N. 358 SENTENZA 13 - 24 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imposte  in  genere  -  IRPEF  -  Coniugi  - Imputazione di parte del
 reddito all'altro coniuge qualora privo di reddito proprio  -  Omessa
 previsione  -  Richiamo alla giurisprudenza della Corte (v.  sentenze
 nn. 179/1976 e 76/1983) - Penalizzazione delle famiglie monoreddito e
 di quelle  numerose  con  componenti  che  non  producono  reddito  o
 svolgono  lavoro  casalingo - Discrezionalita' legislativa - Auspicio
 di un intervento del legislatore al fine di interrompere il protrarsi
 delle indicate sperequazioni - Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 3).
 
 (Cost., artt. 3, 29, 31 e 53).
 
(GU n.34 del 16-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale del d.P.R.  29  settembre
 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle
 persone  fisiche),  ed  in  particolare  dell'art.  3,  promosso  con
 ordinanza emessa il 16 giugno 1994 dalla Commissione tributaria di 1›
 grado di Genova sul ricorso proposto da Alberti  Giancarlo  ed  altra
 contro  l'Intendenza  di  finanza  di  Genova, iscritta al n. 580 del
 registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 41, prima serie speciale dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  5  aprile  1995  il  Giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  giudizio  promosso  con  ricorso  proposto  da Alberti
 Giancarlo e da sua moglie contro l'Intendenza di finanza di Genova, i
 ricorrenti - nella loro qualita' di coniugi presentatori di  denuncia
 dei redditi congiunta con la quale si erano attribuiti la titolarita'
 del   reddito   costituito   dallo  stipendio  del  marito,  denuncia
 rettificata dall'Ufficio  con  attribuzione  dell'intero  reddito  al
 marito  -  chiedevano  il  rimborso  di  parte della quota I.R.P.E.F.
 corrisposta  mediante  trattenuta  diretta  sulla  retribuzione.   La
 Commissione tributaria di 1› grado di Genova, con ordinanza emessa il
 16 giugno 1994, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  3  del  d.P.R.  29  settembre  1973, n. 597 (Istituzione e
 disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche).
    Ritiene  il  giudice  rimettente  che  la  normativa   richiamata,
 correttamente interpretata dall'Amministrazione, sia in contrasto con
 gli  artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione, alla luce del principio
 posto da questa Corte  con  la  sentenza  n.  179  del  1976,  ed  in
 particolare dell'auspicio in tale decisione formulato, che a distanza
 di  molti  anni  non  e'  stato  ancora  raccolto dal legislatore: si
 renderebbe pertanto necessario un intervento della Corte  per  aprire
 la  strada  a  disposizioni  piu'  moderne  in tema di tassazione dei
 redditi destinati alla gestione familiare, nella ipotesi in cui  essi
 siano   prodotti   da  un  solo  soggetto,  ma  di  fatto  utilizzati
 nell'interesse comune  di  entrambi  i  coniugi.  Cosi'  facendo,  si
 realizzerebbe  una  piu' pregnante attuazione della Costituzione, sia
 sotto il profilo della tutela della famiglia (artt.  29  e  31  della
 Costituzione),  che  sotto  quello  dell'uguale  dignita' dei coniugi
 (art. 3), che infine sotto quello della equa  imposizione  tributaria
 (art. 53).
    Pur  censurando  il generale sistema del d.P.R. 29 settembre 1973,
 n. 597, il giudice rimettente appunta i propri rilievi sull'art. 3 di
 esso, nella parte in cui non prevede,  tra  le  eccezioni  al  regime
 della  imposizione  personale,  la titolarita' comune dei redditi fra
 coniugi.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 concludendo  nel  senso  dell'inammissibilita'   o,   in   subordine,
 dell'infondatezza della questione.
    Ritiene  in  primo luogo la difesa erariale che con l'ordinanza di
 rimessione il giudice a quo chiede una  pronuncia  additiva,  con  la
 quale  si  introduca il c.d. splitting, cosi' profondamente innovando
 la legislazione tributaria. Al riguardo, si ritiene che  tale  scelta
 attenga  alla  sfera  politica  (di  politica  economica  generale e,
 congiuntamente, di politica tributaria e di politica della famiglia e
 demografica) rimessa alla discrezionalita' del legislatore ordinario,
 anche in ragione della sua complessita' dal punto di  vista  tecnico-
 tributario.
    Nel  merito,  ritiene  la  difesa  erariale  che  la questione sia
 infondata, in  quanto  nessuna  delle  disposizioni  invocate  impone
 l'adozione del c.d. splitting: sostiene anzi che la giurisprudenza di
 questa  Corte sia nel senso di ritenere che l'esigenza di favorire la
 famiglia possa essere appagata mediante tecniche diverse.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Commissione  tributaria di primo grado di Genova dubita
 della legittimita' costituzionale del sistema normativo  dell'imposta
 sul  reddito delle persone fisiche (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597,
 poi trasfuso nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con
 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), specificamente dell'art.  3,  nella
 parte in cui non prevede che, ai fini dell'imposizione tributaria, il
 reddito  di  uno  dei  coniugi  venga imputato parzialmente all'altro
 qualora  questi  sia  privo  di  reddito  proprio   anziche'   essere
 interamente attribuito al solo coniuge produttore del reddito stesso,
 per contrasto con gli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione.
    2. - La questione e' inammissibile.
    L'esigenza  di  un  trattamento fiscale dei redditi dei componenti
 della famiglia ispirato a criteri di maggiore equita' e giustizia  e'
 stata  considerata  in diverse legislazioni degli Stati contemporanei
 ed e' stata anche avvertita molte volte nel nostro ordinamento.
    Gia' la riforma del diritto di famiglia, introdotta con  la  legge
 19  maggio  1975, n. 151, aveva stabilito che il reddito dell'impresa
 familiare deve imputarsi a ciascuno  dei  soggetti  percipienti,  ivi
 compresi   i  familiari  che  prestano  lavoro  domestico;  anche  se
 successivamente cio' e'  stato  limitato  ad  una  quota  percentuale
 dell'ammontare    risultante    dalla   dichiarazione   dei   redditi
 dell'imprenditore.
    Con la sentenza n. 179 del  1976,  questa  Corte,  nel  dichiarare
 l'illegittimita',  per  contrasto  con gli artt. 3, 29, 31 e 53 della
 Costituzione,  delle  disposizioni  che  prevedevano  il  cumulo  dei
 redditi  della moglie con quelli del marito ai fini dell'applicazione
 dell'aliquota complessiva, rilevava l'ulteriore rischio relativo alla
 tassazione della famiglia monoreddito, in cui "non e' solo il  marito
 a  disporre  del  reddito  ma entrambi i coniugi", e auspicava per la
 materia una piu' adeguata disciplina,  invitando  il  legislatore  ad
 attuare  un  sistema  tributario  "che  agevoli  la  formazione  e lo
 sviluppo  della  famiglia  e  consideri  la  posizione  della   donna
 casalinga e lavoratrice".
    3.  -  Con  la  successiva  sentenza n. 76 del 1983, questa stessa
 Corte dichiaro' inammissibile una serie di questioni di  legittimita'
 costituzionale,   tra  le  quali  quella  riguardante  le  norme  che
 prescrivono l'imputabilita' del reddito interamente al  soggetto  che
 lo  produce  senza separazione della parte di esso destinata ad altri
 membri della famiglia o senza deduzione di tutti gli oneri sopportati
 nell'interesse di questa. In tale  sentenza  si  prese  atto  che  la
 raccomandazione  rivolta al legislatore nella precedente pronuncia n.
 179 del 1976 non era stata considerata dalla legge n.  144  del  1977
 per l'addotto motivo, risultante dagli atti parlamentari, che pur non
 disconoscendo  "ai  sistemi  del  cumulo  facoltativo  del  quoziente
 familiare e dello splitting, accolti in alcune legislazioni straniere
 (...) il pregio di apprestare, in determinate  situazioni,  strumenti
 piu'   adeguati  alla  tassazione  dei  redditi  familiari",  si  era
 osservato che "l'intrinseca  complessita'  di  tali  sistemi  postula
 valutazioni e scelte non sempre facili, nonche' una modulistica assai
 differenziata".
    La  richiamata  sentenza  del  1983  rinnovo' tuttavia l'invito al
 legislatore al fine di "apprestare rimedio alle sperequazioni che  da
 tale  sistema,  rigidamente  applicato,  potrebbero derivare in danno
 della famiglia nella quale uno  solo  dei  coniugi  possegga  reddito
 tassabile,  rispetto  a  quella  in  cui ambedue i coniugi posseggono
 reddito, pari nel  complessivo  ammontare  a  quello  della  famiglia
 monoreddito,  ma  soggetto  a  tassazione separata, con aliquote piu'
 lievi per le due componenti". Soggiungeva la Corte che  "l'innegabile
 esigenza  di correggere tali effetti distorsivi, nella prospettiva di
 quel favor familiae cui si  informa  l'art.  31  della  Costituzione,
 puo',  invero,  venire  appagata sia con oculata scelta di un sistema
 alternativo, suscettibile di essere affiancato in  via  opzionale  al
 sistema   della   tassazione   separata,  sia  anche  all'interno  di
 quest'ultimo, ristrutturando gli oneri  deducibili  e  le  detrazioni
 soggettive dell'imposta per meglio adeguarli all'esigenza medesima".
    4.  -  Questo  secondo  invito della giurisprudenza costituzionale
 indusse il legislatore (art. 19 della legge 29 dicembre 1990, n. 408)
 a delegare il Governo ad "adottare, entro il 31 dicembre 1992, uno  o
 piu'  decreti  legislativi  concernenti  la revisione del trattamento
 tributario dei redditi della famiglia" secondo una lunga  indicazione
 di  principi  e criteri direttivi. Fra questi, si prevedeva anzitutto
 la  "commisurazione  dell'imposta  alla  capacita'  contributiva  del
 nucleo  familiare  tenendo  conto  del  numero  delle  persone che lo
 compongono e dei redditi da esse posseduti"  mediante  l'applicazione
 dell'aliquota  media corrispondente al reddito complessivo diviso per
 il  numero  dei   componenti   del   nucleo.   Si   stabilivano   poi
 analiticamente  tutte  le modalita' del nuovo sistema, ivi compresi i
 criteri di  rilevanza  delle  convivenze  di  fatto,  dei  componenti
 ultrasessantacinquenni e delle persone affette da menomazioni fisiche
 o  psichiche;  prevedendo  infine  la  graduale entrata in vigore del
 nuovo trattamento, da  coordinarsi  con  la  disciplina  degli  oneri
 deducibili e delle detrazioni per carichi di famiglia.
    La successiva legge 30 dicembre 1991, n. 413, confermava i termini
 degli  emanandi  decreti delegati, collegandone l'entrata in vigore a
 quelli da emanarsi ai sensi dell'art. 17 della stessa  legge  n.  408
 del 1990.
    Dopo  la vana attesa di quattro anni dalla entrata in vigore della
 legge delega, ed a quasi venti anni dalla citata  prima  sentenza  di
 questa  Corte,  i  problemi  della  famiglia  in  Italia  sono  stati
 ampiamente dibattuti alla Camera nelle sedute  del  7  e  8  febbraio
 1995,  con  la presentazione di dodici mozioni, nelle quali ancora si
 "impegna il Governo a realizzare un sistema di assegni  familiari  di
 idonea  e  significativa  portata economica, con particolare riguardo
 alle famiglie numerose e monoreddito", e  si  invita  l'Esecutivo  ad
 emanare   "provvedimenti  per  una  piu'  ampia  tutela  fiscale  con
 l'introduzione del cosiddetto quoziente  familiare  o  di  un  metodo
 equivalente  che,  nel  tassare il reddito familiare, tenga conto del
 numero dei componenti, riducendo le imposte alle famiglie monoreddito
 e numerose".
    5. - Nella fattispecie sottoposta all'esame del giudice  a  quo  i
 coniugi  si  trovano  in regime di comunione legale dei beni: ipotesi
 nella quale l'attuale sistema tributario, complessivamente  investito
 dall'ordinanza  di remissione, consente (art. 4 del d.P.R. n. 917 del
 1986) ai coniugi di imputare i redditi dei beni che  formano  oggetto
 della comunione legale "per meta' del loro ammontare netto a ciascuno
 dei  coniugi  o per la diversa quota stabilita ai sensi dell'art. 210
 del codice civile". Tuttavia, con decreto-legge 2 marzo 1989, n.  69,
 convertito   nella   legge  27  aprile  1989,  n.  154,  alla  citata
 disposizione e' stato  aggiunto  il  seguente  periodo:  "I  proventi
 dell'attivita'  separata  di  ciascun  coniuge sono a lui imputati in
 ogni caso per l'intero ammontare".
    Pur considerando che il codice  civile  consente  ai  coniugi,  ai
 sensi  del  ricordato art. 210, primo comma, di "modificare il regime
 della comunione legale dei beni", e quindi fare oggetto di  comunione
 immediata  anche  i  proventi dell'attivita' separata di ciascuno dei
 coniugi, che di regola  appartengono  alla  cosiddetta  comunione  de
 residuo  (art.  177,  lettera  c,  del  codice  civile),  e' decisivo
 rilevare che la  predetta  legge  27  aprile  1989,  n.  154  non  e'
 investita dall'ordinanza di rimessione.
    6.  - Deve osservarsi conclusivamente che dai calcoli tributari si
 constata  senza  dubbio  che  l'attuale  trattamento  fiscale   della
 famiglia  penalizza  i  nuclei monoreddito e le famiglie numerose con
 componenti che non producono  o  svolgono  lavoro  casalingo.  Queste
 famiglie infatti - che dovrebbero essere agevolate ai sensi dell'art.
 31  della  Costituzione  - sono tenute a corrispondere un'imposta sui
 redditi delle persone  fisiche  notevolmente  superiore  rispetto  ad
 altri  nuclei  familiari composti dallo stesso numero di componenti e
 con lo stesso reddito, ma percepito da piu' di uno dei suoi membri.
    Tali effetti  distorsivi  furono  -  come  si  e'  gia'  notato  -
 segnalati  piu'  volte da questa Corte, dalla dottrina e dallo stesso
 legislatore che, con la legge n. 408 del 1990, delego' il  Governo  a
 provvedere adeguatamente, senza peraltro che tale delega abbia avuto,
 fino ad oggi, alcun seguito.
    Cio'  nonostante,  e'  altrettanto  evidente  che  i rimedi per il
 necessario ristabilimento dell'equita' fiscale in materia e la tutela
 della famiglia sotto questo aspetto non possono essere apprestati  da
 questa  Corte  mediante l'accoglimento della questione nei termini in
 cui e' proposta, in quanto cio' implicherebbe pluralita' di complesse
 scelte, come emerge dalle  varie  ipotesi  prospettate  dalla  citata
 sentenza  n.  76  del 1983, dalle diverse esperienze di altri Stati e
 dall'ampio  recente  dibattito  parlamentare:  scelte  che  competono
 esclusivamente al legislatore.
    Ne'   sarebbe  percorribile  la  via  indicata  nell'ordinanza  di
 rimessione, e cioe' una pronuncia che, senza prefigurare in  positivo
 l'articolazione  di  nuovi  criteri  di  tassazione dei redditi della
 famiglia, di  spettanza  del  legislatore,  si  limiti  a  dichiarare
 l'illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  vigenti:  cio'
 infatti sarebbe  fonte  di  inammissibili  lacune  nella  disciplina,
 riguardo  ad una materia che richiede, invece, il costante equilibrio
 del sistema.
    Nell'ambito della complessita' delle scelte  e  della  modulazione
 delle  soluzioni  che  si intendono introdurre, al legislatore spetta
 pertanto tener conto anche delle eventuali ricadute  delle  auspicate
 innovazioni,  oltre  che  del reperimento delle risorse relative alla
 ripercussione sul gettito tributario.
    In ogni caso, pur con queste cautele e nella prospettiva di  tutto
 il   quadro   delle  varie  situazioni,  il  legislatore  non  dovra'
 consentire ulteriormente, per  rispetto  ai  principi  costituzionali
 indicati  ed  ai  criteri di giustizia tributaria, il protrarsi delle
 indicate   sperequazioni   in  danno  delle  famiglie  monoreddito  e
 numerose.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
 del  d.P.R.  29  settembre  1973,  n.  597  (Istituzione e disciplina
 dell'imposta sul reddito delle persone fisiche),  ed  in  particolare
 dell'art.  3,  sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3, 29, 31 e 53
 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di  primo  grado  di
 Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 24 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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