N. 470 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 maggio 1995
N. 470 Ordinanza emessa il 18 maggio 1995 dal giudice per le indagini preliminari contro il tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Neri Giovanna Processo penale - Richiesta di archiviazione al g.i.p. - Mancata condivisione - Restituzione degli atti al p.m. per formulazione dell'imputazione - Adempimento - Conseguente fissazione dell'udienza preliminare innanzi al medesimo g.i.p. - Lamentata omessa previsione di incompatibilita' di tale giudice anche dopo la legge n. 105/1993, abrogatrice del criterio dell'evidenza - Lesione dei principi di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, dell'inviolabilita' del diritto di difesa, del giudice naturale precostituito per legge e della terzieta' dello stesso - Lesione dei principi della legge di delega. (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma). (Cost., artt. 3, 24, 25, 76 e 77, in relazione alla legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, direttiva 67).(GU n.36 del 30-8-1995 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza. A seguito di atti di querela sporti in data 10 novembre 1993 da Vagaggini Luigi, Del Tredici Franco e Mazzani Gabriele si incardinava davanti alla procura della Repubblica di Roma procedimento penale contro Neri Giovanna in ordine al reato p. e p. dagli artt. 81 del c.p.v., 595 del c.p., 13, 21 della legge n. 47/1948 (diffamazione continuata a mezzo della stampa) in relazione all'articolo a firma della stessa pubblicato sull'Unita' del 23 settembre 1993 nella cronaca "Firenze-Toscana". In data 10 febbraio 1994 pervenivano all'ufficio del giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, nonche' gli atti di opposizione dei querelanti. L'ufficio del giudice disattendeva la richiesta di archiviazione e fissava con decreto l'udienze camerale nella quale le parti concludevano come da separato verbale del 15 novembre 1994. Agli esiti della stessa udienza l'ufficio pronunciava in data 18 novembre 1994 ordinanza ex art. 409, secondo e quinto comma, del c.p.p. disponendo che il p.m. procedesse alla formulazione dell'imputazione, determinando cosi' l'incardinarsi dell'udienza preliminare in data 10 marzo 1995. In tale contesto nonche' agli esiti delle conclusioni rappresentate dalle parti il giudice pronunciava ordinanza ex artt. 23, primo e secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita'dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24, 25, 76 e 77 della Costituzione in violazione della direttiva n. 67 legge delega nuovo codice 16 febbraio 1986, n. 81 (principio della divisione tra requirente e giudicante o della terzieta' del giudice), e conseguentemente dichiarava sospesa la trattazione dell'udienza preliminare subordinando ogni decisione agli esiti della pronuncia della Corte costituzionale ritualmente adita. La problematica introdotta dall'applicazione dell'art. 409 del c.p.p. con specifico riguardo al quinto comma, della stessa norma e quindi all'udienza preliminare incardinata a seguito di imputazione ordinata all'ufficio del pubblico ministero e' questione piu' volte affrontata e valutata dalla Corte costituzionale. In particolare nelle sentenze 12 novembre 1991, n. 401, e 30 dicembre 1991, n. 502, la Corte dichiarava la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella parte in cui non prevedeva l'incompatibilita' del giudice per le indagini preliminari che aveva pronunciato l'ordinanza ex art. 409, quinto comma, del c.p.p., a partecipare all'udienza preliminare, in tal modo respingendo i dubbi di incostituzionalita' peraltro piu' volte riproposti anche successivamente alle prefate sentenze. L'attuale reiterazione del quesito costituzionale trae certamente spunto dalla novella introdotta con legge 8 aprile 1993, n. 105, abrogatrice del noto criterio dell'evidenza che in passato limitava l'apprezzamento del g.u.p. alla legittimita' e correttezza delle fonti di prova prodotte dall'accusa, restando esclusa di fatto la prospettiva di qualsiasi pronuncia liberatoria a meno che non risultasse evidente, appunto, l'estraneita' dell'imputato all'addebito contestato, e quindi insostenibile ogni sviluppo accusatorio. L'esclusione del criterio dell'evidenza ha certamente raffinato i poteri di cognizione del g.u.p. che e' chiamato a valutare i contenuti delle indagini preliminari ponendo in essere un'attivita' di conoscenza critica propria del giudizio di merito in quanto avente ad oggetto il raffronto dialettico fra la prospettazione probatoria dell'accusa e quella che la difesa introduce appunto nell'udienza preliminare. In tale contesto tende a perdersi la portata meramente rituale della pronuncia del g.u.p. che l'attuale sistema processuale disciplina strumentalmente al dibattimento, riconducendo il decreto ex art. 429 del c.p.p. a necessario impulso per l'ulteriore fase, e la sentenza ex art. 425 del c.p.p. a statuizione suscettibile di revoca (artt. 434 e segg. del c.p.p.) in caso di sopravvenienza di nuove fonti di prova. Ed invero l'udienza preliminare ha progressivamente assunto i connotati del giudizio di merito, e cio' probabilmente anche sulla spinta delle piu' volte ricordate esigenze deflattive di tal che fortissima si profila l'aspettativa dell'imputato a che il giudicante compia in modo approfondito la piu' ampia valutazione della propria posizione al punto che spesso ove trattasi di accuse consolidate su fonti documentali, o comunque fondate su circostanze non suscettibili di ulteriori sviluppi, la cognizione del g.u.p. nel caso di sentenza di non luogo a procedere ex art. 42 del c.p.p. e' del tutto assimilata a quella del giudizio abbreviato, rito questo quasi esclusivamente introdotto ormai ove si abbia la certezza della condanna e quindi il vantaggio della connessa riduzione di pena. Le circostanze fin qui rappresentate evidenziano pertanto che l'identita' fisica del g.u.p. con quella del g.i.p. che ha ordinato la formulazione della imputazione ex art. 409, quinto comma, del c.p.p. determina una insuperabile incompatibilita' del giudicante per l'udienza preliminare ex art. 34, secondo comma, del c.p.p. Ed infatti il principio affermato dalla giurisprudenza della Corte per cui "ogni valutazione di merito circa l'idoneita' delle risultanze probatorie a fondare un giudizio di responsabilita'" e' il presupposto sistematico su cui fondare l'incompatibilita' del giudicante, non puo' non essere considerato e applicato al caso di specie. Si osserva infatti che l'dienza preliminare e' introdotta dopo l'udienza camerale ex art. 409, secondo comma, del c.p.p., e quindi depo che le parti hanno potuto esprimere ciascuna ulteriori argomentazioni in guisa che l'apprezzamento del g.u.p. si traduce nella completa valutazione di quegli stessi elementi che saranno reiterati nel corso dell'udienza preliminare. Durante quest'udienza l'imputato viene a trovarsi al cospetto di un giudicante che ha gia' manifestato il proprio orientamento imponendo al p.m. la contestazione del fatto-reato, mentre l'ufficio requirente, ancorche' rappresentato da diversa persona fisica, e' relegato alla formale reiterazione di un pregresso convincimento. Il contraddittorio dell'udienza preliminare si svuota cosi di significato, risultando ogni soggetto, giudicante incluso, ispirato ad una dialettica che si e' gia' sviluppata aliunde e che viene messa in scena al solo scopo di rendere possibile l'ulteriore fase processuale. In tale contesto non e' dato cogliere allo stato alcun significativo discrimine tra l'affermata incompatibilita' del g.u.p. nel giudizio abbreviato (nel caso il medesimo giudice abbia pronunciato ordinanza ex art. 409, quinto comma, del c.p.p., cfr. Corte costituzionale 12 novembre 1991, n. 401), e la prospettata medesima potenziale incompatibilita' dello stesso giudice rispetto all'udienza preliminare ordinaria, posto che trattasi in entrambi i casi di giudizi di merito. E' opportuno sottolineare infatti che il pregiudizio in ordine alla responsabilita' si traduce nell'ipotesi all'esame in un vero e proprio pregiudizio in ordine all'estraneita' dell'imputato al fatto dedotto in contestazione, avendo il giudicante gia' valutato i risultati delle indagini preliminari a seguito della richiesta di archiviazione disattesa, nonche' gli argomenti dialettici delle parti nell'udienza di cui all'art. 409, secondo comma, del c.p.p. La norma di cui all'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del g.i.p. che ha pronunciato ordinanza ex art. 409, quinto comma, del c.p.p. a partecipare alla successiva udienza preliminare, e' raggiunta dunque, ad avviso del remittente ufficio, da profili di incostituzionalita' con riguardo agli artt. 3, 24, 25, 76 e 77 della Costituzione. Ed invero la mancata previsione di incompatibilita' sembra incidere direttamente sulla sancita uguaglianza dei cittadini davanti alla legge ex art. 3 della Costituzione nonche' sulla tutela del principio costituzionale dell'inviolabilita' della difesa ex art. 24 della Costituzione, prospettandosi nel caso all'esame un'evidente disparita' tra l'imputato tratto davanti al g.u.p. a seguito di richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero, e quello nei cui confronti e' incardinata udienza preliminare ex officio, e cioe' su impulso pervenuto al p.m. che redige l'imputazione da parte del giudice competente ex art. 409, quinto comma, del c.p.p. Nella constatata disparita' di trattamento e' insita la deminutio del diritto di difesa: sul punto si osserva infatti che le argomentazioni difensive dell'udienza preliminare assumono nel caso di specie una valenza ridotta in quanto le stesse sono gia' state valutate dal medesimo giudice nell'udienza camerale disposta ex art. 409, secondo comma, del c.p.p., e ritenuta insufficiente a suffragare la richiesta di archiviazione che e' stata superata dall'ordine impartito al p.m. di formulare l'imputazione: in tale contesto e' difficile ipotizzare nella successiva udienza preliminare novita' difensive suscettibili di modificare la precedente valutazione, specialmente considerando che nell'udienza preliminare introdotta ex officio l'apprezzamento del giudicante non riguarda un supplemento dell'attivita' investigativa, peraltro previsto nel caso di cui all'art. 402, quarto comma, del c.p.p., ma i medesimi risultati delle indagini ritenuti dal p.m. inidonei a fondare la richiesta di rinvio a giudizio. La medesima mancata previsione di incompatibilita' attinge altresi' l'osservanza del principio di cui all'art. 25 della Costituzione, in quanto l'imputato e' tratto a giudizio davanti al giudice che ha gia' espresso una valutazione fortemente significativa e che ha quindi perduto la sua qualita' di giudice naturale, e cioe' precostituito per legge, laddove si intenda con cio' l'individuazione preventiva dell'organo giudicante, e quindi per casi generali: e' di palmare evidenza infatti la peculiarita' della posizione di colui che assume la qualita' di imputato su iniziativa dell'ufficio giudicante che e' chiamato a valutare nell'udienza preliminare gli stessi contenuti di indagine che hanno determinato un convincimento contrario all'archiviazione. L'ultimo profilo di incostituzionalita' riflette infine la violazione della direttiva n. 67 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione, posto che la mancata previsione di incompatibilita' di cui all'art. 34, secondo comma, del c.p.p. incide altresi' sul principio della divisione tra parte requirente ed organo giudicante, e per conseguenza sull'affermata terzieta' del giudice. Quest'ultimo requisito appare infatti, per tutte le considerazioni fin qui svolte irreparabilmente compromesso dal sovrapporsi dell'identita' fisica del giudice che dispone ex art. 409, quinto comma, del c.p.p. con quello della successiva udienza preliminare.
P. Q. M. Visti gli artt. 23, primo e secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 134 della Costituzione, vorra' codesta ecc.ma Corte dichiarare la illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24, 25, 76 e 77 della Costituzione nella parte in cui la prefata norma non prevede l'incompatilita' del g.i.p. che ha pronunciato l'ordinanza ex art. 409, quinto comma, del c.p.p., a partecipare alla successiva udienza preliminare; Manda la cancelleria per gli adempimenti di rito e per la notifica della presente ordinanza alle parti e al pubblico ministero, nonche' per la comunicazione della stessa alla Presidenza del Consiglio e alla Presidenza delle Camere. Roma, addi' 18 maggio 1995 Il giudice per le indagini preliminari: RANDO' 95C1039