N. 345 SENTENZA 12 - 21 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Professionisti  - Professione sanitaria - Biologi - Iscritti all'albo
 - Competenza ad effettuare analisi chimiche - Arbitraria equipollenza
 tra il ruolo  professionale  del  chimico  e  quello  del  biologo  -
 Esigenza   di  corretta  interpretazione  del  contesto  normativo  -
 Esclusione  di  una  interpretazione  delle   sfere   di   competenza
 professionale  in  chiave  di generale esclusivita' monopolistica (v.
 sentenza n. 29/1990) - Non fondatezza.
 
 (Legge 24 maggio 1967, n. 396, art. 3, primo comma, lett.    e),  f),
 g), h) ed  i) e secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 33).
 
(GU n.33 del 9-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
    VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
    Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma,
 lettere  e),  f),  g),  h),  ed  i) , e secondo comma, della legge 24
 maggio 1967, n.  396  (Ordinamento  della  professione  di  biologo),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  5  novembre  1992 dal Consiglio
 nazionale dei chimici sul ricorso proposto da Pelletti Maria Rosaria,
 iscritta al n. 4 del  registro  ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,  prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visto   l'atto   di   costituzione   dell'Ordine    dei    chimici
 interregionale  di Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise, nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1995 il Giudice  relatore
 Riccardo Chieppa;
    Uditi  l'avvocato  Paolo  De  Caterini  per  l'Ordine  dei chimici
 interregionale di Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise, e l'Avvocato dello
 Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Consiglio nazionale dei chimici ha proposto  questione  di
 legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 33, quinto
 comma,  della Costituzione, dell'art. 3, primo comma, lettere e), f),
 g), h), ed i), e secondo comma, della legge 24 maggio 1967,  n.  396,
 nel  corso  di un procedimento avente per oggetto il ricorso proposto
 da M.R. Pelletti avverso la sanzione disciplinare  della  sospensione
 temporanea  dall'esercizio della professione irrogatale dal Consiglio
 dell'Ordine  dei  chimici,  per  avere  costituito  una  associazione
 professionale con professionista iscritto all'albo dei biologi.
    Piu'  in  particolare, l'ordinanza precisa che, la costituzione di
 detto  sodalizio  avrebbe  violato  le  norme  deontologiche  che  il
 Consiglio dell'Ordine dei chimici avrebbe stabilito nei confronti dei
 propri  iscritti  in  virtu' delle quali "l'esercizio associato della
 professione a carattere interdisciplinare non  deve  essere  fonte  o
 occasione  di  confusione  e  incertezze  in  ordine  al  ruolo, alle
 funzioni di ciascun professionista associato".
    Cio'  premesso,  secondo  il  Consiglio  remittente,  la  verifica
 dell'illecito  disciplinare  contestato  alla   ricorrente   andrebbe
 condotta  alla  luce  della  legge  24  maggio  1967,  n.  396, ed in
 particolare alla luce dell'art. 3, primo comma, lettere e),  f),  g),
 h),  ed  i)  e  secondo comma, della citata legge n. 396 del 1967, il
 quale "cosi'  come  comunemente  interpretato  sembrerebbe  porsi  in
 contrasto con gli artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione".
    Invero,  le  diverse e contrastanti interpretazioni che verrebbero
 date all'art. 3 della legge n. 396 del 1967,  in  ordine  all'oggetto
 della professione di biologo, sarebbero all'origine di una situazione
 di  confusione che abiliterebbe i biologi "anche all'esercizio di una
 notevole parte della professione del  chimico",  il  che  varrebbe  a
 stabilire  "una  arbitraria  equipollenza"  fra  laurea  in chimica e
 laurea in biologia  con  conseguente  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione   (trattamento   eguale   di  situazioni  giuridicamente
 diseguali) e dell'art. 33, quinto comma, della Costituzione (il quale
 affermerebbe un "nesso indissolubile tra formazione di studi ed esame
 di Stato").
    D'altro lato, secondo il remittente,  il  vigente  tariffario  dei
 biologi  stabilito con decreto ministeriale 27 marzo 1976, riportando
 un gran numero di prestazioni  di  analisi  chimiche  avrebbe  creato
 incertezze  e  provocato interpretazioni estensive della legge n. 396
 del 1967.
    Incertezze che sussisterebbero anche nel testo contenente il nuovo
 tariffario professionale  dei  biologi,  (attualmente  stabilito  con
 decreto   ministeriale   22   luglio   1993,  n.  362,  ed  all'epoca
 dell'ordinanza in via di approvazione).
    2. - Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale  chiede  che   la
 questione sia dichiarata inammissibile ed in subordine infondata.
    Si  afferma,  nell'atto  di  intervento,  che  risulta  abbastanza
 evidente dal tenore dell'ordinanza che  il  Consiglio  nazionale  dei
 chimici non condivide affatto l'interpretazione che comunemente viene
 data  all'art.  3  censurato  con  la  conseguenza  che  la questione
 proposta sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza.
    Ad avviso dell'interveniente, il Consiglio dell'Ordine dei chimici
 ha la propria verita' interpretativa e quindi puo' ben  decidere  sul
 caso sottoposto al proprio esame senza che vi sia la necessita' della
 pronuncia della Corte.
    In  via  subordinata  l'Avvocatura  chiede  che  la  questione sia
 comunque dichiarata inammissibile in quanto la  materia  soggetta  al
 giudizio di costituzionalita' sarebbe riservata alla discrezionalita'
 del  legislatore  ed  in  ogni  caso  la  relativa  questione sarebbe
 comunque infondata.
    Al riguardo si  fa  presente  che  anche  gli  studi  di  biologia
 prevedono  una  adeguata  preparazione chimica, sicche' la scelta del
 legislatore  di  comprendere  nell'"oggetto  della  professione"   di
 biologo  l'attivita' analistica, eventualmente chimica, come ritenuto
 dall'interpretazione prevalente, apparirebbe giustificata e razionale
 ed in ogni caso non  potrebbe  essere  sindacata  dal  giudice  delle
 leggi.
    Quanto  alla  violazione del principio di eguaglianza si ribadisce
 che la materia sottoposta al giudizio  di  costituzionalita'  risulta
 riservata  alla  discrezionalita'  del  legislatore, al quale sarebbe
 demandato il compito di valutare se la preparazione universitaria  di
 discipline  cosi'  vicine fra loro eppur sempre diverse, preparazione
 verificata con l'apposito esame  di  Stato,  attribuisca  ed  in  che
 misura  la  competenza  ad  effettuare  prestazioni professionali nel
 campo dell'analistica chimica, biologica o l'una e l'altra insieme.
    Valutazione  discrezionale   che,   ove   sorretta   da   adeguata
 ragionevolezza,  come  nella fattispecie, esulerebbe dal sindacato di
 legittimita' costituzionale.
   3.  -  Si   e',   altresi',   costituito   l'Ordine   dei   chimici
 interregionale  di  Lazio, Umbria e Abruzzo e Molise - resistente nel
 giudizio a quo - il quale chiede che sia dichiarata la illegittimita'
 costituzionale della norma censurata con  argomentazioni  analoghe  a
 quelle sviluppate nell'ordinanza di rimessione.
    In  particolare,  e  quanto  alla  rilevanza  della  questione, si
 afferma  che  "solo  una  accurata  analisi  di  tutte  le  possibili
 conseguenze  interpretative  derivanti  dalle  norme  censurate, puo'
 permettere di accertare se, nella  specie,  esse  consentano  o  meno
 quella  sostanziale  coincidenza  tra  l'attivita'  professionale del
 chimico  e  quella  del  biologo  per  una  parte  significativa  dei
 rispettivi  ambiti  professionali",  coincidenza che determinando una
 oggettiva situazione di confusione tra le  due  professioni,  farebbe
 "scattare" la rilevanza della questione stessa.
    Quanto  al  merito si sottolinea che l'interpretazione comunemente
 accolta della norma censurata finirebbe con  l'aprire  agli  iscritti
 all'albo  dei  biologi  interi  settori di attivita' professionale di
 sicura spettanza dei chimici senza che il  curriculum  universitario,
 il   tirocinio  pratico  e  le  prove  previste  per  il  superamento
 dell'esame  di  Stato  offrano  sufficienti  garanzie  in  ordine  al
 concreto  possesso  da  parte  dei  candidati  della  preparazione  e
 capacita' tecniche necessarie per un corretto e affidabile  esercizio
 di  tali  attivita'. Simile interpretazione sarebbe per piu' versi in
 contrasto con gli artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione.
    In particolare si sottolinea la necessita', affermata anche  dalla
 giurisprudenza  di  questa Corte, che le prove di esame siano tali da
 accertare  il  concreto  possesso  da  parte  dei   candidati   della
 preparazione,  attitudine  e  capacita'  tecnica  necessaria  perche'
 dell'esercizio  pubblico  dell'attivita'  professionale  i  cittadini
 possano giovarsi con fiducia.
    In  prossimita'  dell'udienza, l'Ordine dei chimici interregionale
 del  Lazio,  Umbria,  Abruzzo  e   Molise   ha   depositato   memoria
 illustrativa   con   la   quale  ribadisce  le  argomentazioni  e  le
 conclusioni formulate nell'atto di costituzione.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Consiglio nazionale dei chimici censura -  in  riferimento
 agli  artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione, l'art. 3, primo
 comma lettere e), f), g), h) ed i) , e secondo comma, della legge  24
 maggio  1967,  n.  396, in quanto - sulla base di una interpretazione
 comunemente accettata e per di piu' "rafforzata" dal regio decreto  1
 marzo  1928, n. 842 (Regolamento per l'esercizio della professione di
 chimico), e dalla legge 19 luglio 1957, n. 679 (Tariffario  nazionale
 delle   prestazioni   professionali   dei  chimici),  successivamente
 modificata dalla legge 20 marzo 1975, n. 56 (Norme sulle tariffe  per
 le  prestazioni  professionali dei chimici) - ascriverebbe al biologo
 la competenza ad  effettuare  le  analisi  chimiche  in  ordine  alle
 prestazioni indicate nell'art. 3 succitato.
    Tutto  cio'  -  realizzando  una  "arbitraria equipollenza" tra il
 ruolo professionale del chimico e quello del biologo - violerebbe  il
 principio di professionalita' specifica (art. 33, quinto comma, della
 Costituzione),  nonche'  il  principio  di  uguaglianza (art. 3 della
 Costituzione).
    2. - Preliminarmente va disattesa l'eccezione di  inammissibilita'
 proposta dall'Avvocatura generale dello Stato.
    Invero,  la  Corte  e'  chiamata a pronunciarsi sulla legittimita'
 costituzionale dell'art.  3  della  legge  n.  396  del  1967,  nella
 accezione  -  assunta  per  di piu' in termini di "diritto vivente" -
 prospettata nell'ordinanza di rimessione nel quadro ed  alla  stregua
 della   quale   si   determina   la   controversia   di  legittimita'
 costituzionale  che  si  presenta  come  pregiudiziale  ai  fini  del
 giudizio  principale.  Sicche' "e' consentito richiedere l'intervento
 di questa Corte, affinche' controlli la compatibilita' dell'indirizzo
 consolidato con i principi costituzionali" (sentenze n. 456 del  1989
 e  n. 110 del 1995) essendo, peraltro, a tal fine "sufficiente che il
 giudice  a   quo   riconduca   alla   disposizione   contestata   una
 interpretazione non implausibile .. della quale ritenga di dover fare
 applicazione  nel  giudizio  principale e sulla quale nutra dubbi non
 arbitrari, o non pretestuosi,  di  conformita'  a  determinate  norme
 costituzionali" (sentenza n. 58 del 1995).
    3. - Nel merito la questione e' infondata.
    Al  riguardo  si  rileva  che  il  nucleo  centrale  delle censure
 indirizzate all'art. 3 della legge n. 396 del 1967  e'  rappresentato
 dall'art.  33, quinto comma, della Costituzione, ovvero dalla pretesa
 violazione  del   principio   di   professionalita'   specifica   che
 conseguirebbe  al  riconoscimento,  operato dalla norma censurata, di
 una indiscriminata  competenza  del  biologo  ad  effettuare  analisi
 chimiche,  determinando  cosi'  "incertezza  e  confusione" tra i due
 distinti ruoli professionali del biologo e del chimico.
    Ed e' solo sulla base di questa censura che  i  giudici  a  quibus
 ritengono  conseguenzialmente  violato  l'art.  3 della Costituzione:
 sicche', in  ordine  logico-giuridico,  va  per  primo  esaminato  il
 contrasto concernente l'art. 33, quinto comma, della Costituzione.
    Cio'  posto, si deve subito osservare che il regio decreto 1 marzo
 1928, n. 842 e la legge  19  luglio  1957,  n.  679,  successivamente
 modificata  dalla  legge  20  marzo 1975, n. 56, non hanno affatto il
 contenuto indicato, peraltro genericamente, dal remittente:  entrambe
 queste leggi, infatti - lungi dall'ampliare la competenza dei biologi
 -  non si occupano affatto del biologo, limitandosi - com'e' logico -
 la prima (r.d. n. 842 del 1928)  a  dettare  le  norme  che  regolano
 l'esercizio  della  professione  di  chimico  e  la seconda (legge 19
 luglio 1957, n. 679, successivamente modificata con la legge 20 marzo
 1975, n. 56) a  stabilire  semplicemente  gli  onorari  professionali
 minimi  spettanti  ai chimici (onorari piu' recentemente adeguati con
 decreto ministeriale del 25 marzo 1986) in relazione (art.  16)  alle
 "analisi  chimiche  di  ogni specie" con espressa esclusione "perche'
 non di competenza" dei "prelievi di carattere biologico da  organismi
 umani  viventi"  e dei "pareri scritti di diagnosi medica". A cio' si
 aggiunga che compito della "tariffa" non e' certo quello di  definire
 le competenze dei singoli professionisti - al che provvedono le leggi
 sui  singoli  ordinamenti professionali - ma solo quello di stabilire
 il compenso che essi possono chiedere per la loro attivita', compenso
 destinato a variare, in ragione dell'impegno richiesto  e  del  costo
 delle tecniche adoperate.
    Ne  consegue  la  totale  inconferenza  delle  norme richiamate in
 ordine alla "interpretazione  estensiva"  della  norma  censurata  la
 quale,  dunque,  va  esaminata  in  se'  onde  ravvisare  le asserite
 "incertezze", "fonte di confusione" - in ordine ai due distinti ruoli
 professionali del biologo  e  del  chimico  -  di  cui  si  duole  il
 remittente  denunciandone  il  contrasto con l'art. 33, quinto comma,
 della Costituzione.
    4. - Orbene, l'art. 3 della legge  n.  396  del  1967,  identifica
 l'oggetto   della  professione  di  biologo  mediante  una  analitica
 individuazione delle attivita' che i biologi possono essere  chiamati
 ad  effettuare.  Piu'  in  particolare,  costituiscono  oggetto della
 professione  di  biologo,  tra  l'altro,   le   analisi   biologiche,
 sierologiche,  immunologiche, istologiche, di gravidanza, metaboliche
 (art. 3, primo comma). Il secondo comma dello stesso art. 3  contiene
 una  norma di chiusura, alla stregua della quale l'elencazione di cui
 al primo comma  succitato  "non  limita  l'esercizio  di  ogni  altra
 attivita'  professionale consentita ai biologi iscritti all'albo, ne'
 pregiudica  quanto  puo'  formare  oggetto  dell'attivita'  di  altre
 categorie  di  professionisti  a  norma  di  leggi e di regolamenti".
 Appare evidente -  alla  luce  di  quest'ultima  disposizione  -  che
 l'elencazione di cui al primo comma dell'art. 3 censurato non riveste
 carattere  tassativo,  ovvero non esaurisce il novero delle attivita'
 consentite  ai  biologi,  ne'  tantomento  comporta  una  assoluta  e
 generale   esclusivita'  delle  prestazioni  da  parte  degli  stessi
 biologi, potendosi configurare limitati settori di attivita' mista  e
 logicamente interdisciplinare.
    Tuttavia,    essa   non   e'   neppure   da   ritenere   meramente
 esemplificativa  nel  senso  che  gli   iscritti   all'albo   possono
 liberamente  esercitare  attivita' simili a quelle indicate dal primo
 comma del piu' volte citato art. 3. Infatti, le  ulteriori  attivita'
 professionali esercitabili dai biologi sono quelle consentite a norma
 "di leggi o di regolamenti".
    In  altri  termini  l'art.  3,  ultimo  comma,  non consente alcun
 ampliamento della attivita' professionale del biologo, se  non  sulla
 base  di una fonte normativa primaria o quantomeno secondaria. Il che
 equivale ad introdurre, coerentemente ad una esigenza di certezza  di
 professionalita'  specifica,  il  principio  di  tipicita' nel senso,
 appunto, che solo le attivita' specificamente consentite da una fonte
 normativa, come gia' detto  primaria  o  secondaria,  possono  essere
 esercitate  dagli  iscritti  all'albo.  Appare  evidente che una tale
 previsione e' strettamente  preordinata  ad  assicurare  la  certezza
 delle  prestazioni  richieste  ai  biologi  e  che quindi non vi puo'
 essere alcuna "confusione" in ordine alla professionalita'  richiesta
 ai  biologi  stessi  che appanni la professionalita' del chimico. Del
 resto, anche il primo comma  del  censurato  art.  3  pone  a  chiare
 lettere  la  linea  che  demarca la professione del biologo da quella
 riservata ad altri professionisti che esercitino attivita'  simili  o
 anche  affini  a  quelle biologiche: essa e' data dal "punto di vista
 biologico" che contrassegna l'attivita'  professionale  del  biologo,
 ovvero  dal fatto che essa e' svolta in funzione delle esigenze degli
 organismi viventi avendo riguardo alla utilita' o alla dannosita' che
 a questi possono derivare  dall'uso  o  dalla  semplice  presenza  di
 determinate sostanze organiche o inorganiche.
    Ne consegue che nessuna "incertezza" e' ascrivibile alla attivita'
 professionale  dei  biologi,  sulla  base  della  norma  censurata e,
 pertanto, nessun contrasto  e'  ravvisabile  con  l'art.  33,  quinto
 comma,   della  Costituzione.  Vi  e'  da  aggiungere  che  il  ruolo
 professionale del biologo non e' solo quello che emerge  dalla  legge
 n.  396  del  1967,  ma anche quello che si delinea all'interno delle
 strutture pubbliche ed in particolare nelle Unita'  sanitarie  locali
 (e'  la  stessa  legge  n.  396  del 1967 all'art. 8, secondo e terzo
 comma, a  fare  riferimento  ai  biologi  dipendenti  della  pubblica
 amministrazione).  In  proposito  -  e  avuto riguardo alla ratio che
 sembra contrassegnare l'ordinanza di rinvio - non  e'  senza  rilievo
 sottolineare che la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale
 (legge n. 833 del 1978), sulla scorta di una nozione del diritto alla
 salute  comprensivo  anche  di  un  diritto  all'ambiente salubre, ha
 indicato fra gli obiettivi  dello  stesso  servizio  la  salvaguardia
 della  salubrita'  e  dell'igiene  dell'ambiente di vita e di lavoro,
 degli alimenti e delle bevande, dei prodotti  ed  avanzi  di  origine
 animale  per  le  implicazioni  che  attengono alla salute dell'uomo.
 Cio', assicurando un rilievo particolare alla figura del biologo, non
 implica  certo   confusione   e   fungibilita'   con   altre   figure
 professionali  che  concorrono  nella tutela della salute, ma postula
 semplicemente la necessaria concorrenza di  diverse  competenze,  che
 debbono  essere  armonicamente  integrate in taluni specifici ambiti,
 come affermato da questa Corte con riguardo ai laboratori di  analisi
 ospedalieri  in  cui  sono  appunto  contemplati  i  diversi ruoli di
 biologo, chimico e medico (sentenza  n.  29  del  1990).  Concorrenza
 parziale  e  interdisciplinarita' che appaiono sempre piu' necessarie
 in una societa', quale quella attuale, i cui interessi  si  connotano
 in  ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessita' ed alla
 tutela dei quali - e non certo  a  quella  corporativa  di  ordini  o
 collegi  professionali,  o  di  posizioni  di  esponenti degli stessi
 ordini  -  e',  in  via  di  principio,  preordinato  e   subordinato
 l'accertamento  e  il riconoscimento nel sistema degli ordinamenti di
 categoria della professionalita' specifica di cui all'art. 33, quinto
 comma,  della  Costituzione.  Il   che   porta   ad   escludere   una
 interpretazione  delle sfere di competenza professionale in chiave di
 generale esclusivita' monopolistica  (cfr.  ad  esempio  le  zone  di
 attivita'  mista  tra  avvocati  e dottori commercialisti nel settore
 tributario  anche  contenzioso;  degli  ingegneri  e  architetti  nel
 settore  di  determinate progettazioni; degli ingegneri o dei geologi
 in  alcuni  settori  della  geologia   applicata   e   della   tutela
 dell'ambiente;   degli  ingegneri  e  dottori  in  scienze  forestali
 nell'ambito di talune sistemazioni montane).
    Le predette considerazioni portano a ritenere infondata  anche  la
 censura  sollevata  con  riguardo  all'art. 3 della Costituzione che,
 come gia' detto, e' priva di autonomo svolgimento.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, primo comma, lettere e), f), g), h), ed  i),  e  secondo
 comma,  della  legge  24  maggio  1967,  n.  396  (Ordinamento  della
 professione di biologo) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e  33,
 quinto comma, della Costituzione, dal Consiglio nazionale dei chimici
 con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                         Il redattore: CHIEPPA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 21 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C0948