N. 413 SENTENZA 20 - 27 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro  -  Collocamento  e  mobilita'  -  Diritto  all'indennita'  di
 mobilita'  -  Spettanza  - Esclusione per i collocati in mobilita' ma
 non iscritti nelle relative liste per inottemperanza  del  datore  di
 lavoro  della  procedura  di  cui  all'art. 4, commi da 2 a 12, della
 legge n. 223/1991 - Irrilevanza del  fatto  omissivo  del  datore  di
 lavoro - Questione eccedente il  thema decidendum devoluto alla Corte
 dal giudice rimettente - Non fondatezza.
 
 (Legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, primo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
 
(GU n.35 del 23-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  7,  comma  1,
 della  legge  23  luglio  1991,  n.  223  (Norme  in materia di cassa
 integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di
 direttive della Comunita' europea,  avviamento  al  lavoro  ed  altre
 disposizioni   in  materia  di  mercato  del  lavoro),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  18  maggio  1994  dal  Pretore  di  Lecce  nei
 procedimenti  civili  riuniti vertenti tra Cotardo Tiziana ed altre e
 la Ditta Luel ed altri iscritta al n. 551 del registro ordinanze 1994
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  40,  prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti   l'atto   di   costituzione  dell'INPS  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1995 il Giudice relatore
 Renato Granata;
    Uditi l'avv. Giuseppe Fabiani per l'INPS e l'avvocato dello  Stato
 Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  In  un  giudizio promosso da Cotardo Tiziana ed altri (tutti
 licenziati per cessazione dell'attivita' aziendale) nei confronti del
 datore di lavoro, nonche' dell'INPS e del Ministero  del  lavoro,  al
 fine  di  ottenere  l'accertamento del diritto ad essere collocati in
 mobilita' ex art. 24 legge n. 223 del 1991 e la condanna  (dell'INPS)
 al  pagamento  dell'indennita'  di mobilita' ex art. 7 legge cit., il
 pretore di Lecce con  ordinanza  del  18  maggio  1994  ha  sollevato
 questione  incidentale  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 7,
 comma 1, legge 23 luglio 1991, n. 223 per sospetta  violazione  degli
 artt. 3 e 38 della Costituzione.
    Premette  il  pretore  rimettente  che  la procedura di mobilita',
 prevista dall'art. 4, commi da 2 a  9,  legge  cit.,  che  condiziona
 l'iscrizione   nelle  liste  di  mobilita'  (art.  6  legge  cit.)  e
 conseguentemente   l'attivazione   del   trattamento    previdenziale
 costituito  dall'indennita' di mobilita' (art. 7 legge cit.), trovano
 applicazione anche nel caso di licenziamento collettivo  in  generale
 (come  espressamente  previsto dall'art. 24, comma 1, legge cit., che
 richiama i commi da  2  a  12  dell'art.  4)  ed  in  particolare  di
 licenziamento  collettivo  per  cessazione  di attivita' (quale nella
 specie quello intimato ai ricorrenti), in ragione  del  disposto  del
 secondo comma del cit. art. 24.
    In   tale   ultima   fattispecie   (licenziamento  collettivo  per
 cessazione di attivita'), ancorche' il necessario previo  esperimento
 della  procedura  di  mobilita'  si esaurisca in adempimenti soltanto
 formali (quali  la  comunicazione  alle  rappresentanze  sindacali  e
 all'Ufficio   provinciale   del  lavoro  della  volonta'  di  cessare
 l'attivita' aziendale (artt. 2 e 4)  e  la  successiva  comunicazione
 dell'esaurita  procedura  contestualmente  all'invio  dell'elenco dei
 lavoratori  licenziati  all'ufficio  regionale  del  lavoro  e  della
 massima  occupazione  al  fine  della  compilazione  della  lista dei
 lavoratori in mobilita') non  di  meno  l'inesistenza  o  il  mancato
 perfezionamento  della  procedura  di  mobilita'  porta  alla mancata
 iscrizione di un lavoratore licenziato per  cessazione  di  attivita'
 nelle liste di collocamento; lo stesso lavoratore, pertanto, anche se
 in   possesso   del   requisito  dell'anzianita'  aziendale  previsto
 dall'art. 16 della legge n. 223 del 1991, non potrebbe  aver  diritto
 all'indennita'  di  mobilita' atteso che il cit. art. 7 dispone che i
 lavoratori  hanno  diritto  a  tale  prestazione   previdenziale   se
 "collocati in mobilita' ai sensi dell'art. 4".
    E'  pero'  di  dubbia  legittimita'  costituzionale  -  ritiene il
 giudice rimettente - una  norma  che  subordini  il  diritto  ad  una
 prestazione  previdenziale (indennita' di mobilita') al comportamento
 di un soggetto (datore di lavoro)  estraneo  al  rapporto  di  natura
 previdenziale  ed  indifferente  alle  conseguenze economiche del suo
 inadempimento. Quindi l'art. 7, comma 1, si pone in contrasto con gli
 artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui  prevede  che  il
 diritto  all'indennita'  di  mobilita'  possa  spettare  soltanto  ai
 lavoratori collocati in mobilita' ai sensi dell'art. 4 e non anche  a
 quelli che sarebbero dovuti essere collocati in mobilita', ma che non
 sono  stati iscritti nelle apposite liste, per non avere il datore di
 lavoro attivato ed esaurito la procedura prevista dall'art. 4,  commi
 da  2  a  12,  della  legge  medesima,  nell'ipotesi di licenziamenti
 collettivi per cessazione di attivita'.
    In particolare sarebbe violato il principio di eguaglianza perche'
 si creano situazioni sperequate nell'ambito di lavoratori  licenziati
 per lo stesso motivo (cessazione di attivita') i quali beneficiano, o
 meno,  della suddetta prestazione previdenziale per il solo fatto che
 un soggetto, indifferente rispetto ai rapporti  che  conseguono  alla
 sua  condotta, provveda, o meno, al compimento di atti formali, quale
 appunto e' la procedura di mobilita'  nell'ipotesi  di  licenziamenti
 collettivi per cessazione di attivita'.
    Inoltre  sarebbe violato anche l'art. 38 della Costituzione (oltre
 che ancora all'art. 3 della Costituzione) perche'  non  e'  possibile
 che  una  norma  faccia  discendere  il  diritto  ad  una prestazione
 previdenziale da comportamenti  arbitrari  di  soggetti  estranei  al
 rapporto previdenziale.
    2.  -  Si  e'  costituito  l'INPS  chiedendo  che la questione sia
 dichiarata non fondata. In particolare la  difesa  dell'INPS  osserva
 che  nel  caso di mera cessazione materiale dell'impresa - in cui non
 e'   neppure   prospettabile   alcuna    misura    di    salvaguardia
 dell'occupazione  -  la  disciplina  concernente  il collocamento dei
 lavoratori in mobilita' e la conseguente  speciale  tutela  garantita
 dall'indennita'   di  mobilita'  appaiono  incompatibili,  e  percio'
 dovrebbe trovare applicazione in favore dei lavoratori licenziati  la
 diversa   disciplina   concernente   il   trattamento   ordinario  di
 disoccupazione.
    Altresi' la attribuzione della prestazione  di  mobilita'  risulta
 condizionata  non  solo  dal possesso dei requisiti soggettivi di cui
 all'art. 16, comma 1, stessa  legge,  ma  anche  dal  fatto  che  sia
 intervenuto  un  licenziamento  legittimo determinato dallo specifico
 motivo della cessazione dell'attivita' produttiva, mentre nella  spe-
 cie  il  licenziamento e' stato orale e quindi invalido ed inidoneo a
 determinare uno stato di disoccupazione giuridicamente rilevante.
    Infine rileva la difesa dell'INPS che, ove la mancata  attivazione
 della   prestazione   previdenziale   richiesta   sia  dipesa  da  un
 comportamento omissivo del datore di lavoro, c'e' pur sempre a carico
 di quest'ultimo una  ragione  di  danno  risarcibile  dei  lavoratori
 licenziati sicche' non e' configurabile la lamentata discriminazione.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che  la  questione  sia  dichiarata  manifestamente   infondata.   In
 particolare osserva che nella fattispecie di riduzione dell'attivita'
 aziendale,  gli  adempimenti  a  carico  del  datore  di  lavoro sono
 ricollegati ad una  complessa  procedura  cui  il  datore  stesso  ha
 interesse;  mentre,  nella cessazione di attivita', tale interesse di
 mero fatto viene meno e la legge non prevede poteri sostitutivi  (dei
 lavoratori  o delle loro associazioni) per l'attivazione di procedure
 di mobilita'. Non di  meno  si  ha  che,  qualora  i  lavoratori  per
 negligenza e per colpa del datore non vengono ammessi ai benefici del
 trattamento   di   mobilita',  sussiste  una  responsabilita'  civile
 risarcitoria di quest'ultimo.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata  sollevata  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale - in riferimento agli art. 3 e 38 della Costituzione -
 dell'art.  7, comma 1, legge 23 luglio 1991, n. 223 (recante norme in
 materia   di   cassa   integrazione,   mobilita',   trattamenti    di
 disoccupazione,  attuazione  di  direttive  della  Comunita' europea,
 avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato  del
 lavoro)  nella  parte in cui prevede che il diritto all'indennita' di
 mobilita'  possa  spettare  soltanto  ai  lavoratori   collocati   in
 mobilita'  ai  sensi  dell'art.  4 e non anche a quelli che avrebbero
 dovuto essere collocati in mobilita', ma che non sono stati  iscritti
 nelle  relative  liste  per non avere il datore di lavoro attivato od
 esaurito la procedura prevista dall'art. 4, commi da 2  a  12,  della
 legge   medesima,   nell'ipotesi   di  licenziamenti  collettivi  per
 cessazione di attivita'.
    In particolare il giudice rimettente  ravvisa  la  violazione  del
 principio  di eguaglianza perche' si creano situazioni sperequate nei
 confronti di lavoratori licenziati per lo stesso  motivo  (cessazione
 di attivita') i quali beneficiano, o meno, della suddetta prestazione
 previdenziale  per  il  solo  fatto  che  un  soggetto,  indifferente
 rispetto ai rapporti che conseguono alla sua  condotta,  provveda,  o
 meno, al compimento di atti formali, quale appunto e' la procedura di
 mobilita'  nell'ipotesi di licenziamenti collettivi per cessazione di
 attivita'; ritiene altresi' sussistere  la  violazione  dell'art.  38
 della  Costituzione (oltre che ancora dell'art. 3 della Costituzione)
 perche' non e' possibile che una norma faccia discendere  il  diritto
 ad  una  prestazione  previdenziale  da  comportamenti  arbitrari  di
 soggetti estranei al rapporto previdenziale.
    2. - Vanno pregiudizialmente respinte le eccezioni di  difetto  di
 rilevanza  sollevate dalla difesa dell'INPS sotto un duplice profilo:
 da una parte e' eccepita l'inapplicabilita' della speciale disciplina
 concernente il collocamento dei lavoratori in mobilita' nel  caso  di
 cessazione  dell'attivita' aziendale, evenienza questa che renderebbe
 viceversa applicabile la diversa disciplina del trattamento ordinario
 di disoccupazione; d'altra  parte  si  deduce  che  nella  specie  il
 licenziamento e' inidoneo a determinare un effettivo e giuridicamente
 rilevante  stato di disoccupazione in quanto intimato in forma orale,
 anziche' scritta.
    In  ordine  al  primo  profilo   dell'eccezione   e'   sufficiente
 considerare   che  l'applicazione  della  disciplina  concernente  la
 collocazione in mobilita' anche nel caso di cessazione dell'attivita'
 e' testualmente prevista dall'art. 24, n. 2, della  citata  legge  n.
 223  del  1991  senza  distinzione  fra  l'una  e  l'altra ipotesi di
 cessazione. La premessa interpretativa, orientata in tal senso, dalla
 quale muove il giudice a quo e' quindi affatto plausibile e la  Corte
 non ha ragione di discostarsene.
    Quanto  al  secondo  rilievo e' da ritenere che il giudice a quo -
 nel momento in cui ne da' atto puntualmente  e  tuttavia  ritiene  in
 principio  applicabile  la  disciplina  di mobilita' - implicitamente
 aderisce a quella opinione secondo cui ne'  l'Ufficio  regionale  del
 lavoro  e  della massima occupazione (U.R.L.M.O.), ne' la Commissione
 regionale per l'impiego (C.R.I.)  hanno  competenza  a  sindacare  la
 legittimita' del licenziamento, che puo' essere fatta valere solo dal
 lavoratore  senza  peraltro che l'eventuale impugnazione impedisca la
 iscrizione nella lista. D'altra parte non risulta dal testo normativo
 (art. 4, comma 9) che nella comunicazione dell'elenco dei  lavoratori
 in  eccesso  alla  autorita'  deputata  alla  formazione  delle liste
 (U.R.L.M.O. e C.R.I.) debba essere specificata  anche  la  forma  del
 licenziamento.
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    Va considerato innanzi tutto che la censura del giudice rimettente
 e'  centrata  esclusivamente  sul profilo previdenziale del rapporto.
 Infatti il mancato esperimento da parte del datore  di  lavoro  della
 procedura  di  mobilita'  e  la  mancata  comunicazione (ad opera del
 medesimo)  dell'elenco  dei   lavoratori   collocati   in   mobilita'
 all'Ufficio  regionale  del lavoro e della massima occupazione e alla
 Commissione regionale per l'impiego (oltre che alle  associazioni  di
 categoria), perche' possa essere formata la lista di mobilita' di cui
 all'art.  5, sono (dal giudice rimettente) allegati esclusivamente in
 quanto  (e  nella  parte  in  cui)  costituiscono   impedimento   per
 l'erogazione  ai  lavoratori licenziati del beneficio dell'indennita'
 di mobilita' in base al denunciato art. 7, che, appunto, prevede come
 requisito soggettivo per la spettanza del  beneficio  la  circostanza
 che il lavoratore sia stato collocato in mobilita' ai sensi dell'art.
 4 (oltre ad essere in possesso dei prescritti requisiti di anzianita'
 di servizio).
    In  relazione  alla questione cosi' prospettata si appalesa quindi
 privo di rilevanza il fatto che sul  piano  del  rapporto  di  lavoro
 l'impedimento    al    beneficio   previdenziale   possa   costituire
 inadempimento del  datore  di  lavoro,  sanzionato  dal  terzo  comma
 dell'art.  5  con  il richiamo della speciale tutela reintegratoria e
 risarcitoria di cui  all'art.  18,  legge  20  maggio  1970,  n.  300
 (Statuto dei lavoratori).
    Ed  infatti,  ove  la  preclusione  al beneficio suddetto e quindi
 all'insorgenza di un rapporto obbligatorio tra lavoratore  assicurato
 ed  ente previdenziale, fosse effettivamente lesiva - come ritiene il
 giudice rimettente - vuoi del  principio  di  eguaglianza,  vuoi  del
 diritto   alla  tutela  previdenziale,  non  potrebbe  questo  vulnus
 ritenersi emendato per il sol fatto della mera esperibilita'  di  una
 tutela  risarcitoria  per la perdita del posto di lavoro (non essendo
 in ipotesi possibile quella reintegratoria predicandosi  in  tesi  la
 completa  e  totale  cessazione  dell'attivita'  aziendale) e neppure
 dalla parallela insorgenza (in  ipotesi)  di  una  ragione  di  danno
 proprio  per  la intervenuta perdita della prestazione previdenziale;
 cio' per l'incomparabilita' dell'asserita  compensazione  in  termini
 sia  soggettivi  che  oggettivi,  essendo  tale tutela esperibile nei
 confronti di un altro soggetto (il datore di lavoro invece  dell'ente
 previdenziale)   e  per  un'altra  causa  (riferibile  alla  generale
 responsabilita' per inadempimento invece che  all'esatto  adempimento
 di   un'obbligazione   previdenziale).  D'altra  parte  il  carattere
 asseritamente succedaneo di tale tutela risarcitoria -  che  comunque
 e'  mediata  da  un giudizio che il lavoratore deve promuovere per la
 condanna del datore di lavoro - puo' rivelarsi effimero ed inadeguato
 proprio in caso di totale cessazione  dell'attivita'  aziendale,  ove
 questa    si    accompagni    ad   una   situazione   di   insolvenza
 dell'imprenditore; mentre nel caso  di  licenziamento  collettivo  la
 funzione dell'indennita' di mobilita' e' proprio quella di approntare
 immediatamente al lavoratore rimasto senza posto di lavoro i mezzi di
 sussistenza nel breve, e talora nel medio, periodo.
    La  censura  va quindi esaminata esclusivamente con riferimento al
 profilo previdenziale, prescindendo da quali siano le  conseguenze  a
 carico  del  datore  di  lavoro  per  l'eventuale sua inadempienza in
 ordine a comportamenti elevati a  presupposto  dell'erogazione  della
 prestazione previdenziale.
    4.  -  In  questa  specifica  prospettiva  va poi considerato che,
 coerentemente  all'impianto  complessivo   della   nuova   disciplina
 dell'integrazione  salariale e dei licenziamenti collettivi, l'art. 7
 necessariamente  presuppone  -  perche'  insorga   il   diritto   del
 lavoratore alla percezione dell'indennita' di mobilita' - (non gia' e
 non  solo  il  mero  stato  di  sopravvenuta  disoccupazione, bensi')
 l'iscrizione nelle liste di mobilita' all'esito  della  procedura  di
 concertazione sindacale di cui all'art. 4 legge n. 223 del 1991 cit.;
 iscrizione  che  -  lungi  dal  costituire  un  adempimento meramente
 formale - comporta uno status per il  lavoratore  da  cui  discendono
 plurime   conseguenze   strettamente  legate  alla  percezione  della
 prestazione previdenziale.
    Ed infatti da una parte e' previsto l'obbligo per i lavoratori  in
 mobilita',  iscritti nelle apposite liste, di partecipare ai corsi di
 qualificazione e di riqualificazione professionale organizzati  dalle
 Regioni e finalizzati ad agevolare il reimpiego dei medesimi (art. 6,
 comma  2, lett. b, legge n. 223 del 1991). D'altra parte e' possibile
 che tali lavoratori siano chiamati a svolgere la  loro  attivita'  in
 opere  o  servizi  di  pubblica utilita'; utilizzo questo (al quale i
 lavoratori in mobilita' non possono sottrarsi) che e' disposto  dalla
 Commissione    regionale    per    l'impiego   su   richiesta   delle
 amministrazioni pubbliche (quarto comma dell'art. 6 cit.). Inoltre ai
 lavoratori in mobilita' si applica ( ex art. 8, comma 1, legge n. 223
 del 1991 cit.) il diritto di precedenza nell'assunzione ai  fini  del
 collocamento  ordinario;  cio' al fine di facilitare il reimpiego con
 la  conseguenza  (per  l'ente  previdenziale)   della   piu'   rapida
 cessazione   dell'erogazione   dell'indennita'   di   mobilita',  che
 rappresenta per l'ente medesimo un aggravio maggiore  dell'indennita'
 di  disoccupazione.  Il  lavoratore  e' poi cancellato dalla lista di
 mobilita' (e conseguentemente decade dal  diritto  all'indennita'  di
 mobilita')  ove  tenga  determinati  comportamenti  non collaborativi
 (perche',  in  ipotesi,  rifiuti  di  frequentare  o  non   frequenti
 regolarmente  i  corsi  di  formazione  suddetti;  ovvero non accetti
 un'offerta  di  lavoro  per  mansioni  riconducibili  a   quelle   di
 appartenenza; ovvero non sia disponibile ad essere impiegato in opere
 o  servizi  di  pubblica  utilita'; o, infine, non abbia provveduto a
 dare preventiva comunicazione  alla  competente  sede  dell'INPS  del
 lavoro   prestato   a   tempo   parziale  o  determinato,  mantenendo
 l'iscrizione  nella   lista).   Tali   inadempienze   comportano   la
 cancellazione  dalla  lista di mobilita' dichiarata dalla Commissione
 regionale per l'impiego; cancellazione poi che implica, tra  l'altro,
 il  venir  meno  del  presupposto  della  prestazione previdenziale e
 quindi la sua perdita per il lavoratore non piu' iscritto. Infine  il
 collocamento  in mobilita' del lavoratore comporta anche uno speciale
 onere contributivo a carico del datore di lavoro (art.  5,  comma  4,
 legge n. 223 del 1991).
    5.  -  Con l'iscrizione del lavoratore nella lista di mobilita' si
 radica quindi un  complesso  di  rapporti  interconnessi,  dei  quali
 quello  avente  ad  oggetto l'erogazione dell'indennita' di mobilita'
 costituisce il principale, ma non l'unico; sicche'  il  comportamento
 inadempiente  del  datore  di lavoro, che abbia omesso di attivare le
 procedure  sindacali  e,  all'esito  delle  stesse,   di   comunicare
 all'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione l'elenco
 dei  lavoratori  licenziati  perche'  siano  iscritti  nelle liste di
 mobilita',  incide  in   realta'   sul   requisito   dell'iscrizione,
 frustrando l'interesse dei lavoratori a vedersi collocati nelle liste
 suddette  per poter partecipare all'intera disciplina della mobilita'
 ed (in particolare) fruire dell'indennita' in questione.
    Ma la funzionale connessione tra la percezione  della  prestazione
 previdenziale e le ramificate conseguenze discendenti dall'iscrizione
 nelle  liste di mobilita' comporta che non sia possibile enucleare la
 sola indennita' di mobilita',  disancorandola  dall'iscrizione  nelle
 liste suddette e da tutto cio' che dall'inserimento del lavoratore in
 tale  liste consegue, operando una resezione del nesso tra iscrizione
 ed indennita' per agganciare quest'ultima, come richiede  il  giudice
 rimettente,  soltanto  al  sopravvenuto  stato  di disoccupazione con
 conseguente sostanziale scissione  del  beneficio  dagli  oneri.  Non
 sussiste  quindi  la  denunciata disparita' di trattamento perche' e'
 giustificata la disciplina differenziata in ragione della sussistente
 ovvero mancante iscrizione del lavoratore nelle liste  di  mobilita';
 viceversa,  ove  fosse possibile accedere all'indennita' di mobilita'
 allegando soltanto lo stato di  disoccupazione  pur  in  mancanza  di
 iscrizione  nelle  liste,  si avrebbe una inammissibile disparita' di
 trattamento nell'ambito dei percettori del beneficio tra i lavoratori
 iscritti e quelli non iscritti, giacche' solo i primi si troverebbero
 ad  essere  soggetti  ai   (sopra   indicati)   effetti   collaterali
 conseguenti  all'iscrizione  e  non  anche i secondi che iscritti non
 sarebbero. Ne' vi e' violazione dell'art. 38 della Costituzione sotto
 il profilo indicato dal giudice  rimettente  (della  perdita  per  il
 lavoratore   di   una   prestazione   previdenziale  a  causa  di  un
 comportamento   arbitrario   del   datore    di    lavoro)    perche'
 dall'inadempimento  di  quest'ultimo consegue direttamente la mancata
 iscrizione (ad iniziativa del medesimo) nella lista e -  soltanto  in
 quanto  mediata  da  tale mancanza - discende l'ulteriore conseguenza
 della non percezione del beneficio.
    6. - In tale  disamina  si  esaurisce  anche  lo  scrutinio  della
 questione  di costituzionalita', essendo essa posta esclusivamente in
 termini di censura dell'indefettibile nesso che  lega  l'attribuzione
 dell'indennita' di mobilita' all'iscrizione delle liste di mobilita';
 una   volta   riconosciuta   la   legittimita'   di  tale  necessario
 collegamento, non puo' esaminarsi - in quanto eccedente  rispetto  al
 thema  decidendum devoluto a questa Corte dal giudice rimettente - la
 conformita', o meno, a Costituzione della disciplina  (non  gia'  del
 presupposto dell'indennita' di mobilita', ma) della stessa iscrizione
 nelle  liste  suddette  (art. 4 cit.) ove si ritenga che l'iniziativa
 della comunicazione dell'elenco dei lavoratori collocati in mobilita'
 o  destinatari  di licenziamento collettivo all'Ufficio regionale del
 lavoro e della massima  occupazione  sia  rimessa  esclusivamente  al
 datore di lavoro.
    Non    sussistendo    quindi   nella   prospettazione   risultante
 dall'ordinanza di  rimessione  i  vizi  denunciati  la  questione  di
 costituzionalita' va dichiarata non fondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 7, comma 1, legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in  materia
 di  cassa  integrazione,  mobilita',  trattamenti  di disoccupazione,
 attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro
 ed altre disposizioni in materia di mercato del  lavoro),  sollevata,
 in  riferimento  agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal pretore di
 Lecce con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 27 luglio 1995.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 95C1016