N. 390 SENTENZA 20 - 26 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Dottori commercialisti -  Prolungamento  di
 cinque  anni del periodo minimo per ottenere la pensione di vecchiaia
 al raggiungimento del sessantacinquesimo o del settantesimo  anno  di
 eta'  -  Elevazione  rispettivamente  a  trenta e venticinque anni di
 effettiva  iscrizione  e  contribuzione  alla   Cassa   nazionale   -
 Possibilita'  del legislatore di intervenire in senso sfavorevole per
 la disciplina dei rapporti di durata - Salvaguardia  dell'affidamento
 del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica  - Non irrazionalita' del
 criterio  di  valutazione   seguito   dal   legislatore   nella   sua
 discrezionalita' - Non fondatezza.
 
 (Legge  29  gennaio  1986,  n. 21, artt. 2, primo comma, e 26, primo,
 secondo e terzo comma; legge 5 marzo 1990, n. 45, art. 9).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
 
(GU n.34 del 16-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Francesco
    GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.
    Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 1, e
 26, commi 1, 2 e 3, della legge 29 gennaio 1986, n. 21 (Riforma della
 Cassa    nazionale   di   previdenza   e   assistenza   dei   dottori
 commercialisti), nonche' dell'art. 9 della legge 5 marzo 1990, n.  45
 (Norme  per  la  ricongiunzione  dei  periodi  assicurativi  ai  fini
 previdenziali per i liberi professionisti),  promosso  con  ordinanza
 emessa  il  17 agosto 1994 dal Pretore di Bologna, sezione distaccata
 di Imola, nel procedimento civile vertente tra Zapparata  Vittorio  e
 la  Cassa  nazionale  di previdenza e assistenza a favore dei dottori
 commercialisti, iscritta al n. 673  del  registro  ordinanze  1994  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 47, prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto di costituzione della Cassa nazionale  di  previdenza
 ed  assistenza a favore dei dottori commercialisti, nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1995 il Giudice relatore
 Cesare Ruperto;
    Udito l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di un procedimento civile promosso da Zapparata
 Vittorio contro la Cassa  nazionale  di  previdenza  e  assistenza  a
 favore  dei  dottori  commercialisti, al fine di sentir dichiarare il
 proprio diritto ad ottenere il relativo trattamento pensionistico  di
 vecchiaia  a  partire  dal  mese  di  luglio  del 1992, il Pretore di
 Bologna, sezione distaccata di Imola,  in  funzione  di  giudice  del
 lavoro,  con  ordinanza  emessa  il  17  agosto  1994,  ha  sollevato
 questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli  artt.
 3  e 38 della Costituzione - degli artt. 2, comma 1, e 26, commi 1, 2
 e 3 della legge 29 gennaio 1986, n. 21 (Riforma della Cassa nazionale
 di previdenza  e  assistenza  dei  dottori  commercialisti),  nonche'
 dell'art.   9  della  legge  5  marzo  1990,  n.  45  (Norme  per  la
 ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali  per  i
 liberi  professionisti), in quanto modificativi in senso peggiorativo
 della precedente disciplina dettata dalla legge 23 dicembre 1970,  n.
 1140,  relativa  ai  requisiti  minimi  di  eta'  e  di contribuzione
 richiesti per il conseguimento del trattamento pensionistico.
    Affermata la rilevanza della questione, in  quanto  il  ricorrente
 (nato  il  6  giugno  1922)  avrebbe  avuto  diritto alla pensione di
 vecchiaia in base alla normativa di cui alla legge n. 1140  del  1970
 ma  non secondo quella nuova di riforma - avendo compiuto il 65› anno
 di eta' dopo l'entrata in vigore della legge n. 21  del  1986,  senza
 che  a  quella  data  fosse  maturato  il  requisito  dei  25 anni di
 iscrizione  e  contribuzione,  ed  avendo  maturato  i  20  anni   di
 iscrizione e contribuzione solo alla fine del 1991 nell'imminenza del
 compimento del 70› anno di eta' -, osserva il giudice remittente come
 la  riforma  introdotta con la legge n. 21 del 1986 (che, all'art. 2,
 ha prolungato di cinque  anni  il  periodo  minimo  di  contribuzione
 richiesto rispettivamente al raggiungimento del 65› e del 70› anno di
 eta')   abbia   inciso  negativamente  su  posizioni  sostanziali  di
 aspettativa del diritto, quale quella di cui al  giudizio  a  quo.  E
 cio',  pur nella previsione (risultante dagli artt. 26 della legge n.
 21 del 1986 e 9 della legge n. 45 del 1990) di un regime  transitorio
 di  tutela  di  coloro  tra  gli  iscritti che fossero in procinto di
 ottenere il trattamento secondo i vecchi criteri.
    Con  riguardo  al  primo  profilo  rileva  il  remittente  che   -
 conformemente  alla  giurisprudenza  della Corte costituzionale - non
 puo'  dirsi  consentita  una  modificazione  legislativa  la   quale,
 intervenendo  in  una  fase  avanzata del rapporto di lavoro, venga a
 peggiorare, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in
 maniera  definitiva,  un  trattamento  pensionistico  in   precedenza
 spettante,  con  la  conseguente  irrimediabile  vanificazione  delle
 aspettative  legittimamente  nutrite  dal  lavoratore  per  il  tempo
 successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa.
    Con riguardo al secondo profilo, osserva lo stesso remittente come
 la disciplina transitoria prevista dai citati artt. 26 della legge n.
 21  del  1986  e 9 della legge n. 45 del 1990, pur essendo diretta ad
 evitare mutamenti in senso peggiorativo di  situazioni  in  corso  di
 maturazione, rimane irrazionalmente inapplicabile ai casi - del tutto
 assimilabili  a quelli contemplati dalle norme - quali quello oggetto
 del giudizio a quo (in cui il soggetto iscritto alla Cassa, che abbia
 maturato i requisiti di eta'  e  di  contribuzione  oltre  i  termini
 previsti  dalle  disposizioni  de  quibus,  ha la sola alternativa di
 richiedere la restituzione dei  contributi  ovvero  di  attendere  il
 maturarsi  dei  requisiti  minimi).  Casi  che  percio'  resterebbero
 caratterizzati dalla lamentata compressione delle aspettative.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura  generale dello Stato, che ha concluso
 per   la   declaratoria   d'inammissibilita'   o,    in    subordine,
 d'infondatezza   della   questione.   In   una   memoria   depositata
 nell'imminenza dell'udienza, osserva l'Avvocatura come l'innalzamento
 del periodo minimo di effettiva iscrizione e  contribuzione  risponda
 alle  esigenze  economiche  della  Cassa di previdenza de qua ed alla
 necessita' di adeguare i suddetti limiti a quelli gia'  previsti  per
 le  altre casse di previdenza dei liberi professionisti, nel contesto
 di un piu' ampio disegno del legislatore volto a porre una disciplina
 unitaria delle diverse categorie professionali.
    Sottolinea,  inoltre,  che  i   diritti   quesiti   dei   soggetti
 interessati  sono  tutelati  -  nel  pieno  rispetto del principio di
 uguaglianza  -  proprio  dalla  censurata   disciplina   transitoria,
 specificamente  diretta  ad  evitare  mutamenti in senso peggiorativo
 delle situazioni in corso di maturazione.
    3. - Si e' costituita in giudizio la Cassa nazionale di previdenza
 e assistenza a favore  dei  dottori  commercialisti,  osservando  che
 l'aspettativa  alla  pensione  di  vecchiaia  -  diritto soggettivo a
 formazione progressiva ovvero sottoposto a termine - risulta comunque
 tutelata  attraverso l'istituto dell'automaticita' della prestazione,
 che si consegue al verificarsi dei relativi fatti costitutivi,  cioe'
 della  maturazione  dell'eta'  pensionabile e del minimo contributivo
 richiesto: la cui determinazione risulta in ogni caso necessaria  per
 la  configurabilita'  di  una qualsiasi garanzia dello stesso diritto
 alla pensione, sia pure nelle forme della aspettativa. Se  cosi'  non
 fosse   -   aggiunge   la   Cassa  -  il  legislatore  si  troverebbe
 impossibilitato  a  varare  qualsiasi  tipo  di  riforma  in  materia
 previdenziale  che  muti  in  peius  le  condizioni  per  ottenere la
 pensione: il diritto alla quale non comporta certo  che  il  soggetto
 abbia  un'assicurazione  a vita sull'immutabilita' delle norme che ne
 regolano  l'attribuzione.  Secondo  la  deducente,   e'   del   tutto
 ragionevole  la  riforma  attuata dalla normativa de qua, chiaramente
 intesa alla garanzia del diritto di tutti gli iscritti a  godere  del
 trattamento  di  vecchiaia, attraverso un piu' equo reperimento delle
 risorse   finanziarie;   donde   l'insussistenza   della   denunciata
 violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Pretore  di  Bologna,  sezione  distaccata di Imola, ha
 sollevato questione di legittimita' - in riferimento agli artt.  3  e
 38  della Costituzione - dell'art. 2, comma 1, della legge 29 gennaio
 1986, n. 21, nella parte in cui  ha  prolungato  di  cinque  anni  il
 periodo  minimo, originariamente stabilito dall'art. 5 della legge n.
 1140 del 1970, richiesto per ottenere la  pensione  di  vecchiaia  da
 parte    dei    dottori    commercialisti   al   raggiungimento   del
 sessantacinquesimo  o  del  settantesimo  anno  di  eta',  elevandolo
 rispettivamente a trenta e venticinque anni di effettiva iscrizione e
 contribuzione  alla  Cassa  nazionale  di  previdenza  e assistenza a
 favore degli stessi  dottori  commercialisti,  con  cio'  venendo  ad
 incidere   in   senso   peggiorativo  su  situazioni  sostanziali  di
 aspettativa di diritto sorte in capo agli iscritti alla  Cassa  nella
 vigenza della normativa riformata.
    Il   giudice   a   quo,  con  riferimento  agli  stessi  parametri
 costituzionali sopra menzionati, ha altresi' censurato  il  combinato
 disposto degli artt. 26, commi 1, 2 e 3, della legge n. 21 del 1986 e
 9  della  legge  n.  45 del 1990, in quanto non includono nel proprio
 a'mbito di applicazione quegli  iscritti,  quali  il  ricorrente  nel
 giudizio a quo, che abbiano raggiunto i limiti minimi di iscrizione e
 di  contribuzione  alla  Cassa, previsti dalla nuova normativa, in un
 momento  successivo   ai   periodi   contemplati   dalla   disciplina
 transitoria.
    2. - Le due questioni, strettamente connesse fra loro e percio' da
 esaminare congiuntamente, non sono fondate.
    Questa  Corte ha gia' avuto occasione di affermare (v. sentenze n.
 573 del 1990, n. 822 del 1988 e n.  349  del  1985)  che  nel  nostro
 sistema  costituzionale  non  e' affatto interdetto al legislatore di
 emanare  disposizioni  le  quali  vengano  a  modificare   in   senso
 sfavorevole  per  i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata,
 anche se l'oggetto di questi sia  costituito  da  diritti  soggettivi
 perfetti  (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite
 imposto  in  materia  penale  dall'art.  25,  secondo  comma,   della
 Costituzione).  Unica  condizione essenziale e' che tali disposizioni
 non  trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale,  frustrando,   con
 riguardo  a  situazioni  sostanziali  fondate sulle leggi precedenti,
 l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da  intendersi
 quale elemento fondamentale dello stato di diritto.
    3. - Ebbene, la denunciata normativa ha osservato detta condizione
 essenziale e dunque deve ritenersi esente dalle prospettate censure.
    Giova  notare che il legislatore ha introdotto la nuova disciplina
 nel quadro d'una piu' generale riforma della  previdenza  dei  liberi
 professionisti,  che  ha  segnato  nel  tempo il passaggio dalla fase
 della mutualita' a quella della solidarieta',  contrassegnata  da  un
 diverso  utilizzo delle risorse finanziarie in base al criterio della
 gestione  a  ripartizione.  Il  che  ha  fra  l'altro  comportato  la
 necessita'  di  elevare  il numero degli anni di effettiva iscrizione
 alla Cassa e di contribuzione per ottenere la pensione di vecchiaia.
    Con cio' si e' ovviamente venuti ad incidere in senso peggiorativo
 su pregresse posizioni assicurative in itinere. Ma e' innegabile  che
 il  piu' severo regime dei requisiti di concedibilita' della pensione
 trovi  razionale  giustificazione   nell'inderogabile   esigenza   di
 assicurare  un  equilibrato  andamento  del  bilancio  della Cassa di
 previdenza dei dottori commercialisti ed ovviare cosi' all'insorgenza
 di notevoli difficolta'  finanziarie  (v.  relazione  del  presidente
 della  Commissione  lavoro del Senato in data 25 settembre 1985), che
 avrebbero potuto riflettersi sulla capacita' stessa di effettuare  in
 futuro le prestazioni pensionistiche a tutti gli aventi diritto.
    D'altronde,  la  stessa struttura di tipo solidaristico di sistemi
 pensionistici, come appunto  quelli  dei  liberi  professionisti  (v.
 sentenze  n.  88  del  1995  e  n.  133  del  1984), comporta una non
 necessaria corrispondenza tra i contributi versati e  le  prestazioni
 erogate.  Al  che  consegue  anche  la  insussistenza  di  un diritto
 dell'iscritto  alla  intangibilita'  del  trattamento   pensionistico
 vigente nel momento in cui ebbe inizio l'iscrizione.
    Ne'  con  cio' puo' venirsi a configurare una lesione dell'art. 38
 della Costituzione, per il cui rispetto infatti e' sufficiente che al
 lavoratore siano attribuite adeguate  prestazioni  previdenziali  (v.
 sentenza  n.  307  del  1989).  Le quali, nella fattispecie, appaiono
 sufficientemente  garantite   dalla   possibilita'   del   ricorrente
 (sottolineata  anche  nell'ordinanza  di  rimessione) di attendere il
 maturarsi dei requisiti minimi, salvo a  richiedere  la  restituzione
 dei contributi versati, ex art. 21 della legge n. 21 del 1986.
    4.  -  Il  legislatore,  comunque,  non  ha mancato di predisporre
 un'adeguata tutela a favore di  quei  soggetti  le  cui  aspettative,
 maturate  durante  l'iter  di  formazione  progressiva del diritto al
 trattamento di vecchiaia, avevano raggiunto  un  elevato  livello  di
 consolidamento.  Essa e' stata contestualmente approntata mediante la
 specifica previsione di un graduale regime transitorio, contenuto nel
 pure denunciato art. 26 della citata  legge  n.  21  del  1986  (come
 successivamente  interpretato ed integrato dall'art. 9 della legge n.
 45 del 1990).
    Trattasi di  una  previsione  normativa  che  appare  adeguata  al
 prefisso  scopo  di  consentire  che  il  nuovo  regime  istituito si
 coordinasse al precedente in modo  da  evitare  la  vanificazione  di
 aspettative  gia'  legittimamente createsi ed, insieme, irragionevoli
 disparita'  di  trattamento  fra   gli   assicurati   prossimi   alla
 maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia.
    Se  poi  alcuni  soggetti,  come il ricorrente nel giudizio a quo,
 sono rimasti fuori da tale previsione, cio' e'  avvenuto  perche'  le
 loro aspettative - secondo il non irrazionale criterio di valutazione
 seguito  dal  legislatore, nell'ottica di una opzione discrezionale -
 non erano pervenute ad un livello di consolidamento cosi' elevato  da
 creare   quell'affidamento   da   questa  Corte  ritenuto  di  valore
 costituzionalmente   protetto   nella   conservazione    dell'attuale
 trattamento pensionistico.
    Per  escludere  la  lamentata  disparita'  di  trattamento,  basta
 considerare l'evidente disomogeneita' fra le posizioni normativamente
 previste e quella del ricorrente nel giudizio a quo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  2, comma 1, e 26, commi 1, 2 e 3 della legge 29 gennaio
 1986, n. 21 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza
 dei dottori commercialisti), nonche' dell'art. 9 della legge 5  marzo
 1990,  n. 45 (Norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai
 fini  previdenziali  per  i  liberi  professionisti),  sollevata,  in
 relazione  agli  artt.  3  e  38  della  Costituzione, dal Pretore di
 Bologna, sezione distaccata di Imola,  con  l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                         Il redattore: RUPERTO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 26 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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