 gravita' (art. 275, comma 3, del  codice  di  procedura  penale,  nel
 testo  modificato  dapprima  dall'art.  5 del decreto-legge 13 maggio
 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla  legge  12  luglio
 1991,  n. 203 e poi, specificamente sul punto della preclusione delle
 misure  diverse  dalla  custodia  in   carcere,   dall'art.   1   del
 decreto-legge   9   settembre   1991,   n.   292,   convertito,   con
 modificazioni, dalla legge 8 novembre 1991, n. 356);
     che, rispetto all'anzidetta regola, rappresentativa di una scelta
 del legislatore orientata nel senso del  rafforzamento  della  tutela
 delle  ragioni  di  cautela  (naturalmente  dove  sussistenti, o piu'
 esattamente dove non verificate insussistenti, ex art. 275, comma  3,
 ultimo   periodo,   cod.  proc.  pen.),  le  situazioni  dedotte  dal
 rimettente come tertia comparationis si pongono come deroghe motivate
 da esigenze - non sempre o  esclusivamente  incentrate  sulla  tutela
 della  salute  dell'interessato:  si veda l'ipotesi della persona che
 allatta la prole, o quella dell'ultrasettantenne -  comunque  diverse
 da  quelle  di cui puo' essere portatore l'imputato tossicodipendente
 che intenda sottoporsi ad un programma di recupero, per cui le  norme
 corrispondenti   risultano  inidonee  all'utilizzo  come  termini  di
 raffronto in riferimento al  principio  di  eguaglianza,  tanto  piu'
 nella direzione della richiesta estensione della deroga rispetto alla
 regola comune agli imputati, tossicodipendenti o meno;
      che  d'altra parte, in rapporto all'asserita lesione del diritto
 alla salute del  tossicodipendente,  occorre  sottolineare  la  piena
 applicabilita'   degli   istituti  assunti  a  termini  di  raffronto
 nell'ordinanza   di   rinvio,   anche   in    favore    dell'imputato
 tossicodipendente,  per  cui  le piu' ampie possibilita' di accesso a
 misure  cautelari  gradate,  in  presenza  di   situazioni   di   non
 compatibilita'  tra  stato  di  custodia  carceraria  e condizioni di
 salute personali, non sono certo ostacolate dalla specificita'  della
 condizione  di  tossicodipendente, che il rimettente intenderebbe far
 assurgere a  condizione  favorita  sul  piano  della  disciplina  del
 processo;
      che inoltre e' di tutta evidenza la manifesta infondatezza della
 prospettata   lesione   del  principio  di  eguaglianza  quanto  alla
 comparazione tra tossicodipendenti imputati di un reato ex art.  275,
 comma  3, del codice di procedura penale e tossicodipendenti imputati
 di un diverso reato, attesa  l'assoluta  disomogeneita'  dei  termini
 posti  a  raffronto  proprio  sul  piano  della  considerazione della
 gravita' del fatto e della  pericolosita'  soggettiva  desumibile  da
 certi  delitti  piuttosto  che  da  altri;  considerazione  anch'essa
 riservata alle scelte del legislatore, certamente  non  irragionevoli
 nella  specie,  alla  luce  della  catalogazione contenuta nel citato
 articolo 275, comma 3, del codice;
      che  analogo  rilievo  di  disomogeneita' degli istituti posti a
 raffronto con la  norma  impugnata  deve  essere  mosso  quanto  alle
 richiamate  previsioni  concernenti  il trattamento in executivis del
 condannato  tossicodipendente,  essendo  manifestamente  diversa   la
 condizione personale implicata (di imputato in un caso, di condannato
 nell'altro)   e   la   funzione   (cautelare,   ovvero  emendativa  e
 retributiva, rispettivamente) dei corrispondenti istituti evocati;
      che il rilievo che precede vale  altresi'  a  far  ritenere  del
 tutto  improprio il riferimento dell'ordinanza di rinvio al parametro
 costituzionale  della  presunzione  di  non  colpevolezza,   estraneo
 all'assetto  e  alla  conformazione  delle  misure  restrittive della
 liberta'  che  operano  sul  piano  cautelare  e   strumentale,   non
 riconducibile  alla  pena (sentenze n. 342 del 1983, n. 15 del 1982 e
 n. 1 del 1980);
      che, in conclusione, sotto ogni  profilo  dedotto  la  questione
 sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 89, comma 4, del d.P.R.
 9 ottobre 1990, n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
 disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze psicotrope, prevenzione,
 cura e  riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza),
 sollevata,  in  riferimento agli articoli 3, 27, secondo comma, e 32,
 primo  comma,  della  Costituzione,  dal  giudice  per  le   indagini
 preliminari  presso il Tribunale di Salerno, con l'ordinanza indicata
 in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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