N. 405 ORDINANZA 20 - 26 luglio 1995
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati militari - Reato permanente - Unicita' della fattispecie - Interruzione della permanenza di una o piu' volte - Irrogabilita' di un complessivo trattamento sanzionatorio superiore a quello edittalmente previsto per il reato medesimo - Identica questione gia' decisa dalla Corte con ordinanza n. 150/1995 - Censura di disposizione alla quale non e' riconducibile l'interpretazione in contestazione da parte del giudice del giudizio a quo - Manifesta inammissibilita'. (C.P.P. art. 649). (Cost., artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma)(GU n.34 del 16-8-1995 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE; Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1995 dal Tribunale militare di Padova, nel procedimento penale a carico di Bruno Vallero Nicola, iscritta al n. 192 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale dell'anno 1995; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 12 luglio 1995 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; Ritenuto che il Tribunale militare di Padova, nel giudizio nei confronti di Nicola Bruno Vallero - gia' condannato con sentenza del 26 gennaio 1993 per il reato di diserzione, con riguardo alla condotta iniziata il 7 maggio 1991, non ancora cessata alla data del giudizio, e, pertanto, imputato nuovamente del reato di cui all'art. 148, n. 2 del codice penale militare di pace per l'assenza proseguita dopo la condanna - ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, nei confronti dell'art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui consente che per un unico reato permanente, per il quale la permanenza sia una o piu' volte giudizialmente interrotta, sia irrogabile un complessivo trattamento sanzionatorio superiore a quello edittalmente previsto per il reato medesimo; che il giudice a quo, premesso di condividere e di non voler contrastare l'orientamento unanime della giurisprudenza, secondo il quale i reati di assenza dal servizio sono reati permanenti (con la conseguenza che, una volta intervenuta la condanna, la permanenza viene interrotta e la condotta successiva da' luogo ad un nuovo reato), rileva che la ricostruzione della permanenza nei reati omissivi, accolta dalla giurisprudenza, pone seri problemi di legittimita' costituzionale in relazione alle conseguenze che si determinano a seguito delle plurime condanne per le condotte illecite, conseguenze che, perdurando successivamente ad ogni giudizio per il configurarsi, ogni volta, di nuovi e autonomi reati della stessa specie, sono particolarmente gravi quando, come nel caso, la permanenza del reato puo' protrarsi per venticinque anni; che, pertanto, secondo il giudice a quo, la previsione della interruzione giudiziale della permanenza, che discende dall'art. 649 cod. proc. pen., violerebbe le seguenti disposizioni costituzionali: a) l'art. 27, primo comma, in quanto la responsabilita' penale dell'imputato non dipenderebbe soltanto dal suo operato, ma anche dal funzionamento dell'apparato giudiziario militare; b) l'art. 25, secondo comma, in quanto la moltiplicazione dei giudizi comporterebbe un innalzamento della pena edittale praticamente indeterminato sino al limite del triplo del massimo della pena edittale, previsto dall'art. 81 del codice penale; c) l'art. 3, in quanto, a parita' di periodo di assenza dal servizio, il trattamento sanzionatorio complessivo verrebbe a derivare dal grado di efficienza dell'apparato giudiziario competente a conoscere del reato nei vari autonomi episodi che si creano con l'interruzione giudiziale; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata, in quanto l'art. 649 cod. proc. pen. non conterrebbe affatto il principio della "interruzione giudiziale della permanenza", ma enuncerebbe soltanto il principio del divieto di un secondo giudizio su un medesimo fatto, non potendosi, in ogni caso, considerare in alcun modo identico un fatto che, pur mantenendo inalterate le caratteristiche dell'elemento oggettivo, si collochi, tuttavia, in una dimensione temporale diversa rispetto a quella in cui si e' verificato il fatto gia' giudicato; che, inoltre, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, appare del tutto contraddittoria la formulazione della questione, dal momento che il giudice a quo, mentre contesta le conseguenze dell'interruzione giudiziale del reato permanente, nello stesso tempo afferma di condividere l'assunto secondo il quale la contestazione di un nuovo addebito dopo la condanna per il reato di mancanza alla chiamata o per quello di diserzione non comporterebbe alcuna violazione del principio del ne bis in idem, contenuto nell'art. 649 cod. proc. pen.; Considerato che identica questione di legittimita' costituzionale e' stata decisa da questa Corte con l'ordinanza n. 150 del 1995; che in tale pronuncia, dichiarativa della manifesta inammissibilita' della questione di costituzionalita' in oggetto, e' stato riconosciuto che l'effetto lamentato dal giudice a quo non discende dall'applicazione dell'impugnato art. 649 cod. proc. pen., dal momento che questa disposizione afferma soltanto il principio di civilta' giuridica, oltre che di generalissima applicazione, in forza del quale chi e' stato prosciolto o condannato con sentenza divenuta irrevocabile non puo' essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene qualificato diversamente per il titolo, per il grado o per le circostanze; che il giudice rimettente non adduce elementi ulteriori a sostegno dei propri dubbi di costituzionalita'; che, pertanto, la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale militare di Padova, in quanto proposta nei confronti di una disposizione alla quale non puo' in alcun modo essere plausibilmente ricondotta l'interpretazione che lo stesso giudice intende contestare, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995. Il Presidente e redattore: BALDASSARRE Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 26 luglio 1995. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 95C1008